sabato 13 marzo 2010


Israeli men celebrate the end of the British Mandate. May 1948

Scintille tra Israele e Usa? È soltanto una finta crisi

Il viaggio del vicepresidente americano a Gerusalemme è la conferma del detto di Kissinger che «Israele non ha politica estera. Solo politica interna». È la sola possibile spiegazione dei «pasticci» che hanno marcato la visita del vice presidente americano, Joe Biden, preannunciata come quella della «ritrovata fiducia» fra Washington e Gerusalemme.Pur conoscendo la sensibilità araba e americana per gli insediamenti ebraici nei quartieri arabi di Gerusalemme, il sindaco della città proclama la creazione di un «parco storico» in una zona araba adiacente alle mura della città vecchia. Netanyahu blocca il progetto. Gli americani lo lodano. Il ministro socialista Barak annuncia la creazione di 50 alloggi per ortodossi askenaziti nell'insediamento di Betar Eilit, considerato territorio occupato dai palestinese. Guadagna un punto con loro ma quando arriva Biden la commissione edilizia del ministero degli Interni (religiosi sefarditi) annuncia la costruzione di 1600 alloggi in Gerusalemme est. Un vero e proprio schiaffo all'ospite di cui il ministro si scusa affermando trattarsi di una decisone «burocratica» a sua insaputa. Nessuno crede alle scuse del ministro dell'Interno come a quelle di Netanyahu. Crisi aperta con Washington, grida l'opposizione. Ma Biden lascia il Paese, dopo le rituali affermazione di scontento per costruzioni che ostacolano il processo di pace, affermando che Israele e i palestinesi, se vogliono arrivare alla pace debbono trattare direttamente fra di loro. C'è una logica dietro tutto questo? No. Solo il gioco di interessi miopi di parte in una coalizione su cui il premier sembra aver perduto controllo. Ma ci sono anche alcuni fatti di base.A A Netanyahu non dispiacerebbe una crisi all'interno della coalizione per liberarsi almeno di una parte di religiosi e ultra nazionalisti onde continuare a collaborare con Washington sulla questiona iraniana. Gli americani sperano che ci riesca e per questo non hanno interesse a indebolirlo.B Washington ammette di aver sbagliato facendo della questione degli insediamenti la leva di pressione su Gerusalemme. Hanno lodato la «moratoria» di 10 mesi imposta da Netanyahu sapendo che solo lui può guidare il carrozzone politico israeliano oltre ad essere il solo alleato fidato nel Medio Oriente a cui ha bisogno di imporre in non intervento militare contro l'Iran.C Abu Mazen ha compreso che ogni giorno che passa rifiutando di trattare lascia le mani libere a Israele di cambiare una situazione sul terreno. Rischia di vedere diminuiti gli aiuti finanziari americani e europei proprio mentre crescono i segni di tensione nella dirigenza di Hamas e le speranze di ritorno di al Fatah nella striscia di Gaza. Il che dipende dal consenso di Israele con cui volente o nolente è obbligato a trattare anche perché questa è la volontà del governo del Cairo sempre più preoccupato della presenza radicale islamica lungo la sua frontiera a Gaza. Questi «fatti di base» sono altrettante palle lanciate in aria nel «circo» israelo-palestinese. Il problema è che non si sa chi sia il giocoliere. ilgiornale.it , 12 marzo 2010


Limor Livnat


CULTURA: BONDI INCONTRA OMONIMA ISRAELIANA, PRESTO FONDAZIONE COMUNE

(ASCA) - Roma, 11 mar - ''La creazione di una fondazione italo-israeliana per la cultura, nonche' l'istituzione di un premio italo-israeliano alle traduzioni per diffondere nei due Paesi le reciproche letterature e il rilancio della collaborazione nel settore cinematografico''. L'auspicio arriva dal ministro per i Beni e le Attivita' Culturali, Sandro Bondi, che ha ricevuto oggi il ministro israeliano della Cultura e dello Sport, Limor Livnat.Nel corso del cordiale colloquio, spiega una nota del Mibac, sono state ricordate le eccellenti relazioni culturali tra i due Paesi, soprattutto in materia di restauro del patrimonio archeologico. ''Grande apprezzamento'' da parte israeliana e' stato espresso in particolare per la preziosa cooperazione dei tecnici dell'Istituto Centrale per la Conservazione e il Restauro nell'allestimento del laboratorio di restauro di Acco, dove si lavora tra l'altro alla conservazione dei rotoli del Mar Morto.I due ministri, prosegue la nota, hanno inoltre discusso alcune possibili iniziative future, tra cui l'esposizione di uno dei capolavori di Caravaggio al Museo di Arte di Tel Aviv, la presentazione al pubblico nel Museo Israel di Gerusalemme dei preziosi manoscritti ebraici conservati presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano e la promozione congiunta della manifestazione ''Milano incontra Israele'' nel prossimo autunno.Il ministro Livnat ha anche espresso ''la propria soddisfazione per la presenza israeliana alla Biennale di Venezia, sia nella sezione Cinema che in quella Architettura, dove quest'anno verra' previsto un programma dedicato all'architettura dei kibbutz''.


L'ex-ct della nazionale Donadoni ha avuto pretese economiche eccessive per la federazione israeliana

Roberto Donadoni non siederà sulla panchina della nazionale israeliana. Secondo quanto riportato oggi dalla Gazzetta dello Sport l'ex-tecnico di Napoli e nazionale avrebbe avuto dei contatti con la federazione nella seconda metà di febbraio. Donadoni avrebbe accettato di buon grado la panchina, ma a frenare la trattativa è stato il lato economico. Il tecnico chiedeva 2.5 milioni di euro lordi all'anno, ma la federazione è prima arrivata ad un massimo di 2, per poi scendere ad 1.5. La trattativa si è così interrotta bruscamente.A questo punto i favoriti sono Luis Fernandez e il tedesco Schafer, che si accontenteranno di 400.000 mila euro all'anno.

sport.repubblica.it


Lo spot a doppio senso che imbarazza Israele

«Porno-turismo», «campagna flaccida», «un condensato di cattivo gusto». Con queste e altre colorite espressioni, blogger e giornalisti ebraici hanno subissato di critiche l'ultimo spot per promuovere il turismo in Israele. Il titolo della campagna, che gioca abbondantemente sui doppi sensi, è «Le dimensioni non contano». Nella breve clip ci sono una ragazza vestita e un ragazzo nudo. «Uhhh» dice lei, «che c'è?» risponde lui, «non prenderla male, ma è piccolo - dice la ragazza - non so se me la sento di andare laggiù». L'inquadratura si allarga e si vede che i due stanno consultando una cartina di Israele e una guida turistica è invece appoggiata proprio lì, sulle parti basse. La campagna, che ha anche un sito dedicato, è stata sponsorizzata dalla federazione canadese degli studenti ebraici e dalla Cija, un'importante fondazione ebraica in Canada. Siccome gran parte di queste associazioni vivono di contributi pubblici e privati dalla madre patria, in Israele è scoppiata la polemica. Non è chiaro se ci siano dei contributi diretti del Ministero degli esteri. Ma questi, per non sbagliare, hanno subito preso le distanze accusando la Cija.La polemica sullo spot a doppio senso, già diventato cult su social network e blog, arriva in un momento non proprio semplice per Netanyahu. Il premier ha dovuto pubblicamente scusarsi con il vicepresidente americano Biden, in visita ufficiale, dopo che nei giorni scorsi il ministro dell'Interno Eli Yishai aveva annunciato la costruzione di 1.600 nuove case nella colonia di Ramat Shlomo, in territorio palestinese. Scelta che Biden ha subito condannato: «Israele mina la pace». Oggi il governo israeliano ha definito un errore quell'annuncio. Ma l'incidente diplomatico non si è concluso: l'Anp ha deciso di abbandonare la trattativa mentre i laburisti hanno minacciato di lasciare la coalizione. (An Fr.) 11 marzo, il sole24ore.com


sali Mar Morto

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Un progetto "spaziale" per curare i pazienti cronici[...] Per assistere i malati cronici, evitando le cure ospedale, è stata addirittura scomodata la Nasa. L'ente americano è coinvolto in uno dei programmi di collaborazione avviati da Regione e Stato di Israele. L'accordo bilaterale, firmato due anni fa, è stato ridiscusso ieri in una riunione all'assessorato regionale alla Sanità a cui hanno partecipato il ministro israeliano Yacov Litzman, il responsabile della Nasa Leon Alkalai, il ministro leghista alle Riforme, Umberto Bossi, e il viceministro del Carroccio alle Infrastrutture, Roberto Castelli. [...]Il Corriere della Sera, 11 marzo 2010
Biden duro su Israele. I palestinesi verso il no ai negoziati di pace[...] Il primo effetto della gaffe è annunciato in tarda serata dal leader della Lega araba Amr Mussa: «Il presidente palestinese si ritira dai negoziati di pace indiretti, non è pronto a negoziare nelle circostanze attuali». Il fallimento era nell'aria. La sortita del governo Netanyahu non è piaciuta neanche all'estero: dal segretario dell'Onu, Ban Ki Moon, alla baronessa dell'Ue, Christine Ashton, dalla Francia alla Germania, dalla Lega araba all'Egitto e alla Giordania, è una corsa a condividere lo sdegno americano e a sostenere l'Autorità palestinese, che chiede a Bibi «l'annullamento della decisione» di costruire queste nuove case a Ramot Shlomo, nella Gerusalemme occupata. Anche in Israele s'è vissuto un certo imbarazzo: con un comunicato, il ministro Ehud Barak esprime «collera per un annuncio superfluo». «Un record di stupidità diplomatica» (l'opposizione Kadima); «uno schiaffo che s'è sentito in tutto il mondo» (Haaretz); «ci siamo giocati l'amico più stretto che avevamo a Washington» (Ma'ariv); «non c'era nessuna intenzione di mettere Biden in imbarazzo», analizza Israel Hayom, giornale vicino a Netanyahu. «Per noi dicono dall'entourage del premier resta il diritto di costruire. Dove s'è sbagliato, è nel momento e nel metodo». Solo una gaffe, insomma. Un cerino che alla fine resta nella mano del principale responsabile: «Non avevo nessuna intenzione di offendere Biden si scusa Eli Yishai, il ministro religioso che ha dato l'annuncio, pare, all'insaputa dello stesso Bibi - Era solo un passaggio tecnico. Mi spiace molto per l'imbarazzo provocato». [...]Francesco Battistini, il Corriere della Sera, 11 marzo 2010 Contro il rischio di nuova Intifada, Israele offre un corridoio commerciale Roma. Il governo israeliano è preoccupato dalla minaccia di una terza Intifada, di una sollevazione popolare contro gli israeliani a partire da est, dai territori oggi amministrati in autonomia dall'Autorità palestinese.[...] Per questo il governo ha deciso di rafforzare gli incentivi alla pace. Ieri ha annunciato l'amnistia per 77 membri operativi delle brigate dei Martiri di al Aqsa, l'ala militare del partito Fatah responsabile di una serie di attacchi contro Israele durante la seconda Intifada. [...] [...] L'Autorità palestinese ha risposto con un gesto di buona volontà: un raid con sequestro di armi nelle moschee dell'area di Ramallah. Il governo punta ancora di più sulla cosiddetta pace economica. L'offerta di Netanyahu è semplice: se i palestinesi prosperano e godono di un nuovo benessere e di commerci sicuri, non saranno più interessati a fare la guerra con Israele, che comunque è il mercato che compra l'ottanta per cento della loro produzione, e saranno più interessati a negoziare. Per questo ieri è stato annunciato un progetto pilota per semplifìcare l'esportazione anche in Europa di prodotti agricoli palestinesi soprattutto olive, pomodori, peperoni passando dal porto israeliano di Haifa. [...]Il Foglio, 11 marzo 2010


A occhi chiusi

E' vero che l'espansione degli insediamenti corrisponde alla strada dell'inconciliabilità e che una parte di Israele più maccabea dei maccabei si è potuta incarnare in questa maggioranza, e che da quello che si vede tale parte non si cura di far sorgere nella vicina nazione palestinese un epos di pace, o almeno un'incertezza - tale parte di Israele attinge le idee, o quello che si manifesta con la pretesa di apparire come idee, da una visione neo-biblica della geografia della regione. Così facendo, lascia ai propri figli l'eredità di un mondo dove la terra ebraica appare familiarmente un ghetto assediato. Ma oltre a quelli che secondo noi sono effettivi errori imputabili all'attuale governo israeliano, sarebbero da vedere le intenzioni profonde dei vicini dello Stato ebraico. E allora, bisognerebbe che nel pollaio mediatico calasse il raro silenzio della riflessione e ci si astenesse dallo starnazzio del gossip. Sarebbe necessario capire se nella nazione palestinese esista una prospettiva politica dissimile da quella offerta da Teheran: la distruzione di Israele. La domanda che gli esangui spettegolatori dei media dovrebbero farsi non è così difficile da formulare: esiste ancora un'autonoma aspirazione palestinese o quelli che oggi chiamiamo palestinesi non sono palestinesi, ma pura espressione delle aspirazioni politiche e geografiche di Teheran? La prospettiva di Gaza è forse quella di diventare una provincia iraniana con l'affaccio su altri mari? Ed è curioso il rinnovarsi di questo coro di proteste a senso unico, mentre sotto i nostri occhi chiusi qualcuno sta facendo le prove per un'altra geografia mondiale.Il Tizio della Sera, moked.it


L'Agenzia Ebraica è la grande organizzazione internazionale

che da Gerusalemme coordina le attività della Diaspora ebraica finalizzate a promuovere lo sviluppo dello stato d'Israele. È il motore principale di quello che alcuni con orgoglio, altri con nostalgia, altri ancora (bontà loro) con ripugnanza chiamano il Movimento Sionista. L'Agenzia Ebraica ha ora nominato un nuovo direttore generale, Alan Hoffmann. Alan è un elegante signore sulla sessantina nato in Sud Africa che parla un perfetto inglese (con accento inglese, non sudafricano), arrivato in Israele nel 1967 dopo una lunga attività nei movimenti giovanili ebraici e una coerente battaglia contro l'apartheid. È la prima volta che a un posto direttivo di tanta responsabilità viene nominato qualcuno rispetto al quale non c'è un fossato incolmabile di estranea soggezione: non ha bonificato paludi, non ha pilotato aerei da caccia, non è nato in Israele e, assieme a un perfetto ebraico con accento europeo, parla l'inglese senza il rozzo accento di tanti israeliani. Sa fare un discorso politico-culturale più complesso di quello che tante volte abbiamo udito: "Non capisco come tu fai a vivere qui: perché non fai Aliyah?" Definirei Alan Hoffmann "uno dei nostri", uno che conosce bene dall'interno la cultura e le necessità delle comunità dei paesi occidentali dove oggi vive la maggioranza degli ebrei fuori di Israele, e comprende che il progetto, qualsiasi progetto, deve includere una piena collaborazione fra le diverse tonalità del mondo ebraico, dovunque si trovino.Sergio della Pergolla Un. Gerusalemme, moked.it


locandina film 1940


“Suss l’ebreo”. Ovvero il cinema commerciale, l’olocausto e le ferite tedesche

«Infine, un film antisemita del tipo che si poteva solo augurare». Così scriveva Joseph Goebbels nel suo diario il 18 agosto 1940. Scrivendo queste righe, il gerarca nazista stava riassaporando le immagini del film appena visto, il tristemente celebre «Süss l’ebreo».La regia era firmata Veit Harlan (più tardi il solo imputato al processo di Norimberga a godere della piena assoluzione) ma la pellicola era la realizzazione di un sogno accarezzato a lungo da Goebbels.«Süss l’ebreo. Ascesa e declino» esce nelle sale cinematografiche in queste settimane, in ordine di tempo l’ultimo film prodotto in Germania ad affrontare il periodo nazista. L’opera è stata presentata in prima mondiale al Festival Internazionale del Cinema di Berlino e racconta l’«incontro» tra Ferdinand Marian, l’attore che interpretò il ruolo di Süss, e il regime nazista.La storia della realizzazione e della distribuzione del film antisemita più famoso della storia ha fatto scorrere fiumi di inchiostro e girare molta pellicola. Oggi, uno dei più apprezzati registi tedeschi, Oskar Roehler, riprende in mano il canovaccio di quell’episodio e ne fa un film destinato, a differenza dei predecessori, al grande pubblico.Le scelte artistiche che hanno guidato la creazione del film non hanno però mancato di provocare controversie. Già alla première di Berlino, la reazione degli spettatori e degli addetti ai lavori non è stata entusiastica. Alla fine del film, sono stati i “buu” a farsi sentire più dei timidi applausi. E, anche prima del rilascio, il biografo di Marian non ha lesinato le critiche nei confronti del film di Roehler.Il regista Roehler e lo sceneggiatore, Klaus Richter hanno infatti modificato radicalmente la storia. Lo scopo è stato quello di rendere la realtà biografica di Marian una tragedia faustiana incentrata sul patto malefico tra l’attore e i nazisti. Una delle scelte più controverse è stata quella di far diventare la moglie di Marian, Anna, un’ebrea.Nel film, il personaggio femminile interpretato da Martina Gedeck è un’attrice che nasconde le sue radici ebraiche. Inorridita dalla scelta del marito di interpretare il ruolo dell’avido ebreo Süss in un film antisemita, tenta invano di convincerlo ad emigrare negli Stati Uniti. Marian è però sordo ad ogni richiamo, risucchiato dalle sirene dell’alta società nazista, dove in un’atmosfera di torbida decadenza tutte le donne lo desiderano e tutti successi mondani gli sono offerti. Alla fine, la moglie di Marian finirà i suoi giorni in un campo di concentramento.«Il nostro cinema non è un documentario – così si è difeso Markus Zimmer uno dei produttori del film – E’ una decisione completamente legittima quella di raccontare una storia in questo modo». Ed ha aggiunto che «il personaggio di Anna è un personaggio in parte inventato, che rappresenta il destino di tanti ebrei dell’industria cinematografica tedesca che furono perseguitati e uccisi durante il terzo Reich».Dal punto di vista stilistico, il film appartiene al filone dei film tedeschi recenti che hanno affrontato il periodo della Seconda Guerra Mondiale. A tutti gli effetti «Süss l’ebreo» è un dramma storico convenzionale, sebbene sia farcito di scene di sesso (tra cui quella un po’ grottesca di Marian che ha un rapporto con una donna nazista, mentre questa gli grida «Ebreo, ebreo!»).Alla luce di tutto ciò appare chiaro che Roehler, conosciuto piuttosto per il suo piglio provocatorio, abbia puntato sul conformismo per assicurarsi la possibilità di un premio importante o di un successo di botteghino. Come si dice in America con più che una punta di cinismo «there’s no business, like shoah-business ».In conclusione, sebbene «Süss l’ebreo» non porti nulla di nuovo da un punto di vista artistico, è interessante, vedere come anche la Germania, dopo tanti anni di difficile rielaborazione del proprio passato, sempre in bilico tra rimozione inconscia e frustrazione collettiva, riesca oggi a fare un film commerciale sull’Olocausto allo stesso modo in cui potrebbe farlo qualsiasi altro paese. Segno, forse, che questa ferita psicologica si sta, infine, rimarginando.http://www.blitzquotidiano.it/arte/suss-ebreo-cinema-olocausto-274722/


La deportazione degli ebrei di Francia, per la prima volta raccontata in un film

Parigi, 9 mar -E' la prima volta che un film francese racconta quella pagina buia della storia recente. La 'Rafle', sugli schermi francesi a partire da domani, racconta il dramma delle persecuzioni e in particolar modo la retata di 13.152 ebrei arrestati a Parigi il 16 luglio 1942 dalla polizia francese su richiesta della Germania nazista, che dopo essere stati raggruppati nel Velodromo d'Inverno sono stati deportati. Il film riporta il dramma attraverso gli occhi del piccolo Joseph Weisman, 11 anni, arrestato con i genitori e la sorella, fuggito poi da un campo di concentramento francese evitando così i campi della morte. Ci sono voluti degli anni prima che le autorità francesi riconoscessero il ruolo dello Stato nella deportazione degli ebrei di Francia. Solo nel 1995 il presidente Chirac pronunciò un discorso atteso da decenni dalla Comunità ebraica, denunciando "la follia criminale dell'occupante assecondata dallo Stato francese, che ha compiuto l'irreparabile consegnando i suoi protetti ai loro boia". La Rafle è stato già paragonato dai critici francesi alla Lista di Schindler di Steven Spielberg per il ruolo pedagogico che potrebbe avere in Francia, tanto che si pensa di proiettarlo nelle scuole.


Egyptian plane shot down on Tel Aviv beach. May 1948. Frank Scherschel

Rassegna stampa

Nel corso della visita del vicepresidente americano Biden a Gerusalemme e a Ramallah è arrivata la notizia, da alcuni giudicata inattesa per lo stesso Netanyahu, della costruzione di 1600 nuovi alloggi “per i coloni” (secondo il Financial Times) in un quartiere ebraico di Gerusalemme Est. Netanyahu non ha mai promesso alcun blocco delle costruzioni a Gerusalemme Est, e quindi non ha tradito la parola data. Ma questa notizia sta suscitando le ire non solo di Abu Mazen, pronto a sollecitare l’intervento della Lega Araba, ma anche della amministrazione americana, e di tanti commentatori. Mentre i colloqui tra israeliani e americani sembravano incentrati sull’Iran (lo stesso negoziatore Mitchell era rimasto fuori dalla stanza dei colloqui, a dimostrazione del fatto che nei colloqui “indiretti”, o “di prossimità”, non crede nessuno, sulla notizia arrivata improvvisa scrive Battistini sul Corriere che “mina la fiducia necessaria ad avviare i colloqui indiretti. Dobbiamo costruire un’atmosfera per sostenere i negoziati, non per complicarli”. Belle parole che tuttavia vengono usate solo e sempre contro Israele; si chiede poi giustamente se “qualcuno possa credere a questi negoziati indiretti, rito trito e ritrito”. Circa la visita di Biden, sulla Nazione Giorno Resto del Carlino Giampaolo Pioli scrive da New York che il vicepresidente “raggiungerà oggi le piste dei territori”. Parole classiche di una disinformazione pericolosa, e sintomatiche della testardaggine di troppi che vogliono scrivere su argomenti che ignorano del tutto. E’ mai stato Pioli in Giudea e Samaria? Il Messaggero sembra non accettare che Peres chieda sanzioni morali contro i dirigenti iraniani, oltre a quelle economiche; farebbe prima a sostenere che cosa propone di fare contro l’Iran, sempre ammesso che non ne accetti in toto la politica aggressiva. Di tono opposto l’articolo scritto dal ministro Ronchi sul Tempo, nel quale sollecita l’Europa a prendere posizione, come l’Italia ha già fatto, su questo argomento (l’Iran) destinato a restare al centro delle preoccupazioni di tutti, in Medio Oriente come in America. E il Giornale, dopo aver ricordato che Ahmadinejad vuole distruggere Israele e intanto impicca nelle strade i suoi nemici interni, in una serie di brevi ricorda i passati altolà dell’ONU, rimasti fino a oggi senza effetto alcuno. Sul Fatto, dove sono poco attenti se confondono gli accordi di Annapolis tra Olmert e Abu Mazen, “oramai nulli”, con accordi di “Indianapolis”, leggiamo che mentre i palestinesi avanzerebbero proposte moderate che prevedono i due stati e piccole modifiche territoriali, limitate al 2 per cento, Natanyahu “insiste a volere che i palestinesi riconoscano Israele come stato ebraico”, e avrebbe “le mani legate” di fronte alle lungimiranti proposte palestinesi di grande apertura. Il Manifesto in un articolo intitolato “sulla porta dell’inferno” scrive che “le tiritere di Ahmadinejad sull’inesistenza dell’Olocausto e sulla necessità di cancellare Israele dalle carte geografiche non fanno altro che alimentare le fiamme che Netanyahu vuole tenere vive”. Parole queste che si commentano da sole, purtroppo. Non molto diverse le parole su l’Unità in un’intervista ad Avraham Burg, sempre più schierato contro Israele di cui fu personaggio di primo piano in anni non lontani. Ma oggi, dopo aver attaccato la politica seguita nella gestione della città di Gerusalemme, da cui tanti si trasferirebbero, e la politica del governo, finisce dicendo: “Definire Israele uno stato ebraico è la chiave della sua fine”. Neppure queste parole meritano un commento. Ma sottolineo che le ha pronunciate Avraham Burg. Da leggere con attenzione su Le Monde un’intervista a Peres; tra le sue parole, ne ricordo alcune. Una nazione (la palestinese) deve essere costruita, e non solo negoziata, ma purtroppo questa costruzione è iniziata solo da un anno, ed ha l’aiuto di Israele. Israele accettò la proposta di Clinton che i quartieri arabi di Gerusalemme Est rimangano ai palestinesi, e quelli ebraici rimangano a Israele; per quelli misti va ricercata una soluzione amichevole. Israele ha proposto di far nascere lo stato palestinese su frontiere provvisorie, per dare tempo ai negoziati di risolvere le controversie; i palestinesi hanno rifiutato; di questo gli europei con le loro proposte sono al corrente? L’Iran con la sua politica è riuscita a dividere sia il Libano che la Palestina in due; Hezbollah impedisce la pace in Libano, Hamas impedisce che possa nascere uno stato palestinese. Questo, ed altro, su Le Monde, in questa intervista di grande interesse. Su Liberal si legge una attenta analisi della realtà ebraica negli USA, della sua influenza sulla politica del Congresso, e non si nasconde un parallelismo tra quanto succede in Israele e quanto potrà succedere presto in Europa. Su Liberazione si riprende la dichiarazione del primo ministro turco Erdogan secondo il quale Israele avrebbe accettato che egli riprenda il suo ruolo di mediatore coi siriani; tuttavia non è riportata la risposta di Netanyahu, che non sembra vedervi altro che la volontà di Erdogan di restare al centro dell’attenzione. Infine sul Sole 24 Ore un interessante articolo sul convegno promosso dal professore Dario Peirone che ha riunito a Torino aziende leader italiane ed israeliane nel campo dell’Hi Tech.Nei giorni scorsi abbiamo letto (e molti hanno scritto per protestare) numerosi interventi dell'ex ambasciatore Sergio Romano che sempre più rivela non solo il suo pensiero filoislamico (che si dovrebbe rispettare in quanto tale), ma anche la sua protervia nel non prendere in considerazione i fatti, i documenti e la storia (e qui viene meno il dovere del rispetto). Romano difende la politica turca (sulla quale sempre più numerosi sono coloro che esprimono preoccupazioni crescenti), e circa l'alleato Iran afferma di "non essere convinto che la sua classe politica voglia l'arma nucleare", per aggiungere che la bomba "serve a dissuadere piuttosto che a minacciare"; non legge i giornali di tutto il mondo che riportano le minacce che, da anni, i dirigenti iraniani muovono contro lo Stato di Israele "che sarà cancellato"? Sorge inoltre spontanea la domanda: dissuadere chi? Sta forse tentando di insinuare che sarebbe Israele a coltivare propositi genocidi nei confronti dell’Iran? Al lettore che lo interrogava sulle condizioni di Gilad Shalit ha risposto che "nelle carceri israeliane vi sono circa 11000 palestinesi: un numero che fa pensare a prigionieri di guerra piuttosto che a criminali comuni", dimenticando la ben diversa condizione oggettiva di prigionia. E alla lettrice che gli chiedeva spiegazioni sulla sua affermazione di considerare Marwan Barghouti un personaggio "interessante" ha risposto paragonando l'ala militare dei Tanzim, da lui fondata, alla Haganah, e scrivendo: "Barghouti è considerato da molti un terrorista (evidentemente da lui no, ndr). Ma terroristi, per gli inglesi, furono anche Jabotinsky e Begin" (e mi chiedo come si possa paragonare colui che ha sterminato tanti civili con chi faceva azioni contro un esercito). E infine si è inventato un "implicito riconoscimento dello Stato di Israele" da parte di Barghouti e di altri leaders palestinesi incarcerati, senza peraltro spiegarci in che cosa consisterebbe questo “riconoscimento implicito”, né quale altro stato al mondo sia stato gratificato (e si sarebbe accontentato) di un riconoscimento non esplicito. Certamente nei prossimi giorni Romano ci sorprenderà con nuove dichiarazioni sullo stesso tono. moked.it


anni '40: riunione di giovani in un kibbutz della Galilea

A proposito di antisemitismo - 2

Uno storico del futuro, che intendesse ricostruire le posizioni dell’opinione pubblica europea, nel secolo scorso e al giorno d’oggi, nei confronti di ebrei ed ebraismo, si troverebbe, probabilmente, in difficoltà di analisi. Nel valutare la consistenza dell’antisemitismo fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale, tale storico dovrebbe prendere atto che questo pregiudizio aveva una larghissima e palese diffusione, non solo nella Germania nazista e nei Paesi a essa alleati, ma, sia pure con diversa intensità, pressoché ovunque. Apertamente sostenuta dalla Chiesa, fatta propria da molti fra i più eminenti intellettuali europei, accolta e alimentata dal pensiero marxista e rivoluzionario così come da quello conservatore e liberale, l’ostilità contro gli ebrei, a tutti i livelli, rappresentava un sentimento del tutto rispettabile: nessuno doveva vergognarsi nel manifestarla, né nel tradurla in azioni conseguenti.Con la caduta, nel ’45, dei suoi più potenti ‘sponsor’, e la vittoria delle forze a loro antagoniste, l’antisemitismo è diventato, improvvisamente, un tabù. Esternare sentimenti antiebraici inscriveva, automaticamente, nel novero degli sconfitti, e solo pochi ‘audaci’ nostalgici, “duri e puri”, trovavano il coraggio di farlo, sfidando la generale riprovazione. La Chiesa cambiava linguaggio, un ampio repertorio di giudizi e commenti veniva escluso dall’ambito della cultura ‘ufficiale’, per essere relegato nel terreno ‘inferiore’ delle battutine da strada e da osteria.Ma, negli stessi anni in cui la vecchia Europa sembrava rimuovere dalla propria coscienza il suo antico pensiero e linguaggio, l’antisemitismo risorgeva, nel circostante mondo islamico, con straordinaria rapidità e virulenza: la pubblicistica antigiudaica si sarebbe diffusa nei mass media e nei libri di testo scolastici, i “Protocolli dei Savi di Sion”, tradotti in arabo, sarebbero stati pubblicati, e spesso regalati gratuitamente, in decine di migliaia di copie, e anche riadattati per fortunati sceneggiati televisivi. Serie testate giornalistiche - dall’Egitto alla Siria, dal Libano alla Malesia, dal Pakistan all’Iran e alla Libia - sarebbero state inondate di vignette - spesso ritagliate direttamente da Der Stürmer e altri fogli nazisti - raffiguranti ebrei torvi, col naso adunco, pronti a ghermire fanciulli indifesi e a tramare contro l’umanità. Sarebbero tornate, in chiave moderna, le leggende medioevali sui giudei che avvelenano i pozzi, o che fabbricano le azzime col sangue dei bambini musulmani e cristiani. Invano lo storico del futuro cercherebbe, sui giornali europei, qualche commento, o semplicemente qualche notizia, riguardo a tutto ciò. E non gli sarebbe facile rispondere a una domanda: l’Europa fa finta di accorgersi solo del proprio antisemitismo “di nicchia”, trascurando quello “di massa”, per viltà, o pigrizia? O, forse, nutre qualche malcelata solidarietà verso chi svolge, oggi, le sue funzioni di ieri?Francesco Lucrezi, storico, moked.it


A colloquio con il ministro della Sanità di Israele

Alla serata che sancisce un passo avanti nei rapporti di collaborazione tra Stato d’Israele e Regione Lombardia che, sempre più intensi, vedono ora anche l’ingresso degli Stati Uniti, ha partecipato il ministro della Sanità israeliano Yaakov Litzman (nell'immagine con il giornale Pagine Ebraiche fra le mani). Nato nel 1948 da genitori polacchi sopravvissuti alla Shoah, dopo aver trascorso l’infanzia negli Stati Uniti, a 17 anni Litzman è emigrato in Israele per proseguire gli studi. Membro della corte chassidica di Ger, è diventato ben presto braccio destro del rebbe Lev Simcha e poi del successore Yaakov Alter. È stato proprio l’attuale rebbe di Ger nel 1999 a chiedere a Yaakov Litzman di rinunciare alla cittadinanza statunitense e di entrare nelle file del partito religioso Agudat Israel.Membro della Knesset da quell’anno Litzman ha ricoperto diversi ruoli di rilievo, fino a essere nominato ministro della Sanità del governo Netanyahu nel 2009.Ministro Litzman, negli ultimi tempi gli operatori israeliani hanno stupito il mondo grazie alla prontezza ed efficacia del loro intervento in soccorso della popolazione haitiana. Israele non è nuovo a questo tipo di missioni. I suoi inviati erano in prima linea per aiutare i paesi colpiti dallo tsunami nel 2004, e in molte altre situazioni di emergenza in tutto il mondo. Qual è il segreto per lavorare in modo così efficiente?Il popolo israeliano ha alle spalle una lunga esperienza di sofferenza. Vive sotto la costante minaccia del terrore, e tante volte si è dovuto misurare con le sue distruttive conseguenze. Da questo dolore abbiamo imparato tanto. Prima di tutto, abbiamo imparato che vogliamo evitare, per quanto possibile, che altri debbano soffrire lo stesso dolore. Per questo sfruttiamo le strategie che abbiamo messo punto, e il personale che è addestrato ad affrontare le situazioni più complesse, per dare il nostro supporto. Il nostro segreto, se così si può definire, è la fedeltà alla missione.Pensa che possa essere questa la chiave per migliorare l’immagine di Israele nel mondo?È fondamentale specificare che non è migliorare la nostra immagine, lo scopo per cui cerchiamo di portare aiuto alle popolazioni colpite da catastrofi naturali o da altri disastri. Tuttavia è sicuramente vero che quello che siamo riusciti a fare per Haiti ha giovato molto alla considerazione che l’opinione pubblica mondiale ha di Israele. E siccome questo aspetto è molto importante per noi, in futuro dovremo impegnarci di più per comunicare meglio gli sforzi che Israele compie.Per quanto riguarda il sistema sanitario israeliano, com’è la situazione sul fronte interno? Com’è stato possibile assorbire grandi ondate di nuovi immigrati continuando a garantire l’eccellenza del servizio?Israele vanta uno dei sistemi sanitari migliori del mondo. Possiamo contare su personale e programmi di altissimo livello e sulle tecnologie più innovative. Questo ha consentito al servizio sanitario di non soffrire l’arrivo degli olim hadashim. Se mai un problema con cui dobbiamo fare i conti è quello dell’invecchiamento della popolazione.Nel quadro brillante della sanità israeliana, un problema è invece quello della carenza di organi per i trapianti, essendo controverso per la Legge ebraica, il concetto di “morte cerebrale”, dopo la quale è possibile l’espianto. Di recente è stata approvata una legge che prevede la priorità nelle liste d’attesa per un trapianto per chi ha dichiarato la disponibilità a diventare donatore. Qual è la situazione attuale rispetto a questo problema?È molto semplice. Oggi in Israele esiste una legge per cui se un paziente si trova in stato di morte cerebrale e la famiglia accetta, vengono espiantati gli organi. Se invece la famiglia non accetta, perché non riconosce la morte cerebrale, non accade. E per la Legge ebraica questo è perfettamente lecito.Rossella Tercatin, moked.it


Lavorare assieme per aiutare gli altri

Un momento fondamentale per i rapporti in ambito sanitario tra Stato d’Israele, Regione Lombardia e Stati Uniti d’America si è svolto ieri sera nell’Aula magna Aharon Benatoff della Scuola ebraica di Milano. Tanti gli ospiti intervenuti per la conferenza internazionale organizzata da Comunità ebraica, Associazione medica ebraica –Italia e Associazione Monte Sinai. Davanti all’affollata platea si sono ritrovati rappresentanti delle istituzioni e del mondo scientifico dei tre paesi.Il presidente della Comunità Leone Soued e il portavoce Yoram Ortona, insieme al presidente dell’Ame Giorgio Mortara, al presidente dell’Associazione Monte Sinai Enrico Mairov, e a Claudio Morpurgo, delegato del presidente della Regione Lombardia per i Rapporti con l’Europa e ex presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, hanno introdotto la serata e accolto i relatori, fra cui spiccavano il ministro della Sanità israeliano Yaakov Litzman e il presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni, che si erano in precedenza incontrati per un colloquio privato.Durante la conferenza si è parlato dei proficui scambi fra Lombardia e Israele in campo medico e nella ricerca e dei progetti concreti realizzati, come il corso di formazione in Israele per affrontare le situazioni di post emergenza dopo eventi catastrofici cui hanno partecipato 12 operatori sanitari lombardi. Sono state anche illustrate le prospettive di sviluppo della telemedicina e dell’assistenza sanitaria domiciliare, che potrebbero rappresentare la chiave per affrontare il costante invecchiamento della popolazione, come hanno sottolineato gli assessori regionali alla Sanità e alla Famiglia Luciano Bresciani e Giulio Boscagli. Numerosi anche i rappresentanti di enti che si occupano di singoli aspetti dei servizi sanitari, per discutere di tematiche che, con il dibattito sulla riforma sanitaria, interessano da vicino anche gli USA, d’ora in poi terzo polo della collaborazione fra Lombardia e Israele.A portare la loro testimonianza sono stati Leonard Kleinman, professore alla UCLA e rappresentante della West Los Angeles Veterans Affairs Medical Center, Joshua Shemer, direttore dell’Istituto Gertner per la programmazione, la pianificazione e il controllo del sistema socio-sanitario israeliano, Moshe Revach, presidente dell’Authority del Trauma dello Stato d'Israele, Carlo Lucchina, Direttore generale dell’Assessorato alla Sanità della Regione Lombardia, Umberto Fazzone, Direttore Generale dell’Assessorato alla Famiglia e Solidarietà della Regione Lombardia, Giampietro Luzzato, presidente onorario dell’Associazione Monte Sinai, Leon Alkalai, professore del Dipartimento di Computer Science della UCLA e Judith Maier, consulente politico speciale dell’Associazione Monte Sinai nel gruppo di lavoro per la riforma sanitaria degli Stati Uniti.Oltre a parlare della collaborazione sanitaria da un punto di vista tecnico, la conferenza ha rappresentato anche un’occasione per mettere in luce la valenza politica che la sanità può assumere nell’avvicinare i popoli. In questa prospettiva la serata si è conclusa con l’appello di Enrico Mairov per promuovere un incontro in Lombardia tra i ministri della Sanità dei 25 paesi che si affacciano sul Mediterraneo, che segua a quello promosso dall’Associazione Monte Sinai nel 2007 tra il ministro della Sanità israeliano e quello palestinese. Perché, come è stato ricordato durante la conferenza “quando ci facciamo male sentiamo tutti ugualmente dolore”.r.t. moked.it

venerdì 12 marzo 2010


Gerusalemme


Iraniani fermati nelle isole Seychelles, giravano con passaporti israeliani rubati
Tel Aviv, 9 mar -Tre cittadini iraniani sono giunti nelle isole Seychelles (Africa orientale) con passaporti israeliani. La polizia locale, sospettosa, li ha fermati. I loro passaporti erano falsi. L'accaduto desta preoccupazione in Israele, le indagini sul caso infatti hanno chiarito che i passaporti erano stati rubati lo scorso anno in Thailandia ad escursionisti israeliani. Secondo il quotidiano israeliano Maariv, che ha riportato la notizia, i tre iraniani stavano progettando un attento nelle isole Seychelles, dove, in occasione della Pasqua ebraica, che comincerà a fine mese, molti turisti israeliani si sarebbero potuti recare per le vacanze. Altri passaporti sono stati rubati e probabilmente sono nelle mani di cittadini iraniani, iracheni e siriani.
E' morto Kimche l'ex diplomatico e dirigente Mossad
Tel Aviv, 9 mar - David Kimche, fra i protagonisti della politica estera israeliana per decenni, in qualità di diplomatico e da dirigente dei servizi segreti, è venuto a mancare all'età di ottantadue anni. La stampa israeliana ricorda oggi le sue azioni più pericolose. Fu, fra le altre cose, coinvolto, negli anni '80, nel tentativo israeliano di allacciare relazioni politiche con i falangisti libanesi di Bashir Jemayel, e fu anche uno dei protagonisti dell' 'Irangate', ossia della vendita di armi israeliane all'Iran per contenere l'Iraq di Saddam Hussein. Fu attivo anche nei tentativi di raggiungere una soluzione negoziata fra israeliani e palestinesi e di recente si espresse a favore di un dialogo indiretto con Hamas. Kimche ha svolto una lunga serie di incarichi di importanza critica per Israele, per i responsabili della sicurezza e per il servizio diplomatico, il tutto con grande capacità e dedizione", ha detto di lui il premier Benyamin Netanyahu. "Ha sempre saputo combinare eleganza e patriottismo, sofisticazione e umanità".
Il vice premier israeliano alle Nazioni unite: “Vogliamo sanzioni paralizzanti per l'Iran
New York, 8 mar -A ribadire la richiesta dello Stato israeliano alle Nazioni unite di “sanzioni paralizzanti” contro l'Iran e il suo programma nucleare, è stato questa volta il vice premier di Israele, Silvan Shalom, in occasione della sua visita al Palazzo di Vetro. "Ho chiesto al segretario generale Ban Ki-moon di usare la sua forza morale per chiedere al Consiglio di sicurezza dell'Onu di agire sull'Iran - ha detto Silvan Shalom - perché è arrivato il momemto di imporre sanzioni paralizzanti". Il vice premier israeliano, ex ministro degli Esteri, che ora ha la delega allo sviluppo regionale, ha chiesto che i leader del Pasdaran "vengano inseriti in una lista nera" approvata dal Consiglio di Sicurezza. L'organismo non è però in grado di fare passi in questa direzione perché la Cina si oppone a nuove sanzioni contro la repubblica islamica.moked.it


Tel Aviv
Sono iniziati (nello scetticismo generale) i colloqui di pace indiretti fra Israele e palestinesi

propiziati dall'America (Tobias Buck sul Financial Times), anche se subito i palestinesi hanno accampato come ostacolo alle trattative la decisione del ministro della difesa Barak di autorizzare il completamento di un centinaio di case, già approvate dal governo Olmert nell'insediamento di Beitar Ilit (articolo siglato pdm sulla Stampa). Il Mattino conferma che la prima visita all'esterno dei confini dell'Unione Europea del nuovo "ministro degli Esteri europeo", la laburista inglese baronessa Ashton sarà entro il mese a Gaza, insieme al segretario dell'Onu Ban-Ki-Mon: è un segno del profondo condizionamento della politica europea all'agenda della Conferenza Islamica. Un altro segno è la posizione del Commissario dei diritti umani del Consiglio d'Europa, lo svedese Thomas Hammarberg, ex esponente di Amnesty International, secondo cui il burka è un diritto delle donne e contrastarlo significa violare la privacy. Lo racconta Fiamma Nirenstein in un indignato articolo sul Giornale, che mi permetto di consigliare a tutti coloro che si fanno ancora qualche illusione sulla possibilità che qualcosa di buono possa venire dall'establishment europeo.Che ci sia una fondamentale cecità e un'incapacità di difendere i propri valori si ricava anche dall'inchiesta firmata da Gian Luigi Vecchi sul Corriere (e dall'intervista a Padre Federico Lombardi dello stesso giornalista che lo accompagna, sempre sul Corriere). Sono duecento milioni i cristiani sottoposti a persecuzioni negli stati islamici (e anche in India e nel Laos); a tratti la loro persecuzione appare non direttamente religiosa e legata a ragioni politico-economiche, come forse in questi giorni in Nigeria; altre volte, come in Iraq è evidente che c'è un tentativo di eliminare "il popolo della domenica" dopo aver espulso "il popolo del sabato". Ma " 'L'occidente laico sembra non capire', considera Luis Sako, vescovo caldeo di Kirkuk", dove la persecuzione è sistematica. Forse è troppo impegnato a difendere l'islam dalle invasioni della privacy riguardo al burka, dalle vignette su Maometto o dai fimati di Wilders.Da leggere infine sul Sole, per coloro che pensano che l'autodifesa di Israele sia poco rispettosa dei diritti umani delle vittime, la descrizione di Daniela Raveda del lavoro di un tal capitano Nelson, dalle parti di Las Vegas (Usa) manovri con un joystick i droni che "secondo le stime della New American Foundation, un think tank di Washington, [...] hanno ucciso almeno 500 militanti e 250 civili tra il 2006 e la fine del 2009." (dove "militanti" al solito è una cattiva traduzione di "miliziani", cioè terroristi). Non risulta peraltro che nessun giudice Goldstone stia approntando un rapporto per accertare la violazione dei diritti umani o la sproporzionatezza dei mezzi militari usati. Ugo Volli,moked.it


Ajami non conquista l'Oscar, ma Waltz,il "cacciatore" di Tarantino, è l'attore più bravo

La sfortuna che da mezzo secolo persegue Israele agli Oscar ha colpito ancora e, mentre tre film con tema ebraico sono stati snobbati, il "Cacciatore di ebrei" è tornato a casa con un premio.L’Israeliano Ajami, un crudo film sulle tensioni arabo-israeliane in un quartiere misto di Jaffa, non è riuscito ad aggiudicarsi il premio per il miglior film straniero andato all’Argentino Il Segreto dei suoi Occhi (El Segreto de sus Ojos) diretto da Juan José Campanell.Anche le tre opere a tema ebraico in competizione per il miglior film - "Inglourious Basterds," "A Serious Man" e "An Education" - non ce l’hanno fatta. Quentin Tarantino ha anche perso nella sezione miglior regia, nonostante gli elogi per Inglorious Basterds, una brutale opera di fantasia nella quale una banda di soldati ebrei americani rimuove scalpi a soldati tedeschi e elimina i leader nazisti.A Inglorious Basterds, però, è andato il primo premio della serata, con il grandissimo attore austriaco Christoph Waltz (nell'immagine, il cui figlio, fra l'altro, è rabbino a Gerusalemme) vincitore della statuetta come miglior attore non protagonista grazie alla sua interpretazione di Hans Landa, il "Cacciatore di ebrei", l’agghiacciante e comicamente meticoloso colonnello tedesco responsabile della cattura dei soldati ebrei.“Oscar e Penelope, questo si che è un uber-Bingo”, ha dichiarato Waltz accettando il premio, riferendosi alla statuetta presentatagli dalla sensuale Penelope Cruz e citando una delle battute del film.Anche Steve Martin, il conduttore della serata, è riuscito a far ridere il pubblico con un sketch su Hans Landa all’inizio della cerimonia: “Hai interpretato un nazista ossessionato dalla caccia agli ebrei in Inglorious Basterds”, ha detto Martin e, aprendo le braccia verso il pubblico, "Beh Christoph…qui hai trovato una miniera d’oro!” (riferendosi alla grande quantità di ebrei presenti in sala).Questa è stata la terza edizione consecutiva degli Oscar nella quale un film israeliano candidato al premio per il miglior film straniero è tornato a mani vuote - i film sulla guerra del Libano, Beaufort e Walzer con Bashir, erano considerati i favoriti prima di essere scartati rispettivamente nel 2008 e nel 2009.Ajami è una coproduzione tra due giovani cineasti israeliani, Scandar Copti, un arabo-cristiano, e Yaron Shani, ebreo. È stato campione d’incassi della passata stagione cinematografica in Israele.Poche ore prima della cerimonia degli Oscar, Copti ha dichiarato di non voler rappresentare Israele.“Non faccio parte della nazionale israeliana quindi non rappresento Israele”, ha detto Copti in un’intervista al Canale 2. “È una questione tecnica. Funziona così agli Oscar. È Israele perché i fondi vengono da lì. C’è un regista palestinese e uno israeliano, attori palestinesi e attori israeliani. Il film tecnicamente rappresenta Israele, ma io non rappresento Israele”.Limor Livnat, ministro della Cultura e dello Sport, aveva criticato le osservazioni di Copti: “Il film Ajami è stato prodotto e nominato agli Oscar grazie ai fondi stanziati dallo Stato d’Israele, fondi dei quali adesso Scandar Copti sembra dimenticarsi", ha detto Livnat. “Ma senza l’aiuto dello Stato, questa sera Copti non camminerebbe sul tappeto rosso”.Rocco Giansante, moked.it


cimitero ebraico a Pitigliano

Il duello sulla beatificazione di Pio XII vede protagonisti a New York un ebreo e un cattolico, a parti invertite. L'ebreo è Gary Krupp, titolare di una fondazione di Long Island che da quando venne dichiarato "cavaliere" da Giovanni Paolo II ha dedicato tempo, fatica e risorse per raccogliere prove sul "salvataggio di 860 mila ebrei da parte di Pio XII durante la Seconda Guerra Mondiale". Il cattolico invece è il prete John Pawlikowski, fra i fondatori del Museo dell'Olocausto a Washington, che dedica tempo, fatica e risorse a convincere il Vaticano a "non associarsi alla assai dubbia competenza di Krupp sull'argomento". Solo in America. Maurizio Molinari, moked.it




Gerusalemme - università


SALUTE: FAZIO INCONTRA ALLO SPALLANZANI OMOLOGO ISRAELIANO LITZMAN

(ASCA) - Roma, 9 mar - Il ministro della Salute, Ferruccio Fazio, ha avuto oggi un lungo e cordiale incontro con il ministro della Salute israeliano, Yakov Litzman.Il colloquio si e' svolto presso l'Istituto Nazionale per le Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani, fornendo cosi l'opportunita' anche per una visita all'Unita' di Alto Isolamento, che rappresenta un centro di eccellenza nel trattamento delle patologie infettive derivanti ad esempio da possibili eventi bioterroristici.Al centro del colloquio tra i ministri Fazio e Litzman le nuove opportunita' di collaborazione sanitaria tra i due Paesi apertesi con il Piano di Azione Bilaterale firmato in occasione del vertice Italo Israeliano del 2 febbraio scorso.Tra i settori di collaborazione piu' direttamente approfonditi tra i due ministri le emergenze sanitarie sulle malattie trasmissibili, la qualita' della cure ospedaliere, una piu' ampia presenza di medici italiani in Israele, progetti di assistenza sanitaria attraverso servizi di telemedicina e il settore della salute infantile.


Metallica, biglietti a peso d'oro per lo showDura protesta su Facebook: la band cede

Il gruppo si esibisce in Israele dopo 10 anni di assenza. Due fan scatenano il putiferio per i prezzi. E vincono
MILANO - Facebook contro i Metallica: 116 euro a biglietto per un concerto del leggendario gruppo statunitense è sembrato troppo caro anche ai fan più agguerriti. E poco importa se la rock band si esibisce per la prima volta dopo ben dieci anni in Israele. Su Facebook un gruppo di utenti ha dato sfogo alla protesta. Con successo.DOPO DIECI ANNI - Con le loro caratteristiche sonorità dure e molto veloci, i Metallica sono tra gli artefici della musica metal. Il gruppo conta milioni di fan di ogni età, sparsi per il globo. Non sorprende dunque se le date del "World Magnetic Tour", partito a inizio anno dal Messico, è pressoché già sold out. La band, in attività da quasi trent'anni, si esibirà il 22 maggio prossimo nello stadio Ramat Gan di Tel Aviv, dopo dieci anni di assenza dal Paese. Tuttavia, il biglietto d'ingresso per l'atteso concerto non è affatto andato giù ai sostenitori del gruppo americano.LA PROTESTA ONLINE - Il biglietto meno caro costa 116 euro: troppo per due fan israeliani, Tomer Mussman e Rotem Horovitz. Hanno fondato un gruppo di protesta sul noto social network per boicottare lo show e nel giro di pochi giorni quasi 10mila utenti hanno aderito all'iniziativa "Boycott Metallica’s Israel show!". La notizia ha avuto grande eco ed è stata ripresa in breve tempo dai maggiori media musicali. Una pubblicità potenzialmente negativa che ha fatto fare marcia indietro al management dei "Four Horsemen". Uno degli organizzatori dell'evento israeliano, Gad Oron, ha immediatamente invitato i simpatizzanti a cessare il boicottaggio del concerto. Aggiungendo tuttavia: «Il prezzo dei biglietti è stato nel frattempo ridotto».PAPERONI DEL ROCK - Risultato: ora il ticket meno caro costa l'equivalente di circa 60 euro. «Cari amici, sto ancora tremando dalla gioia - ha scritto Mussman su Facebook -. Dopo una campagna di pochi giorni, l'interesse mediatico in tutto il mondo e migliaia di utenti che hanno aderito, ce l'abbiamo fatta: abbiamo vinto!». Ciononostante, persistono ancora numerose voci critiche in rete: con 192 euro per il biglietto più caro, i prezzi per i concerti dei Metallica restano troppo alti. Una conferma arriva anche dalla recente classifica "Money Makers" stilata dalla rivista Billboard. I Metallica risultano essere tra i paperoni della musica: nel 2009 hanno visto entrare nelle loro casse ben 25 milioni. In vetta alla classifica degli artisti più ricchi del mondo musicale, calcolata non solo sui dischi venduti ma anche sugli introiti totali degli artisti dai concerti al merchandising, restano saldi gli U2 con 109 milioni di dollari di incassi. 9 marzo corriere.it


EGITTO, RESTAURATA SINAGOGA MAIMONIDE

(ANSA) - TEL AVIV, 8 MAR - "Un risultato stupefacente: un restauro di grandissima bellezza, non bastano le parole per descriverlo": in questi termini l'inviata del quotidiano Yediot Aharonot al Cairo descrive la "resurrezione" della sinagoga del filosofo medievale Maimonide, dopo anni di lavoro di ricostruzione finanziati dal governo egiziano. Ieri i membri della minuscola comunità ebraica locale vi hanno celebrato una prima funzione, assieme con religiosi giunti per l'occasione da Israele. La riapertura ufficiale della sinagoga, nel rione ebraico della Città vecchia del Cairo, avrà luogo fra una settimana. Secondo l'inviata del giornale israeliano, il restauro dell'edificio "ha il sapore di un miracolo", visto che per molti anni era in stato di abbandono ed era ormai privo del tetto. Per recuperare l'antico splendore, aggiunge, le autorità egiziane hanno investito oltre due milioni di dollari. Nato in Spagna nel 1138, il rabbino-filosofo e medico Maimonide (Moshé Ben Maimon) morì al Cairo nel 1204, dopo aver acquisito grande fama non solo nel mondo ebraico, ma anche in quello cristiano e in quello islamico del tempo. In seguito la sua sinagoga sarebbe divenuta, nell'immaginario popolare, anche un luogo portentoso: al punto che, scrive Yediot Ahronot, lo stesso re d'Egitto Fuad vi volle trascorrere una nottata per vincere i malori che lo affliggevano. (ANSA).


Cafarnao rovine antica sinagoga

Turchia: sisma, respinta offerta israeliana di aiuto

Gerusalemme, 8 mar. - (Adnkronos/Aki) - Dopo il sisma di magnitudo 6 sulla scala Richter che stamani ha colpito la provincia di Elazig, nella Turchia orientale, Ankara ha respinto un'offerta di assistenza arrivata da Israele. E' quanto si legge sul sito Ynet, in cui si precisa che dopo il terremoto il ministro israeliano della Difesa Ehud Barak aveva dato istruzioni all'apparato della Difesa affinche' mettesse a punto un piano di assistenza e aiuti per la Turchia.
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vita in kibbutz

La sinagoga del filosofo medievale Maimonide riprende vita
Tel Aviv, 8 mar -“Ha il sapore di un miracolo”, "E' un risultato stupefacente: un restauro di grandissima bellezza, non bastano le parole per descriverlo", con queste frasi l'inviata del quotidiano israeliano Yediot Aharonot al Cairo descrive la "resurrezione" della sinagoga del filosofo medievale Maimonide. Dopo anni di lavoro e di ricostruzione, finanziati dal governo egiziano, l'antica sinagoga riprende vita. Ieri i membri della piccola Comunità ebraica locale vi hanno celebrato una prima funzione, assieme con religiosi giunti per l'occasione da Israele. La riapertura ufficiale della sinagoga, nel rione ebraico della Città vecchia del Cairo, avrà luogo fra una settimana. L'investimento delle autorità egiziane per i lavori è stato di oltre due milioni di dollari.
Biden in Israele: “L'Iran, una minaccia anche per gli Stati Uniti”
Tel Aviv, 8 mar -Il vicepresidente degli Stati Uniti Joe Biden comincia oggi la sua visita di tre giorni in Israele e nei Territori palestinesi. In un'intervista al quotidiano israeliano Yediot Ahronot parla del pericolo della minaccia iraniana. “Se i programmi nucleari iraniani fossero coronati da successo - ha notato - ne risentirebbe la stabilità regionale”, e ancora: "Un'Iran che fosse dotata di armi atomiche rappresenterebbe una minaccia non solo per Israele, ma anche per gli Stati Uniti”, anche per questo l'America annette dunque "un senso di urgenza" alle consultazioni internazionali su nuove sanzioni nei confronti dell'Iran. Biden ha comunque fatto notare a Yediot Ahronot che gli sforzi degli Stati Uniti di "gettare ponti" verso il mondo islamico, e segnatamente la Siria, possono risultare di beneficio anche per Israele. Il vicepresidente ha poi ribadito la necessità di rilanciare con vigore negoziati israelo-palestinesi anche per evitare che si crei un vuoto diplomatico "che andrebbe a beneficio solo degli estremisti". Biden ha infine lodato la moratoria temporanea dei nuovi lavori di espansione nelle colonie israeliane in Cisgiordania annunciata lo scorso novembre dal premier israeliano Benyamin Netanyahu. "Non è tutto quello che volevamo - ha concluso - ma si tratta comunque di una operazione importante con riflessi significativi sul territorio".moked.it


I fatti non parlano da soli

Da poco è stata lanciata in Israele una nuova campagna del Ministero dell’Informazione che questa volta, per andare subito al punto, ha fatto vedere ai giornalisti della stampa estera alcuni spot: il sunto del modo in cui trasmettono nel mondo l’immagine di Israele. L’ironia non è stata compresa, la satira non è stata colta. Per questo sarebbe infatti necessaria una autocritica - almeno qualche briciola - che i giornalisti presenti sembra non abbiano avuto.Ma evidentemente il problema è ben più complesso e profondo. Non si tratta solo di cattiva informazione. La realtà, si sa, sta nel racconto che l’articola e la dice. Nessuno può credere che il “fatto” parli da sé. Chi lo pretende è già sospetto: spaccia la sua interpretazione per l’unica obiettiva, cerca di totalizzare la verità. Il “newsmaker” interpreta già selezionando una notizia piuttosto che un’altra. Perfino l’immagine, nella sua apparente certezza, può svolgere funzioni diverse, a seconda del contesto in cui è inserita, e può essere mostrata, con una sapiente regia, per mostrare l’opposto di quello che dovrebbe (il caso gravissimo dell’assassinio in diretta del piccolo Mohammed Al-Durah di cui furono mostrati solo 55 secondi su 26 minuti e fu accusato ingiustamente l’esercito israeliano è paradigmatico).Quel che colpisce è che da quando, con la mondializzazione, la questione ebraica è diventata una questione planetaria, Israele viene sistematicamente escluso dalla narrazione delle vicende del mondo. D’altra parte, il racconto che l’opinione internazionale sembra aver adottato sul conflitto mediorientale, e soprattutto su Israele, è monocorde. Le stesse voci raccontano dalla loro prospettiva (in buona o in mala fede) la loro storia, e raccontando la consolidano. Il risultato è l’unanimità, il consenso generale, la totale concordanza. E Israele? Del paese, della gente, della vita quotidiana, della scuola, dell’università, del sistema sanitario, viene detto poco o nulla. Come vivono gli israeliani, quali problemi hanno, che cosa pensano - quasi nessuno in Europa lo sa. La prospettiva del giornalista, dell’inviato o del reporter, raramente è interna. Dal confine esterno, tra un po’ di soldati e qualche carro armato, si racconta dal di fuori. È stato questo il monito ironico degli spot indirizzati alla stampa estera. Il racconto monolitico si è imposto al punto che è divenuto perfino inimmaginabile che ci possa essere una visione ebraica che non sia una semplice reazione emotiva. Non è un caso che si lascino parlare quasi esclusivamente alcuni scrittori. Ma la narrazione del popolo ebraico nel suo complesso è messa al bando. Non c’è posto per un dialogo in cui potrebbe articolarsi. Negando questa narrazione si finisce però per negare anche l’esistenza di chi dovrebbe narrare e non può, cioè di Israele.Donatella Di Cesare, filosofa



Otto marzo, festa internazionale della donna

Già da alcuni anni, gli storici (ho presente un bell'articolo di Giulia Galeotti, ma altri ne hanno scritto) hanno sfatato il mito che la giornata, celebrata per la prima volta nel 1909, sia stata istituita per commemorare un terribile rogo di operaie che sarebbe avvenuto l'8 marzo 1908 nella fabbrica Cotton di New York. La fabbrica Cotton non è mai esistita, il rogo non c'è stato, si tratta solo di una leggenda fondativa, simile a tante altre nella storia, nate dal bisogno di ancorare una ricorrenza generale, quella delle donne, a fatti storici concreti, in questo caso avvolti in un'aura di martirio. In realtà, un rogo c'è stato, ma nel 1911, il 25 marzo per l'esattezza, quello della Triangle Factory, anch'essa una fabbrica tessile. Vi morirono 146 operai, uomini e donne, non solo donne quindi. Erano per la maggior parte immigrati, italiani ed ebrei dell'Est Europa, molte erano le donne. Che questa memoria, successiva alla prima celebrazione della giornata, sia confluita in quella falsa di un rogo mai avvenuto, è evidente. Ma pensavo a quegli operai tessili, uomini e donne, ma tante donne, e tanti di loro ebrei immigrati dalla Russia, persone che avevano lasciato il loro mondo, per venire a popolare le Americhe, per importare a New York libri e giornali in yiddish, per lavorare nelle industrie tessili della città, sindacalizzarsi, scioperare. Ne abbiamo le foto, conosciamo come vivevano, qual'era il loro universo di immigrati trasformati in operai di fabbrica. In Italia non c'è stata immigrazione dall'Est, o quasi. Non c'è stato la proletarizzazione degli immigrati, così importante a New York, Londra, Parigi. E ho la sensazione che il mondo ebraico italiano poco ci rifletta, su questa sua differenza. Forse varrebbe la pena di pensarci, magari in occasione proprio dell'otto marzo. Anna Foa, moked.it

lunedì 8 marzo 2010


Babbo Natale a Gerusalemme

MO: negoziati Israele-Anp, Barak riceve Mitchell

George Mitchell, l'emissario del presidente Barack Obama per il Medio oriente, ha iniziato stasera una nuova spola israelo-palestinese con un colloquio a Tel Aviv con il ministro della difesa Ehud Barak. 06/03/10, http://www.bluewin.ch/
Tema dell'incontro, a quanto pare, un prossimo annuncio relativo all'avvio di negoziati indiretti ("proximity talks") fra Israele e l'Autorità nazionale palestinese di Abu Mazen. Domani Mitchell sarà ricevuto a Gerusalemme dal primo ministro Benyamin Netanyahu. L'annuncio ufficiale della ripresa dei negoziati fra Israele e Anp potrebbe giungere nei prossimi giorni, con l'arrivo nella zona del vicepresidente degli Stati Uniti Joe Biden. Intanto 1500 attivisti di sinistra, ebrei ed arabi, sono convenuti stasera nel rione di Sheikh Jarrah di Gerusalemme est per protestare contro il recente insediamento di alcune famiglie ebraiche. Autorizzata dalla Corte Suprema di Gerusalemme, la manifestazione di protesta si è svolta finora senza incidenti, seguita da vicino da un imponente servizio di ordine della polizia, mentre alcune centinaia di zeloti ebrei scandivano a loro volta slogan nazionalistici. Intanto scontri fra reparti della polizia israeliana e dimostranti palestinesi sono stati segnalati invece, sempre a Gerusalemme est, nel vicino rione di Issawieh e nel campo profughi di Shuafat. Non si segnalano vittime.


Corsi di ebraico per gli universitari egiziani

Sono otto le università egiziane che nel presente anno accademico hanno attivato un corso di insegnamento di lingua ebraica. Fa specie che nel paese di Nasser sia tanto comune l'apprendimento della lingua del nemico, Israele. Eppure oltre 2000 studenti, ogni anno, imparano l'ebraico. “È la lingua del futuro, dicono. Non si può ignorarla”. Certo non è facile per un giovane, nella società egiziana, giustificare la propria decisione d'imparare l'ebraico. Emblematico il caso di Ahmed, figlio di un generale egiziano nella seconda metà degli anni '60. “Perché vuoi parlare con quelli che cercavano di uccidermi?”, gli ha chiesto suo padre. “Che rapporti vuoi avere con i nostri nemici?”. Nemico, Israele è percepito ancora così dalla popolazione egiziana, ovviamente in modo proporzionale all'età. Tra i più vecchi quasi tutti possono vantare un caro ucciso dall'“esercito sionista”. La normalizzazione delle relazioni politiche e culturali con lo Stato ebraico è ancora un tabù. Cosa può rispondere Ahmed a suo padre? “Io sono giovane, non ho mai conosciuto la guerra con Israele. So solo che noi egiziani intratteniamo relazioni economiche reciprocamente fruttuose con Israele, che gli scambi tra i nostri paesi sono anche culturali, che politicamente parlando mi sembra, per l'Egitto, molto più minaccioso l'Iran che Israele”. Sono dunque i giovani gli incaricati di superare le reticenze e le diffidenze così diffuse nelle generazioni che li hanno preceduti. Ma questo “vale da entrambi i lati del Sinai”, dice Ahmed. Ahmed lavora in un call-center del gigante informatico americano Xceed. Dal suo ufficio del Cairo riceve telefonate da Gerusalemme, Tel Aviv, Ashqelon, Beer Sheva.... Israeliani con problemi tecnici al computer. Il suo ebraico ormai è tanto fluente da ingannare i madrelingua, ma quando capita che venga fuori che è egiziano, dal capo israeliano del filo del telefono o c'è incredulità: “Ma come, hai imparato l'ebraico al Cairo?”; oppure si erge un vero e proprio muro di diffidenza nei confronti di Ahmed. “Non vogliono parlare con un egiziano -spiega- "inoltre devo farmi chiamare Adam: per molti Ahmed è quasi sinonimo di bombarolo”.Allora, forse, è davvero la generazione post muro di Berlino quella incaricata di abbattere vecchie, anacronistiche barriere, di cui neanche comprende più il senso. In Europa come in Medioriente. Quella generazione di egiziani che dice: “l'ebraico è la lingua del futuro”. Una generazione che ha avuto la fortuna di non conoscere le guerre dei suoi padri, che, priva di preconcetti, può valutare quanto la conoscenza dell'ebraico (una lingua come un'altra, non quella del diavolo), sia merce preziosa sul mercato del lavoro egiziano. Nel call center di Ahmed, per esempio, è fondamentale. Ma poi nel settore del turismo, ché gli israeliani viaggiano molto. Al Ministero degli Affari esteri, dell'informazione. Nel mondo della radiotelevisione e della stampa. Nella produzione agricola, perfino, poiché la tecniche d'avanguardia sono importate da Israele. Una buona conoscenza dell'ebraico, al Cairo, vuol dire un buon posto di lavoro assicurato. E in tempi di crisi, i giovani lo sanno, non è il caso di fare gli schizzinosi. Manuel Disegni. http://www.moked.it/


ISRAELE: TRIBU' PERDUTE, I LEMBA DELLO ZIMBABWE. ESPONGONO AD HARARE UN 'FRAMMENTO DELL'ARCA SANTA'
(ANSA) - TEL AVIV, 6 MAR - I MEMBRI DI UNA TRIBU' AFRICANA CHE RITIENE DI AVERE LONTANE RADICI EBRAICHE, I LEMBA, SONO TORNATI SOTTO LE LUCI DELLA RIBALTA IN QUESTI GIORNI ESPONENDO AD HARARE, NELLO ZIMBABWE, UN ANTICO ARTEFATTO DI LEGNO CHE SAREBBE - SECONDO QUANTO AFFERMANO - UN FRAMMENTO DELL'ARCA SANTA DEL POPOLO EBRAICO. OSSIA DELL'ARCA DOVE, COME NARRA LA BIBBIA, FURONO A LUNGO CUSTODITE LE TAVOLE CON I DIECI COMANDAMENTI DATI DA DIO A MOSE' SUL MONTE SINAI. LA STAMPA AFRICANA SCRIVE CHE LA RELIQUIA ERA ANDATA DISPERSA MOLTI ANNI FA E CHE SOLO DI RECENTE E' STATA RECUPERATA IN UN MAGAZZINO DI HARARE. DA TEMPO I LEMBA SUSCITANO L'INTERESSE DI MOLTI RICERCATORI CHE NEI LORO RITI E NELLE LORO CONVINZIONI RELIGIOSE RITENGONO DI AVER SCOPERTO TRACCE DI EBRAISMO ARCAICO. FRA QUESTE, IL DECISO MONOTEISMO; IL DIVIETO DI CIBARSI DI CARNE DI MAIALE E ANCHE (COME NELL'EBRAISMO) DI CUCINARE ASSIEME CARNE E LATTE; LA CIRCONCISIONE DEI FIGLI E LE STELLE DI DAVIDE, A SEI PUNTE, SPESSO INCISE SULLE LAPIDI NEI CIMITERI. LA STORIA ORALE DEI LEMBA AFFONDA LE RADICI IN EPOCHE REMOTE QUANDO - SI NARRA - EBREI DELLA GIUDEA SI TRASFERIRONO NELLO YEMEN E DA LA' PROSEGUIRONO I LORO SPOSTAMENTI FINO IN AFRICA. GLI AFRICANI PIU' NOTI DI ORIGINE EBRAICA SONO I FALASHA (BEITA ISRAEL), MOLTI DEI QUALI SONO NEL FRATTEMPO IMMIGRATI DALL'ETIOPIA IN ISRAELE CON DUE PONTI AEREI. MA ANCHE IN UGANDA I MEMBRI DI UNA TRIBU' RITENGONO DI AVERE DISCENDENZE EBRAICHE: COME I LEMBA (70 MILA ANIMA IN TUTTO), FRA I QUALI SAREBBE STATO RINVENUTO UN CROMOSOMA CARATTERISTICO DEI DISCENDENTI DI ARONNE E DEI SACERDOTI DEL TEMPIO DI GERUSALEMME. LA QUESTIONE DELLE 'TRIBU' PERDUTE' DEL POPOLO EBRAICO, SECONDO QUANTO TRAMANDATO INIZIO' 3.000 ANNI FA CON LA SCISSIONE FRA IL REGNO DI GIUDEA, IN CISGIORDANIA MERIDIONALE, DOVE VIVEVANO LE TRIBU' DI YEHUDA, BENYAMIN E SHIMON, E IL REGNO DI ISRAELE, PIU' A NORD, DOVE SI TROVAVANO ALTRE NOVE TRIBU' (ZEVULUN, ISSASCAR, ASHER, NAFTALI, DAN, MENASHE, EFRAIM, REUVEN, GAD). NEL 722 A.C. LE TRIBU' DEL REGNO DI ISRAELE FURONO FATTE PRIGIONIERE DAGLI ASSIRI, ED INIZIO' COSI' LA LORO DISPERSIONE NEL MONDO. TRIBU' CHE SOSTENGONO DI AVER LONTANE RADICI EBRAICHE SONO STATE SEGNALATE DI VOLTA IN VOLTA IN LOCALITA' REMOTE COME AFGHANISTAN, CINA E INDIA. CENTINAIA DI MEMBRI DI UNA TRIBU' INDIANA, I BNEI MENASHE, SI SONO IN QUESTI MESI STABILITI IN ISRAELE, COME PRIMA AVANGUARDIA DI UNA ONDATA MIGRATORIA CHE IN FUTURO POTREBBE ESSERE PIU' VASTA.


Etnia di appartenenza. No indicazione su carta d'identita'. Appello

Basta con l'indicazione obbligatoria di appartenenza etnica ('ebreo', 'arabo', 'russo' o altro) sui documenti d'identita': chi lo vuole, deve avere il diritto di presentarsi soltanto come cittadino 'israeliano', senza distinzioni ulteriori. E' questa la richiesta presentata ieri da un gruppo di intellettuali laici alla Corte suprema d'Israele e dichiarata ammissibile in attesa di un giudizio di merito.L'iniziativa e' promossa dall'associazione 'Io sono Israeliano', in aperta polemica con la destra religiosa e nazionalista del Paese. Secondo i firmatari del ricorso, l'insistenza di quest'ultima sulla natura ebraica dello Stato sionista rischia di comprometterne le credenziali democratiche.Mentre l'eccessiva sottolineatura delle distinzioni fra un gruppo etnico e un altro minaccia di indebolire l'unita' del Paese e di giustificare la creazione di ghetti. 'E' assurdo che Israele sia quasi l'unico Stato al mondo che non riconosca l'esistenza di un popolo israeliano propriamente detto, rifiutando ai suoi cittadini di qualificarsi semplicemente come tali', ha denunciato fra gli altri l'accademico Uzi Ornan. Nel nostro Paese - gli ha fatto eco Yoela Harshefi, avvocato dell'associazione - ci si puo' dichiarare 'persino di nazionalita' o etnia sconosciuta, ma non israeliano'.I registri di stato civile, in Israele, prevedono secondo consuetudine l'indicazione tassativa di appartenenza a una comunita' etnico-nazionale. Oltre 5 dei circa 7 milioni di abitanti del Paese risultano cosi' essere 'ebrei', mentre coloro registrati come 'arabi' (musulmani o cristiani) sono 1,2 milioni e circa 300.000 sono quelli che si dichiarano 'russi' tra i familiari non ebrei degli immigrati dall'ex Urss. 5 marzo 2010, http://immigrazione.aduc.it/