martedì 19 febbraio 2013

Dove si incagliano le aspettative di pace 
Di Kenneth Bandler http://www.israele.net/
Con il processo di pace israelo-palestinese bloccato in un vicolo cieco da così tanto tempo, ogni sviluppo apparentemente positivo si presume che indichi una possibile opportunità di avanzamento. Alcuni osservatori sostengono che un punto di svolta sia offerto dalle recenti elezioni in Israele. Il New York Times, ad esempio, ha affermato in un editoriale che i risultati elettorali israeliani hanno posto le basi per un passo avanti nei moribondi negoziati di pace.L’annuncio della Casa Bianca che il presidente Barack Obama verrà presto in visita in Israele, dove incontrerà il nuovo governo israeliano, la dirigenza palestinese in Cisgiordania e re Abdullah II ad Amman, rinnova l’aspettativa di un rinvigorito processo di pace. In effetti Obama, durante la sua visita, potrebbe persino convocare un “vertice di pace” con Netanyahu e Abu Mazen.L’ultima volta che i tre leader si sono incontrati è stato nel settembre 2010, a Washington, quando Obama e l’allora segretario di stato Hillary Clinton fecero un intrepido tentativo di far ripartire i colloqui diretti. Poco dopo, però, il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) abbandonò la scena, snobbando sia l’interlocutore israeliano di cui avrebbe avuto per arrivare a una pace effettiva, sia il presidente americano che quell'anno aveva detto all'Assemblea Generale dell’Onu che non vedeva l’ora di accogliere come stato membro una Palestina creata sulla base di negoziati diretti.Il comportamento di Abu Mazen non fu altro che la riedizione della sua defezione già messa in scena nel 2008, quando aveva sdegnato una proposta di pace definitiva da parte israeliana molto più impegnativa di quella che la dirigenza palestinese aveva respinto a Camp David nel 2000. Abu Mazen è dunque responsabile della rottura dei negoziati, ed anche della loro eventuale ripresa. È lui che può cambiare il corso degli eventi tornando ai colloqui diretti senza pretendere pre-condizioni. L’alternativa, per lui, è continuare a perseguire una diplomazia basata sull'errato concetto che uno stato palestinese possa essere creato senza un accordo con Israele. Il voto alle Nazioni Unite dello scorso novembre che elevava lo status della delegazione palestinese non ha minimamente avvicinato Abu Mazen al raggiungimento dello sfuggente obiettivo dell’indipendenza statale. Né vi si può avvicinare col semplice fatto di stampare insegne e carta intestata addobbate con le parole “Stato di Palestina”.Fare la pace è diventato ancora più difficile dopo che i drammatici sconvolgimenti politici nel mondo arabo hanno elevato la statura di Hamas. L’emiro del Qatar, il primo capo di stato a visitare lo scorso ottobre la striscia di Gaza sotto il controllo di Hamas, ha recentemente cancellato una sua prevista visita a Ramallah, lasciando Abu Mazen ancora più emarginato nel mondo arabo. Finora re Abdullah di Giordania è l’unico leader arabo che sia andato a fargli visita. Per contro, dopo la visita del capo del Qatar, altri ministri e capi di stati si sono recati ad abbracciare la dirigenza di Hamas. Il 22 gennaio è stata la volta del primo ministro malese. Il presidente tunisino, che doveva arrivare a Gaza questo mese, ha rinviato sine die la sua visita dopo un accorato appello personale di Abu Mazen. Alla ricerca di un modo per cooperare pienamente, Hamas e Fatah continuano a parlare di riconciliazione. Parlano anche di nuove elezioni, sia nelle rispettive fazioni che per il parlamento e la presidenza palestinesi. Ma ogni accordo fra Hamas e Fatah sembra destinato a restare un pio desiderio.Il leader palestinese da tenere d’occhio è Khaled Mashal. Sebbene si sia impegnato a dimettersi dalla sua attuale carica in Hamas, Mashal ha solo 56 anni ed è difficile che pensi davvero di andare in pensione. Facendo base a Doha (dopo aver convenientemente abbandonato Damasco), Mashal viaggia molto ed è la persona di riferimento di Hamas nei colloqui con Fatah. Di recente è stato ad Amman a incontrare il re, la sua prima visita in Giordania dopo esserne stato espulso nel 1999. Queste interazioni alimentano la supposizione che in effetti Mashal sia capace di riforme. Ma Mashal, fedele all'ideologia e ai principi fondanti di Hamas che non prevedono spazio alcuno per Israele, non è in alcun modo interessato alla pace. La sua ferma opposizione all'esistenza stessa di Israele, il suo deciso sostegno alla violenza e al rifiuto di qualunque colloquio di pace sono emersi chiaramente nell'ardente comizio che ha tenuto a Gaza per le celebrazioni del 35esimo anniversario di Hamas. Da allora ha continuato a smentire puntualmente ogni volta che veniva messa in circolazione la notizia di una sua adesione alla soluzione a due stati.Sicché la palla della pace è nelle mani di Abu Mazen. Può rimanere aggrappato all'illusione di una riconciliazione con l’arci-antagonista Hamas, ma questo non porterà ad alcun accordo con Israele. Può continuare a ignorare il fatto che già quattro primi ministri israeliani consecutivi, compreso Netanyahu, si sono impegnati a negoziare una soluzione del conflitto sulla base dei due stati. E può cercare di ignorare allegramente il dato di fatto storico che gli accordi di pace arabo-israeliani funzionanti, come quelli con Egitto e Giordania, hanno avuto successo solo con il coinvolgimento degli Stati Uniti.La visita di Obama darà un incoraggiamento psicologico alla popolazione israeliana: una riaffermazione pubblica dell’incrollabile legame fra Stati Uniti e Israele che il presidente ha ripetutamente sottolineato. Potenzialmente potrebbe condurre a un rinnovato sforzo per la pace, se solo Abu Mazen, il riconosciuto leader palestinese, fosse disposto ad impegnarsi. Senza questa scelta da parte della dirigenza palestinese, il processo di pace resterà tragicamente moribondo.(Da: Jerusalem Post, 11.2.13)

Capolavori sulla via di casa: la Francia libera 8 opere d'arte trafugate dai nazisti

Sembra incredibile che, a quasi settant’anni dalla fine della seconda guerra mondiale, si senta ancora parlare di opere d’arte trafugate dai nazisti, ma d’altronde la storia procede secondo il suo ritmo. Quando poi si tratta di restituire quattro capolavori che per decenni hanno fatto bella mostra di sé al Louvre di Parigi (ed altre tre opere in collezioni pubbliche a Saint-Etienne, Agen e Tours), le cose si fanno ancora più difficili. I legittimi proprietari, due famiglie ebree, se li erano visti sequestrare da Hitler in persona, deciso a costruire il suo personale Führermuseum, che doveva essere costruito nella sua città natale, a Linz, in Austria.Guarda caso, quando si tratta di antichi maestri, gli italiani ci sono sempre di mezzo. I dipinti che stanno per rientrare a gerusalemme sono infatti a firma diPieter Jansz van Asch, Gaspare Diziani, Salavator Francesco Fontebasso, Gaetano Gandolfi, Alessandro Longhi, Francois-Charles Palko, e Sebastiano Ricci.Si tratta di una piccola goccia in un intero oceano di opere espropriate dai nazisti. Si stima infatti che buona parte dei 100.000 beni “saccheggiati” tra il 1940 ed il 1944 in Francia siano stati restituiti alle famiglie israeliane, ma, solo in Francia, ci sono ancora 2.000 opere d’arte che non hanno ancora ritrovato la via di casa.Tra i capolavori c’è anche la Tentazione di Sant’Antonio di Sebastiano Ricci (un particolare nella foto sopra), opera che arriva nelle mani di Tom Selldorff, nipote del legittimo proprietario, Richard Neumann, un ebreo austriaco.http://www.artsblog.it

Processori Intel a 10 nanometri, Israele si candida a farli

Intel potrebbe realizzare i primi processori a 10 nanometri in Israele, probabilmente nella Fab 28 di Kiryat Gat. Quel sito produttivo è attualmente impegnato nella produzione di chip Ivy Bridge a 22 nanometri e a quanto pare salterà il ciclo a 14 nanometri. Per questo motivo è molto probabile che nei prossimi anni Intel avvierà l'aggiornamento dei macchinari per preparare gli impianti alla produzione di chip a 10 nanometri.Non vi è ancora nulla di stabilito, ma il sito in Israele rappresenta senz'altro uno di quelli più importanti per l'azienda statunitense, con 8542 persone impiegate. Quest'anno Intel Israele ha più che raddoppiato le esportazioni, passando da 2,2 miliardi di dollari del 2011 a 4,6 miliardi di dollari. Questo è il frutto ovviamente della produzione delle soluzioni Ivy Bridge e per il futuro si prevede un graduale passaggio alle soluzioni Haswell, che condividono lo stesso processo.

Intel ha investito 10,5 miliardi in Israele nel decennio scorso, e 1,1 miliardi nel 2012. Ha ricevuto inoltre 1,3 miliardi di contributi governativi. Israele fa di tutto per tenersi stretta Intel, che ha pesato per il 20% sulle esportazioni hi-tech del 2012 e per il 10% su quelle industriali, che includono anche i diamanti. "Se Intel non avesse aumentato le esportazioni, il dato sull'hi-tech si sarebbe contratto del 10%", ha dichiarato Mooly Eden, presidente di Intel Israele.L'azienda ha comunque anche un altro impianto produttivo, a Gerusalemme, e quattro centri di ricerca e sviluppo. Intel ha inoltre investito in 64 start-up israeliane dal 1996 e si prevede un ulteriore impegno da parte del braccio finanziario del colosso di Santa Clara, Intel Capital.Il processo produttivo a 14 nanometri sarà per almeno due anni al centro dell'azione del produttore di CPU, a partire dal chip conosciuto con il nome in codice Broadwell. Attualmente la sua produzione è prevista in alcuni stabilimenti negli Stati Uniti e in Irlanda, ed è per questo che i dirigenti della sussidiaria israeliana guardano oltre, pur sapendo che i 22 nanometri non saranno accantonati a breve."La vita media di una tecnologia è da due a sei anni, quindi dobbiamo essere impegnati sulla prossima tecnologia, quella a 10 nanometri. Abbiamo bisogno di prendere una decisione con largo anticipo per essere in grado di aggiornare l'impianto. Per questo motivo le decisioni sui 10 nanometri dovranno essere prese quest'anno", ha affermato Maxine Fassberg, general manager di Intel Israele, a Reuters.
I 10 nanometri potrebbero rappresentare, secondo X-bit Labs, l'ultima tecnologia a impiegare "i metodi di produzione attuali", o la prima tecnologia a usare la litografia "extreme ultraviolet (EUV)". Inoltre proprio con questo processo produttivo Intel potrebbe avviare la transizione ai wafer da 450 millimetri, almeno in alcuni impianti, da cui però dovrebbe essere escluso quello di Kiryat Gat.http://www.tomshw.it/



Gnocchi con zucchine e salmone

Ingredienti: 500 gr di gnocchi di patate 100 gr di salmone affumicato 1 zucchina grande 1 scalogno olio evo

Preparazione:Tritate lo scalogno e fate soffriggere con due cucchiai di olio in una padella. Tagliate a cubetti le zucchine e fatele cucinare.Non aggiungete sale fino a fine cottura.Tritate il salmone e aggiungetelo alle zucchine quando saranno cotte. Fate insaporire mescolando sempre per circa 1 minuto.Cuocete gli gnocchi e scolateli lasciandoli leggermente brodosi. Mantecate e servite! http://www.petitchef.it/

Biscotti d’avena e gocce di cioccolato
Alla ricerca di una ricetta originale per purim ho pensato a qualcosa di semplice e al tempo stesso di utile!!!Come scritto nella meghilla’ di Ester ( CAP 9/22) una delle mitzvot di purim e’ inviare cibi (doni) agli amici.Rav Shlomo Alkabetz, il maestro che ha composto il Lekha’ Dodi’, nel suo testo Manot HaLevi, commento alla meghilla’ di Ester, ci spiega l’uso dei doni degli amici, mishloach Manot, “perché attraverso l’amicizia e l’affetto si sono riuniti e salvati non certo per la distanza dei cuori. Gli ebrei smisero di essere estranei, assimilati, e quindi nacque una comunità ebraica, basata sulla solidarietà, sul riconoscimento degli altri, e sulla preoccupazione delle necessità altrui.”Per adempiere a questa mizva’ bisogna inviare almeno due cibi pronti a due persone diverse, vi propongo quindi una ricetta di biscotti facilissimi da fare in grandi quantità.
Biscotti d’avena e gocce di cioccolato. 
250 gr fiocchi di avena piccoli 100 gr zucchero di canna 100 gr burro morbido 2 uova 1 cucchiaio cannella 2 cucchiai farina 1 bustina lievito Scorza grattugiata di un limone 100 gr gocce di cioccolato Pizzico di sale
Prima di tutto mischiare avena e farina in una ciotola. Aggiungere poi tutti gli altri ingredienti e lavorare fino a quando il burro si è completamente amalgamato (non si vede più).Mettere la pasta su un piano leggermente infarinato e fare piccole palline da porre su di una teglia con carta da forno. È molto importante non mettere i biscotti troppo vicini perché nel forno crescerannoCuocere a 180 gradi per 20 minuti e far raffreddare su una fratello.Purim Sameah!!!!! Sullam n. 107

Umorismo
In uno shtetle della Lituania, 80 anni fa, una mattina Moishe Abramoviz corre tutto agitato dal suo rav, grandissimo saggio e specialista cabalista, e gli dice: Rav ho venuto a te per dirti una cossa.Io ci ho un granda problema.Qvesta matina mi ha successo una cosa molllto particolara e ci ho una problema che solo tu puoi me aiutare a risolvere.Il Rav si interessa e dice: racconta a me cosa ha te successo.Ecco, dice Moishe, sai che la mattina io faccio sempre colazione con buon latte della mia mucca Marika e con pane nero e con burro, che a me burro molto piace e spalmo burro... Sì- lo interrompe il rav- ma vai alla problema! Quale è la problema?! Ecco, ti prego lascia me finire - dice Moishe- allora qvesta matina stavo imburando bene mia fetta di bvon pano nero che a me mi piace tanto, qvando la fetta è caduta da mia mano e è finita su pavimento. Vabbè- dice il rav spazientito- e allora? Allora, è successo che fetta di pane ha caduto su pavimento, ma non su lato imburrato! Qvesta cosa è molto stranissima e tu devi dire a me perchè qvesto è successo! Tu ha ragione, la cosa è molto strana davvero - conferma il rav- io mi consulterò con miei colleghi studiosi della cabalà, della torà, della mishnà, della halaka e del talmud e ti darò risposta appena avro da loro risposta. Inizia allora una fittissima corrispondenza fra il rav e cento altri rav sparsi per tutto l’est europa e dopo tre anni di complessi scambi epistolari finalmente il rav chiama Moishe che arriva alla sua casa ed il rav gli dice: alora, finalmenta, io cel’ho risposta per te. Abbiamo molto studiato e tutti noi abbiamo discusso tre anni. Finalmenta abbiamo concordato che una sola risposta è possibile: tu ha imburrato fetta di pane dal lato sbagliato! Sullam n.107,A cura di Roberto Modiano

lunedì 18 febbraio 2013

Definire il nemico comune 
Di Yoaz Hendel http://www.israele.net/
Stati uniti e Israele hanno valori comuni. Questo perlomeno è quello che viene detto davanti alle telecamere durante le visite di stato ufficiali. Poi, dopo le parole garbate, inizia la fase degli incontri a porte chiuse. E iniziano le richieste. Nel caso di Obama e Netanyahu, fanno molto presto la loro comparsa anche i ben noti visi scuri. Gli interessi degli americani sono diversi da quelli di Israele: un accordo di pace con i palestinesi, Israele che chini la testa davanti alla Turchia e che prometta che non esiste alcuna intenzione di attaccare il nucleare iraniano. Gli americani sono sostenuti da tutto il peso dei paesi europei, Israele è sostenuto soltanto dalle sue rivendicazioni.Ma le cose stanno in modo diverso quando si tratta di guerra al terrorismo. Qui gli israeliani sono sostenuti dall'America contro la posizione europea, una circostanza è tornata evidente di recente, quando la Bulgaria ha diffuso i risultati dell’indagine sull'attentato terroristico del luglio 2012 a Burgas. Sofia ha dichiarato che responsabile della strage (6 morti, 32 feriti) è Hezbollah, e l’Unione Europea (di cui la Bulgaria fa parte) ha reagito borbottando con evidente disagio.Sin dalla fine della seconda guerra mondiale il mondo occidentale ha avuto difficoltà a definire cosa sia il terrorismo, quasi si trattasse di una questione accademica buona soltanto per gli studiosi di scienze politiche. In realtà, queste definizioni incidono sui comportamenti. Quando non si riesce a individuare un nemico comune, diventa difficile cooperare nella lotta contro quel nemico. Il luogo comune è che “il terrorista degli uni è il combattente per la libertà degli altri”. In Europa certi luoghi comuni hanno la forza di scelte politiche, e quando il terrorismo palestinese prosperava alla grande questi luoghi comuni hanno permesso alla gente di nascondere la testa nella sabbia. Agli europei conveniva molto considerare le attività dei palestinesi come espressione di una lotta legittima: da una parte c’era l’esercito israeliano occupante, dall'altra un’organizzazione militante. Il fatto che le organizzazioni palestinesi operassero deliberatamente e sistematicamente contro civili non cambiava nulla: i capi dei gruppi terroristi viaggiavano liberamente per l’Europa raccogliendo fondi e promuovendo attentati terroristici. Alcuni di quegli attenti, fra l’altro, vennero perpetrati sul suolo europeo. Dietro le quinte, la cooperazione fra servizi di intelligence israeliani ed europei andava aumentando, ma i leader europei trovavano sempre difficile riconoscere il terrorismo per quello che è.Gli americani, per contro, classificarono Hezbollah come un’organizzazione terrorista sin dagli anni ’90. La loro prima dura lezione sul terrorismo l’appresero con il micidiale attentato suicida del 23 ottobre 1983 che costò la vita a 241 marines (che erano in Libano con la Forza Multinazionale di pace). I luoghi erano difficili, il trauma lo fu ancora di più. Da allora vi furono altre, dure lezioni. Israele, il primo a subirle, è riuscito a mobilitare gli Stati Uniti, ma non l’Europa.Chi è alla ricerca di una linea che divida i due continenti, ne può trovare una qui: nelle definizioni di terrorismo. Non nell'approccio alla politica israeliana verso i palestinesi, ma nell'attitudine verso le milizie armate del mondo arabo. Gli europei, quando guardano al Medio Oriente, vedono una regione con tante culture diverse. Gli americani vedono tanti pericoli. Dal punto di vista di Israele, la dichiarazione della Bulgaria che c’è Hezbollah dietro all'attentato di Burgas mette gli europei di fronte a un sano dilemma. Ora devono decidere che cosa fare del risultato della loro stessa indagine. Possono accusare Hezbollah d’aver organizzato e realizzato un attentato terroristico senza classificare Hezbollah come un’organizzazione terroristica? E lo stesso vale per l’approccio degli europei a Hamas.L’imbarazzante posizione in cui si trovano gli europei rappresenta un’importante occasione per Israele. È attualmente in corso il tentativo di introdurre una legislazione che definisca il terrorismo nell'Unione Europea. Se questo sforzo darà risultati, la definizione entrerà in conflitto con i fatti: sarà difficile per gli europei ignorare il coinvolgimento dell’Iran, quando le organizzazioni terroristiche saranno finalmente indicate come tali. Nonostante la sua tradizione, con una legge come questa sarebbe difficile per l’Europa continuare a puntare automaticamente il dito accusatore contro Israele ogni volta che qualcosa va storto in Medio Oriente.(Da: YnetNews, 15.2.13)

Continuano le vessazioni dei palestinesi
Fra Israele e Striscia di Gaza c'é una condizione di guerra cronica permanente. Ne abbiamo avuto prova lo scorso anno, con le migliaia di razzi e missili sparati dai terroristi di Hamas verso le città meridionali dello stato ebraico; al punto di indurre l'IDF ad un'operazione militare che ha ridimensionato nel breve periodo la costante minaccia dell'organizzazione terroristica che controlla l'enclave palestinese dal 2007. Nessuna meraviglia che in virtù di questo stato, il transito di persone e cose fra i due territori sia controllato e centellinato (ma ciò non impedisce che da Israele a Gaza giungano ogni settimana tonnellate di generi alimentari e beni di prima necessità).Ciò che sorprende e rattrista, è che le restrizioni avvengano anche sul versante meridionale della Striscia di Gaza.Non solo l'Egitto allaga il migliaio di tunnel clandestini che lo collegano la Striscia, attraverso il quale i palestinesi contrabbandano ogni tipo di bene (e pazienza se alcuni moriranno annegati, o schiacciati dal collasso delle gallerie); ma apprendiamo ora che il Cairo tiene chiuso da oltre due settimane il valico di Rafah, che dovrebbe consentire il transito fra Egitto e Striscia. E' la stessa Hamas - filiazione locale dei Fratelli Musulmani, che comandano adesso in Egitto dopo la defenestrazione di Mubarak - a denunciarlo: forse perché a ricevere il diniego di transito sono adesso gli stessi ufficiali e membri dell'organizzazione islamica che governa Gaza.Non solo: l'Egitto ha interrotto il transito di combustibili che l'emiro del Qatar ha recentemente donato all'enclave palestinese; anche in questo caso, senza alcuna giustificazione.Le restrizioni, a quanto pare, hanno seguito le accuse dei media egiziani nei confronti di Hamas, che avrebbe avuto un ruolo attivo nella repressione delle recenti manifestazioni di protesta al Cairo. Hamas nega ogni coinvolgimento. Ma per i palestinesi la Striscia di Gaza finisce così per diventare una "prigione a cielo aperto": per colpi dei loro stessi fratelli egiziani.Nel frattempo si apprende che Hamas si accinge a demolire 75 case, in cui abitano altrettante famiglie palestinesi. Le ruspe saranno inviate dal "governo" di Gaza mercoledì prossimo. Inutili le accese proteste di qualche giorno fa: l'organizzazione islamica sostiene che gli alloggi sono abusivi, perché edificati su territorio pubblico. Una spiegazione che lascia l'amaro in bocca ai malcapitati: avessero costruito in Israele, sempre su terreni pubblici, o in spregio alle normative edilizie, avrebbero attratto l'attenzione di tutto il mondo a fronte di una analoga quanto legittima decisione del governo di Gerusalemme. Inutili gli appelli rivolti a tutti i livelli dai residenti di queste comunità le cui case saranno fra pochi giorni spazzate via senza complimenti. http://ilborghesino.blogspot.it/

Dove sono finiti tutti i miliardi versati ai palestinesi?
Il primo ministro dell'Autorità Palestinese (AP) Salam Fayyad ha dichiarato che il regime è a corto di liquidità. Un lettore nel frattempo mi chiede: «mi puoi spiegare perché a 20 anni dagli Accordi di Oslo e con miliardi di dollari di aiuti internazionali, l'AP non dispone di moderni ospedali? perché i paesi donatori versano contributi a pioggia senza manco aspettarsi qualche minimo risultato che salvi la faccia?»E' una buona domanda. La risposta breve è: conti in Svizzera. In altre parole, una consistente quantità di denaro è stata distratta. Non c'è niente di peggio di governanti - specie un popolo povero - che da un lato lamentano le condizioni misere del proprio popolo, e dall'altro ne approfittano. Ovviamente, un osservatore che vede i palestinesi in condizioni di povertà, tende a biasimare per questo Israele, in tal modo esacerbando la causa effettiva di questa situazione: la politica intransigente dei leader palestinesi.La ricchezza personale del "presidente" Mahmoud Abbas è stimata in 100 milioni di dollari. Per avere un'idea delle cifre in ballo, si sommi a questa somma i milioni di dollari di esponenti di primo e secondo piano dell'AP e del partito Al Fatah, assieme alle centinaia di milioni di dollari che Arafat ha trafugato all'estero. Una cifra di mezzo miliardo di dollari destinata in vent'anni ad un'entità che governa poco più di due milioni di anime.Ho visto personalmente le ville dei leader dell'OLP a Tunisi, nel West Bank e a Gaza. Ho seguito in dettaglio la saga delle fortune personali di Arafat, e di come ha usato la corruzione per perpetrare il suo potere. Con i suoi seguaci che ancora oggi controllano il movimento palestinese.E' facile dimenticare che l'AP esiste da 18 anni e che ha governato su virtualmente ogni palestinese da 16 anni a questa parte. E' un periodo di tempo lunghissimo. E mentre Israele può essere biasimato di disturbo e di ostacolo, il suo ruolo in questa faccenda è del tutto limitato. Le iniziative israeliane che hanno danneggiato l'economia palestinese, sono sempre state in reazione ad atti di terrorismo, di aperta violenza e di ostilità vera e propria condotta dalla stessa AP.I donatori internazionali hanno capito che, a prescindere dai benefici umanitari dei vari progetti, essi saranno eseguiti solo se mettono mano al portafoglio e lo controllano direttamente. Un classico esempio è stato lo sforzo profuso per costruire un sistema di semina efficiente nella Striscia di Gaza, prima del colpo di Stato di Hamas: è stato ritardato per anni, con l'AP che non ha fatto nulla per rilanciarlo.I leader dell'AP hanno ricevuto più denaro pro-capite di nessun altro nella storia, e i risultati conseguiti sono stati tutt'altro che impressionanti. I leader hanno saccheggiato il denaro, usandolo a fini politici per acquistare il consenso, nonché per assoldare una sproporzionata forza di sicurezza con il compito di sorvegliare sull'AP, fornendo lavoro e retribuzioni ai seguaci più vicini.Da notare come negli ultimi anni, da quando Hamas ha assunto il controllo della Striscia di Gaza, la maggior parte del denaro è affluita nel solo West Bank, sebbene una parte sia impiegata per pagare i dipendenti dell'AP a Gaza, garantendosene in tal modo la lealtà. In altre parole, il livello degli aiuti finanziari è rimasto il medesimo, mentre il numero di persone teoricamente beneficiarie si è ridotto alla metà.Ciononostante, l'AP non riesce a garantire un impiego alla sua gente, o a lavorare a buone istituzioni. Appartamenti lussuosi spuntano come funghi, ma difettano ospedali, scuole e migliorie alle infrastrutture. Malgrado l'economia palestinese vada abbastanza bene (come potrebbe essere altrimenti con questo fiume di denaro?), il regime non riesce nemmeno ad imporre la propria legge, vietando ai palestinesi di lavorare nelle aziende ebraiche situate nel West Bank: migliaia di palestinesi vi prestano servizio.Il primo ministro Salam Fayyad è rispettato in Occidente come persona relativamente onesta, scrupolosa e moderata, intenta a prevenire le malversazioni. Ma dal punto di vista politico egli è completamente ininfluente. E la leadership di Fatah lavora da tempo per liberarsene in modo da avere accesso esclusivo alla cassaforte. Hamas vorrebbe che fosse licenziato. Soltanto le pressioni degli stati donatori lo ha mantenuto al suo posto: ma ancora per quanto tempo?Perché il mondo intero non bada ai furti di denaro pubblico, agli sprechi, alle malversazioni e alla corruzione? è semplice:- il denaro non è devoluto per finalità di sviluppo, ma per motivi politici: consentire all'AP di andare avanti, evitando che Hamas prenda il potere nel West Bank. Ecco perché il presidente Obama, con il sostegno del governo israeliano, ha spinto il Congresso a fornire nuovi e maggiori aiuti all'AP. Obama non ha avuto nulla da obiettare alla decisione dell'AP di impiegare il denaro per pagare la propria burocrazia a Gaza, andando ciò a beneficio anche di Hamas;
- fornire denaro all'AP presumibilmente sostiene la causa di pace e pertanto è considerato doveroso in Occidente, anche se l'AP non fa nulla per la pace. Dal punto di vista cinico della leadership occidentale si può dire che finanziare queste iniziative serve a mantenere la pace sociale, a fronte dei tanti altri problemi che affliggono l'area. Ecco perché chiudono un occhio di fronte al tentativo di riconciliazione con Hamas, che peraltro non va avanti da tempo;- i media, di ispirazione progressista e il mondo accademico, non apprezzano Israele e si rifiutano di criticare l'AP perché si ritengono "moderati", "amanti della pace", "brave persone" e vittime. I palestinesti, dopotutto, non sono cristiani, non sono occidentali e - usando un modo di dire comune oggi nei reality - sono "non bianchi".In tutto questo contesto i contribuenti forniscono il denaro, che la leadership palestinese ruba o usa per finalità politiche, con il palestinese medio che soffre per questo, e non per una presunta "occupazione israeliana" da tempo terminata. La loro persistente sofferenza - malgrado i loro governanti abbiano ricevuto più denaro pro-capite di quanto sia mai stato versato nella storia, senza che ciò ne abbia migliorato le condizioni - è usata contro Israele. Se, come pare, Al Fatah è finalmente riuscita a mettere le mani sulla cassaforte, escludendo dal controllo finanziario Fayad, giudicato troppo onesto; la situazione non può che peggiorare.http://ilborghesino.blogspot.it/,di Barry Rubin

Israele: il Parco Nazionale di Avdat riapre al pubblico dopo 3 anni di lavori

 

Il Parco Nazionale di Avdat, nel deserto israeliano del Negev, tornerà ad essere visitabile dai turisti. Dopo tre anni di restauri, resi necessari dai gravi danneggiamenti vandalici dell’ottobre 2009, questo sito riconosciuto Patrimonio mondiale dell’Unesco riaprirà le sue porte.Un investimento di 2 milioni di dollari ha permesso di riparare i danni, di ripristinare le pietre distrutte e le colonne della chiesa bizantina, di rimuovere i graffiti dall’altare e dalle presse per il vino israeliane.Il Parco Nazionale di Avdat si trova lungo l’antica rotta delle spezie e dei Nabatei ed è un popolare punto di sosta per i pellegrini cristiani e i turisti in viaggio verso Eilat. L’area protetta comprende sentieri, sorgenti e boschi abitati da una ricca fauna selvatica. L’antica Avdat nabatea includeva un quartiere residenziale, un campo militare e diversi recinti in cui erano tenuti cammelli, pecore e capre. Anche i cavalli erano allevati e divennero presto famosi come cavalli da corsa. I Romani poi conquistarono il regno nabateo e Avdat cadde in declino.http://www.travelblog.it/

Voci a confronto
Torna il terrore a Baghdad. Otto le autobombe esplose, alcune decine i morti (Corriere). In Israele intanto il Parlamento apre un’inchiesta sul caso del cosiddetto “Prigioniero X” dopo il polverone mediatico degli scorsi giorni (Stampa). In una rassegna con pochi spunti di cronaca sono le pagine culturali a destare particolare interesse: da Etty Hillesum (Corriere) al caso Dreyfus (Giornale), i temi ebraici, dell’uguaglianza e della difesa della memoria sono anche oggi presenti sulla stampa. Lisa Palmieri Billig, nella sezione Vatican Insider della Stampa, con un lungo intervento ricostruisce infine l’evoluzione dei rapporti di papa Ratzinger con il popolo ebraico e con Israele. “Nel suo rapporto con gli ebrei – scrive l’autrice – il papato di Benedetto XVI è stato segnato dalla fedeltà ai precetti di ‘Nostra Aetate’, da empatia personale, grande rispetto e dall’imperativo teologico e morale della necessità di guarire le ferite storiche inflitte al popolo ebraico e al mondo intero dalla Shoah, derivate anche dei secoli di insegnamento, da parte delle Chiese cristiane, del disprezzo verso gli ebrei additati come quelli che hanno ammazzato Cristo”.
(18 febbraio 2013)http://moked.it/blog

Qui Bruxelles - Ministri UE a confronto su Hezbollah 
È in corso la riunione dei 27 ministri dell'Unione Europea a Bruxelles per il consueto appuntamento mensile di confronto sui temi e sulle sfide comuni. Tra i punti all'ordine del giorno la decisione se inserire o meno Hezbollah, movimento estremista libanese che avrebbe una diretta responsabilità nell'agguato mortale contro cittadini israeliani perpetrato la scorsa estate in Bulgaria, nella lista delle organizzazioni terroristiche internazionali. http://www.moked.it/
 

Tea for Two - Il primo appuntamento
Era uno di quei giorni di scuola in cui infilavo una tuta sformata per educazione fisica e mi preparavo spiritualmente al terrore di essere interrogata in latino o greco. Una di quelle giornate in un mese imprecisato del quadrimestre nelle quali il tempo è incerto e promette pioggia. E sai che non sfuggirai a quel banco imbrattato di disegni e di aoristi scritti in fretta e furia prima di un compito da qualche collega dell'Inferno scolastico. Durante una lezione nella quale sonnecchiavo pigramente senza dare nell'occhio, entrano delle persone e ci vendono dei libri per scopi benefici. Metto una 'x' a casaccio su dei titoli che mi suonavano bene. Qualche giorno dopo arriva impacchettata la mia ordinazione. Comincio a sfogliare Racconti italiani contemporanei e trovo una storia che mi ispira immediatamente. Lui e io di Natalia Ginzburg. Descrive una coppia assortita in maniera davvero particolare: "Lui ha sempre caldo; io sempre freddo (...) Lui sa parlare bene alcune lingue; io non ne parlo bene nessuna (...) Lui ama il teatro, la pittura e la musica: sopratutto la musica. Io non capisco niente di musica, m'importa molto poco della pittura, e m'annoio a teatro. Amo e capisco una sola cosa al mondo, ed è la poesia." Non capisco bene il perché ma vengo immediatamente rapita da questa unione di anime tanto diverse che camminano insieme. Lui, un tuttologo come ne ho incontrati a iosa. Lui va nei cinema d'essai mentre fuori piove solo per vedere la comparsa di un attore che apprezza, lei lo segue perché vuole vedere come finisce il film. Lui enciclopedico, lei lirica. E più di tutto amo la conclusione del racconto, quando lei ricorda a lui la loro prima uscita: "Se gli ricordo quell'antica nostra passeggiata per via Nazionale, dice di ricordare, ma io so che mente e non ricorda nulla; e io a volte mi chiedo se eravamo noi, quelle due persone, quasi vent'anni fa per via Nazionale; due persone che hanno conversato così gentilmente, urbanamente, nel sole che tramontava; che hanno parlato forse un po' di tutto, e di nulla; due amabili conversatori, due giovani intellettuali a passeggio; così giovani, così educati, così distratti, così disposti a dare, l'uno dell'altra, un giudizio distrattamente benevolo; così disposti a congedarsi l'uno dall'altra per sempre, quel tramonto, a quell'angolo della strada." Allora giro a vuoto per via Nazionale e ripenso al loro primo appuntamento.Rachel Silvera, studentessa –  http://www.moked.it/

In cornice - Il Nabucco di Daniele Abbado
Basare la scenografia di un “Nabucco” su continui richiami alla Shoah, rischia di finire in un flop. È già accaduto. Ma Daniele Abbado, regista dell’edizione ora in scena a La Scala, si è mosso con intelligenza, senza utilizzare simboli abusati o troppo evidenti, ma basandosi su elementi più profondi e in parte nuovi. Il pubblico ha applaudito a lungo Abbado e credo che il suo messaggio rimarrà più inciso nella mente degli spettatori, proprio perché Abbado li ha lentamente attirati dalla sua rete. Ad esempio, non ha vestito i personaggi con pigiami a righe o con uniformi naziste, ma piuttosto con vestiti della media borghesia mitteleuropea degli anni ’30. Niente di troppo appariscente, ma nei momenti topici ecco apparire i bambini vestiti con pantaloncini corti e con baschi di colore scuro. Non hanno alzato le braccia come nella celebre foto dal ghetto di Varsavia, ma il parallelo era evidentissimo. Mi ha poi colpito il modo in cui Abbado ha ricreato le colonne del Tempio di Gerusalemme: senza cercare alcuna ricostruzione storica, ha optato per dei parallelepipedi scuri, lisce, simili ai blocchi di granito senza nome del Museo della Shoah di Berlino  pensato da Libeskind e del Memoriale degli ebrei assassinati d’Europa creato da Eisenmann sempre nella capitale tedesca. Così, quando il Tempio viene distrutto, è come se fosse la memoria cadesse e rischiasse di scomparire, salvo poi ritornare in parte in piedi. Non so chi abbia colto questa sfumatura: è però importante notare che grazie alle opere di grandi architetti come Libeskind ed Eisenmann, il patrimonio dei simboli associati alla Shoah si stia espandendo, colpendo prima gente come Abbado e poi altri. È dimostrazione evidente che l’arte è fondamentale per mantenere vivo e rinnovare il ricordo della tragedia che abbiamo subito dai nazisti.Daniele Liberanome, critico d'arte,http://www.moked.it/


Nugae - One Billion Rising
I dance cause I love, danzo perché amo. Riecheggiano in testa alla rinfusa le parole di Break the chain, la canzone inno di One Billion Rising, la manifestazione internazionale che ha avuto luogo questo giovedì, organizzata da Eve Ensler, la drammaturga newyorkese, ebrea fra l’altro, famosa per i suoi The Vagina Monologues. Dance cause I dream, danzo perché sogno. Eve sognava che nella stessa giornata, il 14 febbraio, il quindicesimo anniversario del suo V-day, le donne di tutto il mondo si alzassero insieme e ballassero tendendo un dito verso il cielo, per dire simbolicamente no alla violenza contro le donne. E il suo sogno megalomane, grazie a internet e al fascino modaiolo dei flash mob, si è realizzato. Dance cause I’ve had enough, danzo perché ne ho abbastanza. E mica solo lei, sul sito di OBR si possono guardare i video di schiere di donne in tailleurs multicolori, le donne potenti del Parlamento europeo e dell’ONU, che dichiarano il loro sostegno. Ma anche delle due dive dai capelli corti, la bionda Charlize Theron e la mora Anne Hathaway, decisamente più glamour. L’altra sera, dopo un monologo in parte divertente e in parte vagamente didascalico,  anche Luciana Littizzetto ha ballato al festival di Sanremo. Ha di certo più talento nei suoi discorsi audaci, ma i suoi movimenti esitanti, proprio perché goffi, riempivano di orgoglio. Dance to stop the screams, danzo per fermare le urla. Le urla di dolore di quel Billion, milardo, di donne nel mondo picchiate, violentate, sfigurate dall’acido, mutilate. Una su tre. In Italia in media ogni tre giorni un uomo uccide una donna. Fa impallidire. Dance to break the rules, danzo per rompere le regole. E 190 paesi hanno trovato 190 modi diversi per farlo. In Israele fra le 30 diverse iniziative, la più diffusa è stata quella di ballare sulle note di una canzone intitolata “Ascolta la mia voce” scritta dalla cantante israeliana Iris Yotvat, sulla forza delle donne. Dance to stop the pain, danzo per fermare il dolore. Perché come ha detto Luciana, “l’amore rende felici e riempie il cuore, non rompe le costole, non lascia lividi sulla faccia”. Dance to turn it upside down, danzo per capovolgere la situazione. Perché la danza, ha spiegato Eve, “è qualcosa che può succedere ovunque e con chiunque, ed è gratis. Ci fa occupare lo spazio, ci unisce e ci spinge ad andare oltre, ed è per questo che è al centro di OBR”. È ora di fermare la catena, it’s time to break the chain.Francesca Matalon, studentessa di lettere antiche, moked.it