venerdì 30 ottobre 2009

Uno sguardo sull'America di Obama nel nuovo libro di Maurizio Molinari

“Vedremo se sarà un Lincoln su scala internazionale o solo un altro Jimmy Carter”. Con una battuta Maurizio Molinari, corrispondente della “Stampa” negli Stati Uniti dal 2001, riassume in modo ironico ma molto significativo il progetto Obama. L’occasione è la presentazione del suo nuovo libro, “Il Paese di Obama - come è cambiata l’America -”(Editori Laterza) presso la Fondazione Camis De Fonseca di Torino. Nella affollata sala oltre a Molinari e ad Angelo Pezzana in veste di moderatore, tre ospiti illustri, il direttore della “Stampa” Mario Calabresi, il giornalista e scrittore Vittorio Dan Segre e l’avvocato Franzo Grande Stevens, ha raccontato al folto pubblico presente quello che l’autore definisce il “Grande laboratorio America”, l’importante ma rischiosa scommessa del presidente Obama di portare un cambiamento, di dare un volto nuovo alla politica americana e internazionale. Non è ancora possibile sapere se questa scelta sarà premiata o fallirà, ma attraverso il libro di Molinari si può comprendere perché gli americani abbiano deciso di affidarsi al “candidato con il curriculum più sbagliato possibile”, come ricorda Calabresi, perché abbiano deciso di interrompere duecentotrentadue anni di storia per eleggere il primo presidente nero della loro storia. Dan Segre un risultato alla politica di Obama già lo riconosce “ha fatto un grande dono al mondo ebraico: ha dato uno schiaffo importante al viscido e maligno antisemitismo moderno che accusa gli ebrei di aver ordito la guerra in Iraq o di essere la causa della grande crisi finanziaria”, come? Intimando ad Israele di cessare la costruzione degli insediamenti a Gerusalemme. Con questo atto Obama ha dimostrato al mondo “che il cane americano non è mosso dalla coda ebraica” sostiene Segre. Dello stesso parere Molinari “criticando Israele, il presidente smitizza l’antisemitismo” e a chi gli fa notare che nel mondo ebraico Obama sembrerebbe non godere di molta fiducia, il giornalista della “Stampa” ricorda che il 78% degli ebrei americani ha votato il candidato democratico. Addirittura il giurista Abner Mikva sostiene che “Obama sarà ricordato come il primo presidente ebreo degli Stati Uniti”; il perché lo spiega bene Molinari nel suo libro “Barack rappresenta l’inclusione delle minoranze e l’integrazione delle diversità, ovvero il motivo per cui questi gruppi tendono a identificarsi con i i valori degli Stati Uniti”. Fra i punti caldi inevitabilmente troviamo la politica internazionale di Obama, con i suoi tentativi di creare alleanze e ottenere consensi anche fra gli avversari storici degli USA, da Cuba alla Cina, dalla Russia all’Iran. Molto lucida l’analisi del professor Dan Segre “il tendere la mano storicamente, in particolare nel Medioevo, era un modo per evitare che l’altro sfoderasse la spada. Obama cerca di fare questo, trovare un’intesa con il nemico in modo da bloccarne eventuali iniziative ostili”. Il problema si pone in particolar modo con l’Islam e si domanda il professore “bisogna chiedersi come l’altro concepisce la mano tesa, se veramente vi sia una condivisione di valori. Ecco, per l’islam credo esista un forte rischio di misunderstanding, un grande pericolo di fraintendimenti da cui sarà difficile uscire”.Obama, dunque, fa una scommessa che Molinari definisce “ da far tremare i polsi”, cerca di presentare un nuovo tipo di leadership, di attuare una politica inclusiva che si risolverà o in un grande successo (Lincoln) o in una disastrosa sconfitta (Carter). Daniel Reichel http://www.moked.it/

Nessun commento: