sabato 31 ottobre 2009

Haim Tabakman

^ ^ ^ M U S A N E W S ^ ^ ^
Newsletter dell’Ufficio Culturale dell’Ambasciata di Israele
“la cultura è l’arma più forte della democrazia” Amos Luzzatto

NOVEMBRE AL CINEMA Incontri con il cinema israeliano

Dal 23 ottobre nelle sale il film Lebanon di Samuel Mahoz, vincitore del Leone d’Oro alla Mostra del Cinema di Venezia 2009 Trailer http://www.bimfilm.com/trailer.php?file=lebanon_html.flv
Roma, Festival del cinema asiatico
Domenica 1 novembre
, ore 20,00 e mercoledì 4 novembre ore 16,00 al Cinema Capranica, proiezione del film Jaffa di Keren Yedaya (2009)Keren Yedaya, che con il film “Or” ha vinto la Camera d’Oro e altri quattro premi al Festival di Cannes 2004, ritorna con questo film a raccontarci un intenso dramma familiare, con al centro la figura di una giovane donna ebra che si innamora del meccanico arabo in servizio presso il garace del padre.
Trailer http://www.youtube.com/watch?v=fpLzbMFYXNk
Lunedi 2 novembre, ore 16,00 al Cinema Capranica, proiezione del film kazako, russo, polacco e israeliano Podarok Stalinu (un regalo per Stalin) di Rustem Abdrashov, alla presenza dell’autore. Il film, del 2008, racconta la storia di un bambino ebreo, i cui genitori sono finiti nei gulag staliniani e che cerca, con l’aiuto di un nonno adottivo musulmano e di altri bambini orfani, di trovare un modo per conquistare il cuore di Stalin e liberare i genitori.
Trailer http://www.youtube.com/watch?v=7lkncuK4-Wk&feature=player_embedded
Lunedì 2 novembre, ore 18,15 al Cinema Tempio di Adriano, proiezione del film “Meachorei Hakavanot” (oltre le intenzioni) di Ayelet Bergur, alla presenza dell’autrice.Il film documentario illustra i complessi rapporti tra i membri dell’associazione “The Parent’s Circle, Israeli-Palestinian Bereaved Families for Peace and Reconciliation (PCFF)” che riunisce famiglie israeliane e palestinesi che hanno avuto dei membri uccisi nel corso del conflitto israelo-palestinese.Scheda del film http://www.lidf.co.uk/lidf09/films/behind-the-intentions/
Sito Internet del Festival http://www.asiaticafilmmediale.it/it_page.php?id=21
Roma, MedFilm Festival
Anche il MedFilm Festival di Roma ha in programma una bella selezione di film israeliani:
Al Concorso Ufficiale per il PremioAmore e psiche il film Eynaim pkohot, Eyes Wide Open, di Haim Tabakman, che sarà proiettato Martedì 10 novembre ore 16,30 al Palazzo delle Esposizioni e Mercoledì 11 novembre ore 20,30 al Nuovo Cinema Aquila, con il regista in sala.
Il film narra, con grande delicatezza e profondo rispetto, un episodio in cui l’amore omosessuale nasce all’interno della comunità ultra-ortodossa di Gerusalemme
Trailer http://www.youtube.com/watch?v=BFLkarRpbz8
In concorso tra i documentari Welcome to Hebron di Terje Carlsson co-produzione svedese, israeliana e palestinese.. Tra i cortometraggi The Heart of Amos Klein, di Uri Kranot e Michal Pfeffer, 2008, 14’, Israele/Francia e Ve’ahavta, And Thou Shalt Love, di Chaim Elbaum, 2008, 28’, Israele
ProgrammacompletodelFestival http://www.medfilmfestival.org/medfilm2009/it/doc/Programma2009.pdf
Bari, Levante International Film Festival
Lunedì 9 Novembre,proiezione del film The Tale of Nicolai and the Law of Return, di David OfekTrailer: http://www.youtube.com/watch?v=f-PsSx9bKpM
Venerdì 13 novembre, proiezione del film olandese State of Suspesion, del regista israeliano Benny Brunner. Trailer http://www.youtube.com/watch?v=JNJE_U4LrOA
Sito internet del Festival http://www.levantefilmfest.com/ info tel. 080.5343930
Milano, Settimana del cinema israeliano dedicata ai cento anni di Tel Aviv, presso il Cinema Gnomo
Martedi 17 Novembre ore 19:30, proiezione del film Girafot (Giraffe) di Tzahi Grad. Tre giovani donne vivono nello stesso palazzo a Tel Aviv. Una serie di malintesi fa sì che una sera ognuna di esse prenda il posto di un’altra, circostanza che si rivelerà determinante per gli sviluppi della loro successiva esistenza
Mercoledì 18 novembre ore ore 19:00 proiezione del film Efshar Lirkod (You can dance) di Maya Macmanus e Shlomit Friedman, cortometraggio di due studentesse del Dipartimento di cinema e televisione dell’Università Tel Aviv ci conduce in un viaggio nostalgico tra i musicisti di strada della città , in maggioranza immigranti russi. Ore 19,30 Te’alat Balumich (Il canale Blaumich) di Efraim Kishon. Divertente commedia scritta e diretta dal più grande scrittore satirico d’Israele, morto nel 2005, diventata un classico del cinema israeliano.
Giovedì 19 novembre ore 19:00. Otobus (Autobus) di Shany Littman. La camera di Shani Littman, studentessa all’Università di Tel Aviv, accompagna cinque passeggeri di un autobus che tutti giorni fanno lo stesso percorso dal loro domicilio fino al posto di lavoro. Ore19:30. Einaim gedolot (Big Eyes) di Uri Zohar“Chi mangia troppo, si rovina l’appetito” ha detto il regista e attore Uri Zohar a proposito di questo film che racconta la piccola borghesia di Tel Aviv degli Anni Settanta, vista attraverso il suo sguardo e quello di Yaacov Shabtai, uno dei più importanti scrittori israeliani.
Venerdì 20 novembre ore 19:00. Sheriff ‘ironi (Local Sheriff) di Limor Ofri Glick. Cortometraggio dell’Università di Tel Aviv. Violenza, solitudine, eccentricità. La Tel Aviv notturna raccontata da un poliziotto che conosce tutti i segreti (loschi e non) della città. ore 19:30. Golem Ba-Ma’agal (Blind Man's Bluff) di Aner Preminger. Micki, una giovane donna musicista, tenta di prendere le distanze dai genitori sopravvissuti all’Olocausto e dal suo ex-amico, musicista come lei. Micki non riesce a colmare le attese della sua famiglia, appartenente alla ricca borghesia di Tel Aviv, che sogna per lei un futuro pieno di successi. Per fuggire all’atmosfera pressante della propria casa, la giovane donna va a vivere sola in un quartiere popolare. L’incontro con i vicini gli apre nuovi orizzonti che l’aiutano a affrontare i suoi problemi e a trovare una via verso la maturità e il successo
Sabato 21 novembre ore 18:30 Nissuim fictivim (Matrimonio bianco) di Hayim Bouzaglo. Eldad Natan, 40 anni, insegnante, sposato, due figli vive a Gerusalemme. Un giorno decide di partire senza la famiglia per New York senza la famiglia ma all’ultimo momento decide di rimanere in Israele e di far scomparire le sue tracce. ore 21:00 Ha-haym al pi Agfa (La vita secondo Agfa) di Assi Dayan. Sullo sfondo della prima Intifada, il film racconta una serata in un pub tipico di Tel Aviv, dove s’incrociano strani personaggi. La routine del luogo è spezzata dall’irruzione di un gruppo di soldati aggressivi e dall’arrivo di una gang violenta. Il pub appare come un microcosmo dove si manifestano tutti i conflitti e le ineguaglianze della società israeliana degli Anni Novanta.
Domenica 22 novembre ore 16:30. Yoman (Diario) di David Perlov. Fotografo, regista, insegnante, artista, David Perlov ha fortemente influenzato il cinema israeliano. Nelle sei ore del suo primo “Diario”, un documentario che il regista ha filmato per dieci anni, vita privata e vita pubblica, le piccole storie e la grande Storia s’intrecciano in modo insolito e originale. Ore 20:00 Shnat Efes (Anno Zero) di Joseph Pitchhadze. Il film racconta le vicende di sette persone, molto diverse tra loro, i cui destini s’incrociano per caso nella grande città. L’incontro cambia la loro vita. Le storie personali formano una specie di puzzle che raffigurano la situazione economica e sociale d’Israele degli Anni Duemila. Arrivato a un “punto zero”ognuno comincia a cercare un senso alla propria vita, una via d’uscita, di salvezza, ma il destino decide diversamente.
Info Ufficio Cinema del Comune di Milano tel 02.88462452-69 email c.uffcinema@comune.milano.it
Roma, Pitigliani Kolno’a Festival
Dal 14 al 18 novembre, alla Casa del Cinema di Roma, la quarta edizione del Pitigliani Konoa Festival, rassegna completamente dedicata al cinema israeliano, quest’anno con un’attenzione particolare al cinema di Tel Aviv, in occasione del centenario della “Città Bianca”. Cinque giorni tra film e documentari per raccontare l’ Israele di ieri e di oggi. La manifestazione è diretta dal critico cinematografico italo-israeliano Dan Muggia e dalla giornalista Ariela Piattelli, ed è prodotta dal cento ebraico italiano “Il Pitigliani”.
Info: http://www.pitigliani.it/menu.aspx?id=64
Per chi volesse saperne di più sul cinema israeliano, la casa editrice Marsilio ha pubblicato recentemente una eccellente monografia “Il cinema israeliano contemporaneo”, curata da Giovanni Spagnoletti, Maurizio G. De Bonis e Ariel Schweitzer. Con questo volume, il primo sull'argomento pubblicato nel nostro paese, si analizza a tutto campo il fenomeno di una cinematografia che, pur avendo a disposizione modeste risorse economiche, è stata in grado, in meno di un decennio, di dar vita a un significativo cinema d'autore dalle precise caratteristiche critico-innovative.
http://www.marsilioeditori.it/component/marsilio/libro/3179778-il-cinema-israeliano-oggi

Minna Scorcu Coordinatrice Ufficio Culturale Ambasciata di Israele

venerdì 30 ottobre 2009

Uno sguardo sull'America di Obama nel nuovo libro di Maurizio Molinari

“Vedremo se sarà un Lincoln su scala internazionale o solo un altro Jimmy Carter”. Con una battuta Maurizio Molinari, corrispondente della “Stampa” negli Stati Uniti dal 2001, riassume in modo ironico ma molto significativo il progetto Obama. L’occasione è la presentazione del suo nuovo libro, “Il Paese di Obama - come è cambiata l’America -”(Editori Laterza) presso la Fondazione Camis De Fonseca di Torino. Nella affollata sala oltre a Molinari e ad Angelo Pezzana in veste di moderatore, tre ospiti illustri, il direttore della “Stampa” Mario Calabresi, il giornalista e scrittore Vittorio Dan Segre e l’avvocato Franzo Grande Stevens, ha raccontato al folto pubblico presente quello che l’autore definisce il “Grande laboratorio America”, l’importante ma rischiosa scommessa del presidente Obama di portare un cambiamento, di dare un volto nuovo alla politica americana e internazionale. Non è ancora possibile sapere se questa scelta sarà premiata o fallirà, ma attraverso il libro di Molinari si può comprendere perché gli americani abbiano deciso di affidarsi al “candidato con il curriculum più sbagliato possibile”, come ricorda Calabresi, perché abbiano deciso di interrompere duecentotrentadue anni di storia per eleggere il primo presidente nero della loro storia. Dan Segre un risultato alla politica di Obama già lo riconosce “ha fatto un grande dono al mondo ebraico: ha dato uno schiaffo importante al viscido e maligno antisemitismo moderno che accusa gli ebrei di aver ordito la guerra in Iraq o di essere la causa della grande crisi finanziaria”, come? Intimando ad Israele di cessare la costruzione degli insediamenti a Gerusalemme. Con questo atto Obama ha dimostrato al mondo “che il cane americano non è mosso dalla coda ebraica” sostiene Segre. Dello stesso parere Molinari “criticando Israele, il presidente smitizza l’antisemitismo” e a chi gli fa notare che nel mondo ebraico Obama sembrerebbe non godere di molta fiducia, il giornalista della “Stampa” ricorda che il 78% degli ebrei americani ha votato il candidato democratico. Addirittura il giurista Abner Mikva sostiene che “Obama sarà ricordato come il primo presidente ebreo degli Stati Uniti”; il perché lo spiega bene Molinari nel suo libro “Barack rappresenta l’inclusione delle minoranze e l’integrazione delle diversità, ovvero il motivo per cui questi gruppi tendono a identificarsi con i i valori degli Stati Uniti”. Fra i punti caldi inevitabilmente troviamo la politica internazionale di Obama, con i suoi tentativi di creare alleanze e ottenere consensi anche fra gli avversari storici degli USA, da Cuba alla Cina, dalla Russia all’Iran. Molto lucida l’analisi del professor Dan Segre “il tendere la mano storicamente, in particolare nel Medioevo, era un modo per evitare che l’altro sfoderasse la spada. Obama cerca di fare questo, trovare un’intesa con il nemico in modo da bloccarne eventuali iniziative ostili”. Il problema si pone in particolar modo con l’Islam e si domanda il professore “bisogna chiedersi come l’altro concepisce la mano tesa, se veramente vi sia una condivisione di valori. Ecco, per l’islam credo esista un forte rischio di misunderstanding, un grande pericolo di fraintendimenti da cui sarà difficile uscire”.Obama, dunque, fa una scommessa che Molinari definisce “ da far tremare i polsi”, cerca di presentare un nuovo tipo di leadership, di attuare una politica inclusiva che si risolverà o in un grande successo (Lincoln) o in una disastrosa sconfitta (Carter). Daniel Reichel http://www.moked.it/

Matisyahu

Matisyahue il reggae hip-hop chassidico

Matisyahu è un ragazzo chassid di New York, con tanto di barba e cappello, i suoi testi si riferiscono apertamente alla religione ebraica... eppure hanno un sound decisamente giamaicano, con molte influenze rap. Un genere che, senza ironia, i critici hanno ribattezzato “reggae hip-hop chassidico”. Quando ho letto le recensioni di “Light”, l'ultimo album di Matisyahu (uno che hanno descritto, tra il serio e il faceto, “il migliore rapper ebreo dopo MC Hammer”), ho pensato che dovesse essere uno scherzo o una trovata pubblicitaria: come sarebbe a dire “reggae hip-hop chassidico”? Va bene il rock chassidico, va bene la fusion tra reggae e hip hop, vanno bene l'hip hop e il reagge in ebraico, ma a tutto c'è un limite. Insomma, come si fa a prendere sul serio una cosa del genere? Poi però mi sono decisa ad ascoltare qualche brano, vecchio e recente, e ho dovuto ammettere che questo Matisyahu ci sa fare.Anna Momigliano http://www.moked.it/

Golan - castello crociato

Israele, il governo dice no agli autobus segregati per gli ortodossi

Sono illegali e comportano gravi discriminazioni gli autobus segregati degli ebrei ortodossi dove, per ragioni di «modestia», gli uomini siedono nel settore anteriore e le donne in quello posteriore. Lo ha stabilito una commissione del ministero israeliano dei Trasporti, che ha oggi presentato un ponderoso rapporto in merito dalla Corte Suprema di Gerusalemme. Secondo il rapporto, le compagnie pubbliche israeliane non possono imporre la separazione per sesso nei loro mezzi di trasporto. Gli autori del rapporto consigliano tuttavia di venire incontro alle esigenze della popolazione ortodossa. Una delle idee avanzate è l'istituzione per un periodo di prova di un anno, nei rioni ortodossi, di autobus dove uomini e donne possano separarsi su base volontaria, e non coercitiva. Nel frattempo desta scalpore l'arresto a Gerusalemme di uno zelota, Yoel Kreuss, sospettato di aver aggredito una donna con una bombola di gas lacrimogeno perché si ostinava a restare su un marciapiede che a suo parere era riservato «a soli uomini». Kreuss, che è in attesa di giudizio, ha ammesso di aver redarguito la donna, ma ha negato di aver fatto ricorso a spray. La separazione dei marciapiedi, ha spiegato, si era resa necessaria perché in quel tratto di strada si era creato un grande affollamento durante la recente Festa dei Tabernacoli e occorreva dunque evitare che uomini e donne si toccassero, sia pure inavvertitamente.

mercoledì 28 ottobre 2009


CALCIO: BUFFON, JUVE AFFRONTA 9 GIORNI CRUCIALI

Torino, 26 ott. - (Adnkronos) - ''Ci aspettano nove giorni cruciali''. Gigi Buffon presenta cosi' il periodo che attende la sua Juventus. I bianconeri mercoledi' ospiteranno la Sampdoria nel big match della decima giornata di campionato. Sabato e' in programma la sfida con il Napoli e dopo si va in Israele per far visita al Maccabi Haifa in una gara fondamentale per il cammino in Champions. ''Da Siena siamo tornati a casa con una vittoria importante -dice il portiere dal suo sito ufficiale-. Siamo soddisfatti per questi tre punti anche se, da parte di tutti, c'e' la consapevolezza che dobbiamo migliorare piu' in fretta possibile. In periodi come questo, quando si e' 'malaticci', la cosa che conta e' quella di tornare ad avere una certa continuita' di vittorie''. La Juve, che ieri e' passata per 1-0 a Siena, ha vinto le ultime due gare disputate tra campionato e Champions. ''Siamo attesi da un altro periodo decisivo. Ci aspettano nove giorni cruciali per dare un indirizzo alla nostra stagione, sia per quanto riguarda il campionato e sia per la Champions League. Dai prossimi tre impegni contro Sampdoria, Napoli e Maccabi Haifa arriveranno risposte importanti e per questo dobbiamo cercare di essere attenti e concentrati, ma anche fiduciosi'', aggiunge Buffon.

Tel Aviv

Tel Aviv, lezioni universitarie per i pendolari

Tel Aviv, 25 ott - Hanoch Guttfreund, un professore della Università ebraica di Gerusalemme, disserterà per 20 minuti sulle lettere di amore inoltrate da Albert Einstein alla prima moglie, e quindi risponderà alle domande dei passeggeri. Succede a Tel Aviv. Nel tentativo di rendere più interessanti gli spostamenti quotidiani fra Tel Aviv e il suo hinterland, infatti, la direzione delle Ferrovie israeliane ha organizzato per loro una serie di lezioni universitarie. La prima avrà luogo il 4 novembre. Volendo, sarà possibile ascoltarlo due volte: sia nel tragitto fra Modiin e Tel Aviv, sia nel viaggio di ritorno. Guttfreund ha detto che la iniziativa è stata accolta con entusiasmo dai colleghi nel mondo accademico. "E' necessario che le università si aprano al mondo esterno, che si rivolgano a un pubblico nuovo", ha affermato.

Dalia Sofer

L’esilio degli ebrei d’Iran dalla voce di Dalia Sofer al Festival della Letteratura Ebraica

La terza giornata di incontri del Festival affronta il tema della Memoria. Il primo degli eventi in programma è dedicato agli studenti delle scuole romane, che partecipano con grande coinvolgimento (quasi cinquecento i ragazzi presenti). Alla presenza di Giulia Rodano, assessore alle politiche culturali della Regione Lazio, e Rav Benedetto Carucci Viterbi, direttore Scuole Ebraiche di Roma, Alberto Sed, uno dei pochi italiani sopravvissuti ad Auschwitz, racconta la sua incredibile e toccante storia, che ha come effetto quello di commuovere la platea. Una copia del libro “Sono stato un numero, Alberto Sed racconta”, scritto da Roberto Riccardi ed edito da La Giuntina, viene regalata a tutti i presenti a suggello di questa intensa giornata, nella quale si ricordano anche le figure di quattro Giusti tra le Nazioni romani, persone che misero a repentaglio la propria vita pur di salvare degli ebrei dalla furia nazista.Altro momento estremamente suggestivo della giornata di ieri, la piece teatrale “Lo zio Arturo”, scritta dal’israeliano Daniel Horowitz e messa in scena dal bravissimo Mauro Marino. “Lo zio Arturo” è un monologo estremamente efficace, che affronta il tema del muro dell’incomunicabilità che spesso rappresenta un ostacolo insormontabile da superare per chi cerca di parlare di Auschwitz e dei campi di sterminio a chi in quei luoghi non c’è mai stato. Un compito, quello di trasmettere il significato della Shoah, che dovrà basarsi sempre più su questo genere di rappresentazioni, considerato che, prima o poi, si dovrà necessariamente fare i conti con la scomparsa degli ultimi testimoni. Di questa forma di comunicazione Marino è un interprete straordinario e cinque minuti di applausi ininterrotti stanno a dimostrarlo.Si è parlato tanto di Shoah, come detto, ma grande spazio è stato dedicato anche alle vicende iraniane. Ad affrontare questa delicatissima tematica la scrittrice Dalia Sofer, che si inserisce a pieno titolo nel fertile filone di letterati iraniani tanto amati dai lettori occidentali. Ma Dalia Sofer intervistata dalla giornalista Susanna Nirenstein, ha una caratteristica che la rende ancora più “interessante” dei suoi colleghi, il fatto di essere ebrea. Così, l’incontro di ieri, diventa una proficua occasione per parlare del suo libro “La città delle rose” (che il New York Times ha classificato tra i cento libri più significativi del 2007).Un romanzo autobiografico (anche se i personaggi del libro sono inventati), che parla della difficile situazione di una famiglia ebraica iraniana negli anni della sanguinosa rivoluzione khomeinista. Adam Smulevich http://www.moked.it/

Vittime di un attentato contro un autobus in Israele

Una lettera su: Le storie mai raccontate dei martiri d’Israele

L’ho letto, e ora dovrei scriverne la recensione, ma non so se sarò in grado di farlo. Non so come cominciare e da dove cominciare. Non so se il mio vocabolario possieda le parole necessarie per raccontare un libro così bello. Così prezioso. Così puro.I resti delle vittime, come le carcasse degli auto­bus distrutti negli attentati, finiscono in un cimitero dei ricordi a Kiryat Ata. Accanto alle carcasse dei pullman, sono custoditi gli oggetti mai reclamati dai parenti delle vittime, quaderni di scuo­la, berretti militari, libri, scarpe da ginnastica, videocassette, kippah di ogni colore, t-shirt, mostrine di ufficiali. Guardare questi poveri resti richiama alla memoria quelli custoditi nei campi di sterminio. Scarpe logore, bottiglie con etichette di Varsavia e Cracovia, biberon e protesi dentarie, libri di preghiera, documenti, fo­to di famiglia, occhiali, bambole senza braccia né testa.Accade di piangere, leggendolo: di commozione e di dolore per le storie narrate, ma anche di commozione e di emozione per l’amore immenso che traspare da ogni frase, da ogni riga, da ogni parola, per la pietas che lo ha dettato e di cui è impregnato, dalla prima all’ultima parola. E si ritrova, nella cura, nell’attenzione, nella devozione con cui Meotti ha raccolto ogni frammento per ricomporre un nome, un volto, un carattere – una persona – la stessa cura, la stessa attenzione, la stessa devozione con cui i ragazzi di Zaka raccolgono ogni frammento di pelle, di carne, di sangue per ricomporre, per quanto è possibile, ciò che quelle creature erano state. E si intrecciano, nella narrazione, storie di terrorismo e storie di Shoah, non solo perché non di rado i protagonisti sono gli stessi, sopravvissuti a un progetto di sterminio per finire vittime dell’altro progetto di sterminio, ma anche perché, ditemi, che differenza c’è tra il prelevare un neonato ebreo da una casa europea per andarlo ad assassinare in un campo polacco e il penetrare in una casa israeliana per assassinare un neonato ebreo nella sua culla? Che differenza c’è tra lo sventrare una donna incinta ebrea in una via di un ghetto europeo e lo sventrare una donna incinta ebrea in una strada in Israele? Che differenza c’è tra il progetto di rendere judenrein una regione europea e il progetto di rendere judenrein una regione che si chiama Giudea? Esattamente lo stesso è l’obiettivo, ed esattamente lo stesso è il motore, ossia uno sconfinato odio antiebraico. Un odio talmente grande che quando i nazisti, a corto di treni, si sono trovati a dover scegliere tra l’usarli per portare truppe al fronte e usarli per deportare gli ebrei da sterminare, hanno scelto di perdere la guerra pur di sterminarne di più. Un odio talmente grande che quando i palestinesi si sono trovati a dover scegliere tra costruire uno stato di Palestina accompagnato da pace e prosperità e continuare a sterminare ebrei, hanno scelto di rinunciare allo stato, alla pace, alla prosperità per sé e per i propri figli per continuare a sterminare ebrei. E concludo con le righe che chiudono il capitolo dedicato alla strage alle olimpiadi di Monaco.Il giorno dopo la strage degli atleti, tutti gli israeliani presenti in Germania indossarono la kippah per piangere i morti, lo stes­so fecero gli atleti ebrei delle delegazioni francese, inglese e ame­ricana. L'ignobile, satanica decisione di non fermare tutto fu una bancarotta del senso morale, il segnale verde per le stragi future. Si ricominciò a distribuire ori e argenti imbrattati di sangue. La fe­sta olimpica era morta, ma si continuò a correre e correre e corre­re. I rabbini israeliani vennero ad avvolgere le bare nella bandie­ra con la stella di David. Quella notte a Francoforte furono di­strutte una cinquantina di tombe ebraiche. Nessun delegato ara­bo porse il proprio cordoglio a Israele. Nessuno. Il giorno dell'ar­rivo delle salme all'aeroporto di Lod, dove tre mesi prima altri 26 ebrei furono uccisi in un attentato, non ci furono fanfare ad acco­glierle. Solo il silenzio e un orgoglioso dolore. Li aspettava il gran­de Moshe Dayan, con l'aspetto di un kibutznik che aveva interrot­to il lavoro per piangere i suoi figli. C'era anche Yigal Allon, che a tredici anni già combatteva nell'esercito ebraico clandestino. Nessun negozio in tutto il paese era aperto, il popolo ebraico era unito nel suo dolore. Come sempre è stato nel corso della storia. La Tunisia si offrì di accogliere le salme dei terroristi, tutti volevano i resti dei terroristi. Ebbe la meglio la Libia. Alla sepoltura a Tripoli erano presenti gli ambasciatori di tutti i paesi arabi. Dove­vano celebrare il «matrimonio del martire». In Israele dominava un'altra atmosfera. Dopo aver recitato il kadish ebraico sulle tom­be, il popolo del Libro tornò a casa. Il giorno dopo si apriva il Ca­podanno ebraico, ma non c'era posto per la gioia. Quel nuovo an­no si aprì con il pensiero collettivo rivolto ai figli delle 11 vittime. Quei bambini erano, sono, il perché d'Israele.E in queste righe c’è tutto il confronto fra due mondi. In queste righe c’è tutto ciò che ogni giorno sta davanti ai nostri occhi. Un mondo che, dal giorno della sua nascita, ha fatto della morte il proprio ideale, un mondo che coltiva il massacro, un mondo che adora gli assassini e ne ricerca i resti come reliquie da venerare con religiosa devozione. Un mondo che scende in piazza a ballare e cantare per festeggiare massacri di bambini. Un mondo con un libro sacro che ordina di ingannare, di torturare, di uccidere chiunque opponga resistenza al loro progetto di estendere il regno del terrore e della morte su tutta la terra. E un mondo che si raccoglie in silenzio intorno ai propri morti. Un mondo che raramente pronuncia parole di odio e di vendetta, neppure di fronte ai massacri più disumani. Un mondo che piange e soffre ma poi si rimbocca le maniche e riparte, perché nel loro Libro sta scritto E TU SCEGLIERAI LA VITA.

martedì 27 ottobre 2009

Michelangelo e la Qabbala I segreti della Cappella Sistina

L’affresco più famoso del mondo. Un genio ribelle in lotta contro la corruzione della Chiesa. Il richiamo alla fratellanza delle religioni e l’empatia con gli ebrei. Uno studio analizza i segreti della Cappella Sistina alla luce del pensiero ebraico: affreschi pieni di allusioni all’Albero della Vita, alle 10 Sefirot, al Midrash. ... e sarà celata l’intelligenza degli intelligenti. (Isaia, 29,14) Assai acquista chi perdendo impara.(Michelangelo) Era il 1508 quando Michelangelo, poco più che trentenne, si mise all’opera su quello che sarebbe stato il suo capolavoro nonché il suo testamento intellettuale e spirituale: la Cappella Sistina. Quattro anni e mezzo issato su impalcature altissime, sdraiato 15 ore al giorno e con dolori lancinanti alla schiena e alla testa, una fatica immane e per di più in un luogo che detestava, Roma e il Vaticano. Come se non bastasse al soldo di un uomo odiato e corrotto, Papa Giulio II della Rovere. È di malavoglia e con spirito adirato che Michelangelo si accinge a dipingere la volta della Sistina, consapevole di non poter rifiutare l’incarico di un Papa, per di più collerico e egocentrico come Giulio II.Sarà stato forse il disappunto oppure il disgusto per una corte papale troppo lasciva e dedita al lusso: di fatto, il ribelle Michelangelo giunge a questo incarico pieno di dissenso per le idee della Chiesa del suo tempo e pronto per esprimere la propria verità interiore, umana e artistica. Come? Dipingendo immagini il cui significato risulti stratificato e nascosto, difficile da cogliere a un primo sguardo superficiale. Dipingendo la Sistina, Michelangelo avrebbe così accuratamente celato quei contenuti e messaggi che gli stavano a cuore ma ritenuti sovversivi dal Vaticano e tutto questo per non finire arrostito sul rogo con un’accusa di eresia, come era appena capitato a Savonarola. Michelangelo decide così di occultare nelle figure dei personaggi della Sistina, numerosi simboli della cultura ebraica e neoplatonica, della Qabbalah, del Midrash e addirittura dell’interpretazione di Rashi, che lo stesso Michelangelo conosceva grazie ai suoi maestri (Marsilio Ficino, Poliziano e Pico della Mirandola che leggevano l’ebraico, quindi possessori di un accesso diretto alle fonti).Del resto, guardando gli affreschi della volta della Sistina, molte sono le domande che sorgono spontanee: perché l’albero del Bene e del Male è un fico e non un melo? Perché il serpente tentatore ha cosce e braccia come scritto solo nell’originale ebraico? A questo e altro cerca di rispondere l’interessante saggio I segreti della Sistina - Il messaggio proibito di Michelangelo (Rizzoli, pp 397, euro 22), scritto a quattro mani da Roy Doliner, studioso ebreo americano di storia dell’arte, lingue e religioni comparate e dal rabbino Benjamin Blech, professore alla Yeshiva University e collaboratore del New York Times e del settimanale Newsweek. Se si chiede a Doliner che cosa lo abbia spinto a cercare il significato nascosto della Sistina e scovare il sistema di metafore e allusioni celate negli affreschi della cappella più celebre del mondo, lui risponde con un sorriso, “è stato Michelangelo a convincermi. Dopo il recente restauro, molti dettagli sono emersi a chiarire significati oscuri del capolavoro di Michelangelo”, dichiara. Una ripulitura durata quasi vent’anni (è finita nel 1999), che ha portato alla luce particolari e simboli stupefacenti: perciò Doliner e Blech ipotizzano che l’affresco collocato nel cuore della cristianità in realtà rappresenti una dura critica alla corruzione della Chiesa dell’epoca e una speranza di riscatto nell’idea di fratellanza universale tra le religioni. Il Buonarroti era infatti convinto che la degradazione morale della Chiesa fosse anche frutto della perdita di contatto proprio con le radici ebraiche del cristianesimo.Ma l’empatia di Michelangelo con gli ebrei va contestualizzata, spiegano Doliner e Blech. Nella Firenze di Cosimo e Lorenzo de’ Medici circolavano grandi maestri come Elija del Medigo, Jochanan Alemanno, il Rabbino Abraham, che introdussero Pico e il Buonarroti alle opere dei filosofi dell’antichità e del medioevo ebraico: Avicebron, Filone di Alessandria, Ibn Gvirol, nonché alla tradizione mistica e esoterica dell’ebraismo e ai concetti qabbalistici più importanti. Quali? Ad esempio quello della lotta tra Yetzer ha-Tov e Yetzer ha-Ra, la battaglia delle due inclinazioni dell’anima umana, quella istintiva e animale, quella spirituale e trascendente; e poi la convinzione che ogni cosa è emanazione di Dio e che le 10 Sefirot sono stadi della conoscenza; e ancora il concetto che Dio è una perfetta sintesi di maschile e femminile, armonia dei contrari ed equilibrio degli opposti, perché Dio è uomo e donna insieme; infine la qabbalistica nozione di Mochà Stima’à, il cervello nascosto, l’invisibile intelligenza del cosmo, il disegno divino che si nasconde dietro ogni cosa e trascende la nostra comprensione.Ma veniamo agli affreschi: perché, nel Peccato Originale e nella Cacciata, Adamo stacca il frutto proibito dall’albero proprio nell’attimo in cui Eva coglie il suo? Adamo sarebbe quindi colpevole della trasgressione tanto quanto Eva. Proprio come scritto nel Talmud ed esattamente il contrario di quanto sostiene la tradizione cattolica che addossa tutta la colpa su Eva che si lascia tentare dal serpente. E che dire proprio di costui? “Qui Michelangelo scelse di ispirarsi alla tradizione ebraica. Solo il Midrash infatti descrive il serpente come fornito di gambe e braccia”, dice Doliner. Inoltre, non c’è stereotipo della donna perfida tentatrice che porge la mela. Anzi, qui la mela proprio non compare. Al suo posto, i due progenitori colgono un succoso fico. Perché? Secondo un principio mistico ebraico, scrivono Blech e Doliner, Dio non ci sottopone mai un problema senza che Egli non abbia già creato la sua soluzione dentro il problema stesso. E la soluzione immediata alla vergogna della nudità è, per i due progenitori, quella di coprirsi con una foglia di fico; secondo il Midrash, l’Albero della Conoscenza era un fico perché, nella sua misericordia, Dio aveva provveduto a rimediare alla conseguenza del peccato, unendo il rimedio all’oggetto che l’aveva causato. Ora, era difficile, per un cristiano del ‘500, avere dimestichezza con questi ragionamenti. E solo chi aveva studiato il Midrash poteva esserne al corrente. E che dire della scelta di personaggi della Torà la cui storia il fiorentino dimostra di conoscere bene? Meshullemet col figlio Amon, Zorobabel, Aminadab... E poi il nascondimento delle lettere dell’alfabeto ebraico nelle figure dei personaggi: nel pannello di Davide e Golia, Michelangelo disegna la lettera Ghimmel di Gvurà, la Sefirà della forza e del principio maschile, il lato virile dell’Albero della Vita; in quello di Giuditta troviamo la lettera Chet di Chessed, la Sefirà della misericordia e compassione, principio femminile.E poi l’Aleph e la Ain, nascoste nell’affresco di Geremia. Inoltre, viene ipotizzato che i sette profeti della Sistina siano le raffigurazioni delle sette Middot, gli attributi delle Sefirot più basse: Zaccaria-Malchut (regno materiale), Gioele-Yesod (legame tra cielo e terra, spiritualità), Isaia-Hod (gloria, fede di fronte alle avversità), giù giù fino a Giona, il settimo profeta che rappresenta l’attributo di Chessed, la misericordia, la compassione, l’unico profeta che, passando attraverso il ventre del Leviatano, andrà nella pagana e corrotta Ninive per salvare i niniviti dal peccato. Perché Giona?, il profeta riluttante, mandato a predicare tra i gentili? Perché è il suo alter-ego, cerca di salvare Babilonia come Michelangelo tenta di salvare la Chiesa, spiegano gli studiosi. Michelangelo si identifica in lui e per questo dipinge il suo capolavoro pittorico, l’affresco forse più stupefacente della Sistina, con quelle gambe che piovono in testa a chi guarda, l’uso magistrale del trompe l’oeil, la complessità tridimensionale e simbolica del ritratto, la lettera Bet di Bereshit (ma anche di Bait-casa), nascosta nel gesto delle dita del profeta. Giona, l’ultimo ritratto, summa poetica di Michelangelo, ci spiega il vero senso della Sistina, il compito morale che Michelangelo sentiva di dover portare a termine dipingendola. Di fatto, colpisce una cosa: guardando la volta della Sistina, il più grande ciclo religioso di affreschi mai dipinto, ci si accorge con meraviglia che è privo di qualsiasi figura cristiana e popolato solo da eroi e eroine della storia ebraica. Il libro di Doliner e Blech ci spiega finalmente perché.Fiona Diwan http://www.mosaico-cem.it/

lunedì 26 ottobre 2009

Brick di patate e prezzemolo


INGREDIENTI: per la sfoglia 2 bicchieri di farina, 1 bicchiere d’acqua; per il ripieno 3 patate lessate un pugno di prezzemolo tritato, pepe nero q.b., 1 cucchiaino di cannella, sale q.b., 1 uovo
PREPARAZIONE: Ungete una padella antiaderente e mettetela su una fiamma debole, versate la quantità di 1/2 mestolo del composto (acqua e farina) per qualche secondo, otterrete cosi’ una sfoglia. Procedete fino ad ottenere il numero di sfoglie necessario, circa 3 a persona.In una terrina amalgamate gli ingredienti del ripieno. Ora ponete al centro di ogni Brick un cucchiaio del ripieno e ripiegate la sfoglia a forma di mezza luna e friggete in olio ben caldo. Servite con una spruzzata di lime. Sullam n.38


Kugel di carote

INGREDIENTI:carote grattugiate 450 grammi, vino liquoroso 8 cucchiai, zucchero di canna 100 grammi, farina di patate* 3 cucchiai, farina 8 cucchiai, lievito 1 cucchiaino, cannella 1 cucchiaino, limone 1 scorza e succo, uovo 1 sbattuto, uvette 4/5 cucchiai, sale un pizzico, burro 100 grammi
PREPARAZIONE: portate il forno a 180°, fate fondere il burro..lavorate la farina di patate con il vino e mescolatela con tutti gli altri ingredienti. Imburrate uno stampo da plum cake (oppure misura 20×25) e trasferitevi il composto.Cuocete per circa un’ora o almeno fino a quando non risulta croccante. Da servire caldo/tiepido… magari con un bicchierino di vino liquoroso o un buon Tè. Sullam n. 38

famiglia ebraica fine '800

Quello che l'antologia Me'am Loez rappresentò per secoli presso le comunità ebraiche che parlavano il ladino, lo fu lo Sena Ure'ena, per chi parlava lo yiddish, Erano libri che portavano in ogni casa la parola e il messaggio interiore della Torah. Lo Sena Ure'ena, che divenne soprattutto un testo letto dalle donne, fu pubblicato in non meno di duecento dieci edizioni.Nel presentare il libro ai lettori inglesi, l'editore Reb Meir Holder così descrive il ruolo di questo testo yiddish nella vita dello shtetl*: «La mia religiosissima bisnonna, che abitava nel vecchio continente, appena riusciva a sottrarre un'ora tranquilla ai suoi cori, si rifugiava nel suo angolo preferito fra il caminetto e la culla e apriva il Tzennarenmeh (pronuncia yiddish del titolo ebraico)con le familiari xilografie e i segni delle continue letture. Stendeva il suo fazzoletto di pizzo e, seduta, seguiva le antichevicende dei figli di Israele, leggendo dalle consunte pagine la sezione settimanale della Torah.Condivideva le angosce di Sarah per l'approssimarsi del sacrificio di Isacco; umilmente desiderava di saper dimenticare se stessa come fece la madre Rachele; versava innocenti lacrime per il giovane Giuseppe nella fossa degli scorpioni; rabbrividiva al racconto delle atroci sofferenze durante la schiavitù in Egitto; esultava con Miryam nella traversata del Mare dei Giunchi e trovava conforto alle prove quotidiane del golus {esilio) considerando la ricompensa spirituale con cui le grandi madri del passato e quelle fedeli di tutte le generazioni saranno benedette nel mondo a venire».Può essere che, con le nuove generazioni, linguaggio e stile siano radicalmente mutati nell'interpretazione della Torah. Non muta,comunque, il ruolo che la lettura settimanale ha come guida per ciascuno e come fonte di ispirazione perennemente nuova.
* «piccola città». Il termine indica il piccolo microcosmo in cui vivevano le comunità ebraiche dell'Europa Orientale,conservando la propria identità religiosa e sociale.Sullam n 38

Fratelli guerrieri

di Aaron Cohen e Douglas Century, Longanesi Euro 16,60
“Questo libro è un mio ritratto personale di Israele: un racconto del mio viaggio attraverso le IDF, dell’addestramento e delle missioni con il Sayeret Duvdevan; esperienze che continuo a portare nel mio cuore”.“Fratelli guerrieri” che la casa editrice Longanesi pubblica nella collana “I grandi libri d’azione” è il racconto autobiografico che Aaron Cohen, ebreo canadese, ha scritto con Douglas Century sulla sua straordinaria esperienza di lochem cioè di guerriero nel corpo d’élite delle forze speciali israeliane cui ha potuto accedere dopo un durissimo addestramento.Perché rischiare la morte ogni giorno in azioni di antiterrorismo nei Territori travestito da arabo? Perché sostenere un addestramento duro, sopportare umiliazioni fisiche e psicologiche e perché una volta conseguito l’obiettivo di entrare nel Sayeret Duvdevan, corpo d’élite d’eccellenza, decide di abbandonare il mondo delle IDF per tornare in America?Aaron Cohen racconta il suo percorso di vita e di scelte estreme in un libro che è avvincente quanto un romanzo e che tratteggia con una prosa di forte impatto emotivo situazioni di grave pericolo e di rischio per la sua stessa vita e per quella dei suoi compagni.Dopo un’adolescenza turbolenta trascorsa fra Miami e Beverly Hills in California dove la madre si è trasferita per seguire una promettente carriera di sceneggiatrice e produttrice, Aaron viene mandato all’Accademia militare Robert Land dove subisce il fascino delle forze armate israeliane grazie al carisma del colonnello Bowman addestratosi per un certo periodo in Israele.Dopo due anni di scuola militare Aaron decide di trasferirsi in Israele lavorando duramente nel kibbutz HaZorea, situato alle pendici del monte Carmelo, per entrare al termine di un addestramento massacrante in una delle unità antiterrorismo più prestigiose, la Sayeret Duvdevan (dal nome di una ciliegia che cresce in Israele e solo in apparenza è commestibile) considerata “ la punta avanzata della guerra contro il terrorismo”. Dopo l’esplosione della Prima Intifada vengono create nuove unità antiterrorismo mista’aravim (diventare come gli arabi), squadre cioè in grado di eseguire incursioni lampo e in incognito nei Territori. Il percorso che condurrà il giovane Aaron ad entrare a far parte del Duvdevan passa attraverso un duro addestramento fisico e psicologico al Wingate Institute, il centro sportivo delle special forces, e successivamente alla base militare Miktan Adam sede ufficiale per l’addestramento militare delle forze armate. L’educazione impartita dai suoi istruttori e la rigida disciplina modificheranno la psiche di Aaron per consentirgli di affrontare le tecniche di combattimento quali il Krav Maga (un sistema di autodifesa e un’arte marziale sviluppata principalmente in Israele), le marce estenuanti come la “massa kumta” letteralmente la marcia forzata del berretto (“Da Tel Aviv a Gerusalemme sono 120 chilometri, con la schiena che si curva sotto il peso di venti chili di munizioni ed equipaggiamento tattico”), l’uso della mimetizzazione e infine la ricognizione topografica.
L’iter formativo non escluderà un’attenta disamina dei successi e dei fallimenti delle operazioni antiterrorismo (come il famoso raid a Entebbe, l’operazione Isotopo e il massacro di Ma’alot del 1974, “rimasto ancora oggi uno dei più terribili atti di terrorismo nella coscienza collettiva di Israele”), oltre che naturalmente l’infiltrazione fra i gruppi terroristici palestinesi. In questo ambito e grazie alle competenze acquisite Aaron comprenderà come sia prioritario individuare i burattinai del terrorismo e delineare con accuratezza il loro modus operandi.Il duro percorso formativo non mette Aaron al riparo da situazioni di forte drammaticità come l’uccisione di un adolescente palestinese che gli provocherà momenti di disorientamento pur rendendolo consapevole “della necessità di non esitare a sparare se volevo proteggere le vite dei miei fratelli”.In un ambiente dove è assai difficile socializzare Aaron incontrerà Ilan e Inon compagni con i quali stringerà legami d’acciaio ma sarà soprattutto una donna di nome Golda conosciuta ad una cena di shabbat a casa di amici, scampata all’Olocausto da bambina e poi divenuta uno degli agenti più esperti e decorati del Mossad che gli sarà vicino per tutto il periodo dell’addestramento con consigli e offrendogli quel calore familiare indispensabile per ritemprarsi e ritrovare fiducia dopo azioni altamente pericolose.Dopo tre anni di servizio militare e dopo una lunga e profonda riflessione Aaron Cohen decide di ritornare negli Stati Uniti e di mettere a frutto con successo le sue competenze fondando nel 2000 a Los Angeles l’IMS Security addetta alla protezione di uomini celebri e all’addestramento delle forze dell’ordine e che impiega ex membri delle forze speciali israeliane. La reputazione della società crescerà in maniera vertiginosa dopo i drammatici eventi dell’11 settembre.Dopo una disamina accurata delle differenze tra le strategie antiterroristiche israeliane e quelle delle forze speciali americane, mettendo in evidenza come il sistema americano sia troppo militaresco e presti più attenzione ai muscoli che al cervello, l’autore sottolinea con grande chiarezza come l’eccessiva enfasi che in Europa e anche negli Stati Uniti si pone sul rispetto dei diritti civili rappresenti un limite enorme alla realizzazione di una politica antiterroristica veramente efficace.
Il libro autobiografico di Aaron Cohen è il simbolo di un paese che lotta per la sua sopravvivenza e che si protegge come meglio può rifacendosi al famoso discorso che Moshe Dayan pronunciò nel 1955:“ Non possiamo proteggere tutti gli acquedotti dagli attacchi, né impedire che gli alberi vengano sradicati, non possiamo impedire l’uccisione dei nostri lavoratori nelle piantagioni, delle famiglie nei loro letti, ma possiamo pretendere un prezzo adeguato per il nostro sangue, un prezzo che risulti troppo alto perché la comunità, l’esercito e i governi arabi possano permettersi di pagarlo”. Giorgia Greco

Fumetto - Il gatto del Rabbino. Il paradiso terrestre

Io sono il gatto del rabbino. Mi capitano un sacco di cose. Per esempio, una volta sono stato a Parigi e ha piovuto. Così sono tornato a casa, in Algeria.Il quarto episodio della serie di Joann Sfar ci conduce su altri sentieri e leggende. Il nostro gatto ormai senza più la sua padroncina bighellona con il leone di Malka, il cugino del rabbino. Malka è un personaggio molto saggio e universale nel contesto della società algerina narrata da Sfar, anche se i toni del suo vivere spesso non sono ben identificabili tra reale e immaginario. Spesso le sue storie sembrano vere, ma non lo so. E’ sempre lui per a tirare le corde del sipario e svelare la trama.Malka in questo suo percorso si confronta con tutta la società civile, con le istituzioni politiche deridendole per la sua stupidità, cantando lodi al Signore e indicando con profondo rispetto i confini della propria cultura e delle altre culture che convivono in Algeria. "...è naturale che io sappia cantare in arabo. Ma non ho il diritto di recitare le preghiere musulmane. Posso entrare in una moschea, meditare con gli altri fedeli. La mia preghiera e la loro vanno nello stesso posto".Questa saggezza antica supera i muri che gli uomini costruiscono per dividersi. Joann Sfar usa Malka per percorrere altre strade in questo racconto abbastanza strambo di un gatto che passa il tempo a commentare la vita degli uomini che incontra. Il tema della vecchiaia, della morte, del rispetto dei propri valori a costo della vita stessa. E non manca un serpente che da buon tentatore offre una soluzione alternativa al pensiero naturale di ogni uomo. La storia di Malka è triste, è la storia di un uomo che vuole diventare leggenda e per realizzare questo sogno passa il tempo a inventare storie su sé stesso. Ma dove va Malka? Ha uno scopo? Ha un senso la sua vita? Malka schiaffeggia i politici ipocriti che fomentano l’antisemitismo, incanta le donne con il suo fascino da uomo vissuto, ma proprio perché un innocuo anziano, e non si piega di fronte ai prìncipi. Mentre Malka percorre questa strada fantastica e reale, senza un confine preciso, il Rabbino invece si impegna a educare i propri allievi, mentre la figlia amministra il proprio focolare domestico. Più delle altre storie questo quarto episodio de “Il gatto del rabbino” ha un tono mistico e spirituale dove i confini sembrano quasi biblici. Se offrissero a Malka la possibilità di entrare a far parte dei personaggi biblici non ci stupiremmo, ma lui rifiuterebbe.Sfar ci conduce in un percorso narrativo fatto di stupore, e meraviglia, pianti e felicità. I colori di questo volume sono colori di terra e sabbia, colori calpestati da piedi di erranti, mentre gli spazi dedicati alle emozioni sono colori del rosso e del viola, passione e saggezza. Ma non esiste mai una linea precisa che ci permetta di capire cosa è immaginazione e cosa è reale. Forse perché tutto è reale tanto quanto per noi può esserlo. E viceversa.Ah, giusto, dimenticavo il nostro Rabbino. Tornato da Parigi, scopre che nella sua scuola ci sono persone che inneggiano alla guerra e all’uso delle armi. Li rimprovera. Ma sarà il gatto a esprimere il pensiero più bello, forse quel pensiero che attraversò tanti ebrei in Europa e nel mondo mentre arrivano i venti antisemiti: chi vorrebbe fare la guerra a queste creature che non pensano che ai libri?Andrea Grilli http://www.moked.it/

Prova di forza dell’Hapoel Tel Aviv contro il Rapid Vienna

Grande affermazione in Europa League dell’Hapoel Tel Aviv che, nella terza partita del girone C, strapazza (5-1) gli austriaci del Rapid Vienna e si porta in testa al raggruppamento in compagnia dell’Amburgo. Un’affermazione netta e spettacolare che cancella l’amarezza per l’ennesima immeritata sconfitta del Maccabi in Champions League.........http://www.moked.it/

Israele, quando il poster è troppo osé Anche i rabbini contro Bar Rafaeli

L'ultima campagna pubblicitaria giudicata troppo spinta: «Certe immagini avvelenano l'ambiente»
Non c'è pace in patria per Bar Rafaeli, la supermodella israeliana nota anche come ex fidanzata di Leonardo Di Caprio. Dopo essere stata criticata di recente da una collega e connazionale per essere riuscita a svicolare dal servizio militare - la «naja» in Israele è obbligatoria anche per le ragazze -, ora la top ha fatto infuriare la comunità ebraica ultra-ortodossa. LA CAMPAGNA PUBBLICITARIA - Pietra dello scandalo, l'ultima campagna pubblicitaria di Fox, marca d'abbigliamento molto diffusa nel Paese, di cui Bar è testimonial e che è stata giudicata fin troppo osé dai religiosi. «Certe immagini - ha tuonato il rabbino Mordechai Bloi, guida spirituale di una comunità ortodossa israeliana e animatore del gruppo dei Guardiani della Santità e dell'Educazione, intervistato dal quotidiano Jerusalem Post - avvelenano l'ambiente». Se qualcuno desidera averle sotto gli occhi in casa sua non ci riguarda: noi non rimproveriamo nessuno per quello che fa nella propria intimità. Ma in pubblico ci vuole un po' di decenza». E invece le foto provocanti di Bar Rafaeli compaiono su gigantografie affisse lungo le strade più frequentate. Di qui la minaccia di un boicottaggio di massa del marchio da parte degli ebrei osservanti. Un pericolo non da poco per Fox, i cui megastore - a Gerusalemme e non solo - sono meta abituale di molte famiglie haredim (religiose), con i loro numerosi figli, attirate dai prezzi contenuti. In realtà, le immagini della campagna sono in circolazione da tempo: solo che, prima dell'affissione dei poster, lo spot circolava in tv e via internet, mezzi che la stragrande maggioranza degli ultraortodossi non può utilizzare, in accordo con una severa osservanza dei precetti rabbinici. Non è d'altronde la prima volta che la bella Bar diventa occasione di "grane" per Fox: già alcuni anni fa, dopo le sue dichiarazioni sull'inutilità del servizio militare («Perché dovrebbe essere considerata una buona cosa morire per il proprio Paese? Non è forse meglio vivere a New York City?», si era chiesta in una intervista), diversi gruppi di protesta avevano ipotizzato il boicottaggio dell'azienda. Senza tuttavia dare seguito in quel caso a una minaccia che gli ultraortodossi potrebbero invece far diventare realtà. 22.10. 2009 http://www.corriere.it/

domenica 25 ottobre 2009

Arrigo Sacchi

Israele, Sacchi per ora dice no

Dopo la delusione per la mancata qualificazione ai mondiali sudafricani, la federazione israeliana avrebbe deciso di non rinnovare il contratto al CT della propria nazionale, Dror Kashtan. I dirigenti israeliani avrebbero contattato, secondo La Gazzetta dello sport, Arrigo Sacchi, il quale avrebbe gentilmente declinato l'invito, anche se quello del tecnico romagnolo potrebbe non essere un "no" definitivo. http://sport.virgilio.it/ 22 ottobre

Yehoshua Kenaz

Israele, vita vera contro i miti

Yehoshua Kenaz: "Qui non c'è solo il conflitto. Nei miei libri racconto la normalità quotidiana"
di ELENA LOEWENTHAL, http://www.lastampa.it/ 22/10/2009
Yehoshua Kenaz non ha nulla dello stereotipo cui dovrebbe assomigliare. È uno scrittore israeliano, ma niente affatto militante, per nulla sanguigno, né ammantato di un’aura sofferta. È un uomo mite e straordinariamente colto. Conosce la letteratura francese come pochi altri, ne ha tradotto i classici in ebraico. È una grande voce d’Israele, classico egli stesso. Nato a Petach Tikwah nel 1937, appartiene a pieno titolo a quella generazione di grandi autori ormai famosi in tutto il mondo, ma coltiva da sempre una vocazione intimistica, domestica. Attraverso essa, l’Israele di Kenaz diventa qualcosa di molto diverso dal solito. Una casa di riposo per anziani, un condominio «sventrato» sulla pagina, un dimesso salotto di qualche decennio fa: questi sono i suoi territori narrativi. Lo spazio intimo diventa, nei suoi libri, un animato scenario di sentimenti e avvenure. È pubblicato in italiano da Nottetempo e dalla Giuntina. Yehoshua Kenaz sarà a Roma il 28 ottobre, per il Festival Internazionale di Letteratura Ebraica. Parlerà della «sua» Tel Aviv. Lei è uno dei «cantori» di Tel Aviv, la città che ha compiuto cent’anni. Il suo sguardo sulla città va nel profondo, come in Ripristinando antichi amori (di prossima ristampa per la Giuntina). C’è molto Perec, in questo libro. Che cosa ci racconta del suo rapporto con Tel Aviv? «Sono nato a Petach Tikwa, che all’epoca era un villaggio contadino (ora è inglobata quasi nella metropoli, da cui dista una decina di chilometri). A Tel Aviv sono arrivato che avevo vent’anni, e da allora è lo scenario di molte mie storie. Il condominio - e in particolare quello del romanzo qui citato (l’accostamento con Jacques Perec, sì, ma aggiungo subito: “toute proportion gardée…”) - rappresenta per me un microcosmo della realtà più grande. Tel Aviv è diventata ben presto una città “letteraria”, fonte di ispirazione per molti scrittori: il più grande resta Yaakov Shabtai. La mia Tel Aviv è il luogo del presente continuo, della vita quotidiana, con le sue brutture ma anche con la sua passeggera bellezza, le sue speranze effimere. È così che la amo».Nell’immaginario offerto dai media Israele è soltanto il luogo del conflitto. Per contro, i suoi libri abitano in una normalità quotidiana che sorprende il lettore. Ci racconta un poco di questa condizione che è il teatro delle sue storie?«Il fatto che Israele sia quel luogo rappresentato in televisione e sui giornali (del resto anche noi ci immaginiamo così altri paesi, di qui), spiega molti pregiudizi e stereotipi che nemmeno il più efficace dei libri potrebbe sradicare. Israele è sì un luogo di conflitto - anche se sarebbe meglio usare il plurale: di molti conflitti. Ma fra l’uno e l’altro si vive. Non sono sicuro che nei miei libri si trovi una “normalità” - non di rado mi è stato detto che contengono troppa follia. Che peraltro fa parte anch’essa della normalità…».Uno dei temi che il convegno di Roma affronterà è quello dello scrivere nel presente. Si sente dentro questa definizione? O preferisce delineare il passato?«Non sono sicuro di scrivere nel presente. Le mie storie possono essere ambientate nel passato remoto e in quello prossimo. Spesso non hanno tempo. Non so nemmeno dire se esse abbiano un qualche riflesso sul presente. Esiste una letteratura ebraica contemporanea, di giovani autori, che faccio del mio meglio per seguire, malgrado il fatto che se ne pubblichino così tanti. Quanto agli scrittori del passato, due li sento sicuramente miei: Y. Agnon e S. Yzhar. Sono i due capisaldi della letteratura israeliana, il primo sullo sfondo della cultura diasporica, il secondo profondamente “indigeno”».Torniamo al presente, e non solo quello dei libri. Come lo vede, qui in Israele? Quali prospettive si aprono secondo lei nel conflitto israelo-palestinese?«In apparenza, ci stiamo addirittura allontanando dalla possibilità di giungere a un accordo, un compromesso con i palestinesi: lo stallo è cronico. In questo senso, non sono ottimista. Eppure, voglio sperare in qualcosa. Nella possibilità, se non altro, che entrambe le parti arrivino ad accantonare i propri miti religiosi, in cambio di una prospettiva di vita vera».
A Roma, per il Festival della Letteratura Ebraica Yehoshua Kenaz è tra gli ospiti del 2° Festival Internazionale di Letteratura Ebraica, in programma da sabato 24 a mercoledì 28 ottobre presso la Casa dell’Architettura a Roma. Tema portante di questa edizione è l’impegno e la partecipazione nella letteratura. Si confronteranno scrittori, giornalisti, storici e attori, tra gli altri David Bidussa, Benny Morris, Carlo Ginzburg, Edoardo Albinati, Eraldo Affinati, Nahum Barnea, Mario Calabresi, Maurizio Molinari, Daniel Horowitz.

Due parole.Ho fatto i conti. Il mondo utilizza con familiarità due sole parole ebraiche. Shalom e Shoah.

Mezzo secolo fa, nessuno conosceva alcuna parola ebraica, a parte i nomi e cognomi dei ministri israeliani. La parola Shoah ancora non esisteva, e per dire cos’era successo in Europa a sei milioni di ebrei c’erano l’assurda espressione Olocausto o un sorvolante imbarazzo. Shalom è entrata a far parte di un certo vocabolario più ecclesiastico che popolare attraverso la celebre canzone “Alenu shalom alechem”, il cui significato di pace con tutti affonda nel cuore come il coltello nel burro. Entrando certe domeniche in una chiesa, la parola Shalom che corre gioiosa fa sembrare l’ebraico patrimonio naturale del mondo. Ma questa parola ebraica divenuta universale non è giunta in Europa in modo naturale; non è sorta da un campo come un papavero. La necessità di dire fraternamente qualcosa nella lingua di Abramo, deriva dal verificarsi della catastrofe nominata dalla seconda parola ebraica, quella più famosa: Shoah. E’ da un immenso calice di sangue ebraico che il mondo beve la parola Shalom.Il Tizio della Sera http://www.moked.it/

Champions League - Calore e passione sugli spalti

“Almeno ci abbiamo provato” ci dice sconsolato un tifoso tutto bardato di verde all’uscita dello stadio. Novanta minuti di cori, applausi, qualche improperio ma alla fine il Maccabi non è riuscito a invertire i pronostici. Eppure i tifosi ci hanno creduto fino al fischio finale, supportando la loro squadra per tutta la gara e solo un miracolo di Buffon a tempo scaduto, non gli ha permesso di gioire per un goal che dalla curva sembrava fatto.Per la partita dell’Olimpico sono arrivati da Israele circa un migliaio di supporter, a cui si sono aggiunti i “locali” con comitive da Roma e Milano, oltre ovviamente ai torinesi. Tutti a riempire di verde il settore ospiti per un colpo d’occhio davvero suggestivo: sciarpe, felpe, bandierine del Maccabi oltre a qualche bandiera israeliana che davano un tocco di colore al mogio stadio bianconero. Israeliani e italiani insieme hanno incitato gli Yerukim di Elisha Levi (allenatore), cercando di infondere coraggio alla squadra anche dopo il goal di Chiellini. Insieme, in modo colorito, hanno mandato a quel paese i tifosi di casa; apprezzabile lo sforzo degli israeliani di farlo in italiano in modo da essere comprensibili alla parte avversa.A onor del vero nella curva degli ospiti si nascondevano qua e la degli juventini che, inevitabilmente, hanno esultato quando la palla si è insaccata alle spalle del portiere Davidovitch, beccandosi qualche sguardo torvo degli astanti ma niente di più. Curioso vedere alcuni dei tifosi israeliani a torso nudo, in un clima non esattamente tropicale, incitare appassionati i propri beniamini e invitare i presenti a cantare con loro. Alla fine della partita uno di loro ci confida “sono rimasto senza voce e non è servito a niente; almeno io mi sono impegnato”. Anche la squadra si è impegnata ma i limiti tecnici erano evidenti e dagli spalti, nonostante la sconfitta, sono arrivati applausi e cori di sostegno. Appuntamento il 3 novembre a Haifa, dove i tifosi sperano che le mura amiche aiutino il Maccabi a portare a casa il risultato.Daniel Reichel http://www.moked.it/

Joel ed Ethan Coen

I rabbini del Minnesota
Preparatevi: arrivano i rabbini del Minnesota. Finalmente i fratelli Coen, i due brillanti registi che da Fargo in poi incarnano la comicità d'autore a Hollywood, stanno per uscire con un film molto Jewish. “A Serious Man”, uscito nei cinema americani il 2 ottobre e che dovrebbe arrivare in Italia il prossimo 6 novembre, racconta la storia tragicomica (tragica per lui, comica per gli altri) di Larry Gopnik, uno spiantato professore di fisica nel Minnesota degli anni Sessanta. Tipo poco spigliato e affascinante, Gopnik sta attraversando un momento davvero difficile: ha un problema di gioco d'azzardo, la moglie è innamorata di un altro, la sua università lo vuole licenziare, i suoi figli lo odiano e fumano un sacco di marijuana. Davanti a tutte queste tragedie, il povero professore non può che cercare conforto nei consigli di un rabbino. Anzi, giusto per andare sul sicuro, a tre. Pessima idea: i tre rabbini cui il malcapitato Gopnik si rivolge non sono propriamente dei tipi affidabili. L'idea di ambientare il loro ultimo film in una comunità ebraica del Minnesota non è stata certo casuale, spiegano i fratelli Coen: “E' un film semi-autobiografico, nel senso che il contesto della storia si svolge in una comunità molto simile a quella in cui siamo cresciuti”. Del resto, con il loro humour dissacrante, Ethan e Joel Cohen avevano già preso in giro praticamente tutti: la polizia (Fargo), gli hippy (il Grande Lebowsky), il profondo Sud (Fratello, dove sei?), e persino la Cia (Burn after Reading). Mancavano proprio solo i rabbini del Minnesota. Anna Momigliano http://www.moked.it/

Cose turche

Un quarto d’ora dopo la messa in onda della prima puntata, lo sceneggiato turco sulla violenze israeliane a Gaza è stato sospeso. Motivo: l’atto di diffida del grande network arabo Al Jazeera, che ha ottenuto il ritiro immediato della promettente serie turca per furto fragrante d’ingegno. Una nota del network rileva che il 92% dello sceneggiato di Istambul è stato prelevato direttamente dalla famosa telenovela di Al Jazeera, “Il telegiornale”. Con le sue 45 puntate flash quotidiane, la fiction giornalistica di Al Jazeera ha superato da svariati anni il successo del campionato arabo di barzellette, “La sai l’ultima sulle oasi?”. Il Tizio della Sera

Yakir Aharonov


La scorsa settimana, Ada Yonath dell'Istituto Weizmann di Rehovot, ha vinto il Premio Nobel per la chimica, la prima donna in questa materia dal 1964. Quello che forse è stato meno notato è che altri due israeliani erano stati precelti nel gruppo ristretto dei finalisti per il Nobel: Yakir Aharonov dell'Università di Tel Aviv per la fisica, e Amos Oz per la letteratura. Naturalmente nessuno ha pensato per un solo istante che l'Accademia svedese potesse accordare the premi Nobel a Israele nella stessa settimana. E cosí Israele se ne è aggiudicato uno solo. Ma negli studi l'eccellenza raramente emerge per caso. Occorrono buone strutture e Israele in questo campo compete bene. La scorsa settimana è stata appunto pubblicata la lista delle 200 migliori università del mondo, distribuite fra 32 paesi. Israele ne piazza tre (Gerusalemme centoduesima, Tel Aviv centoquattordicesima, e il Technion di Haifa centotrentaduesimo), contro quattro della Francia, una della Spagna, una dell'Austria, e una dell'Italia (Bologna centosettantaquattresima). Gli Stati Uniti ne hanno 54 fra le prime 200, l'Inghilterra 29, Giappone, Canada e Olanda 11, la Germania 9, l'Australia 9, la Svizzera 7. È proprio la Svizzera che ha il numero maggiore di università eccellenti in rapporto alla popolazione del paese, seguita da Hong Kong, Nuova Zelanda, Olanda e Svezia. L'Inghilterra è al settimo posto, Israele si piazza al dodicesimo, gli Stati Uniti al sedicesimo, la Francia è ventiduesima, l'Italia ventisettesima. Sono dati che non richiedono commento. E vediamo cosa deciderà l'anno prossimo la giuria del Nobel. SergioDella Pergola,Università Ebraica di Gerusalemme http://www.moked.it/

La Sinagoga di Ben Ezra *

Un ambizioso ministro recupera la storia ebraica in Egitto

Di solito gli Egiziani non fanno nessuna differenza tra Ebrei ed Israeliani. Gli Israeliani sono visti come nemici così come gli Ebrei.Khalid Badr, 40 anni, è abbastanza tipico riguardo a questo, mentre vende merendine da un chiosco lungo la strada e ascolta il Corano sulla radio. “Li odiamo per tutto quello che ci hanno fatto” dice. Ma Badr è dovuto venire a patti con il fatto che il suo quartiere, una volta, era pieno di ebrei – ebrei egiziani – e che la storia del suo paese è intrecciata con quella del popolo ebraico. Non lontano dal suo negozio, alla fine di una strada stretta e tortuosa conosciuta una volta come la via degli Ebrei, il governo sta restaurando una sinagoga abbandonata e dilapidata.Nei fatti il governo sta pubblicamente riconoscendo il suo passato ebraico.“Se non restauriamo le sinagoghe, perdiamo una parte del nostro passato” dice Zahi Hawass, segretario generale del Consiglio Supremo delle Antichità, che in passato ha scritto negativamente degli ebrei in conseguenza degli scontri tra israeliani e palestinesi.Per diversi anni, in silenzio, l’Egitto ha restaurato le sue sinagoghe. Ma a causa della rabbia verso Israele e del diffuso antisemitismo, il governo ha inizialmente insistito che queste attività rimanessero un segreto.“Ci hanno detto, stiamo facendo questa cosa, ma non ditelo a nessuno” dice Rabbi Andrew Baker, direttore di International Jewish Affaires per l’American Jewish Commitee. “È il contrario di quello che abbiamo visto succedere nell’Est Europa, dove i governi non fanno molto ma vogliono presentare un’immagine di se stessi che fanno cose. In Egitto le stavano facendo, ma, ‘Shhh, non fatelo sapere a nessuno!’”.Allora perché l’improvvisa affinità per il passato ebraico in Egitto? Politica. Non la politica della strada ma quella globale. Il ministro della cultura egiziana, Farouk Hosni, avrebbe voluto essere il prossimo direttore generale dell’Unesco. Nel contesto di questa società islamica conservatrice, Hosni, 71 anni, è abbastanza liberale, entrando in conflitto con i radicali mussulmani quando aveva criticato la popolarità del velo tra le donne per esempio.Ma per pacificare il suo collegio elettorale, nel 2008 ha dichiarato che avrebbe bruciato tutti i libri israeliani che avrebbe trovato nella biblioteca di Alessandria.Nel frattempo si è scusato ma ciò non è bastato per fermare gli attacchi alla sua candidatura alla guida dell’organizzazione dedicata alla promozione della diversità culturale. Così i suoi dipendenti al Ministero hanno accelerato i lavori di restauro dei beni ebraici.I più vecchi del quartiere, come El Sayyid Yousef, 62 anni, hanno una visione condizionata dalla storia. Yousef dice di ricordare di aver avuto vicini ebrei ma di non aver mai pensato a loro come ebrei. Erano solo egiziani, come tutti gli altri, dice.“Dopo il 1967 abbiamo iniziato a capire. A causa di quello che era successo durante la guerra, potevi camminare per strada e se vedevi un ebreo avresti voluto ucciderlo”.Sono rimasti un centinaio di ebrei (per qualcuno anche meno) in Egitto oggi, sottolinea il Rabbino Baker. Non è chiaro se questi progetti aiuteranno la carriera del Ministro Hosni. Potrebbero anche provocare un attacco al governo da parte dei locali contrari allo stanziamento di fondi per questi lavori.Comunque vada, lo sforzo ha già ispirato Yousef e suo figlio, e magari anche altri, a guardare al di là del conflitto arabo-israeliano. “Come mussulmani o come cristiani non sarà nostra, ma come egiziani lo è” dichiara Sameh, il figlio di Yussuf, a proposito della sinagoga. “Non è la nostra religione, ma come edificio fa parte del nostro patrimonio”.Michael Slackman, The New York Times(versione italiana di Rocco Giansante) http://www.moked.it/
*La Sinagoga di Ben Ezra è ubicata nella zona del Cairo Copto. La sinagoga era originariamente una chiesa dedicata alla arcangelo Michele, alla fine del IX secolo il patriarca Michail III cedette agli ebrei la chiesa per pagare le tasse della chiesa. Nel 1115 la sinagoga fu completamente ristrutturata sotto il patrocinio del Rabbino di Gerusalemme Ibrahim Ben Ezra, da cui derivò l' attuale denominazione. La Sinagoga è costruita da 2 piani; il primo piano è dedicato agli uomini mentre il secondo è dedicato alle donne. La sinagoga comprende un luogo ben conservato si chiama "Guenizah". (n.r)