sabato 6 febbraio 2010


L’analisi A Gerusalemme sperano nell’Italia mediatrice

La telefonata del mio amico Shilo arriva dall'insediamento ebraico di Bel El, vicino a Ramallah. Mi chiede: Berlusconi fa sul serio? Quattro parole che riassumono la meraviglia e la preoccupazione create dallo shock psicologico e politico su Israele e, per estensione, sul mondo arabo e internazionale provocato dal viaggio del premier italiano.Incominciamo da Israele. Bisogna tener conto delle complesse conseguenze che genera una guerra infinita - terrorismo crudele, isolamento psicologico, preoccupazione di sopravvivenza, tentativi di delegittimazione, necessità spasmodica di essere compresi - per misurare l'effetto Berlusconi. Il cielo non è crollato quando ha detto che Israele dovrebbe essere ringraziato per il solo fatto di esistere, sola democrazia nel Medio Oriente. Quando, denunciando il rapporto Goldstone dell'Onu, ha dichiarato che la risposta militare israeliana ai missili di Gaza era giustificata. Quando ha ricordato con parole di sincerità e affetto che gli israeliani non erano più abituati a sentire il pericolo di un nuovo Olocausto che l'Europa deve ricordare.Scegliendo di parlare al cuore di Israele in maniera fraterna, opposta a quella insultante scelta dal premier turco Erdogan, si è costruito un ruolo di mediatore che altri hanno bruciato. Ruolo che Berlusconi può assumere perché è oggi l’unico capace di strappare concessioni a Netanyahu dopo il plauso che ha ricevuto tanto dalla destra che dalla sinistra israeliana.I palestinesi lo hanno capito. Hanno ingoiato quasi senza reagire il riconoscimento indiscusso di Berlusconi per l’esistenza e la legittimità dello Stato ebraico; per la legittimità della risposta militare contro Gaza. Delusi dall’America e dall’Europa, sperano di trovare nell’Italia, militarmente e economicamente presente nel mondo arabo, un «mediatore» capace di farli tornare alla tavola del negoziato senza perdere la faccia. La critica alla estensione degli insediamenti su «territori che dovranno essere restituiti» è l’appiglio offerto loro da Berlusconi per aiutarli a scendere dall’albero su cui sono inutilmente saliti rifiutando ogni contatto col governo di Netanyahu.Non a caso Berlusconi ha riparlato di Erice come luogo di possibile incontro. Perfino nella Gaza islamica sunnita si alzano voci per denunciare lo «sfruttamento» che l’Iran islamico sciita sta facendo della causa palestinese «per la quale non un iraniano è morto». Ma è a livello internazionale che il viaggio sta creando le onde più interessanti. Berlusconi ha smosso l'acquitrino stantio del conflitto mediorientale. Ha valorizzato a pieno la cassa di risonanza mediatica ebraica e del conflitto palestinese per rilanciare la sua l'immagine di leader internazionale, per sfruttare l'impotenza diplomatica dell'Europa, dell'America, dell'Onu e della Russia (i membri del Quartetto) nel conflitto mediorientale, per prendere la guida di una iniziativa europea per far uscire il conflitto dalla palude diplomatica in cui si è impantanato.Washington ne è tanto più soddisfatta dal momento che Berlusconi, con le sue denunce dell’aggressività iraniana, ha dimostrato che non intende farsi influenzare dagli interessi economici italiani in Iran. Molto ora dipenderà dalla maniera in cui l'Europa, così stanca, divisa, così anti-israeliana nella sua intellighenzia sinistroide, così sprezzante delle capacità di statista del premier italiano, saprà riconoscere la porta che le ha aperto.Se si confronta il successo del viaggio di Berlusconi con quello di altri leader americani, europei e arabi c’è da rimanere stupiti. Israele lo è, ma si preoccupa che possa non aver seguito. 05 febbraio 2010,http://www.ilgiornale.it/


ISRAELE: PORTAVOCE FOREIGN OFFICE, NON E' CANDIDATO A ENTRARE NELLA UE

(ASCA) - Roma, 4 feb - ''Israele non e' un paese candidato a entrare nell'Unione europea. La posizione dell'Ue, come e' stato ribadito lo scorso dicembre, e' che ogni passaggio ulteriore nelle relazioni formali tra Israele e l'Unione deve essere visto nel contesto di un progresso nel processo di pace in Medio Oriente''.Un portavoce del Foreign Office, il ministero degli Esteri britannico, interpellato dal quotidiano online Affaritaliani.it, boccia la proposta di far entrare Israele nell'Unione europea, avanzata dal premier Silvio Berlusconi durante il suo recente viaggio a Gerusalemme.La spokesperson del Foreign Office ha ricordato in proposito la posizione ufficiale dell'Unione del 15 giugno 2009 in occasione del EU-Israel Association Council: ''Ogni passaggio ulteriore deve essere basato sulla condivisione di valori da entrambe le parti e soprattutto sulla democrazia, il rispetto dei diritti umani, le leggi, le liberta' fondamentali, una buona governance e il diritto umanitario internazionale. Lo sviluppo delle relazioni deve essere, e deve essere visto, nel contesto del range dei nostri interessi e obiettivi. Tutto cio' include la risoluzione del conflitto israelo-palestinese (attraverso l'implementazione della soluzione di due Stati), la promozione della pace, la prosperita' e la stabilita' nel Medio Oriente e la ricerca di risposte comuni alle sfide che potrebbero minacciare questi obiettivi''.



Avigdor Lieberman

Israele: Vogliamo la pace con la Siria, ma niente minacce

"Pronti a negoziato senza condizioni"
4 feb. (Apcom) - Il governo israeliano è pronto a sedersi al tavolo del negoziato con la Siria con l'auspicio di giungere a un accordo di pace permanente. Lo ha detto Nir Hefetz, stretto consigliere del premier israeliano Benjamin Netanyahu, precisando tuttavia che Israele continuerà a reagire ad ogni minaccia contro la sua sicurezza. Lo riporta il sito web del quotidiano israeliano Haretz. Parlando al termine di un incontro con Netanyahu e con il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman, Hefetz ha detto che la "politica del governo israeliano è chiara": "Israele desidera la pace ed è pronto a impegnarsi in colloqui senza condizioni con la Siria". "Allo stesso tempo - ha aggiunto Hafetz - Israele continuerà a reagire ad ogni minaccia". Stamattina il ministro degli Esteri Lieberman aveva avvertito il presidente siriano Bashar Assad che il suo regime verrà disintegrato in caso di conflitto con Israele. "Assad dovrebbe sapere che in caso di attacco non solo perderà la guerra, ma né lui né la sua famiglia resterà al potere", ha detto Lieberman durante una conferenza all'Università Bar-Ilan. Ieri Assad aveva detto a sua volta al ministro degli Esteri spagnolo Miguel Angel Moratinos che Israele sta spingendo il Medio Oriente verso una nuova guerra.



Eyal Golasa, 18 anni, a destra, con la Maglia del Maccabi


Caso Golasa, laziale e israeliano. Su web un gruppo: «Non lo vogliamo»

Noi Golasa non lo vogliamo: ecco come parte della tifoseria laziale – almeno quella che frequenta i social network – ha accolto l'acquisto di Eyal Golasa, centrocampista israeliano prelevato dal Maccabi Haifa. Risale a ieri l'apertura di un gruppo su Facebook «dedicato» al calciatore e denominato proprio così. Descrizione: «No agli israeliani con la nostra maglia!». Una pagina web che, oltre a portare avanti una guerra personale e immotivata contro il neo-laziale, presenta immagini di chiaro orientamento antisemita: corpi a brandelli, volti sanguinanti, architetture dilaniate, frutto degli attentati palestinesi. Raccapricciante. Per fortuna all'interno dello stesso gruppo molti utenti (laziali e non) si sono schierati a favore di Golasa e del suo arrivo a Roma, postando commenti di solidarietà nei confronti del giocatore. Brutalità come quella della pagina apparsa su Facebook non sono certo una novità per le frange più estreme del tifo: basti pensare al famigerato striscione «Squadra di negri, curva di ebrei» sfoderato dalla curva in occasione di un derby di qualche anno fa. I destinatari del messaggio erano, ovviamente, i cugini romanisti, «rei» d'avere in rosa giocatori di colore. In realtà, in biancoceleste i «negri» erano già sbarcati qualche stagione fa: Ousmane Dabo, Modibo Diakité, Stephen Makinwa, persino l'olandese Aaron Winter, risalendo agli anni ‘90. Per non parlare dell'albanese Ighli Tare (attuale dirigente), di Valon Behrami (passaporto svizzero ma nato in Kosovo), del rumeno Stefan Radu. Lotito, come al solito indifferente agli spifferi curvaioli (forse il suo principale merito da quando è presidente), ha fatto firmare a Golasa un contratto quinquennale da 350.000 euro l'anno (con ingaggio a salire). Il centrocampista, classe '91 (appena 19 anni), sembra promettere bene: per acquistarlo, la Lazio ha bruciato sul tempo società di maggior richiamo come Liverpool e Bayern Monaco. Il ragazzo è cresciuto nel Maccabi Haifa, la squadra più importante d'Israele, ed è stato regolarmente convocato dalle selezioni giovanili della nazione del suo paese (è il punto di forza dell'Under 21). Nell'agosto del 2009 ha esordito in Champions League (preliminari), riuscendo persino a segnare un gol contro il Salisburgo, poi decisivo per la qualificazione del Maccabi Haifa alla fase a gironi. All'interno della vicenda emerge piuttosto un altro dettaglio destinato a far discutere: Eyal è infatti in piena età da servizio militare che in Israele impegna i ragazzi per 3 anni. Molti, a partire dal padre del giocatore («Eyal è un disonesto»), hanno interpretato il trasferimento di Golasa come una «renitenza» alla leva; pare tuttavia che il ragazzo, almeno per questa stagione, non possa esordire in Serie A, proprio per questioni legate all'obbligo di leva (la posticipazione o l'esonero è previsto soltanto se si è riconosciuti come «atleti eccezionali», definizione dalla quale Golasa sembra almeno per ora escluso). L'unica ad averne preso le difese è la madre Mira, secondo cui Eyal rinuncerebbe a servire l'esercito nel caso non si trovasse una soluzione al problema.04 febbraio 2010, http://www.unita.it/


Berlusconi sulla stampa israeliana: non piace l'acccostamento Gaza-Shoah

Haaretz evita di commentare, Maariv ironizza sul comportamento bizzarro di «Silvio-Cesare»
Yediot Ahronot: «Ha fatto uno show al pranzo di gala da Peres»
TEL AVIV - Berlusconi sulla stampa israeliana il giorno dopo il suo discorso alla Knesset (Parlamento) e la sua visita in Cisgiordania dal presidente dell'Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen. Haaretz online ha dato più spazio al discorso pronunciato a Gerusalemme, evidenziando l'espressione «fratelli maggiori» utilizzata per descrivere il rapporto fra israeliani e italiani e il passaggio in cui il premier italiano si è riferito all'operazione Piombo Fuso dello scorso anno a Gaza come a una «giusta» reazione contro i lanci di razzi di Hamas. Nello stesso articolo la testata parla anche della visita a Betlemme e del «dolore per le vittime di Gaza» espresso da Berlusconi così come per le vittime dell'Olocausto, frasi che Haaretz evita di commentare.
CRITICHE - Maariv invece non ha apprezzato l'accostamento Olocausto-Gaza e ironizza su «Silvio-Cesare» per il suo «comportamento bizzarro», lamentando come improprio il fatto che «appena giunto nei territori abbia paragonato Gaza alla Shoah». Yediot Ahronot dà spazio a quello che chiama il «Berlusconi show», con ampio risalto a un articolo di colore sul pranzo di gala nella residenza del presidente Shimon Peres allietato da aneddoti e «imitazioni» del presidente del Consiglio, oltre che dall'annuncio del regalo di un suo Cd di canzoni. Il Jerusalem Post ha invece preferito titolare sugli aspetti politici della visita e in particolare sull'apprezzamento rivolto dal primo ministro Benyamin Netanyahu a Berlusconi, salutato come «un leader coraggioso che è sempre dalla parte d'Israele».FINANCIAL TIMES - Un giornale non israeliano come il Financial Times, parlando della visita di Berlusconi in Israele, dice che il primo ministro italiano è «nei guai» («hot water») per le sue dichiarazioni in cui accosta le vittime di Gaza a quelle della Shoah. Il quotidiano finanziario dice che il premier israeliano Netanyahu non ha commentato la frase di Berlusconi. 04 febbraio 2010, http://www.corriere.it/


Francesco Nucara


Teheran contro Berlusconi: «È un servo d’Israele» Frattini: serviamo gli ideali

Dopo una pausa di riflessione durata quasi una giornata, l’Iran ha reagito alle affermazioni fatte da Silvio Berlusconi durante la sua visita ufficiale in Israele. Sul sito della televisione di Stato è uscita in proposito una nota in lingua italiana: vi si legge che «Berlusconi, durante il suo discorso alla Knesset (il Parlamento israeliano, ndr), ha completato tutta la serie di servigi fatta ai padroni israeliani. Berlusconi, che prima e durante la visita in Israele ha rivolto all’Iran tutte le accuse possibili, a iniziare da quella di voler sviluppare armi nucleari, ieri alla Knesset si è davvero superato: ha definito «esempio di democrazia e libertà» il regime israeliano, ha definito giusta la guerra contro Gaza e poi ha anche sventolato con orgoglio il no dell’Italia all’Onu al rapporto Goldstone che «condannava i crimini di guerra israeliani a Gaza», ha aggiunto la nota.A queste affermazioni ha reagito il nostro ministro degli Esteri Franco Frattini. «Siamo al servizio dei nostri valori e dei nostri ideali - ha dichiarato il titolare della Farnesina -. I nostri valori dicono che l’Olocausto è stato la più grande tragedia dell’umanità». «Israele è uno Stato libero e democratico e deve essere difeso - ha aggiunto Frattini -. Noi saremo sempre leali all’alleanza con l’Europa, con gli Stati Uniti, con i Paesi democratici e con i Paesi del mondo arabo che non vogliono la bomba atomica iraniana. Se l’Iran - ha concluso il ministro - passa dalle parole ai fatti e consente l’arricchimento dell’uranio fuori dal Paese, come alcune volte era sembrato voler fare, noi lo apprezzeremo con grande favore».In Italia, ieri, è intervenuto sul tema anche il segretario del Partito repubblicano Francesco Nucara, per il quale «avere contro il presidente dell’Iran è un assoluto merito per il presidente del Consiglio. Pensiamo, come Elie Wiesel, che Ahmadinejad debba essere processato dal Tribunale dell’Aja». 05 febbraio 2010,http://www.ilgiornale.it/


7 febbraio - Israel University Day

Sono sempre più numerosi i ragazzi delle Comunità ebraiche italiane che finito il liceo lasciano il Belpaese per proseguire gli studi. Qualcuno sceglie l’Inghilterra, o gli Stati Uniti, ma la maggioranza insegue un sogno che spesso ha coltivato fin dai primi anni di scuola, e parte alla volta di Israele. Per venire incontro all’esigenza di maggiori informazioni sulle possibilità che hanno i neodiplomati nella Terra del latte e del miele, l’Assessorato ai giovani dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e l’Unione giovani ebrei d’Italia, hanno organizzato a Roma, per questa domenica 7 febbraio al Centro bibliografico UCEI di Lungotevere Sanzio, l’Israel University Day, dedicato alle università israeliane e ai programmi formativi offerti agli studenti stranieri. "L'entusiasmo e la collaborazione che abbiamo riscontrato - commenta la vicepresidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane con delega alle politiche giovanili Claudia De Benedetti - costituiscono un valore aggiunto per tutti i progetti di formazione in corso di realizzazione fra i giovani ebrei italiani e un'apertura verso il mondo giovanile che guarda con interesse all'apprendimento delle competenze specifiche negli atenei israeliani".Alcuni dei ragazzi che, tra un ripasso e l’altro per l’esame di maturità di giugno, parteciperanno alla giornata, hanno già le idee chiare e vogliono partire per frequentare in Israele l’università, magari sanno anche a quale facoltà iscriversi. Altri pensano ditrascorrere lì soltanto un “gap year”, un anno di pausa, per vivere delle esperienze nuove e decidere cosa fare “da grandi” in maniera più consapevole. Verranno presentate le Shnat Hachsharot, i programmi offerti dai movimenti giovanili Benè Akiva, e Hashomer Hatzair che, articolati in varie tipologie, consentono di lavorare in Kibbutz, frequentare un Ulpàn di ebraico, prestare volontariato, o anche dedicarsi a vari tipi di studi, compresi quelli religiosi, insieme a ragazzi provenienti da tutto il mondo. Più vicino alla vita universitaria è invece la Mechinà. Gli studenti che vi partecipano, trascorrono un anno in un ateneo israeliano concentrandosi sullo studio della lingua ebraica per raggiungere uno standard universitario. Cominciano ad assaporare l’atmosfera dell’università e possono frequentare alcuni corsi che saranno loro riconosciuti come crediti negli anni successivi.All’Israel University Day interverranno i rappresentanti dei più prestigiosi atenei israeliani, l’Università ebraica di Gerusalemme, la Bar Ilan University di Tel Aviv, la Ben Gurion University di Beersheva, e il famoso Technion Israel Institute of Technology diHaifa, uno dei migliori politecnici del mondo, oltre all’IDC di Herzliya, molto popolare fra gli studenti stranieri in Israele per l’offerta di diverse facoltà in lingua inglese, e perché consente l’accesso con prove alternative al terribile Psicometrico, il test diammissione a tutte le università israeliane.Proprio a questo esame è legata un’iniziativa per richiedere che la lingua italiana si aggiunga a ebraico, arabo, russo, inglese, francese e spagnolo, lingue in cui è possibile sostenere lo psicometrico, anche in considerazione del sempre maggiore numero di studenti italiani che lo tentano, risultando particolarmente svantaggiati.Un ultimo aspetto non è poi da trascurare, quando si tratta di mandare i propri figli a studiare all’estero, quello economico. Anche di questo si parlerà all’Israel University Day. Israele è all’avanguardia nell’aiutare le famiglie. Grazie al contributo dell’Agenzia ebraica, e in particolare della Masa, i ragazzi hanno a disposizione una vastissima offerta di borse di studio. Le istituzioni ebraiche italiane fanno la loro parte, e in questa occasione saranno presentate le borse di studio della Fondazione Cantoni e dell'Unionione delle Comunità Ebraiche Italiane.http://www.moked.it/




Bernard Berenson,askenazita (1865-1959)

I ricercatori dell'Einstein College di New York, guidati dal genetista Nir Barzilai, stanno facendo ricerche sul corredo genetico degli ebrei ashkenaziti viventi negli Stati Uniti per individuare i fattori genetici che prolungano la vita. Sembra infatti che fra gli Ashkenaziti censiti nella ricerca la possibilità di raggiungere i cento anni siano venti volte superiori alla media. Sono sempre un po' diffidente di questo genere di affermazioni, fatto salvo il rispetto dovuto ai genetisti. Già nel 1348 si diceva che gli ebrei fossero più resistenti alla peste, affermazione malevola perché unita all'accusa di spargerla, che è stata all'epoca smentita fin dal papa, che scrisse una bolla apposta per ricordare che gli ebrei morivano come e quanto i cristiani. Non vorrei che fosse un'altra balla, come quella che gli ebrei avvelenavano i pozzi, rimasta presente nel linguaggio della metafora anche oggi che non si attinge più l'acqua al pozzo sotto casa. Tra le balle, comunque, sembra fra le più innocue. E poi, nella storia, fra pogrom, persecuzioni, stermini, il tasso di mortalità degli ebrei è sempre stato tanto alto, che l'idea di essere portatori dei geni che daranno a tutti l'elizir di lunga vita non può che rallegrarci. O almeno dovrebbe, fatto salvo il brivido che ci percorre ogni volta che si parla di fattori genetici propri degli ebrei, e fatto salvo il dubbio che raggiungere i cento anni non sia proprio il massimo dei traguardi, in un mondo in cui la mortalità infantile permane devastante.Anna Foa,storica, http://www.moked.it/
Bernard Berenson (1865-1959), critico e conoscitore d’arte tra i maggiori della sua epoca, nato in Lituania, cittadino statunitense, visse per decenni in Italia dove era approdato giovinetto grazie a una borsa di studio. Morì a Settignano presso Firenze nella sua villa I Tatti, punto di riferimento per artisti, intellettuali e uomini di cultura di tutto il mondo. Tra le sue opere, Pittori italiani del Rinascimento, Metodo e attribuzione.


Rassegna stampa

Il Silvio Berlusconi che alle dieci di sera torna nella sua residenza romana a Palazzo Grazioli, è un primo ministro italiano più vicino a Israele. L’eco delle sue parole pronunciate al Parlamento di Gerusalemme non commuovono solo Tzipi Livni, non riempiono d’onore solo Bibi Netanyahu, ma soddisfano un’esigenza interiore a ogni italiano che crede nella forza, nel significato e nella fede dell’esistenza dello Stato di Israele. I sentimenti di rispetto nei confronti dell’unica democrazia in Medio Oriente, la condanna all’Iran, l’invito a iniziare un percorso comune che porti a lavorare assieme nell’Unione Europea, la capacità di comprendere il concetto di “difesa” e di ammettere l’esigenza di protezione dalle insidie di Gaza, cuciono un messaggio giudicato “sincero” da Shimon Peres. Così, leggere la cronaca dell’ultima giornata di Silvio Berlusconi in Israele è un po’ come una pausa-relax in un mondo in cui gli attacchi (mediatici e militari) sono all’ordine del giorno.Per chi non lo avesse notato, la coerenza del Premier, spesso danzante sul filo della diplomazia, è dimostrata nell’incontro con Abu Mazen. Quando il leader dell’Anp, racconta Repubblica, chiede una ferma condanna contro il muro di Betlemme, il Cavaliere risponde: io quel muro non l’ho visto. L’atteggiamento di Berlusconi è interpretato, a mio avviso con lucidità, da Antonio Ferrari sul Corriere. Il Premier, è la tesi, parla chiaro perché vuole ritagliarsi un ruolo da protagonista nell’Unione europea. Interessante anche l’analisi di Livio Caputo sul Giornale, che ripercorre la storia tra il Cavaliere e Israele dal 1994 a oggi. Mentre sulla Nazione Abraham Yehoshua racconta le sue impressioni e plaude al discorso fatto al Parlamento.Nel giorno della “serenata” italiana arrivano forti anche le reazioni dell’Iran. La Stampa racconta del lancio di un razzo spaziale, più o meno legato al programma nucleare, delle minacce all’Occidente e dell’indignazione degli Stati Uniti. Insomma, nonostante tutto Teheran tira dritto e attacca l’Italia (uno dei maggior partner commerciali): Roma complica le cose.A proposito della Capitale. Nel giorno in cui iMussolini, l’applicazione iPhone sul dittatore fascista criticata dal mondo, viene cancellata dalla Apple (Repubblica), la Digos fa irruzione nel covo di Militia, quelli delle scritte antisemite, delle offese a Riccardo Pacifici o che distruggono le targhe alla Resistenza. Il Messaggero racconta che all’interno del locale sono stati trovati un albun nazista, foto di Hitler, frasi contro Auschwitz e inneggianti al Ku Klux Klan e al White Power, più qualche altro souvenir da destra estrema. Speriamo si riesca a fare un po’ di pulizia.Fabio Perugia, http://moked.it/


Inflessibilità

Dopo la perfetta riuscita della multa di dodicimilacinquecento euro che il Vaticano ha comminato al vescovo Williamson perché non negasse più la Shoah, la comunità internazionale attende una pesante contravvenzione anche per Ahmadinejad. Oggi è così che la Storia scioglie i suoi nodi. Con un pugno di vigili urbani. Il Tizio della Sera, http://moked.it/


Ahmad Rafat

Rafat: “L’Onda Verde vincerà grazie a internet”

Mentre i media nazionali sono tornati a parlare di Iran e più in generale di Medio Oriente, a Firenze, città con l’occhio sempre vigile sulle vicende che riguardano quell’area tanto martoriata, ha preso il via la rassegna cinematografica Middle East Now, nel capoluogo toscano fino a domenica prossima (il programma completo su www.middleastnow.it). È la prima volta in assoluto che un festival interamente dedicato al cinema mediorientale si svolge in Italia. L’iniziativa, supportata e patrocinata dai principali enti pubblici locali, è stata organizzata dall’associazione culturale Map of Creation e dalla Fondazione Stensen. Coinvolti nel progetto anche gli studenti iraniani residenti all’ombra del cupolone (quello del Brunelleschi).Israele, Palestina, Libano, Afghanistan, Dubai e, soprattutto, Iran. Alcuni giovani registi indipendenti ci raccontano un Medio Oriente lontano dagli stereotipi occidentali, un mondo spesso sconosciuto che regala inaspettate sorprese e spazza via parte dei pregiudizi radicati ad ovest del Bosforo. Perché desiderio di libertà e speranza per una vita migliore sono desideri comuni sia all’Occidente che al vicino Oriente. Stazioni di partenza di questo viaggio che con ci porta da Beirut a Teheran, passando per splendide vallate di cedri, deserti rocciosi e carceri disumane, sono l’elegante sala dell’Odeon Cinehall e quella più sobria dell’Auditorium Stensen, storici luoghi di aggregazione fiorentini e più volte teatro di manifestazioni culturali di livello internazionale.Il piatto forte di Middle East Now è ovviamente un vasto pacchetto di film e documentari, ma in programma ci sono anche una mostra fotografica, curata dal reporter olandese Paolo Woods, e workshop di vario tipo. Prevista inoltre la presenza di intellettuali schierati in prima linea contro il regime teocratico di Ahmadinejad, come Roxanna Saberi e Ahmad Rafat. Ed è stato proprio il giornalista italo – iraniano (nato a Teheran ma nel nostro paese dai tempi dell’Università), ieri pomeriggio, a inaugurare questa cinque giorni di cinema in riva all’Arno. Davanti ad un pubblico composto in larga parte da ragazzi, Rafat ha presentato il suo ultimo libro, Iran - la rivoluzione online, volume in cui cerca di ricostruire tutte le tappe che hanno portato alla nascita dell’Onda Verde, il movimento che dalle ultime farsesche elezioni presidenziali in poi cerca di opporsi in qualsiasi modo (non violento) ad Ahmadinejad e ai suoi barbuti scagnozzi. Come il titolo lascia intuire, tema centrale del volume è la grande familiarità che questi coraggiosi giovani hanno con la rete, che rappresenta non solo un mezzo attraverso il quale organizzare la propria attività ma anche l’unica possibilità per diffondere fuori dai confini nazionali immagini e filmati dei crimini compiuti dai basiji e da chi li manovra. “Le parole possono essere smentite e qualcuno potrebbe credere a quelle smentite - spiega Rafat - ma un video o una foto non corrono questo rischio”. Straordinarie, dunque, le potenzialità di internet e, in particolare, dei social network: Facebook in testa. Lo stesso Facebook che da trappola per adolescenti videodipendenti, si trasforma nel solo modo possibile in cui raccontare il dramma di un popolo in costante lotta per la libertà. “Credo di essere stato tra i primissimi della mia generazione – Rafat ha quasi 60 anni – a coglierne le potenzialità”. La sua pagina personale, aperta ancor prima delle elezioni, è una delle più lette e commentate dai dissidenti. “L’ottantadue per cento dei miei amici virtuali - spiega – viene dall’Iran”. Un fenomeno, quello del social network inventato da Mark Zuckerberg, che a Teheran e dintorni ha conosciuto un vero e proprio boom. In pochi mesi, infatti, gli utenti che scrivono e pubblicano foto dall’Iran sono passati da venticinquemila a un milione. E lo fanno con grande partecipazione e impegno: “Sulla mia pagina, ogni 60 commenti postati, solamente uno o due li scrivo io”. Una pagina tra l’altro aperta a tutti, in cui vige una unica e sacrosanta regola: è possibile esprimere opinioni di ogni genere, basta non offendere gli altri utenti.Paladino della libertà d’espressione, “mohareb” (nemico di Dio) secondo gli ayatollah, Rafat ha dedicato il libro a tutti coloro che combattono per la libertà, ed in particolare a Neda, la ragazza diventata uno dei simboli di questa lotta. Il corrispondente di Voice of America è fiducioso: “Prima o poi l’Onda Verde raggiungerà la vittoria. C’è una generazione intera che non vuole più vivere rispettando regole stabilite 14 secoli fa”. E aggiunge: “Non sono necessarie ideologie per vincere”. È sufficiente il fatto di non avere alternative.Adam Smulevich, http://moked.it/


Il 2009 è stato dichiarato l'anno con la più alta incidenza di episodi antisemitici, e le periodiche esternazioni di certi opinionisti di alto profilo fanno salire la pressione a molte buone persone. E nei giorni scorsi si è parlato nuovamente con una certa apprensione dell'incidenza dell'antisemitismo fra gli Italiani. Ma se esaminiamo i dati sulla frequenza delle opinioni antisemite fra la popolazione nel corso del tempo, l'impressione è che non vi sia una reale tendenza alla crescita e si rilevi semmai una certa stabilità. Negli anni '80 Enzo Campelli e Roberta Cipollini avevano trovato che un quarto degli Italiani consideravano gli ebrei una razza, e che la metà pensavano cha la causa vera dell'antisemitismo fossero le caratteristiche degli ebrei. Negli anni '90, Renato Mannheimer e Adriana Goldstaub avevano trovato che l'11 per cento non voleva ebrei in Italia, circa un quinto riteneva gli ebrei un elemento disgregatore della società, oltre il 40 per cento li riteneva avari e eccessivamente occupati a parlare della Shoah, il 57 per cento molto intelligenti e bravi negli affari, e il 60 per cento più leali a Israele che all'Italia. I dati del 2009 che sono stati ripresi in questo giorni non sono poi molto diversi, e questo indica un fatto interessante, e cioè che l'antisemitismo non sembra realmente legato alle cangianti vicende della società contemporanea. Esiste uno zoccolo duro di antisemiti inveterati, poi una grossa frangia di pregiudizio, e infine una discreta massa di indifferenti. Ma si tratta di una condizione fisiologica e non – come sarebbe anche plausibile pensare – legata alle vicende nel Medio Oriente, o all'economia, o alla politica, o alla rete delle telecomunicazioni. E quindi anche le soluzioni al problema vanno pensate in quest'ottica che non è drammatica anche se è certo inquietante. Se condensiamo in una sola frase una celebre metafora e un noto fatto sociale, il ventre che partorisce gli imbecilli è sempre gravido, ma la natalità è bassa.
Sergio Della Pergola,Università Ebraica di Gerusalemme, http://moked.it/


Il discorso di Silvio Berlusconialla Knesset

Signor Presidente dello Stato di Israele,Signor Presidente della Knesset,Signor Primo Ministro,
Signori deputati,Autorità e invitati,è per me un grande onore, è un grande onore per l’Italia, parlare in questa nobile assemblea che è il simbolo stesso dei valori democratici su cui si fonda il vostro Paese.Questo Parlamento rappresenta la più straordinaria vicenda del Novecento. Questo Parlamento testimonia la nascita nel 1948 di uno Stato Ebraico, libero e democratico che raccolse finalmente, dopo l’orrenda esperienza della Shoah, cittadini del mondo che parlavano tutte le lingue e che accorsero da ogni angolo del mondo. Voi rappresentate ideali che sono universali, siete il più grande esempio di democrazia e di libertà nel Medio Oriente, un esempio che ha radici profonde nella Bibbia e nell’ideale sionista.Per noi, come hanno detto sia il Papa Giovanni Paolo II che il Rabbino Elio Toaff, il popolo ebraico è un “fratello maggiore”.
Le origini della nostra amicizia, della nostra fratellanza, sono in una comunanza di civiltà e di destino, in un comune amore per la comprensione e la convivenza pacifica tra i popoli della terra.
Purtroppo nel 1938, lo voglio ricordare, l’Italia si macchiò dell’infamia delle leggi razziali, che contraddissero secoli di civiltà cosmopolìta e di rispetto umanistico della persona e della sua dignità; ma il popolo italiano trovò la forza di riscattarsi attraverso la lotta di liberazione dal nazi-fascismo e trovò anche il coraggio di molti eroi civili, tra cui Giorgio Perlasca, che agì da Giusto fra le nazioni mettendo in salvo numerosissimi ebrei.E nel recente incontro tra il Papa Benedetto XVI e la Comunità ebraica di Roma il presidente della Comunità ha ricordato il convento di Santa Marta, a Firenze, dove le suore cattoliche accolsero e salvarono decine di ebrei dalla persecuzione nazista.Oggi, la sicurezza di Israele nei suoi confini e il suo diritto di esistere come Stato ebraico sono per noi una scelta etica e un imperativo morale contro ogni ritorno dell’antisemitismo e del negazionismo e contro la perdita di memoria dell’Occidente.La nostra amicizia per Israele è franca, aperta e reciproca, non è solo vicinanza verbale, non è solo diplomazia, è un moto dell’anima e viene dal cuore.I rapporti bilaterali fra Italia ed Israele sono eccellenti.Su ogni questione vige la regola della sincerità e della ricerca di un accordo completo, utile e produttivo.
La nostra cooperazione è un vanto del mio governo e un fattore di orgoglio e soddisfazione per l’opinione pubblica italiana.Sono fiero di ricordare in questa solenne occasione che l’Italia seppe reagire con un grande “Israel Day” di solidarietà e di amore quando le bombe umane seminavano morte ad Haifa, a Tel Aviv, a Gerusalemme sui vostri autobus, nei vostri luoghi di ritrovo, nelle vostre feste nuziali, nelle vostre cerimonie religiose.L’Italia è orgogliosa di molti gesti di solidarietà verso il vostro paese, come ad esempio il rifiuto del nostro governo a partecipare alla Conferenza “Durban II” di Ginevra, che voleva sanzionare Israele con intollerabili accuse di razzismo e di violenza. Come il nostro voto contrario al rapporto Goldstone, che intendeva criminalizzare Israele per la reazione ai missili di Hamas lanciati da Gaza.Noi combattiamo insieme a voi ogni possibile rigurgito di antisemitismo in Europa e nel mondo, e insieme a voi ci preoccupiamo di rendere inseparabili la battaglia per l’esistenza e la sicurezza dello Stato d’Israele e quella per la pace. L’estensione della democrazia a tutti i popoli della terra, nelle forme possibili e la difesa della libertà come bisogno insopprimibile di ogni uomo, sono un imperativo che ci accomuna e che deriva dalla nostra fede, dalla nostra cultura giudaico-cristiana, dalla nostra comune concezione dell’uomo e della storia.Noi siamo uniti nella difesa della democrazia libera dal fanatismo, dal pregiudizio, dalla superstizione, dall’uso della violenza strumentalizzando il nome di Dio.A questa battaglia ci spinge la consapevolezza che ogni uomo e ogni donna nel mondo, quale che sia il loro credo, il loro colore, la loro etnia, ambiscono alla libertà.Israele, il vostro Stato è davvero il simbolo di questa possibilità di essere liberi e di far vivere la democrazia anche al di fuori dei confini dell’Occidente, ed è proprio per questo che risulta una presenza intollerabile per i fanatici di tutto il mondo.
Per queste ragioni i liberali di ogni parte del globo vedono nel vostro Paese il simbolo positivo, doloroso e orgoglioso di una grande storia che parla di amore, di libertà, di giustizia, di ribellione al male. E noi, liberali di tutto il mondo, vi ringraziamo per il fatto stesso di esistere.
Cari amici,dopo l’11 settembre abbiamo capito il carattere ultimativo e globale della sfida al nostro modo di vivere e alla nostra pratica della libertà, alla nostra pratica dell’eguaglianza tra i sessi, del diritto universale alla vita, alla libertà e alla sicurezza.Dieci anni prima era stata Tel Aviv ad essere colpita dai missili Scud di Saddam Hussein e dal 2000 è stata l’ondata terroristica della Seconda Intifada a mettere a dura prova il grande spirito di resistenza del vostro popolo.
Noi italiani siamo stati consapevoli fin dal primo momento che la sfida del terrorismo era rivolta non soltanto contro gli Stati Uniti e contro Israele, ma contro tutti i Paesi democratici dell’Occidente e contro gli stessi Paesi arabi moderati.Da allora abbiamo fatto la nostra parte, dall’Irak all’Afganistan, dalla Bosnia al Libano, per combattere il terrorismo e favorire la pace.
Con i nostri soldati e le nostre missioni di pace, abbiamo contribuito a rendere il mondo più sicuro e più giusto, pagando un alto tributo di vite umane.Anche di fronte alle minacce contro Israele e contro la sicurezza del suo popolo, l’Italia non è indifferente. L’efferatezza antisemita, a differenza di quanto è avvenuto alla vigilia e durante la Seconda guerra mondiale, non potrà e non dovrà più nutrirsi della complice indifferenza dei governi.In una situazione che può aprirsi alla prospettiva di nuove catastrofi, l’intera comunità internazionale deve decidersi a stabilire con parole chiare, univoche e unanimi, che non è accettabile l’armamento atomico a disposizione di uno Stato i cui leaders hanno proclamato “apertamente” la volontà di distruggere Israele ed hanno negato insieme la Shoah e la legittimità dello Stato Ebraico.Su questo punto non si possono ammettere cedimenti: occorre ricercare la più ampia intesa a livello internazionale per impedire e sconfiggere i disegni pericolosi del regime iraniano.La via da percorrere è quella del controllo multilaterale sugli sviluppi militari del programma nucleare iraniano, quella del negoziato risoluto, quella delle sanzioni efficaci: bisogna esigere garanzie ferree dal governo di Teheran, impegnando in modo determinato l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica al controllo ispettivo ed alla verifica continua dei progressi del negoziato.Certo non si deve respingere alcun segnale di buona volontà da parte iraniana, ma occorre dire apertamente che gli sforzi di dialogo non possono essere frustrati dalla logica dell’inganno e della perdita di tempo.Signori deputati, autorità, cari amici,venendo alla questione medio-orientale, la nostra azione, come sapete bene, è stata sempre indirizzata verso la soluzione che prevede due Stati, quello ebraico di Israele e quello palestinese, che vivano in pace e in sicurezza l’uno accanto all’altro.
Oggi, questa soluzione – due Stati, due popoli – appare condivisa, oltre che da voi e dalla leadership palestinese, anche dall’Unione Europea, dagli Stati Uniti e dai più importanti partner del mondo arabo e devo dare atto al Primo Ministro Netanyahu del coraggio con cui ha deciso di seguire, spiegandone le ragioni al suo popolo, tale strada.Sin dal 1994, come capo del Governo italiano, ebbi a proporre un “Piano Marshall” per lo sviluppo economico dei territori palestinesi: vedo, oggi, il mio Paese sempre più impegnato nell’aiuto umanitario ai palestinesi, nella cooperazione in materia sanitaria, culturale, infrastrutturale, turistica, e continuo ad essere convinto che la pace economica sia un elemento chiave per offrire speranza e futuro al popolo palestinese che ha sofferto e aspira ad una pace duratura e globale. La strategia della pace nel benessere è uno strumento prezioso per lo smantellamento delle premesse psicologiche e ideologiche di ogni forma di violenza. Mi rendo conto delle mille difficoltà sulla strada del processo di pace che tutto il mondo auspica.Ma noi speriamo in una svolta che metta da parte per sempre la cultura della violenza, che induca il popolo palestinese a guardare con fiducia al suo futuro e al rapporto con lo Stato ebraico come a un’opportunità per il proprio sviluppo e non come a un impedimento da superare.Oggi mi rivolgerò, con un appello che viene dal cuore, al Presidente Abbas affinché torni al tavolo del negoziato e consegni alla storia un accordo per la pace e lo sviluppo economico del suo popolo, della sua terra, dando vita così a quello Stato Palestinese che la comunità internazionale attende.E mi rivolgo al caro amico Primo Ministro Netanyahu, per chiedergli di confermare, con coraggio, le sue proposte e le sue offerte per far ripartire il dialogo, tenendo conto degli auspici e degli incoraggiamenti dei paesi amici di Israele, come l’Italia, o gli Stati Uniti, e di tutti i partner europei.Noi preghiamo e pregheremo affinché questa speranza possa realizzarsi.Cari amici,vi ringrazio per la splendida accoglienza e per l’affetto che mi avete riservato.Considerateci accanto a voi per costruire e difendere i valori che ci accomunano e che fanno di Israele un avamposto della cultura europea e occidentale.Quella cultura che si basa sul primato della persona umana e sulla grandezza dell’uomo fatto ad immagine e somiglianza di Dio.
Quella cultura e quei valori che fanno del vostro Paese una vera democrazia, una società libera e orgogliosa della sua libertà, uno Stato libero e democratico in tutto eguale alle democrazie europee.Questo sentimento, che avverto profondamente, mi fa dire da anni, e non da oggi, che il vostro posto, il posto di Israele deve essere tra le Nazioni dell’Europa, come membro a pieno titolo dell’Unione Europea.Questo è il mio sogno, questo è il mio augurio.Vi ringrazio ancora e di cuore per la vostra accoglienza e per la vostra amicizia.In nome del Popolo Italiano auguro pace,serenità e benessere a voi e a tutto il popolo di Israele.Viva Israele,Viva l’Italia,Viva la pace e la libertà. 3 Febbraio 2010


L’amore di Israele per Silvio? Lui sfida il politically correct

di Fiamma Nirenstein, http://www.ilgiornale.it/
Berlusconi non teme le reazioni dei filo-arabi: ripete per cinque volte «Stato ebraico» e manifesta il suo orrore per il negazionismo iraniano
«Ma perché non resta da noi, cosa ha da fare in Italia?» ha esclamato il conduttore del telegiornale del Canale statale tv dopo aver parlato ieri di Berlusconi. «Dopo tre giorni con lui devo dirlo: è uno charmeur irresistibile» ha ripetuto il giornalista del secondo canale. Ma addirittura Shimon Peres lo ha definito Shimshì, solare, nel discorso alla colazione in cui ha anche suggerito in maniera semplice e diretta al leader italiano che «la stampa chiacchiera ma gli elettori scelgono». «Lei ci ha scaldato il cuore» ha sorriso Peres durante la colazione di saluto di ieri, e non si riferiva alla indubbia simpatia che il Premier italiano ha suscitato, ne alla storiella che ha raccontato, ma soprattutto alle prese di posizione sostanziali e coraggiose di Berlusconi in tutte le occasioni in cui si è espresso, e in particolare durante l’intervento alla Knesset. Berlusconi è stato diverso da tutti i leader europei, non ha cercato di insegnare niente a nessuno ma ha offerto la sua stima e la sua mediazione a un Paese che, ha detto, «bisogna ringraziare per il solo fatto di esistere». Non ha lasciato che restasse un esercizio retorico il titolo di «migliore amico di Israele» e la vicenda commovente della madre Rosa che salvò una donna ebrea, parte del discorso di benvenuto di Bibi Netanyahu: in una giornata in cui i nemici si sono fatti vivi in tutti i modi, con minacce di guerra da parte della Siria e con grosse bombe affidate al mare, probabilmente da Hamas, per esplodere sulle spiagge e sulle navi israeliane facendo stragi, ha fornito a Israele svariati motivi per sperare di essere compreso e di poter trovare sostegno alla ricerca di una pace che non sia tutta sulle sue spalle, in più condita da riprovazione come spesso fanno i leader europei. Berlusconi ha aperto una strada seria, ha fornito un esempio innovativo all’atteggiamento europeo, perché mentre ha lodato Netanyahu per aver scelto la strada di «due Stati per due popoli», nel contempo ha anche scelto di pronunciare cinque volte l’espressione di pieno riconoscimento di Israele, denominandolo con affetto per quello che è, «lo Stato ebraico», ciò che non lascia spazio alle ambiguità per cui in genere molti europei lasciano aperta, con molti palestinesi che sognano in un futuro in cui la demografia o lo scontro cancellino Israele, la vera soluzione definitiva. Berlusconi l’ha detto chiaramente: uno Stato Palestinese accanto a uno Stato Ebraico, in cui cioè vive la Nazione, non solo la religione ebraica. E di fatto i religiosi in Israele sono circa il 15 per cento. Il riconoscimento di Israele come Stato Ebraico fu nel discorso di Netanyahu a Bar Ilan sui «due Stati» la condizione per arrivare a concessioni territoriali decisive, e per ora nessun leader arabo ha mai pronunciato l’espressione. È evidente la scelta pedagogica di Berlusconi verso i palestinesi e i Paesi arabi insieme alla promessa di aiutare ogni iniziativa che renda migliore la vita dei palestinesi. Altro tema fondamentale su cui Berlusconi ha detto cose decise e concrete: l’Iran. Berlusconi ha collegato l’impegno dell’Italia contro il programma atomico dell’Iran alla evidente intenzione genocida di Ahmadinejad, si è identificato senza esitazione con la preoccupazione fatale di Israele e ne ha dimostrato l’evidenza nel negazionismo iraniano, di cui ha parlato con orrore. Le scelte pratiche sono state enunciate in modo concreto: sanzioni molto dure, progressiva restrizione del business con l’Iran che ha assicurato essere già diminuito di un terzo e l’apertura di un lavoro per mettere nella lista Ue delle organizzazioni terroriste le Guardie della Rivoluzione.Di grande importanza per l’opinione pubblica israeliana è che l’Italia abbia un curriculum speciale nell’aver preso posizione senza paura contro i più terribili momenti di aggressività ideologica, di diffamazione autentica nei confronti di Israele. Berlusconi ne ha elencato i momenti più importanti: l’Israel Day quando Israele era tartassata da un terrorismo micidiale, il «no» alla partecipazione alla conferenza detta di Durban 2 «inaccettabile» ha detto il premier nelle sue calunnie di Israele, e di nuovo il «no» al rapporto Goldstone, che di fatto impedisce a Israele di esercitare ogni diritto all’autodifesa. È stato molto importante e innovativo, nessun Paese aveva mai tanto aiutato Israele a sentirsi un Paese normale di fronte all’opinione pubblica, a una logica degna di questo nome, quella che ti consente di difenderti se ti vogliono uccidere. Israele è ossessionato dalla continua fioritura di calunnie e d accuse insensate nei suoi confronti: Stato di apartheid, razzista, sterminatore di civili, uccisore di bambini... Berlusconi ha fatto piazza pulita dei luoghi comuni antisemiti che in genere vengono ignorati per convenienza politica e per compiacere le maggioranze automatiche dell’Onu. Berlusconi ha insomma rifiutato il politically correct che impone di dare un colpo al cerchio e uno alla botte, che pretende sempre di tirare qualche stilettata a Israele per affibbiarle tutte le responsabilità mentre i palestinesi vengono assolti. A loro ha promesso un piano Marshall e ha chiesto di rinunciare alla violenza, oltre che di sedersi di nuovo al tavolo delle trattative.E ha insistito nel riproporre un suo sogno che potrebbe finalmente fornire a Israele il suo naturale ambiente culturale, quello delle democrazie partorite dalle civiltà giudaico cristiana: la Comunità Europea. Berlusconi pensa che Israele se lo meriti. Il problema è se lo merita l’Europa. Ma questo Berlusconi non l’ha detto.


Coppa Carnevale, Maccabi Haifa soffre ma sorride

Competizione calcistica dal respiro internazionale, è iniziata nelle scorse ore la sessantaduesima edizione della Coppa Carnevale. Tantissimi i campioncini in erba saliti alla ribalta nelle passate edizioni del torneo, da sempre punto di riferimento per il pacifico esercito di procuratori e talent scout che ogni anno invade Viareggio e dintorni armato di block notes e personal computer. Su tutti vale l’esempio di Gabriel Omar Batistuta, giovane attaccante dello Sportivo Italiano nell’edizione del 1989. Sconosciuto ai più, quel giocatore magrolino e apparentemente timido sarebbe diventato nel giro di poco tempo il centravanti ed il leader della nazionale argentina.Quest’anno ci sono quarantotto squadre ai blocchi di partenza, in rappresentanza di diciotto paesi e cinque continenti. A difendere i colori di Israele, i ragazzi del Maccabi Haifa, che quattro anni fa riuscirono ad arrivare alle semifinali. Nel gruppo 3, abbastanza tosto, devono vedersela con Torino, Bologna e LIAC of New York. Complice una riforma del regolamento che rende praticamente obbligatorio arrivare primi nel proprio girone se si vuole accedere agli ottavi, non sono permessi passi falsi. Sfortunatamente, il debutto dell’undici allenato da mister Ithy è stato tutt’altro che positivo. La sconfitta di ieri pomeriggio contro il Torino, un 3 a 1 abbastanza difficile da digerire, complica e non poco i loro sogni di gloria (“l’obiettivo è passare il turno” mi aveva confidato uno dei manager nel prepartita). Il match, disputato nel piccolo ma ruspante impianto di Suvereto, cuore della Maremma da cartolina, avrebbe con ogni probabilità preso un’altra piega se a dirigere l’incontro ci fosse stato un altro arbitro, meno insicuro e meno di parte. Il direttore di gara, tale Martire di Grosseto, ha fischiato praticamente a senso unico, penalizzando oltremodo l’undici israeliano. È sembrato ad esempio incomprensibile il rigore dato ai granata (e poi trasformato) in avvio di partita. Una decisione che ha fatto infuriare la panchina del Maccabi e che ha provocato l’espulsione per proteste di un dirigente, entrato in campo per esprimere con veemenza il suo disappunto. Tornando al calcio giocato, comunque, il club di Haifa non si è fatto prendere dallo scoramento e ha immediatamente provato a replicare alla rete di Comi, esibendo una smagliante condizione atletica e ad un ottimo gioco sulle fasce, che ha creato non pochi grattacapi alla retroguardia avversaria. Poco dopo la mezzora, però, arrivava l’espulsione per somma di ammonizioni del capitano Ben: ingiusto il primo cartellino, meritato il secondo. Una bella mazzata, ma anche in dieci contro undici il Maccabi continuava a fare la partita, guadagnandosi gli applausi del pubblico (circa duecento persone tra cui alcuni supporter giunti appositamente dal Piemonte e l’ex allenatore della Fiorentina Aldo Agroppi). Ma la seconda doccia fredda non si faceva attendere più di tanto. Sbandata difensiva in avvio di ripresa e Benedetti ne approfittava per metterla dentro di testa. Cresceva il nervosismo in campo, brutti falli da ambo le parti interrompevano più volte il gioco. Nonostante l’arbitraggio ostile, il Maccabi non demordeva. Al termine di una bella azione in verticale, Aburokem superava il portiere con un rasoterra imparabile. Si riapriva la gara, anche se solo per pochi istanti, perché un’altra amnesia della retroguardia permetteva al Torino di marcare il terzo goal, ancora con Comi. Gli israeliani perdevano la bussola e mister Ithy si faceva espellere. Era poi Sallalich, con un fallaccio da dietro, a lasciare la sua squadra in nove. Doppia inferiorità numerica, e a quel punto non c’era più niente da fare. Senza ulteriori emozioni degne di nota, si arrivava così al novantesimo minuto. Adesso, per sperare di passare il turno, il Maccabi dovrà vincere le altre due partite del girone. Potrebbe tuttavia non bastare, perché dall’edizione 2010 solamente le quattro migliori seconde (i gironi sono 12) vanno agli ottavi. Ci sarà dunque da confidare in un po’ di buona sorte, e non solo in un arbitro finalmente adeguato.Furiosi per un match che rischia di compromettere il loro cammino nella competizione, dirigenti e giocatori hanno ritrovato il sorriso in serata. Ospiti della Comunità ebraica di Livorno per una cena a base di specialità mediorientali preparate da Doctor Kebab, mitico fast food kasher labronico, l’amarezza delle ore precedenti è stata momentaneamente lasciata da parte grazie ad un apprezzato mix di humus e humour (nell’immagine in alto il Consigliere dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Gadi Polacco assieme agli atleti). Adam Smulevich, http://moked.it/


La Polonia guarda in faccia il suo passato

I pregiudizi si stanno pian piano sgretolando, il rapporto tra ebrei e polacchi ha inaugurato un novo corso. È l’ottimistica tesi che Jaques-Yves Potel, docente universitario esperto di storia della Mitteleuropa, consigliere culturale presso l’Ambasciata di Francia a Varsavia, sostiene nella sua ultima fatica letteraria, La fine dell’innocenza: la Polonia faccia a faccia col suo passato ebraico.Si tratta del risultato di una ricerca che lo studioso ha condotto sul lavoro che la società polacca compie nei confronti della memoria della Shoah, e sull’influenza che questo ha sul rapporto con gli ebrei di oggi. I polacchi hanno cominciato seriamente a riflettere sul fatto che il loro popolo, prima della guerra, contava 3 milioni e 300 mila ebrei.Ritiene Potel che si stia pian piano diffondendo la consapevolezza delle responsabilità del popolo nello sterminio degli ebrei, dell’oscuro passato antisemita della Polonia. Lo spartiacque è stato un discorso storico fortemente autocritico pronunciato dal Presidente della Repubblica polacca nel 2001: dal momento in cui è stato divulgato radiotelefonicamente qualcosa è cambiato. Sono fiorite iniziative volte alla promozione della conoscenza della cultura ebraica, si è diffuso un vivo interesse, anche fra i giovani, per il passato ebraico della Polonia. Artisti, giornalisti e intellettuali si sono interessati al tema della memoria. C’è stato un vero e proprio salto di qualità nel dibattito pubblico dei polacchi sulla loro storia recente.Solo da quel momento la società ha superato il clichè, derivato da Singer e Chagall, dell’ebreo con peot e caffettano nero. Attraverso l’elaborazione delle proprie responsabilità il popolo polacco sta imparando a riconoscere i suoi concittadini ebrei per quello che sono: una minoranza, ormai esigua, assai variegata, con le sue tradizioni alle spalle e una progettualità in continuo divenire invece che un’identità fossilizzata. Questo aiuta, se ancora ce ne fosse bisogno, ad insegnare che gli ebrei sono cittadini dell’aperta e pluralista società polacca a tutti gli effetti. E ad abbandonare definitivamente il preconcetto che fa dell’ebreo uno straniero di cui diffidare. Il dibattito, è convinto Potel, favorisce la piena legittimazione delle minoranze. “La lotta contro i pregiudizi, per riportare alla luce il passato riconoscendo i propri errori apre la via ad una riconciliazione tra ebrei e polacchi”, scrive.“Il sangue ebraico imbeve la terra polacca, resta sui suoi muri”: lo storico si rende conto che è un processo doloroso quello che mette in questione l’innocenza di un popolo, per lunghi decenni sbandierata. Tuttavia è necessario guardare onestamente in faccia il proprio passato, e i polacchi se ne stanno accorgendo. Anche a costo di lanciare accuse alle istituzione politiche, alla Chiesa cattolica, a totto il popolo testimone. È una questione che riguarda la definizione dell’identità polacca stessa.Questo mutamento culturale della società chiama in causa direttamente anche gli ebrei. Per molti di loro infatti la via dell’integrazione nella società postbellica della Polonia è passata per l’assimilazione. Larga parte, dei pochi sopravvissuti, ha abbandonato le proprie tradizioni. Ora, la riscoperta dell’antico e vitale ebraismo polacco, più che decimato dalla barbarie nazista, può segnare un cambio di rotta anche in questo senso: molti ebrei avranno l’occasione di recuperare le loro radici senza più temere l’emarginazione sociale. È la prima volta, dopo molto tempo, che è realistico prefigurarsi un avvenire per l’ebraismo polacco.Jean-Yves Potel, La fin de l’innocence: la Pologne face à son passé juif, Éditions Autrement, 290 pagine, 22 euro. Manuele Di Segni, http://moked.it/


Collaborazione Italia Israele nel settore Hi-tech

Si è svolto a Roma tra il 25 e il 28 Gennaio, il Medtech 2010 un evento bilaterale organizzato da Sviluppo Lazio, società regionale per lo sviluppo economico, che ha messo in contatto aziende israeliane e italiane, localizzate, nello specifico, sul territorio laziale. Presente all’evento il Consigliere per gli affari economici presso l’ambasciata israeliana in Italia, Gila Livnat Rosiner.La Regione Lazio, attraverso Sviluppo Lazio, ha strutturato un progetto di internazionalizzazione dei settori ICT, Ambiente (tecnologie e risorse idriche) ed Energia sostenibile verso Israele, paese in cui nel prossimo futuro sono previsti importanti investimenti sia nella ricerca che nella produzione.L’obbiettivo del convegno è stato quello di creare un rapporto sinergico tra aziende italiane, israeliane e istituti di ricerca e sviluppo nell’ottica di aprire la strada a progetti di collaborazione tra i soggetti interessati.Il progetto ha coinvolto 35 compagnie e istituti di ricerca italiani e 13 aziende israeliane, quest’ultime promosse e coadiuvate nel supporto logistico e nell’organizzazione dalla Business Value in collaborazione con la JPPartners. Le aziende presenti all’evento sono tutte caratterizzate da un forte potenziale di internazionalizzazione e da una spiccata capacità di sviluppo di progetti innovativi riguardanti la gestione delle risorse idriche, l’information technology e l’implementazione di sistemi che ottimizzino lo sfruttamento delle fonti energetiche alternative e rinnovabili.La collaborazione tra le aziende italiane e israeliane del settore hi-tech sta diventando un naturale complemento nel passaggio dalla fase di ricerca e brevetto a quella di realizzazione e commercializzazione dei prodotti finiti. L’Italia è vista come un valido partner nella fase di industrializzazione dei prodotti grazie all’estensione del suo sistema industriale e contestualmente è cresciuta la consapevolezza del rilievo assunto dall’high-tech israeliano a livello mondiale.Il settore Hi-tech israeliano beneficia da molti anni della cooperazione di aziende straniere ad ogni livello. Un rapporto in cui Israele fornisce la tecnologia o il prodotto finito e le aziende estere provvedono alla gestione delle vendite e alle strategie di marketing e posizionamento del prodotto sul mercato.L’industria è in continua ascesa e il potenziale di crescita nell’ultimo periodo è aumentato nonostante la recente crisi economica, che ha influito in modo marginale nel campo dell’Hi-Tech. Un fattore importante nel tasso eccezionale di crescita di questo settore, è costituito dalla percentuale di ingegneri, la più alta del mondo. Si parla di 135 ingegneri ogni 10 mila persone, in confronto agli 85 ogni 10 mila persone negli Stati Uniti.Israele è sulla buona strada per vantare l’Hi-tech più avanzato in termini di conoscenza, ricerca e sviluppo. Un’industria che potrà guidare sia lo stato d’Israele che i paesi che collaborano con esso, oltre la crisi, verso sviluppi e prospettive economiche più favorevoli.
Michael Calimani, http://moked.it/

venerdì 5 febbraio 2010



Vancouver, caso Israele Le bandiere imbrattate

Vandalismo contro i vessilli con la stella di David. Gli organizzatori dei giochi invernali le rimuovono senza però sostituirle, una scelta discutibile che scatena le polemiche
A Vancouver tutto è pronto per ospitare la 21ª edizione dei Giochi Olimpici Invernali, che prenderanno il via il prossimo 12 febbraio. Ma altrettanta prontezza hanno dimostrato anche quei vandali che, ancor prima che la manifestazione abbia inizio, hanno già trovato il modo di rovinare la kermesse. Le bandiere di tutte le nazioni partecipanti sventolano già nei viali della città canadese. Ma due sono state profanate. Quelle con la stella di David, manco a dirlo. La scritta 'Free Palestine', che campeggiava in bella mostra su entrambi i vessilli dello Stato ebraico, ha costretto gli organizzatori a rimuoverle. "Se le avessimo rimesse subito le avrebbero sicuramente imbrattate di nuovo", dicono. E anche se ciò avverrà in ogni caso prima della cerimonia inaugurale, quelle bandiere mancanti, seppure solo per pochi giorni, hanno l'effetto di un pugno nello stomaco.UN RAPPORTO TORMENTATO - Israele e le Olimpiadi, un rapporto tormentato che si arricchisce di nuovi capitoli quasi ad ogni edizione della rassegna. Del massacro di Monaco si sa tutto: 11 atleti prelevati dal villaggio e trucidati da un commando di fedayyin il 5 settembre 1972, dietro il pretesto del mancato accoglimento da parte del Cio della richiesta di partecipazione di una delegazione palestinese ai Giochi. Ma c'è stato anche dell'altro. Per citare gli episodi più recenti, nel 2008, a Pechino, un nuotatore iraniano, Mohammad Alirezaie, si rifiutò di scendere in vasca per la presenza nella stessa batteria del collega israeliano Tom Beeri, per poi 'ribadire il concetto' l'anno seguente ai mondiali di Roma, quando avrebbe dovuto misurarsi con un altro israeliano, Mickey Malul. Persino alle paralimpiadi, sempre a Pechino, la nazionale iraniana di basket si rifiutò di affrontare nei quarti di finale gli Stati Uniti, ufficialmente a causa di un improvviso e non gradito cambio di orario. In caso di passaggio del turno, l'Iran avrebbe trovato la vincente di Canada-Israele. E anche al di fuori dell'ambito olimpico, il mese scorso un funzionario della Federcalcio iraniana è stato addirittura costretto a dimettersi per il solo fatto di aver inviato una normalissima mail di auguri, tra le altre, anche alla Federazione israeliana.TONI SMORZATI - Mark Gurvis, capo dell'associazione ebraica di Vancouver, preferisce non esacerbare i toni: "Non mi stupisco di quest'atto vandalico, so bene che la nostra bandiera è un target e che i Giochi Olimpici rappresentano un'occasione unica, come cassa di risonanza. Ma noi siamo fieri dei nostri atleti e speriamo che quella bandiera torni a sventolare soprattutto grazie ai loro risultati". Probabilmente non accadrà, ma sarebbe bellissimo. 03 febbraio 2010 http://www.repubblica.it/


Eyal Golasa


Tutti contro Golasa Traditore per Israele ebreo per gli ultrà

Eyal Golasa è un ebreo. Eyal Golasa è uno sporco ebreo. Eyal Golasa non lo vogliamo. Un bel mondo davvero quello del calcio italiano. Un mondo abitato, frequentato, alimentato da squadre e squadracce, da brigate e commandos, da feddayn e drughi, il nostro meraviglioso pubblico, la curva che nel cuor mi sta, il dodicesimo uomo, senza di loro non si può giocare. Eyal Golasa ha diciotto anni e non ha ancora capito dove è capitato. Ma sa da dove sta venendo via. In Israele urlano «è un disertore». Suo padre dice con rabbia: «È disonesto». La sua vecchia società, il Maccabi, lo vuole denunciare per “tradimento” contrattuale. La vita calcistica di questo ragazzo dribblomane deve ancora incominciare e sembra già finita. Come accadde a Ronny Rosenthal rispedito al fronte dall’Udinese, dopo fasulle visite mediche: «Ha problemi alla schiena», spiegarono i medici, lo staff tecnico e i dirigenti del club friulano. Era l’anno millenovecentoottantanove e anche una terra abituata alle migrazioni e all’accoglienza aveva deciso di sputare addosso a un ebreo. Così avevano scritto sui muri della città. Rosenthal, con la schiena a pezzi, se ne andò in Inghilterra dove giocò 74 partite con il Liverpool, 88 con il Tottenham e 30 con il Watford, realizzando complessivamente 33 gol, nonostante la cartella sanitaria dell’Udinese. Poi toccò a Winter, un laziale di colore che veniva dall’Ajax. Un altro ebreo, come erano considerati ebrei, anche se non lo erano, tutti quelli della squadra di Amsterdam perché il club aveva ricevuto l’aiuto finanziario decisivo di Van Praag, noto imprenditore di religione ebraica. Il cielo d’Europa era buio di guerre e di morti, Matthias Sindelar, detto Cartavelina per il suo fisico asciutto, quasi scheletrico ma con una forza e uno stile ineguagliabili, diventò il simbolo della ribellione civile al razzismo e al nazismo. Sindelar giocava con una fasciatura larga e rigida a protezione del ginocchio infortunato, fu quasi il suo segno distintivo. L’austriaco si rifiutò di alzare il braccio per il saluto ai gerarchi nazisti schierati in tribuna nello storico incontro tra l’Austria e la Germania, vinta dal Wunderteam 2 a 1 con un gol del Mozart del calcio, di Papiereine, carta velina. L’annessione alla Germania, la definizione di Ostmark, provincia orientale, furono la mortificazione per chi era stata, l’Austria appunto, al centro dell’Impero. Sindelar morì a trentasei anni, nel suo letto e accanto a lui giaceva l’italiana Camilla Castagnola, un’altra ebrea. La loro fine non venne mai chiarita. Settant’anni dopo sembra che nulla sia cambiato. Eyal Golasa è il secondo israeliano ad avere la possibilità di giocare nel nostro calcio. Prima di lui toccò a Tal Banin arrivato a Brescia nel 1997. Se ne andò dopo un paio di stagioni senza sussulti ma con troppi guai fisici.Golasa ha un cognome che non poteva far pensare ad altro se non al gioco del football. Ma il suo passaporto, la sua religione, diventano l’avversario più bastardo e più imbecille che si potesse prevedere. L’ignoranza dei razzisti, la volgarità degli antisemiti, l’intolleranza violenta degli estremisti di destra e di sinistra (controllate, a caso, gli ultras di Livorno, Verona, Bergamo, Roma, Barcellona, Madrid, Chelsea, Millwall) ha trasformato lo stadio di calcio in una discarica di pseudo ideologie. La moltitudine di facebook ha il suo slogan che respinge Eyal Golasa, gli insulti sono mille, il vomito di parole e di minacce trova la replica degli interneuti israeliani che invitano Golasa a non accettare la maglia, numero 15, di una squadra che conta quel tipo di tifosi. Anche il padre di Eyal ha aggiunto il suo bel carico da undici, così come il Maccabi. Qualche euro in più, un gol nel derby e altre giocate eccitanti potranno cancellare l’idiozia di parenti, affini e del popolo bue. In caso contrario Eyal Golasa emigrerà ma non sarà lui ad aver perso mentre i vigliacchi si nasconderanno nel branco. Ripenso a Matthias Sindelar e al suo ginocchio fasciato. 04 febbraio 2010,http://www.ilgiornale.it/



Eyal Golasa


CALCIO, LAZIO: POLEMICHE IN ISRAELE PER IL CASO GOLASA

Il trasferimento alla Lazio del gioiellino israeliano Eyal Golasa sta diventando un caso in Israele: il giocatore infatti avrebbe lasciato il paese d'origine per sottrarsi al servizio di leva, obbligatorio e di durata triennale. "Mio figlio è stato disonesto, sono arrabbiatissimo con lui - ha spiegato il padre Avner al quotidiano online Ynet - gli ho detto che sarebbe dovuto restare al Maccabi, non mi piace affatto come si è comportato, ha fatto una cosa sporca, ferendo la società che per lui ha fatto molto". Ci sarebbe la possibilità che ilgiocatore si dichiari obiettore di coscienza e compia il servizio di leva all'estero. Il Maccabi Haifa intanto sembra aver accantonato l'ipotesi di un esposto alla Fifa perinvalidare l'accordo stipulato tra la Lazio ed il giovane centrocampista, forte di un accordo firmato due anni fa dal calciatore. http://sport.repubblica.it/



Israele-Italia/ Shalom: Roma metta pasdaran in lista terroristi

Vicepremier israeliano: chiesto aiuto Berlusconi Gerusalemme, 2 feb. (Apcom) - Israele ha chiesto l'aiuto italiano perché le Guardie della Rivoluzione iraniana (Pasdaran) siano inserite nella lista nera delle organizzazioni terroristiche dell'Unione Europea: lo ha affermato il vicepremier israeliano Sylvan Shalom, intervistato dalla radio dello Stato ebraico. "Nel mio incontro di lunedì con il presidente del consiglio Silvio Berlusconi gli ho proposto che l'Italia voti una legge che consideri i pasdaran un'organizzazione terroristica, in vista di una sua adozione da parte dell'Unione Europea, e gli ho ricordato che aveva già usato la sua influenza per includere Hamas in questo elenco", ha spiegato Shalom riferendosi ad una decisione presa dall'Ue nel 2003. "Una tale risoluzione costituirebbe un colpo assai duro per il regime iraniano", ha concluso Shalom ricordando come due mesi fa il Parlamento olandese abbia già adottato un provvedimento simile e confermando che la questione sarà discussa oggi nel corso del previsto incontro fra Berlusconi e l'omologo israeliano, Benjamin Netanyahu.



Israel Katz

Israele-Italia: Matteoli, proficuo incontro con collega Katz

(Teleborsa) - Roma, 2 feb - Nell'ambito del vertice Israele-Italia in corso a Gerusalemme, il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Altero Matteoli ha avuto un incontro bilaterale con il Ministro dei Trasporti Israel Katz. "Si è trattato - ha dichiarato il Ministro Matteoli al termine del vertice - di un lungo e proficuo incontro nel quale sono state toccate varie tematiche di comune interesse. Abbiamo discusso della cooperazione tra le portualità dei due Paesi, dei rapporti tra la Guardia Costiera e il costituendo Corpo israeliano. Abbiamo affrontato le problematiche inerenti il trasporto aereo, con particolare riguardo alla sicurezza dei voli e dei controlli a terra. Si è discusso anche del trasporto ferroviario per il quale Israele ha in programma cospicui investimenti per ampliare la propria rete. Sia io che il collega israeliano ci siamo impegnati a mettere a disposizione dei due Paesi le esperienze e le professionalità maturate nei diversi settori dei trasporti. Ho invitato - ha concluso Matteoli - il ministro Katz in Italia per proseguire il confronto avviato ed il collega ha accetto di buon grado di venire a Roma".


Eco-energie: il sistema italiano di ricerca incontra Israele

Incontro promosso dall’ambasciata italiana a Tel Aviv sulla collaborazione tecnologica scientifica tra Israele e Italia
Nuova collaborazione energetica per l'Enea, l'Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile. Con l'incontro svoltosi oggi a Gerusalemme l’ing. Giovanni Lelli, Commissario dell’Agenzia ha siglato la collaborazione per l’avvio di un laboratorio congiunto sulle energie solari e rinnovabili con l’Università Ben Gurion del Negev, la quale vanta competenze tra le più avanzate del mondo nel campo della ricerca scientifica e tecnologica. Questo connubio permetterà ad entrambi i paesi di accrescere il proprio know how tecnologico nel settore delle rinnovabili e dell’efficienza energetica e si colloca giustamente a seguito dell’intesa di Collaborazione Scientifico-Tecnologica avviata con il Ministero degli esteri lo scorso ottobre 2009.L'occasione per la nuova allenaza si è creata nel corso del “Sistema italiano della ricerca incontra Israele” tavola rotonda promossa dall’Ambasciata Italiana a Tel Aviv e cui hanno preso parte i maggiori Centri e Agenzie di ricerca di entrambi i Paesi. http://www.repubblica.it/


Alberta Levi Temin

Stolpersteine Pietre d’Inciampo

Il 28 gennaio 2010 a Roma, in Via Flaminia 21, sono state poste tre pietre d’inciampo a ricordo che in quella casa vivevano l’ing. Mario Levi, sua moglie Alba Ravenna in Levi, e il loro figlio Giorgio di 16 anni, mio cugino, quasi fratello, dato che i nostri padri erano fratelli e le nostre mamme sorelle. Il 16 ottobre 1943 sono stati prelevati da due SS naziste alle 6 del mattino, quando ancora dormivano nei loro letti: dopo soli 20 minuti uscirono prigionieri. Quella mattina in quella casa c’ero anche io con la mia mamma e mia sorella Piera; papà, per esigenze logistiche, dormiva in un’altra casa. Eravamo arrivati solo da 3 giorni, fuggiti da Ferrara dopo una visita notturna della questura italiana, alla ricerca di giovani ebrei fra i 20 e i 30 anni. In casa nostra, pur cercando in ogni stanza, non ne trovarono e se ne andarono senza portare via nessuno.
A Ferrara, quella notte, sono stati messi in prigione 22 giovani ebrei tutti maschi; “saranno adibiti a qualche lavoro civile” diceva mio padre sempre fiducioso, invece dopo 2 mesi di carcere, furono consegnati ai nazisti e finirono ad Auschwitz. Io non avevo fiducia e riuscii a convincere papà che era giunto il momento di accettare l’insistente invito degli zii di trasferirci da loro, certi che Roma sarebbe stata liberata in breve tempo. Forte dell’esperienza di Ferrara, quando tre giorni dopo il nostro arrivo, all’alba del 16 ottobre 1943, mi svegliai di soprassalto per un’ insistente suonata del campanello di casa, pensai che non essendoci ragazzi fra i 20 e i 30 anni, non avrebbero preso nessuno. Ma non volevo sentire quel passo per la casa alla ricerca di qualcuno nascosto. Questo dissi a mamma e a Piera, scesi dal letto e in camicia uscii sul balcone.Mia sorella Piera chiuse il balcone alle mie spalle, mentre 2 SS, urlando come se fossero in 10, spalancavano nella nostra camera la porta che dava sul corridoio. Capii subito che avrebbero portato via tutti, anche la mia mamma e mia sorella Piera. E io? Mi brucia ancora dirlo: rimasi fuori al balcone, paralizzata, pietrificata, appoggiata alla parete di fianco alla finestra, con l’orecchio teso vicino allo stipite per cercare di sentire, di capire quanto accadeva. In meno di 20 minuti la casa fu vuota. La mia mamma e mia sorella Piera sono state salvate dall’energia di zia Alba che le ha letteralmente spinte a varcare la soglia dove erano stati invitati ad entrare solo i cattolici di matrimonio misto. Dopo 12 ore , le più dolorose della mia vita, per un insperato miracolo, mamma, papà, mia sorella Piera ed io eravamo insieme. Ma gli altri miei cari? Quel giorno furono 1023 i deportati da Roma; caricati sui carri bestiame la mattina del 18 ottobre, raggiunsero il campo di eliminazione di Auschwitz la sera del 22 gennaio, ma solo il 23 mattina furono fatti scendere ; 827 persone, di cui 244 erano bambini sotto i 10 anni, quel giorno stesso, condotti nelle camere a gas, fu messa fine alle loro indicibili sofferenze. Fra loro, è documentato, c’era Alba. 196 furono scelti per lavorare, fino all’esaurimento delle loro forze. Solo 17 persone di questo gruppo erano vive il 27 gennaio 1945, quando Auschwitz fu liberata. Da quell’inferno è tornato, unico del suo nucleo familiare, un altro mio carissimo cugino, Gegio Ravenna, uno di quei 22 giovani, aveva allora 23 anni, messi in prigione a Ferrara nell’ottobre del 1943.Fino alla notizia dell’uscita dell’ultimo salvato, abbiamo sperato di rivedere anche Giorgio, il mio cuginetto quasi fratello, che a 16 anni suonava tanto bene Chopin e aveva tanti progetti da voler realizzare. La vita è un dono meraviglioso che ognuno di noi riceve gratuito. Lo sappiamo che la vita ha un principio e una conclusione, che qualche volta arriva quando si è completato il suo ciclo naturale, qualche volta può anche arrivare prima. Se il distacco dalle persone che amiamo è sempre doloroso, cerchiamo conforto affrontando la realtà: “D-o ha dato, D-o ha tolto, sia benedetto il Suo Nome”. Quando il filo della vita viene spezzato da mano umana, da leggi inumane, la rassegnazione è una chimera irraggiungibile. Non c’è, non ci può essere una risposta ai molti “perché” che si affollano nella nostra mente 28 gennaio 2010, a Roma, davanti al portone d’ingresso del palazzo di Via Flaminia 21, sono state poste 3 “pietre d’inciampo” per ricordare al passante che lì abitavano Mario Levi nato nel 1888, Alba Ravenna Levi nata nel 1891, Giorgio Levi nato nel 1926, deportati ad Auschwitz il 16/10/1943. Per iniziativa di Diana Pezza Borrelli è stato il regalo che l’Amicizia Ebraica-Cristiana di Napoli ha offerto per i miei 90 anni. Non ho parole per ringraziare; prevedevo l’emozione che ho provato, ma imprevisti sono stati i pensieri che si sono imposti alla mia mente in quel momento: i miei cari, almeno i loro nomi, tornavano a casa, non erano più nel vento, non sarebbe stata solo la pietra tombale posta nel cimitero di Ferrara accanto a quella dei nonni Ravenna a ricordarli. Qui, su questo marciapiede cammina la vita, e i loro nomi ne faranno parte.Il mio grazie va anche a Adachiara Zevi che ha saputo realizzare a Roma il progetto, a Rosetta Loy, a Ottavia Piccolo presenti anche con la loro parola, ai moltissimi amici e ai parenti che ho sentito tutti vicini, e finalmente a Gunter Demnig, l’artista che ha ideato la “Stolpersteine” ( Pietra d’inciampo), che ho avuto il piacere di conoscere e ringraziare personalmente. Sullam n.45