giovedì 1 settembre 2011


Doveva essere un lipdub, è invece un VIDEOCLIP della vita nella Comunità ebraica di Verona, per la Giornata Europea della Cultura Ebraica GECE 2011!
Cliccate:
http://www.youtube.com/watch?v=pqzJmi_aVPc


AARON APPELFELD L’AMORE, D’IMPROVVISO

(Titolo originale Pitom Ahavah, 2003)

Trad. Elena Loewenthal, Ugo Guanda Editore S.p.A., 2011, pp. 240 €. 16.50

Un canto a due voci. Così potrebbe essere definito il romanzo L’amore, d’improvviso dello scrittore israeliano Aharon Appelfeld, pubblicato in Patria nel 2003 e uscito da ultimo presso Guanda Editore, con l’affascinante traduzione di Elena Loewenthal.Una vicenda semplice all’apparenza, in realtà complessa e sofferta come tutte le autentiche storie d’amore, intrecciata in una trama fitta dove, in filigrana, ritrovi tanti riferimenti all’Autore, dal punto di vista sia delle esperienze vissute, che delle modalità espressive da lui adottate.Ernest e Irena, questi i nomi dei protagonisti. Ernest (Blumenfeld) ha 70 anni, è un consulente finanziario in pensione. Arruolatosi nell’Armata Rossa durante la Seconda Guerra Mondiale, lascia la natìa Czernowitz, in Bucovina (attuale Ucraina); successivamente approda in Italia, indi, da lì, giunge in Israele su una nave di profughi. Nel Paese d’origine ha perduto tutta la sua famiglia. Uomo ancora piacente, è peraltro reduce da un grave intervento chirurgico, necessita di assistenza. La sua strada s’incrocia con quella della giovane Irena, di origine tedesca, da lui assunta come governante. Le si rivolge in tedesco, lingua materna per entrambi. Malgrado, ad un certo punto, per Ernest -come del resto per Aharon e per tanti, tanti altri- fosse divenuta il linguaggio degli assassini e degli oppressori, essa è pur sempre la lingua materna, quella “in [cui] parlavo con i miei genitori…..in questa lingua ho letto i miei primi libri, e solo in questa lingua ho la forza di scrivere”. Tuttavia a volte scappa l’esclamazione in yiddish; e può pure accadere che due o tre frasi in ebraico tentino di far valere i loro diritti.Anzi, a proposito del linguaggio dei Padri, l’A. ci dice che Ernest ammette tra sé e sé, di invidiare tutti coloro che il destino ”ha reso degni dell’antica lingua ebraica, nelle cui radici è posta l’essenza primigenia…l’ebraico è il Monte Nebo cui [Blumenfeld] non arriverà mai e tuttavia non passa giorno senza un capitolo della Bibbia…”.Irena ha la metà dei suoi anni. E’ nata dopo la Liberazione in un campo di smistamento presso Francoforte da madre e padre ebrei molto religiosi, ai quali è rimasta profondamente legata anche dopo la loro morte. All’inizio della nostra storia lavora presso Ernest da circa due anni.Alla sera torna al vicino quartiere Qatamon di Gerusalemme, nella casa dove era cresciuta e vissuta sempre; ancora tanto piena della presenza dei genitori, al punto che ella, una volta al mese, estrae dall’armadio, nel quale sono riposti, i loro vestiti per metterli in ordine ed essere così partecipe di quella vita, pur inanimata.E’ piccola, timida e silenziosa; anzi Ernest, all’inizio, è quasi infastidito dalla sua riservatezza; poi comincia ad abituarsi a tale insolita presenza. Ella aveva frequentato a suo tempo le scuole medie inferiori, riprendendo gli studi solo in anni successivi per iscriversi ad un corso dedicato alle infermiere ausiliarie; tuttavia, malgrado la limitata cultura scolastica “…quel poco che le usciva dalla bocca veniva da lei, dalla sua interiorità, e le sue parole avevano un fascino discreto”. Il servizio presso Ernest la occupa sempre di più, anche dal lato psicologico. “Come posso alleviare le sofferenze di questo principe?” si domanda ad un certo punto alludendo ai tormenti di lui. Ben presto Irena comprende che il problema, il campo di battaglia di Ernest è la scrittura. Egli, dopo essersi ritirato dall’attività lavorativa, aspira a diventare un vero scrittore, non intende restare uno scribacchino dilettante. E’ puntiglioso, insoddisfatto; ha scritto ben tre libri, da lui non ritenuti degni di essere pubblicati e perciò distrutti. E’ dotato di forte senso critico, capace di restare ore su una frase o una parola. “A volte lui parla della sua scrittura, delle tante notti spese a scavare pozzi sbagliati…Per anni [riflette] non ho capito che erano pozzi aridi ”.Dedica alla sua passione/tormento diverse ore della giornata e, per lo più, le notti. Notti terribili, popolate dai fantasmi del passato, in primo luogo dei genitori. Ernest si era distaccato giovanissimo da loro, piccoli commercianti ebrei, molto legati alle tradizioni, ma professate e vissute senza quella gioia indispensabile per coinvolgere il prossimo. Due coniugi silenziosi e riservati; tanto che il ragazzo ben presto si era creato un suo mondo interiore attraverso la lettura, praticata non solo in tedesco, ma anche in rumeno e talora in francese. Il doloroso distacco era avvenuto in modo definitivo verso i diciassette anni, ma era iniziato cinque anni addietro con l’adesione di lui al Partito Comunista. Il rapporto non risolto con i genitori (uccisi dai soldati romeni, efficienti complici dei tedeschi) è causa di profondo dolore per il protagonista poiché gl’impedisce di guardare alla vita con serenità, liberando quelle possenti energie che egli sente dentro di sé e che vorrebbe esprimere con la scrittura, ma non vi riesce, poiché esse giacciono in fondo ad un abisso di dolore e di disperazione. Il potere dei ricordi è forte anche in Irena: la sua fantasia era fervida durante la prima giovinezza, tanto da immaginare con dovizia di particolari il mondo in cui erano vissuti i nonni (uccisi dai tedeschi), ovviamente mai conosciuti. Ma la madre, intimorita da quel talento (“Proibito immaginare. Chi ha troppa fantasia finisce per diventare bugiardo”), aveva fatto di tutto per tarparglielo. Malgrado risieda in Israele da tanti anni, si sente ancora come una profuga. Ricerca la storia dei genitori, i quali ben poco le hanno raccontato. “..Se avesse saputo quello che [essi] avevano passato, li avrebbe amati ancora di più. Le persone che sono state ad Auschwitz bisogna portarle in palmo di mano e amarle mattina, pomeriggio e sera…si disse una volta…” Affronta con impegno gli scritti di importanti testimoni (come Primo Levi), sia per far propria la tragedia della Shoah, sia perché immagina che tali letture l’aiutino a comprendere meglio gli sforzi di Ernest. Qual è il legame che unisce i due protagonisti?L’equilibrio interiore e il totale coinvolgimento di lei nella creazione letteraria di lui, uniti ad un clima di serenità costruito giorno dopo giorno dalla donna con amore ed attenzione, la capacità d’immedesimazione di Irena, rimasta profondamente legata ai propri genitori, portano Ernest a riannodare i fili con il passato “..Mi restituisci i miei genitori”, le confida, esprimendo così la gioia di quel ritrovarsi, nonostante la differente sensibilità che l’aveva separato da loro, persone cariche di scetticismo, malinconia e di una (almeno apparente) estraneità nei confronti del figlio.Il protagonista riesce così a raggiungere, tappa dopo tappa, quella prosa chiara ed essenziale, caratteristica di Appelfeld, e a diventare uno scrittore autentico, poiché ha “scoperto una fonte d’acqua viva che sgorga dentro di sé”. Ritornano il mondo magico dei Carpazi, le vacanze estive negli anni dell’infanzia presso Nonno e Nonna, figure indimenticabili, ricche di umanità e fede, l’armonia tra esseri umani e animali, dove i secondi non venivano mai sfruttati, né vessati dai primi; e senza dimenticare l’antigiudaismo spontaneo, certo alla fine odioso, ma talvolta quasi privo di malizia, emergente qua e là tra i contadini cristiani. Un Universo distrutto dal Male, ora riguadagnato al suo cuore. Miracoli dell’amore contro gli spiriti maligni della vecchiaia e della malattia inesorabile che non dà tregua, combattuta però con costanza e decisione proprio grazie alla scrittura, la battaglia contro l’Angelo della Morte che sembra attendere in agguato dietro la finestra, pronto ad assumere, di volta in volta, sembianze di persone diverse, per lo più portatrici di frasi inopportune. Il romanzo, scandito secondo capitoli brevi, ben scolpiti nella memoria perché espressi in uno stile scorrevole e coinvolgente, si sviluppa in una prosa limpida, ricca di sfumature, come quella conquistata dal protagonista, ed è una Summa della poetica espressa da Appelfeld.Vi ritrovi infatti i filoni a lui più cari. Il rapporto con la Scrittura -essa, si domanda l’A., che cos’è se non una lunga lettera d’amore?-, e, in primo luogo, la cura per le frasi brevi, il non indulgere con gli aggettivi, il saper apprezzare il Silenzio: “Durante la guerra non si parlava; nel ghetto e nel campo di concentramento solo coloro che impazzivano parlavano”.“Dietro ogni scrittura ci sono molte motivazioni: odio, rabbia, ideologia, necessità di liberarsi di qualcosa di traumatico; ma anche l’esigenza di dare quanto di meglio c’è in noi; cioè di raggiungere il massimo dell’umano che c’è in noi”. In un’intervista di alcuni anni fa Aharon dichiarava: “Non si può essere artisti senza l’ingenuità di un bambino, all’arte infatti viene richiesta una profondità mitologica primaria, il resto è accessorio, conseguente. La mia scrittura deriva da ciò che ho visto da bambino e la gran parte dei miei personaggi ha un legame col divino, magari inconsapevole”. A ciò si lega l’importanza, per la sua formazione, dello studio della Bibbia (ce n’è una eco nel romanzo, quando il quasi tredicenne Ernest conosce un anziano insegnante assunto dal padre per prepararlo al Bar Mitvah): la Bibbia, queste sono all’incirca le parole dello scrittore, elenca i fatti con un linguaggio all’apparenza minimalista, in grado di trasmettere il Divino senza parlarne in modo diretto. Un commovente ritrovarsi. Accanto a Ernest Irena comprende come scrivere sia “far riemergere cose dall’oblio” e per questo ella torna a leggere Per il tuo sangue la mia vita, il diario di Leib Rochman, un giornalista ebreo polacco, il quale, negli anni della guerra, insieme con la moglie Ester, la cognata Tziporah e il cognato Efraim, si era salvato da sicura morte perché una coraggiosa prostituta polacca, Ciotka (Zia), li aveva accolti nel suo appartamento, nascondendoli dietro ad una parete. La vicenda la ascoltai, insieme ad un folto pubblico, all’Università di Firenze il 27 Gennaio 2008 dalla viva voce di David Grossman in occasione del conferimento a questi della laurea honoris causa in “Studi Letterari e Culturali Internazionali”. In tale occasione indimenticabile David fece della vicenda di Rochman (della cui figlia Rivka è buon amico) il fulcro della sua lezione dottorale.Coincidenza, solo in apparenza banale, vuole che Aharon Appelfeld e David Grossman abitino entrambi a Mevaseret Tzion, la Messaggera di Tzion, una cittadina alle porte di Gerusalemme, ricca di verde, poesia, di pace. Anch’essa un sogno letterario.Mara Marantonio da www.angolodimara.com



HHhH IL CERVELLO DI HIMMLER SI CHIAMA HEYDRICH di Laurent Binet, Einaudi S.p.A., Torino , 2011, pp. 342, €.20,00.

Un giovane storico francese, Laurent Binet, ha scritto uno stupendo libro, a metà strada tra il saggio storico -assai documentato- e il romanzo autobiografico -profondo e suggestivo-. L’opera, uscita in Patria l’anno scorso per le Edizioni Grasset & Fasquel di Parigi, è valsa all’A. il “Prix Gouncourt du premier roman” 2010. Ora Einaudi lo fa conoscere al pubblico italiano con un titolo che riprende quello originario. Binet racconta che, quand’era adolescente, suo padre, storico a sua volta, gli parlò con grande partecipazione di un evento considerato come il colpo più importante realizzato dalla Resistenza europea: l’attentato, effettuato a Praga la mattina del 27 maggio 1942, che costò la vita a Reinhard Heydrich, Reichsprotektor (ad interim) di Boemia e Moravia dal 27 settembre 1941, il braccio destro di Heinrich Himmler; in realtà suo autentico ispiratore. L’attentato (chiamato significativamente in codice “Operazione Antropoide” per rimarcare il fatto che l’individuo obiettivo dell’azione nulla aveva di umano, tranne l’aspetto) fu opera di due partigiani -il primo slovacco, il secondo ceco: Jozef Gabčik e Jan Kubiš-, due paracadutisti inviati dalla Resistenza cecoslovacca in esilio -con sede a Londra- per uccidere colui che veniva soprannominato “La Bestia Bionda” o “il Boia di Praga”. Il piano aveva il totale appoggio del Governo britannico, guidato da Winston Churchill. Fino al giorno della sua uccisione (muore il successivo 4 giugno) tutti gli eventi più tragici per i quali i nazisti sono passati alla storia vedono Heydrich come protagonista o comunque in primo piano, donde la frase, nota tra le SS, che dà il titolo al libro. Hitler lo ammira e lo ritiene diverso da tutti gli altri che lo circondano; ma forse, inconsciamente, ne teme la smisurata ambizione e spregiudicatezza. Tra l’altro Heydrich era stato l’unico esponente del regime nazista di alto, anzi altissimo, livello, presente, il 20 gennaio di quell’emblematico anno, all’incontro, svoltosi in una grande villa posta in una località vicina a Berlino, Wannsee; incontro nel quale fu data piena attuazione alla Soluzione Finale, lo Sterminio del Popolo Ebraico, peraltro già in atto. La riunione, durata meno di un paio d’ore, ufficializzò, per così dire, il Genocidio. Il giovanissimo Laurent, appassionatosi alla vicenda grazie alle parole paterne, per molto tempo ha approfondito il tema, non trascurando alcun ambito di ricerca. Il frutto dell’impegno di tanti anni è quest’opera originale, dove l’Autore segue le vicende dei diversi attori e, soprattutto, condivide l’eroico sacrifico in nome della libertà di Gabčik e Kubiš, fino a seguirli idealmente nella cripta della Chiesa ortodossa dei S.S. Cirillo e Metodio (in Praga), dov’essi si rifugiano dopo l’attentato. Non li lascia mai, fino al tragico epilogo, quando, solo dopo ore e ore, 800 SS hanno la meglio su un gruppetto di 7 ardimentosi. Un omaggio a questi Eroi e ad una città molto amata, un contributo affascinante, da leggersi d’un fiato, dove Storia e Memoria si intrecciano grazie ad una originalissima opera di “contaminazione”.Mara Marantonio tratto da www.angolodimara.com

martedì 30 agosto 2011


Kanelbullar

Ingredienti per 20 Kanelbullar: 250 ml di latte; 25 gr di lievito di birra; 75 gr di burro; 650 gr di farina; 100 gr di zucchero; 1 cucchiaio di cardamomo in polvere;1/2 cucchiaino di sale; acqua tiepida quanto basta Ingredienti per il ripieno: 100 gr di burro; 50 gr di zucchero; 1 cucchiaio o più di cannella; 1 uovo o del latte per spennellare, granella di zucchero Preparazione: In una terrina sciogliere il lievito nell'acqua. In un pentolino sciogliere il burro e versarvi successivamente il latte. Versare il liquido tiepido nella terrina con il lievito e mescolare. Aggiungere sale, zucchero e cardamomo sempre mescolando. Aggiungere poi la farina gradualmente fino ad ottenere una pasta morbida e non appiccicosa. Lasciarla lievitare un'ora .
Impastarla di nuovo finché non diventa liscia. Dividerla in tre parti uguali e stendere le tre parti in rettangoli da 25 cm X 30 cm circa. Spalmare il ripieno nei tre rettangoli lasciando spazio su uno dei bordi lunghi per la chiusura e arrotolarli cominciando dalla parte più lunga. Porli, con la chiusura sotto, sulla carta da forno, coprirli e lasciarli lievitare finché doppi in volume (un'ora e mezza circa). Tagliarli in girelle di circa 1,5 cm, schiacciarli in modo da allargare le girelle, spennellarli con l'uovo decorarli con la granella di zucchero. Infornarli nel forno preriscaldato a 200°C per circa 10 min. Sullam 75


Lea Goldberg
La donna nella poesia ebraica di Myriam Labiausse


(articolo datato ma sempre attuale)
Attraverso gli interventi di due studiose-poetesse ed una lettura di poesie, il giorno 20 Maggio si è proposta la visione della figura della donna ebraica nel tempo. Donna vista più come simbolo da Tsippy Levine Byron o, come persona,da Suzana Glavaš, trattata però da entrambe le relatrici nel suo ruolo fondamentale di madre.L’ospite israeliana Tsippy Levine Byron ha concentrato il suo discorso sulla figura femminile e materna nella poesia della contemporanea Lea Goldberg mentre Suzana Glavaš ha rievocato l’originale vena artistica dell'ebrea tedesca Else Lasker Schüler, la maggior esponente dell’espressionismo tedesco. Attraverso i loro scritti le donne hanno preso parte attiva alla linea del tempo– ha sottolineato il rabbino Tsippy Levine Byron – passando dal compito esclusivo di educare i figli a liberatrici del proprio “essere” e coltivando pur
sempre i valori della tradizione. Un iter che a Roma parte da Anna de Arfino e Deborah Ascarelli, le prime donne a comporre poemi con temi religiosi nel XVIII secolo, per andare ad incontrare Sarah Sullam che scrisse 5 poesie un centenario dopo, e che vedrà infine, dopo l’indipendenza di Israele, l’ingresso delle donne nella poesia.Lea Goldberg, illustrata da Tsippy Levine Byron e definita “una grande poetessa” (nata nel 1911), dopo aver conseguito il dottorato di ricerca e trovato un posto di insegnamento all’università, deciderà di dedicare la sua vita alla scrittura. Tutt’oggi i suoi libri sono molto amati dai bambini, per i quali ha scritto numerose storie, ma anche dagli adulti che la ricordano per le sue poesie.Una delle più belle ed importanti è la poesia scritta Davanti al quadro di sua madre nella quale si delinea questa figura, unica persona che non le ha mai chiesto nulla e che l’ha cresciuta.Un’altra importante poetessa, quella delineata da Suzana Glavaš, è Else Lasker Schüler. Nata in una famiglia ortodossa-ebraica, ultima di sei figli, rimarrà segnata in giovane età dalla morte dei genitori e del fratello Paul. Si sposerà e divorzierà due volte ed esordirà in pubblico come disegnatrice e pittrice. Esponente dell’espressionismo tedesco, e fondatrice dietro le quinte della prestigiosa rivista “Sturm”, non scriverà mai in ebraico affermando tuttavia che il suo substrato linguistico era l’ebraico e che Gottfried Benn aveva ragione quando la definitiva “poetessa tedesca ed ebrea al contempo”. Predicherà per tutta la vita la pacificazione fra Ebrei, Cristiani e Arabi.A intervallare i richiami alle poetese trattate dalle studiose-poetesse Levine Byron e Glavaš, con una lettura delle poesie di Lea Goldberg, Else Lasker Schüler e Nelly Sachs, a cura di Paola Nasti, si è data voce anche all’opera poetica propria delle due relatrici, con versi sulla loro rispettiva identità femminile universale ed ebraica. Suzana Glavaš ha ricordato in ultimo la poesia “Il monumento alla madre” di Wladyslaw Szlengel, poeta ucciso nell’insurrezione del Ghetto di Varsavia,per rimarcare la forte presenza nella poesia ebraica della figura donnamadre anche nella sua dolorosa assenza.Sullam 75


Gli ebrei in Norvegia prima e dopo la strage
di Manfred Gerstenfeld
(traduzione di Angelo Pezzana)

Dopo la strage di Breivik, un insegnante israeliano che vive in Norvegia, David Katznelson, ha detto: " La Norvegia non è un posto ospitale per gli ebrei". Ha poi aggiunto che una volta qualcuno dipinse con lo spray una svastica sulla sua buca delle lettere, e che i suoi studenti ebrei avevano timore di rivelarsi in quanto tali. Ha anche osservato che quando in una riunione non sono presenti degli ebrei, i norvegesi si sentono liberi di dirne tutto il male possibile.In Norvegia gli ebrei sono meno di 2000, e hanno esperienze differenti. Chi ha figli in età scolastica spesso si chiede come si debba reagire ai frequenti attacchi che subiscono a scuola. E' meglio dirlo pubblicamente, oppure può causare danni maggiori ? Altri ebrei norvegesi affermano di non essersi mai imbattuti in un aperto antisemitismo.Durante la guerra a Gaza (2009-2010), si tenne a Oslo la più grande manifestazione antiebraica nella storia della Norvegia. Ne conosciamo i particolari grazie a Erik Eiglad, che si trovava lì in quel momento e che raccontò in un reportage in inglese quanto aveva visto. Dopo i disordini, una donna ebrea scrisse- in forma anonima - su Verdens Gang, il quotidiano più diffuso del paese, come erano cambiate le sue opinioni sulle autorità norvegesi:" In un paese democratico come la Norvegia, dove i diritti umani sono costantemente in primo piano, avevo sempre creduto che noi ebrei eravamo al sicuro .... dopo quanto è successo in Medio Oriente questo inverno, non mi sento più sicura ma in pericolo.... anche alcuni membri della nostra comunità hanno ricevuto minacce di morte, le misure di sicurezza intorno alla sinagoga sono aumentate .... la fiducia che avevo in chi guida questo paese non è più quella che avevo un tempo " La situazione della comunità ebraica nel suo insieme è diversa da quella dei singoli ebrei. Può sopravvivere solo con il sostegno del governo norvegese, che, fra le altre cose, garantisce la sicurezza anche fisica delle istituzioni ebraiche. Chi nella comunità ebraica norvegese aveva una decina di anni fa messo in guardia sulla crescita dell'antisemitismo, si era visto recapitare lettere contenenti proiettili.Per questo motivo la comunità decise di tenere un basso profilo. Durante la seconda guerra del Libano nel 2006, la sinagoga di Oslo subì un attentato da parte di un pachistano, tale Arfan Batthi, il cantore del tempio fu aggredito, il cimitero ebraico dissacrato, mentre molti ricevevano minacce antisemite al telefono o per letteraTanto che il governo aumentò le misure di sicurezza intorno agli edifici comunitari a Oslo e alla sinagoga di Trondheim, che divennero i luoghi più controllati della nazione. Oggi però è chiaro che il governo non trasse le dovute conclusioni da quanto accadeva e che forse gli ebrei non erano gli unici obiettivi di un odio a lungo sedimentato, e che misure di sicurezza avrebbero dovuto essere prese in tutto il paese.I leader della comunità ebraica di Oslo mi dissero lo scorso anno che devono sempre essere in buoni rapporti con qualunque governo. Questo significa che non si deve mai tirare troppo la corda perchè potrebbe spezzarsi. In situazioni come queste può succedere. Anne Sender, che è stata a capo della comunità, ha cercato di fare tutto quanto poteva, non riuscendoci sempre. Una di queste fu quando dichiarò al quotidiano Dagbladet che lei apprezzava molto il Ministro degli Esteri Jonas Gahr Stoere. Le dichiarazioni di Stoere confermano che è un antisemita part-time e un sostenitore indiretto del terrorismo contro Israele La tendenza anti-israeliana in Norvegia negli ultimi anni dimostra quanto la comunità ebraica debba tenere un basso profilo per quanto riguarda Israele. L'attuale governo assume spesso posizioni contro lo Stato ebraico, mentre è molto cauto verso il terrorismo palestinese, arrivando anche indirettamente a promuoverlo.Mentre c'è stata una auto-censura nella comunità ebraica, l'eccessivo odio contro Israele da parte del governo e della élite culturale sono così forti e frequenti, che alcuni ebrei non se la sono più sentita di rimanere in silenzio. Nell'autunno 2010, il governo norvegese ha sponsorizzato una mostra anti-israeliana dell'artista Hakon Gullvag a Damasco. Una delle "opere" uscì sul quotidiano Aftenposten. Il rabbino di Oslo, Yoav Melchior, scrisse al giornale che aveva dovuto nasconderlo a suo figlio, visto che nella prima pagina del supplemento culturale vi era stampata una bandiera israeliana con la stella di Davide insanguinata, soldati mascherati ed i palestinesi quali vittime. Una azione contro il silenzio dell'élite culturale norvegese di fronte ad una manifestazione di odio antisemita, mentre aveva invece reagito contro le vignette danesi su Maometto La situazione attuale in Norvegia, dopo la strage, si può definire confusa. Non è ancora chiaro come il governo e la società reagiranno nei tempi lunghi alla carneficina di Breivik. Possono convivere con il fatto che l'assassino è " uno di noi norvegesi ", oppure cercheranno altrove un responsabile ? Promuovere l'immagine prioritaria di Breivik come uno pro-Israele può essere una tentazione per chi si propone di irrobustire l'anti-israelismo dopo quanto è già stato fatto in molti anni. Alcuni norvegesi pensano che diventerà ancora più difficile in Norvegia stare dalla parte di Israele (6). Ne sono convinti anche amici non ebrei con i quali ho parlato.Ebbene, fra poche settimane il governo norvegese dovrà cominciare a combattere un antisemitismo ancora più grande nelle scuole, spesso anche fisicamente violento, che è stato in parte alimentato dalle stesse dichiarazioni governative e da una parte rilevante della élite culturale del paese.Informazione corretta, 6 agosto 2011


Droga dello stupro

Due ricercatori dell'Università di Tel Aviv hanno sviluppato un sensore in grado di segnalare con certezza la presenza della cosiddetta "droga dello stupro" nelle bevande consumate dai giovani nei luoghi di ritrovo. Le droghe in questione sono sostanze che hanno un effetto sedativo e di amnesia sulle vittime facilitando così il loro sfruttamento sessuale senza che ne siano conscie. Nessuno dei sistemi di identificazione finora in uso si è rivelato sufficientemente sensibile alla presenza di queste sostanze in tempo reale. Secondo il prof. Fernando Patolsky e il dr. Michael Yoffe, della facoltà di chimica, il sensore che essi hanno sviluppato si basa su segnali ottici di cambiamento. Quando un raggio di luce viene in contatto con una bevanda contenente la droga si verifica un cambiamento nel segnale che avverte l'utilizzatore. Il sensore è stato testato col 100% di successo su un campione di una cinquantina di cocktail di diffusa consumazione tra i giovani, alcuni dei quali contenevano la droga. Il sensore è capace di individuare bevande contenenti GHB (acido gamma-idro-butirico) e ketamina. I ricercatori stanno ora cercando di ampliarne la capacità di accertare la presenza di altre sostanze ipnotiche e sedative, come il Rohypnol, con risultati che, a loro dire, sono finora molto promettenti. I ricercatori, che hanno brevettato il loro sistema, intendono ora miniaturizzarlo, rendendolo non più grande della capocchia di uno spillo in modo da permettere a tutte le potenziale vittime di 'analizzarè le bevande a loro offerte senza che il loro partner se ne accorga.
da "Notizie su Israele" (swisscom, 2 agosto 2011)