Hamas leader Ismail Haniya visits Tunisia
http://www.memritv.org/clip/en/0/0/0/0/0/0/3257.htm
sabato 14 gennaio 2012
Il gesto vergognoso di divellere le tre «pietre d’inciampo» collocate nei giorni scorsi tra i sampietrini nel selciato stradale della città di Roma, in ricordo delle sorelle Spizzichino e di don Pietro Pappagallo, si può dire che sia il segno di quanto quelle testimonianze, silenziose ma onnipresenti, siano d’intralcio per i nipotini di Eichmann. Non è quindi gioco di parole l’affermare che i tre piccoli simboli della memoria abbiano fatto inciampare qualcuno, sia pure in modo ben diverso da quelle che erano le intenzioni di chi le aveva poste a memento collettivo. Ne parlano un po’ tutti i quotidiani, tra i quali l’Avvenire, il Corriere della Sera nell’edizione romana, il Giornale (che menziona i «vandali»), Maria Lombardi in un ampio articolo per il Messaggero, così come Sara Grattoggi su la Repubblica, Fabio Perugia sul Tempo. Adachiara Zevi, coordinatrice del progetto nella capitale, denuncia il fatto in sé e la natura chiaramente premeditata, poiché al posto dei cubetti trafugati sono stati posti dei sampietrini di porfido. Stolpersteiner, per l’appunto pietre che si possono calpestare non potendone non vedere tuttavia la loro particolarità, sono la creazione, a suo modo geniale, di Gunter Demnig, che dal 1993 si è diffusa in molti paesi d’Europa, coinvolgendo una settantina di città. Si tratta di cubetti in ottone, inseriti nella pavimentazione stradale, dove sono riportati i dati anagrafici delle persone assassinate nei campi nazisti. Ad ogni pietra corrisponde un nome, ovvero una vita. A Roma sono già 72, distribuite in 7 municipi metropolitani. Peraltro, avvicinandosi il Giorno della Memoria, si intensificano gli articoli sulla Shoah, come nel caso di Laura Crinò per il Venerdì della Repubblica, dove si parla della famigliSa di Anne Frank, mentre Alessandro Zaccuri per l’Avvenire dà voce ai timori legati al negazionismo, che si accompagnano al lento declivio della memoria. Sulla medesima testata, Alessandra De Luca offre uno sguardo sul cinema che si interroga sulla deportazione, del pari a Roberto Escobar per l’Espresso e Gaetano Vallini sull’Osservatore Romano, che commentano il film di Gilles Paquet Benner «la chiave di Sara». Per quanto concerne l’attualità internazionale, tra le altre cose, piuttosto problematizzanti sono le valutazioni relative alla sentenza della Corte suprema israeliana che si è pronunciata sulla legittimità della legge che dal 2003 impedisce l’acquisizione automatica della cittadinanza israeliana, e il diritto alla residenza permanente, agli sposi palestinesi di cittadini israeliani. Così l’Avvenire, il Giornale e Aldo Baquis per il Mattino. Un lungo articolo di Ulrich Ladurner, in traduzione su l’Internazionale, fa il punto della situazione riguardo alla situazione politica del regime iraniano e alle tensioni economiche e sociali in atto nel paese, mentre Alberto Negri, per il Sole 24 Ore, parla della Siria come di un «mosaico in frantumi», dove la satrapia degli Assad sta perdendo sempre più terreno. Come già si è avuto modo di commentare in altra sede, sarà intorno al destino di Damasco che si giocheranno molte delle partire aperte in Medio Oriente durante l’anno da poco apertosi. Claudio Vercelli, http://moked.it/
Jane Birkin in concerto a Tel Aviv, rifiuta di boicottare Israele
Foto spopola sul web, aspra reazione del portavoce militare
Washington teme ritorsioni iraniane in Iraq
Il documento uscito dalla riunione segreta del 20 gennaio 1942 sulla "soluzione finale" fu trovato per caso dopo la sconfitta del nazismo, fotocopiato e riprodotto in vari testi didattici, ma si pensava che l'originale non esistesse più. Invece c'è. E Welt online ha pubblicato quelle agghiaccianti 15 pagine dattiloscritte
di Marco Pasqua http://viaggi.repubblica.it/
Il sondaggio "Best of" lanciato sul web. La città israeliana surclassa Toronto e altre 50 mete. "In Israele comunità omosessuale libera come in nessun'altro Paese al mondo
Nel 2007, ad esempio, il ministro del Turismo israeliano ha lanciato una campagna per attirare visitatori gay, servendosi di una foto che ritraeva due giovani ragazzi con la kippah, che si guardavano teneramente sullo sfondo di Gerusalemme. Pubblicità di Stato per difendere inclusione e tolleranza nei confronti di tutti i cittadini, israeliani e non, indipendentemente dall'orientamento sessuale. Due anni fa, l'ente del turismo ha investito oltre 80mila dollari per promuovere e veicolare l'immagine di una città gay-friendly, attraverso la campagna "Tel Aviv Gay Vibe". Sei mesi di messaggi diffusi attraverso i media e internet (con tanto di sito web dedicato). Più recentemente, il ministero israeliano per la diplomazia pubblica e per la diaspora ha anche nominato vari uomini e donne omosessuali come "volontari" incaricati di rappresentare il Paese nel mondo. Sul proprio sito web, il ministero ha incoraggiato le minoranze e i membri della comunità gay a farsi avanti per entrare a far parte degli inviati non ufficiali del Paese. Per il portavoce, Gal Ilan, un modo per "sottolineare le diversità che contraddistinguono Israele". Normale che la notizia del premio assegnato dal sito americano venga vista come un riconoscimento al lavoro svolto finora. Il sindaco di Tel Aviv, Ron Huldai, ha salutato con entusiasmo il riconoscimento, su Facebook: "La vittoria in questa gara è una ulteriore dimostrazione che la nostra è una città che rispetta tutte le persone e offre a tutti la possibilità di vivere secondo i loro valori e desideri. Questa è una città libera, in cui ognuno può sentirsi fiero per ciò che è". (12 gennaio 2012)
Israele si prepara alla caduta di Assad
Hacker israeliani e arabi si danno battaglia a suon di carte di credito rubate. Israele risponde piccata parlando di cyber-rappresaglia, mentre l'Arabia Saudita getta acqua sul fuoco
La Molisana, miglior spaghetto in Israele
Israele, movimenti in vista delle elezioni nel 2013
Nissany, dall'Israele per vincere
Roy Nissany ha annunciato il prolungamento del proprio contratto con il team Mucke nel 2012, al fine di ripetere il campionato Formula ADAC Masters. Nato il 30 novembre 1994 è il primo pilota israeliano a correre in serie europee, seguendo le orme di suo padre, Chanoch, che nei primi anni del nuovo millennio era tester della Minardi in Formula 1.Come giudichi la tua stagione 2011?“È stata un’annata altalenante. Ci sono stati momenti positivi e negativi. Nella prima parte della stagione abbiamo fatto delle prove positive, con la consapevolezza di sapere qual è il nostro valore e aver appreso delle buone nozioni per il futuro della mia carriera”. Poi cos’è successo?“Nelle prime corse lottavo per il podio e la Top-5, poi al Nurburgring ho avuto un brutto incidente che ha portato alla rottura della scocca. Da lì in poi abbiamo fatto fatica a capire come sistemare la vettura, arrancando nella parte finale del campionato. Fortunatamente ad Hockenheim per l’ultima corsa abbiamo avuto modo di ritrovare la giusta via, che sarà un buon trampolino per il prossimo anno”.Quali sono quindi I tuoi piani per il 2012?“Prenderò ancora parte alla Formula Adac Masters con il team Mucke”.Hai riconfermato la stessa squadra dopo un anno e mezzo di collaborazione. Devi aver trovato un buon ambiente in cui lavorare…“Si esatto. Ho una grande intesa, mi sento a mio agio sia coi meccanici sia con gli ingegneri, credono in me ed io in loro. Mettono il pilota a proprio agio e al pari dei compagni. La macchina è sempre molto curata e competitiva quindi rinnovare con loro è stata una scelta naturale”.Come giudichi il livello della Formula Adac Masters?“Mi piace, è un bel campionato. C’è tanta competizione in pista, la possibilità di girare molto e ci sono tre gare nello stesso fine settimana. Il contesto in cui è inserito è poi decisamente spettacolare, insieme alla Formula 3 ed al GT, con tanto pubblico e gare molto avvincenti in ogni serie”.Qual è il tuo obiettivo per la prossima stagione?“Cercare di restare al top in ogni occasione e lottare sempre al vertice provando a conquistare il successo. Credo nel team ed in me stesso e sono convinto che potremmo riuscire in questo risultato”. Dove vivi? “Vivo a Tel Aviv, dato che ho iniziato gli sudi qui, ma durante le gare chiaramente mi sposto in Europa”.Come gestisci I tuoi viaggi in Europa?“Il volo dura quattro ore. Parto il mercoledì sera per non perdere giorni di scuola ed essere pronto in pista al giovedì. Poi domenica sera ho l’aereo di rientro che mi permette di arrivare presto a casa. Dormo qualche ora e poi vado a lezione”. Hai mei pensato di venire a vivere in Europa ?“Certo, ma Israele è la mia nazione, ho la mia bandiera, la mia famiglia e i miei amici. Vivo qui dove ho anche la mia residenza. Forse potrei trascorrere in Europa un breve periodo in estate tra una gara e l’altra, magari anche in Italia, ma per il momento continuo ad avere a Tel Aviv la mia base”.In Italia il nome Nissany è conosciuto grazie a tuo padre Chanoch che era tester per Minardi. Vedremo anche te in F1? “Lo spero, è chiaramente l’ambizione di ogni pilota. Lotterò duramente per arrivare al coronamento di questo sogno e vedremo cosa succederà…”Quali sono i tuoi progetti per il futuro?“Penso che dopo la Formula Masters il passo naturale sia la Formula 3. Con Mucke potremmo anche pensare alla GP3, ma sono quesiti che dovremmo porci alla fine di quest’anno, quindi abbiamo tempo”.Com’è il rapporto con tuo padre? “Anche lui è un pilota. Mi da consigli in modo molto professionale, ma non è un padre invasivo, non si intromette nel lavoro della squadra o dei meccanici. Mi aiuta solo dandomi dei preziosi suggerimenti dato che lui ha già passato questa situazione a suo tempo”.
giovedì 12 gennaio 2012
Da un articolo di Khaled Abu Toameh, http://www.israele.net/
Sono passati sette anni da quando Mahmoud Abbas (Abu Mazen) è stato eletto a succedere al defunto Yasser Arafat nella carica di presidente dell’Autorità Palestinese, e molti palestinesi appaiono quanto mai confusi circa le vere intenzioni del loro attuale leader.Abu Mazen si candidò alle elezioni presidenziali del gennaio 2005, per un mandato che avrebbe avuto essere di quattro anni, sulla base di un programma che prometteva grandi riforme e cambiamenti sia nell’Autorità Palestinese che in Fatah, la fazione allora dominante, anch’essa sotto la sua direzione. Un anno più tardi, però, la maggior parte dei palestinesi, essendosi resi conto che Abu Mazen non faceva sul serio su lotta alla corruzione e riforme in Autorità Palestinese e Fatah, alle elezioni parlamentari votarono per Hamas. Hamas riuscì a conquistare i cuori e le menti di tanti palestinesi correndo per lo più sotto lo slogan “cambiamento e riforma”. In pratica, prometteva esattamente le stesse cose che Abu Mazen si era impegnato a fare nella sua campagna elettorale per la presidenza.Diversi alti esponenti di Fatah attribuiscono ad Abu Mazen la sconfitta della loro fazione nelle elezioni parlamentari del gennaio 2006. Alcuni si sono spinti al punto di sostenere che egli avesse deliberatamente cercato la sconfitta di Fatah per via di suoi personali risentimenti verso parecchi alti esponenti di Fatah.Non basta. Abu Mazen viene anche ritenuto responsabile del crollo dell’Autorità Palestinese nella striscia di Gaza nell’estate 2007. L’accusa principale contro di lui è d’aver ordinato ai suoi uomini di arrendersi a Hamas e fuggire. Anziché concentrarsi sulla riforma di Fatah all’indomani dell’umiliante sconfitta nelle elezioni parlamentari, Abu Mazen preferì cercare il modo di rovesciare il regime di Hamas: una mossa che fallì, rafforzando ancor di più la statura del movimento islamista palestinese. Così, diversi dirigenti di Fatah e di Hamas reputano Abu Mazen personalmente responsabile del fatto che i palestinesi si ritrovano divisi in due entità separate, Cisgiordania e striscia di Gaza. Alla fine, commentano sarcastici i suoi critici, i palestinesi hanno davvero realizzato la soluzione “a due stati”.È vero che il fallimento del processo di pace con Israele ha contribuito a minare la posizione di Abu Mazen agli occhi di molti palestinesi. Ma certamente questa non è la ragione principale per cui tanti palestinesi hanno perso fiducia in lui e nella sua leadership. Negli ultimi anni Abu Mazen è riuscito a confondere molti palestinesi diffondendo messaggi contraddittori a loro e al resto del mondo. Ad esempio, aveva promesso che non si sarebbe ricandidato alle elezioni presidenziali, che sembra debbano tenersi nel prossimo mese di maggio. Ma ora i suoi collaboratori vanno dicendo che il leader 76enne è l’unico candidato di Fatah, lasciando intendere che cercherà di farsi eleggere per un altro mandato.Sebbene abbia ripetutamente proclamato negli ultimi due anni che i palestinesi non avrebbero ripreso i negoziati diretti con Israele finché il governo israeliano non congelerà tutte le attività edilizie negli insediamenti e a Gerusalemme est e non accetterà le linee pre-’67 come base per una soluzione a due stati, adesso Abu Mazen ha consentito che si tengano colloqui in Giordania fra rappresentanti dell’Olp e inviati israeliani.Abu Mazen ha gettato la sua gente nella confusione anche riguardo alla questione della riconciliazione e dell’unità con Hamas. Inizialmente la sua posizione era che non avrebbe mai avviato trattative con Hamas a meno che Hamas non ponesse fine al suo controllo sulla striscia di Gaza. Poi però ha cambiato posizione ed ha accettato di parlare con Hamas senza pretendere che fosse consentito a Fatah e Autorità Palestinese di tornare nella striscia di Gaza. L’anno scorso Abu Mazen ha annunciato che lui e il capo di Hamas, Khaled Mashaal, avevano raggiunto un accordo per porre fine alla controversia fra le due parti e “voltare pagina” nelle relazioni fra loro. Tuttavia, nello stesso momento in cui parlava di riconciliazione e unità, le sue forze di sicurezza in Cisgiordania continuavano ad arrestare i sostenitori di Hamas. I palestinesi sentono un sacco di discorsi sulla riconciliazione, sull’unità e sul porre fine alle divisioni in campo palestinese, ma sul terreno vedono adottare misure che dicono tutt’altro: vedono le forze di sicurezza di Abu Mazen che schiacciano gli attivisti di Hamas e vedono Hamas fare lo stesso con i rappresentanti di Fatah.Anche le mosse di Abu Mazen nell’arena internazionale hanno suscitato confusione fra i palestinesi. Prima di presentare, lo scorso settembre, la domanda di adesione unilaterale alle Nazioni Unite (senza negoziato né accordo con Israele), aveva fatto sapere che se il tentativo di raggiungere l’indipendenza per questa via fosse fallito avrebbe dato le dimissioni o avrebbe smantellato l’Autorità Palestinese. Ma ora che il tentativo è fallito, non sembra avere alcuna intenzione di dare corso alle sue minacce.Anche i discorsi di Abu Mazen circa una terza intifada sconcertano molti suoi elettori. Da una parte egli non manca di sottolineare la sua opposizione a una terza intifada, sostenendo di rimanere impegnato verso il metodo dei negoziati pacifici con Israele. Dall’altra, ha recentemente parlato di una “intifada popolare” che dovrebbe essere simile a quella che scoppiò nel dicembre 1987 quando i palestinesi utilizzavano pietre e bombe incendiarie per attaccare soldati e coloni ebrei nei territori (e intanto va ad omaggiare in Turchia alcuni fra i più feroci terroristi scarcerati da Israele sotto il ricatto di Hamas per la liberazione dell’ostaggio Gilad Shalit).Con un simile approccio è difficile immaginare che Abu Mazen e la sua fazione Fatah possano guadagnarsi la fiducia della maggioranza dei palestinesi, se e quando si terranno le prossime elezioni di qui a quattro mesi.(Da: Jerusalem Post, 10.1.12)
Israele-Egitto; pellegrinaggio annullato per minacce
Cerimonia ricordo rabbino Yaakov Abuhatzera si farà in Israele
(ANSAmed) - TEL AVIV, 11 GEN - E' stato annullato per ragioni di sicurezza un pellegrinaggio che centinaia di ebrei sefarditi israeliani contavano di svolgere alla fine del mese, come ogni anno, a Damanhour (delta del Nilo) per pregare presso la tomba del rabbino Yaakov Abuhatzera. Uno degli organizzatori - il rabbino Yehiel Abuhatzera - ha detto alla stampa di aver deciso di sostituire il pellegrinaggio in Egitto con una cerimonia religiosa in Israele alla luce di gravi minacce nei confronti dei fedeli ebrei giunte negli ultimi giorni da parte di ambienti islamici fondamentalisti egiziani.Considerato uno dei rabbini più stimati degli ebrei del Marocco, il rabbino Yaakov Abuhatzera morì nel 1880 a Damanhour mentre via terra stava dirigendosi verso Gerusalemme
Ingredienti per 4 persone:450 gr di farina 150 gr di semola di grano duro 1 cucchiaino di zucchero 1 panetto di lievito di birra ½ l di acqua calda 1-2 cucchiai di sale 1 cucchiaino di miele 4 cucchiai di olio 5 cipollotti 200 gr di olive taggiasche denocciolate 10 pomodorini
Procedimento 1. Mescolare la farina con la semola di grano duro. 2. Aggiungere lo zucchero e il lievito sbriciolato. 3. Unire poco alla volta l'acqua calda. 4. Salare e aggiungere anche il miele e l'olio. 5. Impastare per circa dieci minuti poi lasciare riposare coperto per circa un ora. 6. Affettare i cipollotti e rosolarli con olio olive e pomodorini. Cuocerli per 10 minuti poi lasciarli intiepidire.7.Incorporare il sugo alla pasta lievitata impastando bene e con un po di pazienza. 8. Formare delle pagnottine con un cucchiaio e disporle su una placca da forno foderata 9. Cuocere a 200-220 gradi per circa 15 minuti. http://imenudibenedetta.blogspot.com/
mercoledì 11 gennaio 2012
Le elezioni israeliane sono previste nel prossimo anno, ed un editoriale pubblicato sul Foglio ne rivela i preparativi partiti fin da ora: il ministro della difesa Barak passerebbe al partito di Netanyahu, il popolarissimo giornalista televisivo Yair Lapid scenderebbe in politica (già suo padre ebbe un forte successo personale nel 2003) creando un nuovo partito che potrebbe sottrarre a Kadima tra 15 e 20 seggi, ed il padre di Gilad Shalit, Noam, si candiderebbe coi laburisti, dei quali possiede la tessera fin da ’96, sfruttando la fama raccolta nei terribili anni della prigionia di Gilad.Una breve pubblicata su Avvenire riporta le cifre delle nuove costruzioni oltre la linea verde, pur riconoscendo che sono “non nuove in assoluto”; essendo state diramate da Peace now, vanno comunque divulgate perchè, mentre è in corso il tentativo “giordano” di sbloccare i negoziati, si vuole far credere che Israele gioca contro. Nella breve c’è spazio anche per scrivere di “Gerusalemme est, la parte a maggioranza araba della Città Santa”; ci vorrà ancora molto tempo per far capire al mondo che finalmente Gerusalemme è una città unica per ebrei, arabi e cristiani, nell’attesa che, eventualmente, possa essere anche la capitale di un futuro Stato palestinese”. A questo proposito segnalo la breve pubblicata sul Tempo, il cui contenuto, al momento, non appare del tutto chiaro a chi scrive: Sabri Ateyeh, già da 4 anni rappresentante in Italia dell’ANP, ha presenziato le sue credenziali al Presidente Giorgio Napolitano come Ambasciatore della Missione Diplomatica Palestinese.Sembra voler non comprendere le preoccupazioni e le pesanti responsabilità di Tsahal Marc Henry che, sul Figaro, parla dell’aumento di 780 milioni di dollari previsti nel nuovo bilancio israeliano per le spese militari; a parte il fatto che spesso gli investimenti militari israeliani hanno poi anche delle ricadute industriali positive per il paese, quegli impératifs de sécurité scritti in corsivo a fine articolo sembrano essere una incomprensibile presa di distanza. Tra l’altro il Figaro omette di parlare dell’aumento in favore della scuola materna previsto nello stesso bilancio preventivo, e al contrario riportato da le Monde nell’articolo di Laurent Zecchini dedicato allo stesso argomento: i bambini potranno godere di nidi gratuiti a partire dall’età di 3 anni, e non solo a partire dal quarto anno.David Harris su l’Opinione fa una panoramica di quanto devono sopportare le popolazioni non islamiche nei diversi paesi islamici, magari anche amici dell’Occidente; spesso si preferisce non vedere, ma la storia dovrebbe insegnare che tale cecità non paga mai.Il Financial Times pubblica una breve dalla quale traspare che, anche se i paesi dotati di armi nucleari sono sempre stati immuni da attacchi militari, Israele, come sostiene Tobias Buck da Gerusalemme, potrebbe essere in grado di colpire il programma nucleare iraniano anche dopo la sperimentazione della prima bomba che Ahmadinejad potrebbe sperimentare entro l’anno.La Gazzetta dello sport si occupa di Medio Oriente, e non solo di calcio o ciclismo, riportando, in una breve, alcune parole dette da Assad all’Università di Damasco ed in TV, in uno dei suoi rari discorsi pubblici; la colpa di quanto sta succedendo è dei sionisti, il paese negli ultimi mesi sta crescendo, e, prima dell’estate, con le previste elezioni (democratiche) tutto andrà benissimo. Nessuna spiegazione ai lettori? Molto più completo, su questo argomento, Lorenzo Cremonesi sul Corriere, e Antonio Panzeri che, su Libero, spiega anche che, nel frattempo, la Russia aumenta la presenza in Siria dei propri militari, e, insieme alla Cina, grazie al diritto di veto, rende impossibile qualsiasi mozione di condanna. Nel frattempo il capo della missione della Lega Araba, quel Ali al-Salem al-Dekbas troppo vicino da anni al dittatore sudanese, chiede di ritirare la missione perché non ammette che certi crimini vengano commessi sotto gli occhi della Lega Araba; verrebbe voglia di chiedergli se al contrario, dopo le leggere ferite riportate da alcuni suoi collaboratori, non sia piuttosto terrorizzato per la propria incolumità. Nonostante il fatto che la Siria sia da mesi chiusa ai giornalisti stranieri, stranamente Miriam Giannantina firma un articolo proprio da Damasco nel quale riesce ad intervistare amici ed avversari di Assad, compreso anche un giovane “alawita, dissidente e marxista” al quale è stata bruciata la casa. Davvero bravissima questa inviata, la quale tuttavia, pur parlando di “un (eventuale) futuro post Assad”, ignora in proposito le dichiarazioni del capo di stato maggiore israeliano Gantz che prevede, quando cadrà il regime di Assad, che molti alawiti scapperanno proprio in Israele e potrebbero trovare posto nel Golan. Per fortuna per i lettori del Manifesto queste affermazioni sono riportate nell’immancabile articolo di Michele Giorgio. Mi permetto di essere severo anche con Alberto Negri il quale, scrivendo su questo stesso tema sul Sole 24 Ore, al termine di un articolo privo di spunti interessanti, sospetta Israele di voler tramare chissà che cosa sul suo confine nord al momento della caduta di Assad. R. Cas, su Repubblica, rende noto che il regime siriano è arrivato a torturare perfino una bimbetta di 4 mesi, arrestata insieme al padre, il cui cadavere è stato restituito alla famiglia e mostrato su you tube coperto di evidenti tracce di violenze.You tube ha anche mostrato al mondo intero l’accoglienza tributata dal nuovo regime tunisino al capo di Hamas il quale, dopo aver visitato Egitto e Turchia, si è recato nelle principali città tunisine, accolto già all’aeroporto da centinaia di persone che gridavano “morte agli ebrei”. Isabelle Mandraud, su le Monde, scrive che, dopo la partenza di Haniyeh, che era stato spesso accompagnato nelle sue visite da Samir Dilou, ministro per i diritti dell’uomo (!), il capo del governo Hamadi Jebali ha ricevuto il presidente della locale, antichissima comunità ebraica Roger Bismuth al quale ha espresso il proprio “rincrescimento” per quanto avvenuto nel suo paese promettendo “reazioni forti e positive”.Infine una breve sul Corriere riferisce della visita fatta dal nostro ministro degli esteri Giulio Terzi al Quay d’Orsay; il prossimo 30 gennaio l’Italia riprenderà la guida della missione ONU in Libano, ma, oltre che di questo, i due ministri hanno parlato anche di Iran e delle sanzioni contro quel regime; l’Italia sembra frenare su certe decisioni, in nome dei soliti motivi economici, che alla fine, come dicevo più sopra, non pagano mai.Emanuel Segre Amar,http://moked.it/
"L'arte per l'arte" (Art for art's sake), "Beauty is truth, truth is beauty", fino al più folkloristico: "Non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace", sono alcune delle frasi che vertono intorno al concetto di estetica. Non bisogna essere un grande conoscitore, un esimio professore, una gallerista in tailleur per apprezzare l'Israel Museum di Gerusalemme. Non bisogna sciorinare date, tecniche e committenze per essere a proprio agio. Fingiamoci un visitatore che nella sua vacanza nella città dorata si è ritagliato un po' di spazio tra preghiere e shwarma e iniziamo il nostro tour virtuale in un museo che non ha nulla da invidiare ai vari Moma e Metropolitan. Probabilmente indosseremo degli occhiali da intellettuale e una di quelle borse in materiale riciclabile in puro stile 'laureata no logo con un attico in centro'. Ma sappiate che adottare il look 'Barbie e Ken fanno una visita culturale' è perfettamente inutile. Perché questo non è un museo (non pensate subito al magrittiano Ceci n'est pas une pipe), è molto di più. E lo si capisce varcata la soglia. Dopo aver discusso per una riduzione sul biglietto e aver preso una audioguida fingendo di essere perfettamente anglofoni, eccoci pronti per un vero e proprio viaggio. Un viaggio che inizia all'esterno, preda dei venti. La solerte audioguida spiega infatti che ci troviamo davanti a Shrine of the book, costruito dopo il fortunato ritrovamento dei rotoli di Qumran (attualmente esposti a New York). Gli edifici e le opere realizzate appositamente per il museo tengono conto di Gerusalemme e dei suoi mille significati allegorici. Nulla è lasciato al caso. Nulla è lasciato al puro estro creativo. Tutto segue la tipica filosofia rabbinica: 'Una domanda, tante possibili risposte'. Ma smettiamola di osservare il muro nero e la buffa cupola, il cammino è ancora lungo. Dopo aver ammirato la ricostruzione in miniatura di Gerusalemme ai tempi del secondo Beit Ha Mikdash, siamo ancora ignari di cosa ci aspetta seguendo il cartello 'Art garden'. Un vero e proprio museo en plein air con opere di artisti israeliani e internazionali. I giardini che incorniciano le meraviglie sono frutto dell'architetto Noguchi (studioso dell'arte dell'Ikebana), che traspone la spiritualità zen nella città delle tre religioni monoteiste. Una commistione di diverse ramificazioni di spiritualità che rendono questo posto un luogo di pace assoluta. Sembra quasi di tornare ai tempi nei quali i giovani artisti toscani studiavano le sculture negli opulenti giardini medicei. Con la differenza che l'Israel Museum non è adornato da statue antiche o pseudo antiche ma da ingegnose opere. Picasso, Rodin (con l'inconfondibile torsione del corpo di matrice michelangiolesca), Calder e persino Anish Kapoor, l'indiano famoso per Cloud Gate (The bean) di Chicago. L'opera di Kapoor è stata realizzata appositamente per il museo e mostra la Gerusalemme celeste e quella terrestre in un gioco di specchi e riflessi. Robert Indiana ci propone invece la versione in ebraico, Ahava, del celeberrico LOVE. L'opera di Oldenburg (esponente della pop art), un grande torsolo di mela, tipico dell'artista che ha fatto del cibo fuori misura la caratteristica principale del suo lavoro, ci introduce nella galleria interna. E pensare che solamente il giardino ci ha invaso la mente di spunti di riflessione. All'interno si dislocano tre sezioni principali. Dopo una breve sosta per rifocillarci nel ristorante interno Mansfeld, si può esplorare l'area dedicata ai reperti archeologici. Un tuffo nel passato che ci farà sentire i protagonisti di un kolossal di Spielberg. Interessante osservare ad esempio l'evoluzione dei caratteri ebraici. Il nostro viaggio nel tempo continua poi con l'ala dedicata al mondo ebraico, una delle parti più suggestive e ben allestite del museo. Il ciclo della vita segnato dalle fasi principali (nascita, matrimonio, morte), gli antichi testi sacri con preziose miniature, le teche illuminate che contengono channukkioth da ogni parte del mondo, sono alcune delle attrazioni di questo luogo magico. Anche se probabilmente la parte più commovente è la minuziosa ricostruzione di sinagoghe come quella di Vittorio Veneto, di Cochin in India e nel Suriname. Per concludere, un meraviglioso video che mostra immagini di Yom Azmauth mescolando spezzoni degli anni '50 e quelli più recenti. Cinque minuti che raccontano Israele più di qualsiasi libro di storia. Ma arrivati a questo punto, anche il più ingenuo visitatore si chiede: "Dove sono i grandi nomi? Insomma è tutto bellissimo ma non c'è nemmeno un quadro da asta da Christie's!". E qui l'Israel Museum ci stupisce ancora, annoverando una ricchissima collezione dall'impressionismo di Monet e Pisarro in poi. Il Ready-made di Duchamp, l'avanguardia di Kokoschka fino al pop di Lichtenstein e Wesselmann. Non dimenticandoci della serie di Warhol intitolata "Ritratti di dieci ebrei del XX secolo", tra cui l'attrice teatrale Sarah Bernhardt, Franz Kafka, i Fratelli Marx e Golda Meir. Un proliferare di opere non troppo conosciute ma dalla firma preziosa. Un museo che deve tutto ai generosi donatori e finanziatori. Persino l'ascensore che conduce il nostro visitatore errante reca una targa che porta il nome di un benefattore. Ci troviamo quindi all'ultimo piano con i piedi gonfi e probabilmente in piena sindrome di Stendhal, ma non possiamo rinunciare alla nuova mostra sul design che farà perdere la testa agli appassionati del settore e non. E dopo aver salutato timidamente con la manina il quadro a pois colorati di Damien Hirst, possiamo davvero ritenerci soddisfatti. Lo so, vi gira un po' la testa, probabilmente il nostro visitatore avrà bisogno di rilassarsi al Mar Morto con i fanghi sul viso o di ritrovare un po' di sana superficialità in qualche nuova discoteca di Tel Aviv. Ma anche quando ballerà scatenato, i suoi occhi brilleranno ancora, illuminati dalla concentazione di tanta bellezza in un unico luogo.
Rachel Silvera,http://www.moked.it/
I Fratelli Musulmani fanno un'altra capriola
Dopo che Rashad al Bayoumi, vicepresidente dei Fratelli Musulmani, aveva dichiarato di voler mettere in discussione il Trattato di pace con Israele, Essam El Erian, uno dei principali esponenti del movimento, ha detto che «lo rispetteremo». I Fratelli Musulmani hanno ottenuto circa il 50 per cento dei seggi in Parlamento e già si accordano con i militari ..........
http://www.tempi.it/i-fratelli-musulmani-fanno-unaltra-capriola