sabato 27 novembre 2010


Betlemme - chiesa della Natività
Terrasanta: la pace che viene dai cristiani

Riferirsi a Cristo. Solo a lui. Sembra quasi una sfida impossibile in una terra in cui i cristiani sono un manipolo di credenti stretti fra due religioni molto più forti, in uno Stato di confessione ebraica, circondato da una società islamica. Ma Vincent Nagle ama le sfide quasi impossibili. Mentre arriviamo di fronte al Muro del Pianto, spettacolo moderno di preghiera antica, dove un nugolo di scialli ondeggiano sotto il vento mattutino, mi racconta un episodio emblematico di cosa significhi per lui fare missione qui, tra cristiani in minoranza, ebrei «di Stato», musulmani all’opposizione: «Una volta stavo facendo lezione all’università di Betlemme, era il giorno dello Yom Kippur, quando i confini tra i Territori e Israele vengono ermeticamente chiusi. In Cisgiordania la maggior parte della popolazione, musulmana, naturalmente non viene toccata da questa festa ebraica. Ma proprio in quei giorni ho detto ai miei studenti, per lo più musulmani: "Gli ebrei stanno pregando per il perdono dei loro peccati". E ho aggiunto: "La colpa più grande che gli ebrei possono commettere è cedere alla paura. Dobbiamo pregare per questo e chiederci come noi possiamo agire perché essi siano liberati dalla paura". Tutti gli studenti sono rimasti choccati dal discorso: non l’hanno accolto per niente bene, l’ho capito da alcuni indizi. Erano parole insolite, come di un’altra lingua, non capivano il senso del mio discorso. Però io sono solito ripetere ai cristiani, ad esempio quando ero in parrocchia a Nablus: "Cosa dobbiamo fare? Se non viviamo la pace tra di noi, è inutile sperare che ci sia con gli israeliani". La parrocchia di Nablus era infatti tormentata da lotte interne. Il Signore vuole darci un regalo che noi possiamo poi passare agli altri. Se non siamo custodi di questo regalo, come possiamo offrirlo a nostra volta?». Le risposte? Vincent racconta l’episodio, eloquente, della visita del Papa in Terra Santa, a lungo osteggiata dai cristiani arabi: «A Nablus in molti hanno dubitato dell’opportunità di questo viaggio. Mi spiego meglio facendo un confronto fra la visita in Terra Santa di Giovanni Paolo II nel 2000 e quella di Benedetto XVI nel 2009. Per il viaggio di Wojtyla c’era molta aspettativa e speranza tra i cristiani: il processo di pace tra israeliani e palestinesi andava avanti da 7 anni, tra mille problemi, ma anche con diversi elementi positivi. Quindi il Papa veniva anche – secondo i cristiani di qui – per "benedire" quella situazione in netto miglioramento. Dopo quasi dieci anni da quel viaggio, la situazione è completamente diversa e la condizione dei cristiani palestinesi è oggettivamente peggiorata, anche a livello politico. Per cui molti di loro si sono domandati, e mi hanno chiesto: perché viene Benedetto XVI? Per benedire questa nostra condizione peggiorata? Ad esempio, uno dei responsabili di una parrocchia dei Territori ogni domenica si pronunciava, durante gli avvisi dopo la messa, contro il viaggio di Benedetto XVI. Io cercavo di farlo ragionare: "Possiamo lavorare meglio se abbiamo speranza. E il Papa viene proprio per questo, per radicarci nella speranza". E invece lui continuava a ripetere il ritornello che il viaggio del Papa avrebbe favorito gli israeliani. Gli ho risposto: "Tu giudichi il Papa solo per quel che senti da Al Jazeera e da quel che leggi su Al Quds. Per lavorare per la giustizia e la pace dobbiamo essere radicati nella speranza in modo da non lasciarci manipolare da altri". Ma la sua risposta, e quella degli altri cristiani, era sempre la solita: "Tu non sei palestinese e non puoi capire". A quel punto mi fermavo per non approfondire il contrasto, ma ricordavo al mio interlocutore che anch’io sono cristiano e che esiste un’unica realtà che ci unisce, Cristo. Se per noi ha più valore la politica rispetto alla fede nel valutare la realtà, allora il viaggio del Papa è un danno. E per quell’uomo c’è stato un momento in cui la fede e il giudizio che ne deriva sul reale hanno preso il sopravvento sulla considerazione politica: alla messa del Papa a Betlemme ho fatto in modo che lui fosse tra le 40 persone che hanno ricevuto la comunione dalle mani del Papa. Dopo la messa, mi è venuto a dire, commosso: "Ho capito che il Papa è venuto qui per me, proprio per me"». Lorenzo Fazzini
25 novembre 2010 http://www.avvenire.it/


Moran Atias: Un fascino straordinario ed esotico per l'attrice israeliana

A trent'anni, la splendida Moran Atias è riuscita ad affermarsi nel mondo dello spettacolo, dimostrando di possedere oltre a un fascino strepitoso ed esotico anche grande talento e versatilità. Nata in Israele, inizia la sua carriera giovanissima, a soli dodici anni, come modella. Sempre in Israele conduce presto un programma per ragazzi, che la lancia nel mondo della televisione. E' però la moda il suo primo grande amore: trasferitasi in Germania e poi in Italia, Moran sfila per Versace, Cavalli, Dolce&Gabbana, ottiene numerose copertine e appare come showgirl in numerosi programmi televisivi. Alle passerelle e alla televisione si aggiunge un'altra passione: il cinema. La bellissima attrice ha infatti all'attivo numerosi film, tra i quali "Le rose del deserto" (2006), "La terza madre" (2007) e "Oggi sposi" (2009).http://www.fastweb.it/


Autorità Palestinese: “Il Muro del Pianto è proprietà islamica”

Il Muro Occidentale (noto anche come “muro del pianto”), nella Città Vecchia di Gerusalemme, non ha alcun significato religioso per l’ebraismo ed è di fatto proprietà santa islamica.È quanto afferma un rapporto ufficiale pubblicato dallo scrittore e poeta Al-Mutawakil Taha, attuale vice ministro per l’informazione dell’Autorità Palestinese presieduta da Mahmoud Abbas (Abu Mazen).Decenni di ricerche e studi archeologici hanno dimostrato che il Muro Occidentale (in ebraico, HaKotel HaMa'aravi), considerato uno dei luoghi più sacri al mondo per l’ebraismo dove convergono a pregare ebrei da tutto il mondo, costituisce parte delle mura di supporto erette a sostegno del complesso monumentale sulla sommità del monte, dove vennero edificati sia il primo che il secondo Tempio ebraico, quest’ultimo distrutto poco meno di duemila anni fa. Il complesso costituito dalla Moschea Al-Aqsa e dal Duomo della Roccia venne costruito più di seicento anni dopo, sopra le rovine del Tempio ebraico.La presa di posizione dell’Autorità Palestinese circa il Tempio ebraico, che riecheggia analoghe pretese già sostenute in passato da vari leader palestinesi (in particolare da Yasser Arafat, che su questo ebbe un celebre scontro verbale col presidente Usa Bill Clinton), mette nuovamente in luce la distanza fra la posizione palestinese e il minimo necessario per poter arrivare a un accordo di pace fra israeliani e palestinesi. “Questo non è l'unico caso in cui i palestinesi cercano di distorcere i fatti storici per negare il profondo legame tra il popolo ebraico e la sua terra” ha detto giovedì il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, ed ha aggiunto: “Quando l’Autorità Palestinese nega il legame fra popolo ebraico e Muro Occidentale, suscita seri interrogativi circa la sua reale volontà di arrivare a un accordo di pace, le cui fondamenta non possono che essere la convivenza e il riconoscimento reciproco”.Al-Mutawakil Taha ha dichiarato mercoledì alla Associated Press che il suo saggio di cinque pagine, pubblicato su un sito web governativo dell’Autorità Palestinese, riflette la posizione ufficiale palestinese.Il rapporto contesta che il Muro Occidentale facesse parte dei contrafforti del complesso del Tempio ebraico, liquidando con poche parole secoli di documentazione e di evidenze archeologiche. “L’occupante sionista – vi si legge – pretende falsamente e ingiustamente di essere titolare di questo muro, che chiama Muro Occidnetale”. Sostenendo che si tratterebbe invece della parete ovest della Moschea di Al-Aqsa, Taha afferma (contro ogni fonte storica, anche musulmana) che gli ebrei avrebbero iniziato a venerare il Muro Occidentale solo dopo la Dichiarazione Balfour del 1917. E continua: “Quel muro non ha mai fatto parte di ciò che viene chiamato Tempio ebraico. Fu piuttosto la tolleranza islamica che permise agli ebrei di stazionarvi davanti a piangerne la perdita”. La conclusione del rapporto è che, siccome gli ebrei non hanno alcun diritto da rivendicare sul sito, esso è parte del territorio sacro islamico e deve far parte della Gerusalemme palestinese.La parte est di Gerusalemme, occupata dalla Legione Araba di Giordania nel 1948, è stata riconquistata da Israele durante la guerra dei sei giorni del 1967 e riunificata alla parte occidentale in un’unica municipalità sotto sovranità israeliana. I palestinesi sostengono che tutta Gerusalemme est, compresa la Città Vecchia, debba diventare la capitale del futuro stato palestinese. “È chiaro che si tratta di una posizione politica” ha affermato Taha, spiegando d’aver scritto il suo rapporto dopo che, domenica scorsa, le autorità israeliane avevano approvato un progetto per la ristrutturazione dell’area di accesso e quella di fronte al Muro Occidentale.Mark Regev, portavoce del governo israeliano, definisce il rapporto dell’Autorità Palestinese una forma di incitamento all’odio costruita sulla negazione dei legami storici fra ebrei e Gerusalemme. Einat Wilf, parlamentare laburista, definisce “stupido” il continuo tentativo dei palestinesi di creare in qualche modo una fittizia realtà alternativa in cui il popolo ebraico risulti straniero in questa terra e a Gerusalemme.Quando Israele assunse il controllo della parte orientale di Gerusalemme, demolì i tuguri e le baracche che erano state costruite davanti al Muro Occidentale, e trasformò in un ampio piazzale quello che era ridotto a uno stretto vicolo a fondo chiuso. Al contrario, l’amministrazione sulla sommità del complesso, vale a dire sulla spianata delle moschee, venne lasciata al Consiglio Supremo Islamico o Waqf (la Custodia del patrimonio islamico), mentre Israele si riservava unicamente il controllo globale sulla sicurezza.Domenica scorsa il governo israeliano ha approvato uno stanziamento di 85 milioni di shekel (ca. 17,4 milioni di euro) per un progetto di restauro dell’area del Muro Occidentale che prevede migliorie dell’accesso al piazzale e del prospiciente quartiere ebraico della Città Vecchia, da realizzare nel periodo 2011-2015 a beneficio dei milioni di turisti e fedeli che vi si recano ogni anno. Il progetto, ha specificato Regev, non interessa aree considerate sacre sia da ebrei che da musulmani. Nondimeno l’Autorità Palestinese ha immediatamente condannato il progetto definendolo “illegale” perché, ha dichiarato all'Afp Ghassan Khatib, portavoce dell'Autorità Palestinese, “gli israeliani non hanno alcun diritto di costruire nei territori occupati e a Gerusalemme”.(Da: Ha’aretz, israele.net, 24.11.10) http://www.israele.net/


Israele: gli agricoltori scioperano contro la riduzione dei braccianti stranieri

Giovedì 25 Novembre 2010 http://www.focusmo.it/
Gli agricoltori israeliani hanno smesso d'inviare i loro prodotti al mercato, come forma di protesta contro la decisione del governo di ridurre il numero di lavoratori agricoli stranieri. Sono state organizzate numerose manifestazioni in tutto il Paese, bloccate strade in diverse località e gettata frutta ovunque.I proprietari agricoli vogliono portare 4000 lavoratori dalla Tailandia. Lo sciopero sta causando carenze di prodotti freschi nei negozi alimentari e nei supermercati. circa 120 agricoltori, nei pressi di Netivot, hanno respinto le barricate delle polizia per interrompere il traffico. La maggior parte gridava:"sto perdendo tempo e soldi. Ho la frutta ma non le persone che la raccolgano".


Israele, sospese alcune tasse su import

Giovedì 25 Novembre 2010 http://www.focusmo.it/
L'autorità israeliana preposta all'imposizione fiscale ha eliminato, sino alla fine del prossimo mese di gennaio, la tassa sull'importazione di burro e patate, che gravava per il 160% del valore. La misura tende a favorire le importazioni.La tassa, secondo l'analisi dell'Ice di Tel Aviv, è stata adottata al fine di supportare la produzione interna soprattutto nel periodo estivo quando, a causa del forte caldo, i caseifici israeliani producono meno latte e sono dunque meno competitivi. Discorso simile è quello relativo alle patate, la cui produzione nei mesi scorsi è stata inferiore al previsto. In questo caso, l'esenzione dalla tassa sull'importazione vale solamente per le prime 5000 tonnellate di merce. A causa dell'aumento dei prezzi, la settimana scorsa è stata inoltre eliminata la tassa di importazione sui pomodori fino a fine 2010, limitatamente a 4000 tonnellate.


Tel Aviv

Conferenza sulla tecnologia, cooperazione Italia-Israele

Giovedì 25 Novembre 2010 http://www.focusmo.it/
L’Italia sta moltiplicando gli sforzi a livello per incrementare il volume d’affari con Israele nel settore della ricerca e innovazione tecnologica orientate al mercato.Rientrano in questa prospettiva i due giorni di lavori che si sono appena chiusi a Tel Aviv, articolati in due eventi: la conferenza “Tecnology Transfer” e il secondo “Forum italo-israeliano”, organizzati dall’ambasciata italiana. Ad entrambi hanno partecipato rappresentanti dei due Paesi (per l’Italia c’era anche il ministro degli Esteri, Franco Frattini), tecnici, industrie e soprattutto istituti di credito. «Le banche non si muovono facilmente – hanno sottolineato fonti diplomatiche italiane –, ma in questo periodo storico l’Italia ha un deficit d’innovazione e ricerca, chi vuole investire in questi ambiti deve guardare all’estero. E Israele è il Paese delle start-up». Non bisogna poi dimenticare che tra Italia e Stato ebraico c’è già una cooperazione molto intensa a livello scientifico: tanto che un anno fa è stato inaugurato congiuntamente dai presidenti Napolitano e Peres il “Biennio della cooperazione italo-israeliana nella scienza e nella tecnologia”. «L’Italia – spiega un funzionario della nostra ambasciata a Tel Aviv – è il primo partner d’Israele in Europa in questo campo; il salto che stiamo cercando di fare adesso è quello di utilizzare questo sostrato di relazioni così solido per trasformarlo terreno fertile per le imprese». Molti dei principali gruppi industriali italiani hanno partecipato all’evento, che ha già dato alcuni frutti concreti: ad esempio, è stato firmato un protocollo d’intesa tra l’Agenzia spaziale italiana e l’Agenzia spaziale israeliana che realizzeranno insieme due nuovi satelliti per l’osservazione della Terra.


Israele pronto a autorizzare le esportazioni da Gaza

Le merci dovranno essere ispezionate da agenti Anp Gerusalemme, 25 nov. (Apcom)
Israele si appresta ad autorizzare le esportazioni dalla Striscia di Gaza a condizione che le merci siano controllate dall'Autorità nazionale palestinese (Anp). "Prevediamo di autorizzare il passaggio in territorio israeliano di prodotti da esportazione provenienti da Gaza verso la fine del primo trimestre 2011, a condizione che i prodotti non presentino una minaccia per la sicurezza", ha dichiarato il portavoce dell'amministrazione militare nei territori palestinesi, comandante Guy Inbar. Israele vieta le esportazioni da Gaza da quando Hamas ne ha preso il controllo nel giugno 2007. Lo Stato ebraico pretende che per lasciare Gaza le "merci siano ispezionate da agenti dell'Anp", ha precisato il comandante Inbar, spiegando che si tratta di impedire l'infiltrazione di "terroristi palestinesi" o di prodotti pericolosi. "E' possibile perché già oggi coordiniamo le importazioni di prodotti verso Gaza con degli agenti dell'Anp", ha aggiunto. Una ripresa delle esportazioni "potrà avvenire solo gradualmente", ha concluso, aggiungendo che Israele innalzerà la capacità quotidiana di trasferimento dei camion, nei due sensi, da 250 a 400. Israele ha ammorbidito il blocco di Gaza a seguito di intense pressioni internazionali dopo la morte di nove turchi nell'assalto della sua marina il 31 maggio contro una flottiglia umanitaria che tentava di raggiungere l'enclave palestinese. (con fonte Afp)


Champions League - Storica goleada dell’Hapoel Tel Aviv

Da ieri sera i tifosi dell’Hapoel Tel Aviv hanno una nuova data da segnare nel calendario dei ricordi e delle emozioni: mercoledì 24 novembre 2010, la notte in cui un Davide qualunque ha battuto il suo Golia di turno colpendolo non una ma tre volte. Miracoli della Champions League, di cui ieri si disputava il quinto turno del girone eliminatorio. Quello che l’Hapoel ha stracciato davanti al pubblico amico con un clamoroso 3 a 0 non è infatti il classico club di periferia della Ligat Toto ma una delle signore della buona borghesia del calcio europeo: il nobile decaduto Benfica, una valanga di campionati portoghesi e due Coppe dei Campioni nel palmares. Certo sono lontani i tempi in cui i lusitani dettavano legge in Europa con Eusebio e i suoi fratelli ma là davanti ai giorni nostri fraseggia comunque la straordinaria coppia di giocolieri argentini Aimar e Saviola. L’impresa dell’Hapoel è maturata gradualmente, in qualche modo aiutata dalla comica imprecisione sottoporta degli ospiti. Il primo a colpire al cuore delle certezze portoghesi è stato Zahavi a metà del primo tempo con un colpo di testa fortunoso deviato in rete da un difensore avversario. Reazione degli ospiti inevitabile ma poco fruttifera con alcune golose occasioni da goal malamente sprecate dal reparto offensivo. Tra alti e bassi di agonismo si arrivava così al finale di gara quando veniva premiato il maggior cinismo di Da Silva e Zahavi, autori di un letale uno-due che sigillava la prima storica affermazione dei rossi di Tel Aviv nella massima competizione calcistica continentale e riapriva un possibile discorso qualificazione per il terzo posto nel girone che vale l’approdo in Europa League. HAPOEL TEL AVIV 3 - 0 BENFICAMarcatori: Zahavi, Da Silva, Zahavi, http://www.moked.it/


Gerusalemme

Olmert: “Un errore storico il silenzio palestinese alle mie proposte”

Secondo Ehud Olmert i palestinesi hanno commesso un “errore storico” nel non rispondere alle proposte di pace che l’ ex premier israeliano aveva presentato pochi mesi prima della fine del suo mandato. Lo ha affermato lo stesso Olmert in un incontro con corrispondenti della stampa estera, nel corso del quale ha confermato di aver offerto al presidente palestinese Abu Mazen (Mahmud Abbas) il ritiro di Israele dal 94% della Cisgiordania più un altro 6% in forma di scambio di territori, il ritiro anche dai quartieri arabi di Gerusalemme est e l’amministrazione congiunta, assieme a Giordania, Arabia Saudita e Stati Uniti della Città Vecchia di Gerusalemme con i suoi luoghi sacri alle tre religioni monoteiste. “Io penso che i palestinesi - ha detto Olmert - abbiano commesso un errore. Penso che il fatto che non abbiano risposto alle mie proposte sia stato il massimo errore storico possibile e che essi se ne pentiranno per molto tempo, almeno fino a quando dalla nostra parte non verrà fuori qualcuno con le stesse idee”. Olmert, con una trasparente critica al premier in carica Benyamin Netanyahu, ha detto che Israele avrebbe dovuto rispondere positivamente alla richiesta degli Stati Uniti di una nuova moratoria degli insediamenti in Cisgiordania per permettere la ripresa dei negoziati di pace diretti israelo-palestinesi. A suo parere si tratta di una “questione marginale” sulla quale Israele e Stati Uniti stanno perdendo tempo mentre è assai più importante affrontare con i palestinesi le questioni al centro del contenzioso: dai confini del futuro stato palestinese, al destino dei rifugiati palestinesi allo status permanente di Gerusalemme est.http://www.moked.it/


Sport e solidarietà - Il Maccabi Italia regala una speranza

È partito questa mattina da Fiumicino un carico speciale per Israele. Palloni, scarpe da ginnastica, tute e maglie da gioco del Maccabi Italia sono infatti in viaggio con destinazione Petah Tikwa dove Claudio Pavoncello li consegnerà ai bambini del reparto oncologico dell’ospedale Schneder insieme a maglie e sciarpette delle squadre italiane più rappresentative donate da Attilio Bondì, Alberto Fiano e Alfonso Haddad. L’iniziativa del Maccabi Italia è sostenuta dalla compagnia aerea israeliana El Al che si è presa carico del trasporto e della consegna della merce all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv. L’ospedale Schneider è una delle strutture ospedaliere più grandi e funzionali del Medio Oriente. Al suo interno sono ospitati malati e degenti di ogni provenienza, circa il 40 per cento dei bambini del reparto oncologico è di etnia palestinese o religione cristiana. “Vogliamo far sentire la nostra vicinanza e il nostro affetto a questi sfortunati ragazzi - spiega il presidente del Maccabi Italia Vittorio Pavoncello - con la speranza di poter regalare loro un sorriso e una speranza. Il nostro è un messaggio di tolleranza tra popoli ed etnie diverse. Da sempre siamo in prima linea contro il razzismo e continuiamo la nostra opera convinti che lo sport sia un meraviglioso veicolo di pace e tolleranza che riesce laddove qualsiasi altra forma di diplomazia rischia di fallire”. L’iniziativa di questi giorni è la prosecuzione di una serie di attività organizzate dal Maccabi Italia nel recente passato. Già due anni fa una comitiva di bambini malati di cancro dello Schneider era stata portata in visita prima a Trigoria nel ritiro della Roma e poi a Formello in quello della Lazio. I giocatori delle due squadre capitoline avevano interrotto l’allenamento per regalare alcuni momenti di spensieratezza ai bambini. Spalletti li aveva presi in braccio uno a uno mentre Totti aveva abbandonato le sedute di fisioterapia a cui si sottoponeva in quei giorni per dirigersi in tutta fretta al campo. Qualche mese dopo inoltre c’era stato l’abbraccio di alcuni rappresentanti del Maccabi Italia con i bambini di Sderot, cittadina israeliana bersaglio costante dei razzi sparati dalla vicina Striscia di Gaza. Le magliette dei campioni della Roma e della Lazio portate dalla delegazione italiana avevano scaldato il cuore dei ragazzi e allontanato momentaneamente l’incubo dei qassam. Adesso la grande battaglia di solidarietà del Maccabi Italia prosegue con l’ospedale Bambin Gesù di Roma. Per contribuire al mercatino che verrà allestito all’interno della struttura ospedaliera domenica 5 dicembre, la federazione dello sport ebraico italiano metterà in vendita magliette, tute, palloni e altro materiale sportivo. I proventi delle vendite serviranno a pagare un alloggio a quei genitori che non possono permettersi di pagare un albergo per stare vicino ai propri bambini.as http://www.moked.it/

venerdì 26 novembre 2010


Autoscatto di Stanley Kubrick nel 1949, con una fotocamera Leica III, quando lavorava per Look (dal libro Drama and Shadow)

Cinema e letteratura al Pitigliani. Il Piticine

24 novembre 2010 di Giusi Meister, http://bibliotecadisraele.wordpress.com/
Il Pitigliani organizza una serie di proiezioni di film ispirati ad opere letterarie famose. Il 28 novembre l’autore da riscoprire è Arthur Schnitzler con il suo libro ‘Doppio sogno’, e il film è ‘Eyes Wide Shut’ di Stanley Kubric.L’appuntamento è alle ore 14.30. La proiezione sarà seguita, alle ore 17.00, da un incontro con Roberta Ascarelli e da letture di S. Regard.
CENTRO EBRAICO ITALIANO “G. E V. PITIGLIANI”VIA ARCO DE’ TOLOMEI, 100153 ROMATEL/FAX 06 5898061 – 06 5897756 – 06 5800539


Aeroporto Tel Aviv

Tel Aviv: campagne di promozione per il business del turismo

Mercoledì 24 Novembre 2010, http://www.focusmo.it/
Fiori e brindisi all’aeroporto Ben Gurion per celebrare il turista numero 3.000.001 sbarcato ieri a Tel Aviv. La cerimonia è stata organizzata dal ministero del Turismo per festeggiare il record di visitatori mai raggiunto finora in Israele. Il fortunato viaggiatore accolto in pompa magna è il sacerdote brasiliano Jomber Araujo Vladislav, arrivato da San Paolo: ad aspettarlo all’uscita del volo El Al c’erano il ministro, Stas Misezhnikov, il direttore degli aeroporti israeliani, ma soprattutto molte aziende del settore, che hanno sfruttato l’occasione per farsi pubblicità.E del resto non si tratta di folklore, bensì di affari: il business del turismo in Israele è in netta crescita: secondo le previsioni, entro la fine del 2010 il numero dei visitatori arriverà alla quota inedita di 3.4 milioni. Un incremento di 700mila persone rispetto all’anno scorso, ma ancora lontano dalle cifre attese per il 2011 (4 milioni di turisti) e per il 2015 (ben 5 milioni). Il ministero, d’altra parte, sta investendo molto in marketing: di recente è stata lanciata una campagna pubblicitaria in diversi Paesi europei, con lo scopo di «promuovere Israele in quanto Terra Santa e non solo come un luogo di sole e sabbia, simile in questo ai suoi vicini». A spiegarlo è Misezhnikov, i cui sforzi si uniscono a quelli del ministero degli Esteri guidato da Avigdor Lieberman. Lieberman – in verità non molto dotato a livello personale per migliorare e rendere più appetibile l’immagine dello Stato ebraico nel mondo – sta però impegnando risorse significative e tecnici in campagne di promozione del Paese on line. In diversi casi, si tratta di filmati la cui provenienza è, per così dire, occulta: non viene sbandierato il coinvolgimento del ministero per non ridurne l’efficacia, spesso notevole. I video – ben fatti e davvero divertenti, oltre che di solito accompagnati da jingle accattivanti – rimbalzano infatti da un sito all’altro, raggiungendo un pubblico vastissimo con messaggi positivi su Israele. Un esempio? Basta cercare su YouTube il filmato “En tus tierras bailare» per farsi un’idea.


Israele/ Esercito usa Facebook per stanare renitenti alla leva

Apc-Israele/ Esercito usa Facebook per stanare renitenti alla levaUn migliaio di falsi obiettori di coscienza
Roma, 24 nov. (Apcom) - Facebook contro le renitenti alla leva: l’esercito israeliano ha utilizzato il social network per smascherare un migliaio di ragazze che avevano evitato il servizio militare grazie all’obiezione di coscienza. Come riprota il quotidiano britannico the Daily Telegraph infatti gli ebrei osservanti (Haredim) sono esentati dalla leva, obbligatoria però tutti i cittadini israeliani, maschi e femmine (della durata di tre e due anni, rispettivamente). L’esercito ha sorvegliato gli account delle “religiose”, scoprendo così che molte aggiornavano la loro pagina durante lo shabbath (il che è ovviamente proibito), oppure allegavano foto che le ritraevano mentre mangiavano cibi non kosher o con indosso vestiti tutt’altro che casti.


Sionismo la parola che divide

AVRAHAM B. YEHOSHUA,25/11/2010, http://www.lastampa.it/
Ultimamente mi sembra che si faccia un uso inflazionistico, fuorviante e forse dannoso del concetto di sionismo sia in Israele che all’estero. Questo accade sia fra gli esponenti della destra nazionalista e religiosa sia fra quelli della sinistra liberale, fra gli ebrei della Diaspora, i non-ebrei, e in particolare fra gli arabi. Per affinare quindi il dibattito sui problemi veri e importanti che ci affliggono e ridurre al minimo la demonizzazione di Israele (come sta accadendo in tutto il mondo intorno al concetto di sionismo) ritenterò di definire quanto più obiettivamente e logicamente tale concetto al fine di farvi ricorso in maniera consapevole ed evitare di trasformarlo in una specie di condimento da utilizzare con qualunque pietanza per migliorarne il sapore o, viceversa, peggiorarlo.In primo luogo il sionismo non è una ideologia. Ecco infatti la definizione di ideologia secondo l’Enciclopedia ebraica: «Ideologia è un insieme sistematico e organico di idee, di principi e direttive in cui trova espressione il particolare punto di vista di una setta, di un partito o di un ceto sociale». Secondo tale chiara definizione il sionismo non può e non deve essere considerato un’ideologia poiché, come sappiamo, sia in passato che al presente, ha rappresentato una piattaforma comune a idee sociali e politiche differenti e persino contraddittorie. Il sionismo auspicava e prometteva un’unica cosa: fondare uno Stato ebraico. E ha mantenuto questa promessa soprattutto, sfortunatamente, in seguito al fenomeno dell’antisemitismo.Il sionismo cercava di disegnare un quadro del futuro Stato ebraico, del suo carattere, del suo ordinamento politico, dei suoi confini, dei suoi valori sociali, del suo atteggiamento verso le minoranze e altro ancora. Tutti questi temi erano aperti fin dall’inizio a decine di interpretazioni e di posizioni politiche e sociali degli ebrei giunti in Israele e, naturalmente, agli sviluppi e ai cambiamenti in atto in ogni società umana.Una volta fondato lo Stato ebraico - Israele - l’unico residuo attivo e significativo del sionismo è il principio della Legge del Ritorno! Vale a dire che lo Stato ebraico, oltre a essere controllato e governato mediante il Parlamento da tutti i suoi residenti in possesso di nazionalità israeliana, è ancora aperto a qualunque ebreo che ne voglia richiedere la cittadinanza. Un’analoga Legge del Ritorno esiste anche in altri Paesi: in Ungheria, per esempio, in Germania e in altri. E io mi auguro che possa essere presto introdotta nello Stato palestinese che sorgerà a fianco di quello ebraico. E come tale legge non sarà considerata razzista nello Stato palestinese, così non lo è in Israele. Quando nel 1947 le Nazioni Unite decisero di creare uno Stato ebraico non destinarono una parte della Palestina solamente ai seicentomila ebrei che vi risiedevano al tempo. Il presupposto morale era che tale Stato avrebbe dato rifugio a qualunque ebreo lo richiedesse.Un israeliano - ebreo, arabo o altro - che si definisce non-sionista è un cittadino che si oppone alla Legge del Ritorno. E questa opposizione è legittima come qualunque altra opinione politica. Anti-sionista è chi vuole invece cancellare retroattivamente lo Stato di Israele e, a eccezione di sette estremistiche ultra-ortodosse o circoli radicali nella diaspora, non credo che molti ebrei sostengano questa convinzione.Tutti i temi importanti e fondamentali in corso di dibattito in Israele - l’annessione o la non annessione dei territori occupati, il rapporto tra la maggioranza ebraica e la minoranza araba, quello tra religione e Stato, il carattere e i valori della politica economica e sociale o persino l’interpretazione di eventi storici del passato - sono analoghi a quelli affrontati anche da altre nazioni in quanto toccano l’identità dinamica e in continua evoluzione di ogni popolo e Paese. E come in quei Paesi non si intende coinvolgere concetti estranei al dibattito, nemmeno noi ebrei dovremmo tirare in ballo il sionismo trasformandolo, ingiustamente, in un’arma nella lotta tra le parti, rendendo così difficilissimo il chiarimento delle polemiche e del loro livello di gravità. Il concetto di sionismo non dovrebbe sostituire quello di patriottismo o di pionierismo. Un ufficiale dell’esercito israeliano che firma per prolungare la ferma o che si stabilisce nel Negev non è più sionista del proprietario di un negozio di alimentari a Tel Aviv. È più pioniere o patriota, a seconda del significato che si attribuisce a questi termini.Il sionismo è un concetto che ci è caro e quindi è importante che vi si faccia ricorso solamente nelle questioni che gli competono, ovvero la differenza tra noi israeliani e gli ebrei della diaspora. L’uso inutile e inflazionistico che ne facciamo confonde il dibattito morale tra quegli ebrei che hanno deciso, nel bene e nel male, di assumersi la responsabilità di tutti gli aspetti della loro vita in un territorio definito e in un regime autonomo e quelli che vivono in mezzo ad altri popoli e mantengono un’identità ebraica parziale mediante lo studio, cerimonie religiose, e limitate attività comunitarie.


kibbutz Degania ai primi del '900

Là dove ebbe inizio il movimento del kibbutz

Le ultime tegole del tetto sono state piazzate sull’edificio di legno ricostruito, il cui originale era stata una delle icone del pionierismo ebraico nella Palestina Mandataria. Dopo aver lavorato duro sotto il sole cocente della Valle del Giordano, la squadra della Società per la Conservazione del patrimonio storico israeliano si è seduta all’ombra di una palma e ha confrontato il proprio lavoro con una sbiadita fotografia in bianco e nero dell’edificio originale.Nella foto, scattata da Avraham Susskin, si vedono i membri della “Comune Hadera” sui gradini, sul tetto e accanto all’edificio di legno che avevano costruito a Umm Juni. Questo è esattamente il posto dove ha avuto inizio l’idea del kibbutz, e quella foto è il simbolo visivo più importante di quegli inizi: Degania. Lo scorso ottobre c’è stata una cerimonia ufficiale per celebrare il centenario del movimento kibbutzistico, durante la quale è stato inaugurato il sito di Umm Juni, il luogo natale del movimento. I 3.000 dunam (750 acri) ad est dello punto in cui il fiume Giordano esce dal lago di Tiberiade erano stati acquistati dal Fondo Nazionale Ebraico (KKL) ed facevano parte dei possedimenti di una fattoria nota come Chatzer Kinneret (Cortile Kinneret), ad ovest del fiume.Tre agricoltori furono i primi ad arare quella terra, nel 1909. In quei giorni non c’erano ponti sul fiume, e c’era molto lavoro da fare. Così gli agricoltori stavano ad Umm Juni tutta la settimana e tornavano a Chatzer Kinneret solo nei fine-settimana. Fu là che nacque l’idea di affittare la terra a un gruppo di lavoranti. Ma nel 1909 gli agricoltori fecero sciopero contro i rappresentanti del Barone Rothschild, che gestivano la fattoria, e l’idea di affittare la terra fu quasi messa da parte.Alla fine, comunque, la terra fu assegnata a sette dei migliori agricoltori della Galilea, che la lavorarono con successo per un anno. Dopo di che, fu affidata alla Comune Hadera. Nel 1912 furono costruite le prime abitazioni permanenti in quello che sarebbe diventato Degania: il primo kibbutz."Questo posto è tanto importante quanto è stato trascurato – dice Omri Shalmon, vicedirettore generale della Società per la Conservazione del patrimonio storico israeliano, parlando dei molti anni in cui Umm Juni fu praticamente dimenticato – Umm Juni è una storia di persone, non di architettura. È una struttura modesta, dove ha avuto inizio qualcosa di grande. Non è un edificio imponente, non è il Taj Mahal. O meglio, è un Taj Mahal ideologico”.Il kibbutz Degania Alef, la Società per la Conservazione del patrimonio storico israeliano, il Fondo Nazionale Ebraico ed il Consiglio Regionale della Valle del Giordano hanno unito gli sforzi per dare al luogo la dignità che merita. "Per anni a Degania Alef abbiamo sognato il giorno in cui il sito sarebbe entrato a far parte del patrimonio storico – dice Shai Shoshani, segretario de kibbutz – Ci chiedevamo come portare i visitatori su questa collina nuda e offrire loro un’esperienza interessante”. Infine decisero che l’edificio in legno in cui gli agricoltori pionieri avevano vissuto e lavorato sarebbe stato il punto focale del progetto.Il problema era che non era rimasta traccia dell’edificio originale. Così l’architetto Roni Palmoni di Degania si è messo a fare ricerche sull’argomento, e con l’aiuto di qualche foto ha cominciato la ricostruzione, cercando di rimanere il più possibile fedele alla struttura originale. "In questo luogo i giovani che per primi sognarono il kibbutz non immaginavano certo quanto significato avrebbe avuto la loro modesta azione”, dice Yossi Vardi, presidente Consiglio Regionale della Valle del Giordano.(Da: Ha’aretz, 20.09.10)http://www.israele.net/


istituto Weizmann

L’esempio nordcoreano

Molti israeliani, sentendo martedì la notizia della fiammata di guerra fra Corea del Nord e Corea del Sud, si sono legittimamente domandati cosa avesse a che fare tutto questo con lo stato ebraico. A migliaia di chilometri di distanza da Israele, che ha già di per sé abbastanza problemi vicino a casa, la nuova tensione nel Mar Giallo non dovrebbe essere motivo di preoccupazione immediata. E invece lo è.Dal punto di vista israeliano, questi eventi costituiscono un chiaro esempio di ciò che Israele paventa che possa accadere se all’Iran verrà permesso di continuare a sviluppare capacità nucleari: in quanto potenza atomica, sarà più spavaldo nei suoi atti d’aggressione.Corea del Nord e Iran sono stretti alleati e da decenni collaborano in fatto di tecnologia militare e nucleare. La Corea del Nord è un noto esportatore di tecnologia missilistica verso la Siria e l’Iran, due paesi che hanno sviluppato formidabili capacità balistiche, dalle diverse versioni dei missili Scud fino ai vari missili Shihab e Sajil. Alcuni di questi missili sono modellati su progetti nordcoreani.In termini nucleari, la collaborazione è stata documentata dalla scoperta, nel 2007, che la Siria stava costruendo un reattore nucleare modellato su quello nordcoreano costruito a Yongbyon. Foto successivamente trapelate sulla stampa mostrano Chon Chibu, un alto funzionario del programma nucleare nordcoreano, in posa assieme a Ibrahim Othman, direttore della commissione siriana per l’energia atomica, davanti al reattore siriano poi distrutto da Israele.Più che altro, comunque, la Corea del Nord rappresenta agli occhi di altri stati delinquenti come l’Iran un esemplare modello di come un paese possa violare i trattati e gli accordi internazionali, sviluppare armamenti nucleari, e farla franca. Che è esattamente ciò che gli iraniani sembrano voler fare.È un punto su cui ha attirato l’attenzione il ministro degli esteri israeliano Avigdor Lieberman, martedì scorso durante la conferenza stampa a Gerusalemme col suo omologo italiano Franco Frattini. “Penso – ha detto Lieberman – che la Corea del Nord, come ben si vede, costituisca una seria minaccia non solo per la parte del mondo dove si trova, ma anche per il Medio Oriente e per il mondo intero”. E si è chiesto: se la comunità internazionale “non è in grado di fermare, di domare questo demenziale regime”, come potrà allora affrontare l’Iran?Ora che è dotata di comprovata capacità nucleare – Pyongyang ha già effettuato test con una bomba atomica – la Corea del Nord può permettersi di essere aggressiva, e i suoi bersagli – ad esempio, la Corea del Sud – sono costretti ad essere assai misurati nella loro reazione per non ritrovarsi anche sotto attacco nucleare.Questa è appunto una delle minacce con cui Israele deve fare i conti, quando si pensa a un Iran nucleare. Anche se Israele e Iran non hanno confini in comune, gli scagnozzi dell’Iran come Hezbollah in Libano e Hamas nella striscia di Gaza potrebbero permettersi di osare molto di più nei loro atti di aggressione contro Israele, dal momento che sarebbero spalleggiati da un paese nucleare.Pur premettendo che è ancora “troppo presto” per commentare l’incidente nella penisola coreana, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha affermato che gli eventi laggiù mostrano effettivamente come “il mondo stia finendo sotto la minaccia di paesi irresponsabili, che si stanno dotando di armamenti d’avanguardia, gli armamenti in assoluto più terrificanti. E dal momento che questi regimi sono nella loro essenza molto aggressivi, è solo questione di tempo prima che tale aggressione si manifesti in questo o quell’incidente”. Netanyahu, che parlava durante una visita alle Industrie Militari israeliane, ha aggiunto che Israele conosce molto bene questo fenomeno per via del comportamento dell’Iran e della sua collaborazione con la Corea del Nord, la Siria e altri paesi. La sfida di fronte alla comunità internazionale, ha concluso il primo ministro israeliano, è “come fare a fermare questa aggressione, e a fermarla in tempo”.(Da: Jerusalem Post, 24.11.10)Di Yaakov Katz e Herb Keinon http://www.israele.net/


CAMERA: FINI, BEN GURION ESEMPIO PER FAR FIORIRE DESERTO MORALE

(ASCA) - Roma, 24 nov - La testimonianza del fondatore dello Stato di Israele, Davide Ben Gurion, ''offre insegnamenti di perenne validita' anche alla politica di altri Paesi.Perche', sempre e in ogni latitudine c'e' un deserto, spesso morale e ideale, da far fiorire''. Lo ha dichiarato il presidente della Camera, Gianfranco Fini, presentando il libro 'Ben Gurion e la nascita dello Stato di Israele' di Giancarlo Elia Valori.''E' di notevole significato culturale e civile il riproporre all'attenzione del pubblico italiano la figura di Ben Gurion. E' necessario infatti promuovere, soprattutto presso i piu' giovani, la conoscenza piu' ampia e approfondita della storia dello Stato di Israele, a cui l'Italia e' da sempre legata da solidi vincoli di amicizia'', ha spiegato Fini nella Sala del Mappamondo di Montecitorio.Ben Gurion, conclude Fini, ''fu vero statista perche' non si limito' a governare il suo Paese avendo solo riguardo ai problemi immediati, ma a condurlo verso grandi traguardi di civilta' e di benessere riuscendo sempre a mobilitare le energie dell'idealita', dell'entusiasmo e della dedizione presenti nel popolo. E fu grazie a quelle energie se nacquero terre coltivabili, giardini e tante rilevanti costruzioni civili la' dove era il deserto''.


Israele: ad Haifa 3 morti per fuga gas

Almeno 10 feriti. Stampa rivela, in zona anche perdita bromo
(ANSA) - TEL AVIV, 24 NOV - Tre manovali sono rimasti uccisi e altre 10 persone sono state ferite per una fuga di idrogeno solforato (H2S) negli stabilimenti della societa' Bazam di Haifa. Secondo il ministro del commercio e l'industria Benyamin Ben Eliezer, nell'area industriale di Haifa si e' accumulato un potenziale distruttivo 'paragonabile ad una bomba atomica'. Il quotidiano Yediot Ahronot ha rivelato che ieri nel porto di Haifa si e' verificata anche un'evaporazione di bromo all'interno di una nave israeliana.


Frattini in Israele: servono concessioni per rilanciare i negoziati; l’Italia sostiene il ritorno a colloqui diretti

23 Novembre 2010, http://www.esteri.it/
Il rilancio dei negoziati israelo-palestinesi passa per la strada di una qualche “concessione’’ sul fronte di una nuova moratoria edilizia nelle colonie e il governo israeliano ne e’ consapevole mentre l’Italia conferma il “sostegno’’ agli sforzi da parte dell’amministrazione Usa, degli israeliani e dei palestinesi per tornare a “colloqui diretti’’ tra le parti per raggiungere un ‘’accordo di pace’’. Lo ha affermato il ministro degli Esteri, Franco Frattini, a Gerusalemme dopo gli incontri con i dirigenti israeliani nell’ambito di una missione in Medio Oriente che domani lo vedrà nei Territori.“Ho trovato il primo ministro Netanyahu sinceramente convinto che la ripresa dei negoziati sia necessaria, che essa sia un bene per Israele e che si debba tentare la strada di una concessione- che io ritengo indispensabile- quale l’estensione temporale della moratoria’’, ha detto Frattini, aggiungendo che la consapevolezza su questi tre punti testimonia di “una sincera volontà di pace’’. Tutto questo dopo il faccia a faccia col premier Netantyahu, con il ministro della Difesa (e capofila della minoranza di governo laburista), Ehud Barak, con la leader di Kadima (opposizione centrista) Tzipi Livni. Tutti gli interlocutori israeliani, ha aggiunto, sono "ormai convinti che la soluzione dei due Stati per due popoli sia senza alternative", una posizione "non scontata fino a due anni fa". Per avvicinarsi alla meta, occorre ora sostenere lo sforzo messo in campo dall'amministrazione Obama con l'offerta a Israele di aiuti e garanzie in cambio di una nuova moratoria di tre mesi. "Un tentativo serio - secondo Frattini - che va sostenuto da tutta l'UE e che l'Italia, il migliore amico d'Israele in Europa, sostiene senza riserve".Quanto al nodo di Gerusalemme est, la posizione italiana è che serve "una soluzione pragmatica tale da consentire di avviare negoziato sostanziale sui confini e di equilibrare il principio fondamentale del ripristino dei confini del '67 con compensazioni territoriali soddisfacenti per gli uni e per gli altri''. Frattini ha fatto sue le preoccupazioni israeliane riguardo ai programmi nucleari dell'Iran e alle attività di Hezbollah in Libano e di Hamas nella Striscia di Gaza. Mentre ha rivelato di aver offerto al primo ministro israeliano la disponibilità italiana a mediare per un riavvicinamento con la Turchia. A proposito di Gaza il Ministro Frattini ha indicato l'inedita tappa di mercoledì nella Striscia come un'occasione per verificare di persona "la situazione dell'ingresso e dell'uscita di beni e persone". E ha preannunciato contatti con la popolazione locale, i volontari della cooperazione italiana presenti nell'enclave e ifunzionari dell'Unrwa, l'agenzia dell'Onu che si occupa dei profughi palestinesi.Nell’aprire a Tel Aviv i lavori del “Foro italo-israeliano della scienza’’, Frattini ha avuto modo di toccare con mano la intensità e la vivacita’ della cooperazione scientifica con Israele, e poi di comparare le politiche di ciascun Paese verso le nuove generazioni. "La chiave del nostro successo ha detto Frattini - è la fiducia reciproca. Noi non potremmo scambiare le nostre tecnologie, il nostro know-how e le nostre esperienze se non fossimo assolutamente sicuri della fiducia reciproca che esiste e continuerà ad esistere fra i nostri Paesi e fra i nostri popoli.Non è un caso – ha proseguito il ministro - che il mio Paese sia il primo partner di Israele fra i Paesi europei nel campo della cooperazione scientifica, e sia secondo solo agliStati Uniti". Prima dell'intervento al Foro, Frattini ha incontrato ilministro dell'industria Benyamin Ben Eliezer (laburista) e successivamente è¨ partito per Akko (S. Giovanni d'Acri) per partecipare al convegno 'Israele per i giovani' organizzato dal vice-premier Silvan Shalom, un dirigente del Likud.


Reporters sans frontières lancia l’allarme: “I giornalisti palestinesi sono vittime collaterali dell’Intrafada*”
Parigi, 22 Novembre 2010 - L’organizzazione Reporters sans frontières ha espresso rammarico lunedì per il fatto che giornalisti palestinesi siano ”vittime collaterali del conflitto combattuto da anni fra Hamas e Autorità Palestinese”.Oltre a giornalisti professionisti, Reporters sans frontières ha citato il caso di un blogger, Walid al-Husseini, arrestato a Qalqilya dai servizi di sicurezza dell’Autorità Palestinese alla fine di ottobre con l’accusa di “promuovere ateismo e blasfemia contro il Profeta e il Corano”, e ha citato l’arresto del direttore di Radio Betlemme 2000, George Qanawati, arrestato dopo la diffusione di informazioni sulle frizioni tra Mahmoud Abbas (Abu Mazen) e Mohammad Dahlan, membro del comitato centrale di Fatah.A Gaza, Reporters sans frontières riferisce dell’arresto di quattro giornalisti negli uffici del rappresentante di Fatah, a Rafah, l’11 novembre scorso, anniversario della morte di Yasser Arafat.(Fonte: Israele.net, 23 Novembre 2010)
Per ulteriori informazioni cliccare qui e qui (notizie d’archivio ma che spiegano bene come la situazione sia peggiorata negli ultimi anni, naturalmente nel disinteresse generale, perchè è una questione in cui Israele non c’entra!) *Intrafada: Lotte tra fazioni palestinesi


Il fallimento della pace secondo Dennis Ross

Nessuno può vantare più esperienza di Dennis Ross nell’opera di mediazione fra israeliani e palestinesi. Dennis Ross è stato l’inviato speciale in Medio Oriente per due amministrazioni americane: la prima amministrazione (repubblicana) di George Bush padre, e i due mandati dell’amministrazione (democratica) di Bill Clinton. Il libro di Ross “The Missing Peace” [La pace smarrita], in uscita fra poche settimane, è ricco di particolari sui negoziati e sul loro fallimento: una sorta di enciclopedia del processo di pace fra israeliani e arabi, che contribuirà a dissipare molte voci e a smantellare qualche mito.La lezione che Ross trae dal suo lavoro con arabi e israeliani è importante. A differenza della maggior parte dei commentatori che si sono cimentati sull’argomento e che hanno puntato l’attenzione sulle mancanze di palestinesi, israeliani e siriani, Ross critica prima di tutto gli americani: in pratica se stesso.Ad esempio egli ritiene che gli americani, in quanto mediatori, avrebbero dovuto fissare delle regole chiare a proposito di impegni violati. La colpa degli Stati Uniti è stata quella di non essere disposti a fermare il processo diplomatico quando avveniva un’importante violazione degli accordi. Ross scrive che gli americani “avevano paura” a denunciare le violazioni perché ciò avrebbe danneggiato il processo di pace, e così finirono col creare un’atmosfera in cui la violazione degli impegni non appariva alle parti come una questione davvero grave. In alterativa, Ross propone di stabilire un “codice di comportamento” che definisca fin dall’inizio cosa è proibito e cosa è permesso.D’altra parte, secondo Ross gli Stati Uniti hanno avuto il merito di opporsi a ogni soluzione imposta dall’esterno. Ciò contribuì a spingere i leader della regione a rispettare i rispettivi obblighi. Tuttavia gli americani fecero l’errore di prestare troppa attenzione ai leader, e non abbastanza attenzione all’opinione pubblica delle due parti. Ross sostiene che, se le due popolazioni non intraprendono cambiamenti di fondo, non vi sono reali possibilità per la pace.Gli israeliani, ad esempio, devono cedere il controllo sui palestinesi. Scrive Ross che una delle ragioni del fallimento degli accordi di Oslo fu la non disponibilità a cedere completamente tale controllo. Posti di controllo e blocchi stradali, dice, non vennero completamente tolti anche quando praticamente non si verificavano attentati terroristici.Palestinesi e arabi in generale, dal canto loro, devono riconoscere che Israele ha esigenze legittime e giuste, un riconoscimento che, secondo Ross, fino ad oggi non è ancora avvenuto. Come esempio, Ross cita le promesse verbali fatte a Clinton da molti leader arabi, che si sarebbero adoperati perché il summit di Camp David (luglio 2000) sortisse risultati positivi. Nessuno di loro mantenne queste promesse.In base alla propria esperienza, Ross conclude che nessuna concessione da parte di Israele sarà mai considerata veramente notevole da parte degli arabi. In definitiva, dice, saranno gli arabi quelli che decideranno se c’è la possibilità di attuare un accordo con Israele.Praticamente tutti i leader mediorientali vengono descritti nel libro di Ross, ma un posto particolare nel suo resoconto è dedicato a Yasser Arafat. Ross di domanda se gli Stati Uniti avrebbero evitato di cercare di comporre il conflitto in collaborazione con Arafat se allora avessero saputo sul suo conto ciò che si sa oggi. A posteriori, scrive Ross, può anche darsi che gli Stati Uniti si sarebbero comportati così, ma resta il fatto che allora gli americani erano convinti che fosse vero il discorso sulla debolezza di Arafat e temevano che, esercitando troppe pressioni su di lui, egli potesse cadere, danneggiando irrimediabilmente il processo di pace.Ross tende ad accogliere la valutazione secondo cui la decisione del governo israeliano di ritirarsi unilateralmente dal Libano meridionale (nel maggio 2000) sotto la pressione degli Hezbollah abbia spinto Arafat a credere di poter usare la violenza per influenzare le decisioni di Israele. Se si fosse raggiunto l’accordo con la Siria ai negoziati di Shepherdstown (gennaio 2000), scrive, ciò avrebbe determinato un sostanziale cambiamento nello status degli Hezbollah (sostenuti da Damasco) e in tutto il fronte arabo del rifiuto, cosa che a sua volta avrebbe influenzato le scelte di Arafat. Ma la pace con la Siria non venne raggiunta, secondo Ross, a causa del fatto che, da una parte, Ehud Barak non era pronto ad accettare l’accordo coi siriani offerto al summit di Shepherdstown e, dall’altra, Hafez Assad respinse le proposte avanzate da Clinton a Ginevra (marzo 2000).Guardando in avanti, Dennis Ross scrive che il piano di disimpegno israeliano (dalla striscia di Gaza e parte della Cisgiordania settentrionale) può anche essere una mossa positiva, ma che non deve essere considerato un processo in grado di portare a una soluzione del conflitto israelo-palestinese.(Da: Ha’aretz, 30.07.4)23 novembre 2010,http://liberaliperisraele.ilcannocchiale.it/


Lieberman: Pronti a colloqui diretti ...

"Cominciamo dalle questioni pratiche, come sicurezza ed economia"
Roma, 23 nov. (Apcom) - Israele non attribuisce un'"importanza prioritaria" al cosiddetto 'documento di garanzia', il pacchetto di incentivi e garanzie che gli Stati Uniti sono pronti a offrire in cambio del congelamento di altri tre mesi sugli insediamenti ebraici in Cisgiordania. "Meglio concentrarsi su questioni pratiche, come la cooperazione di sicurezza ed economica" con "intese a lungo termine" ha considerato Lieberman, piuttosto che cercare subito una "soluzione sullo status finale" dei due stati. E' convinzione del ministro israeliano che "tornare rapidamente ai negoziati diretti è nell'interesse sia degli israeliani sia dei palestinesi". "Un accordo - ha detto ancora Lieberman - potrà essere raggiunto solo con negoziati bilaterali diretti tra noi e i palestinesi" e non altrove, a Bruxelles o a Washington. C'è consenso in Europa che "dovremmo sostenere negoziati e negoziatori e non sostituirli" gli ha fatto eco Frattini. "Ecco perché è molto importante lasciarli sedere intorno a un tavolo, e non prendere decisioni da Bruxelles o da altre parti su cosa dovrebbe essere uno Stato palestinese" ha valutato il responsabile della diplomazia italiana. "Qualsiasi decisione unilaterale porterà a conseguenze molto negative" ha chiosato Lieberman.


Neppure un terrorista è mai riuscito a penetrare nell'aeroporto di Tel Aviv

Arrivando ai controlli di sicurezza, i passeggeri che viaggiano negli Stati Uniti oggi hanno due opzioni: venire ispezionati direttamente dagli agenti della sicurezza aeroportuale (TSA), ben muniti di guanti, o essere fotografati “nudi” dal dispositivo con retrodiffusione a raggi X, già soprannominato “porn machine” da Jeffrey Goldberg nel “The Atlantic”.Per questo nuovo sistema bisogna ringraziare Umar Farouk Abdulmutallab, il fallito attentatore della mutanda-bomba. Mentre gli eserciti sono drammaticamente impegnati a combattere l’ultima delle guerre, il TSA continua a cercare l’ultimo dei sistemi utilizzati dai terroristi.Subito dopo l’11 settembre 2001, per esempio, qualsiasi oggetto appuntito – persino le pinzette – è stato proibito. Da quando Richard Reind tentò di dar fuoco alle proprie scarpe e fallì, gli agenti di sicurezza ci hanno imposto di togliere le scarpe. In seguito all’arresto da parte delle autorità britanniche di alcuni terroristi che progettavano di portare esplosivo liquido a bordo, da allora a tutti noi è stato impedito di portare gli shampoo attraverso i controlli di sicurezza.Se è vero che i terroristi non hanno mai utilizzato la stessa arma per due volte, il TSA non è neanche in grado di scoprire quale sarà il sistema che gli attentatori cercheranno di mettere in atto la prossima volta. Personalmente, posso pensare a tutta una serie di oggetti non ancora proibiti con cui una persona potrebbe provocare il caos a bordo. Per questo, gli agenti di sicurezza dovrebbero prestare meno attenzione agli oggetti e molta di più alle persone. Proprio come fanno gli israeliani.A causa delle terribili circostanze, infatti, gli israeliani sono i principali esperti nella lotta al terrorismo. E non a caso, ai loro agenti non glie ne può fregar di meno cosa porti tua nonna sull’aereo. Al contrario, gli addetti alla sicurezza dell’aeroporto Ben Gurion interrogano ogni singolo passeggero in fila, prima ancora di fare il check-in.Gli agenti israeliani poi tracciano il profilo dei passeggeri. Non a seconda della razza, ma li classificano. Gli arabi israeliani, per esempio, passano abbastanza rapidamente ma a causa della dozzina di timbri a dir poco sospettabili sul mio passaporto – circa la metà sono del Libano e dell’Iraq – ogni volta vengo messo da parte per essere sottoposto a ulteriori domande. E tutto ciò nonostante io sia bianco e venga classificato come “cristiano americano”.
Se gli agenti ti fanno uscire dalla fila, ti conviene sempre dire la verità. Ti pongono tutta una serie di domande all’impazzata con così tanta rapidità che è impossibile inventare una storia che regga fino in fondo. Non provateci mai! Sono molto allenati e hanno molta esperienza, e riescono a beccare chiunque cerchi di dir loro una balla.Siccome rientro in uno dei loro profili, per superare la prima ondata di sicurezza ci metto circa 15-20 minuti di più rispetto al resto dei passeggeri. D’altro canto, però, gli agenti compensano il disagio scortandomi fino all’inizio della fila del metal detector, ma non fanno passare nessuno attraverso la “porn machine”. In Israele, non ha alcun senso averne una perché i terroristi non riescono a spingersi così lontano all’interno dell’aeroporto.L’esperienza israeliana non è esattamente piacevole e ci sono parecchie cose che non vanno bene. In effetti, per coloro che vengono interrogati più minuziosamente può risultare davvero esasperante.Ma, a parte il fatto che non c’è nessuno che va a guardare o a metter le mani nei pantaloni delle persone, il sistema ha i suoi vantaggi: gli israeliani infatti non utilizzano il “teatrino” della sicurezza per trasmettere ai passeggeri la sensazione d’essere al sicuro. I loro agenti mettono in atto vere misure di sicurezza per far sì che le persone siano al sicuro. Basta tenere in conto che, nonostante gli attentatori suicidi si facciano esplodere quasi quotidianamente nelle città israeliane, neanche uno solo di questi è mai riuscito a penetrare nell’aeroporto di Tel Aviv.Tratto dal New York Post©,di Michael J. Totten24 Novembre 2010,http://www.loccidentale.it/


Ancora coming out nel mondo della musica: il cantante israeliano Harel Skaat è gay

Continuano i coming out nel mondo della musica: dopo Ricky Martin e Tiziano Ferro, “esce dall’armadio” Harel Skaat, cantante pop ventinovenne molto conosciuto in Israele.“Sono molto geloso della mia intimità – ha detto il cantante alla tv israeliana – e, tuttavia, non ho nulla da nascondere. Se avrò un fidanzato non sarà una cosa nascosta. Dio mi ha fatto così come sono, mi piace e mi sento completo”L’omosessualità di Skaat era, per molti, un segreto di Pulcinella e il giovane cantante era stato criticato per “mancanza di autenticità” dal momento che le parole delle sue canzoni si riferivano ad amanti donne. Dopo il salto trovate il video ufficiale di Milim, la canzone che Harel Skaat ha interpretato come rappresentante ufficiale di Israele all’Eurofestival (si è classificata quattordicesima). Nemmeno a farlo apposta nel video distrugge quasi tutti i mobili: mancava solo l’armadio…23 novembre 2010 http://www.queerblog.it/


Charlotte Gainsbourg
Riscoprirsi antisemiti

Una lista degli ebrei francesi famosi e di successo, con tanto di nome, cognome e mondo lavorativo di riferimento. E, in prima pagina, un odioso titolo: Gli ebrei che dominano la Francia. Si potrebbe pensare che si tratti di un giornale degli anni ’30 o ’40 del secolo scorso, ma la data rivela la triste verità: giugno-luglio 2010. Stiamo parlando del giornale francese Le National Radical, organo ufficiale con periodicità bimestrale del Parti National Radical. Direttore responsabile: Maurice Martinet, presidente del partito politico. Basta guardare quello a cui è dedicata la copertina per capirne lo spirito: Gli ebrei che dominano la Francia, appunto, tratto dal libro Gli ebrei che dominano e distruggono la Francia di tale Lawrence Auster che, viene precisato nell’introduzione: “è un ebreo convertito al cristianesimo, autore di numerose opere sull’immigrazione e la multicuturalità”. L’articolo propone un elenco molto aggiornato dei “nomi, tutti ebraici, che controllano il mondo dei media, dello showbiz, della politica e degli affari”. Noti cantanti francesi, come Jean-Jacques Goldman e Patrick Bruel, attori e attrici, come Vincent Cassel, marito di Monica Bellucci, Isabelle Adjani e Charlotte Gainsbourg, intellettuali e scrittori come Jacques Attali, o deejay alla moda come David Guetta, per non parlare della première dame, Carla Bruni: sono solo alcuni dei nomi che riempiono l’odiosa lista degli “avvelenatori” della Francia. Oltre all’estrema violenza dei contenuti pubblicati nelle 16 pagine del giornale, ciò che colpisce l’attenzione è il fatto che questa pubblicazione sia venduta regolarmente nelle edicole, al prezzo di 2,50 euro, e dunque facilmente reperibile per chiunque. Ilaria Myr Milano 4/10/10, http://www.mosaico-cem.it/


Durban

ONU: evitare una nuova farsa con "Durban 3". L'Italia ha votato contro

Dichiarazione dell'On. Fiamma Nirenstein (Pdl), Vicepresidente della Commissione Esteri della Camera
"Dopo il disastro di "Durban 1" e di "Durban 2", le presunte conferenze dell'Onu contro il razzismo, che divennero di fatto conferenze di odio razzista contro Israele e contro gli Stati Uniti, martedì l'Assemblea Generale dell'Onu ha approvato una risoluzione che indice di fatto "Durban 3". Sono lieta di annoverare l'Italia tra i 19 paesi che hanno votato contro la risoluzione, tuttavia appoggiata da 121 Stati, che stabilisce di riaffermare, nel settembre 2011, in un giorno di grandi celebrazioni, la famigerata Carta uscita da Durban 1, sulla base di una delle peggiori iniziative che l'Onu abbia mai intrapreso, iniziativa caratterizzata soprattutto dalla presenza di Fidel Castro, Arafat e Mugabe, che tennero banco alla conferenza del 2001 con i loro discorsi di odio. Nel 2001 infatti, pochissimi giorni prima degli attentati dell'11 settembre, a Durban si svolse un festival di odio antisemita e antioccidentale, con manifestazioni inneggianti a Bin Laden e dimostranti che inseguivano gli ebrei per le strade. Oggi si vuole riproporre come Vangelo l'impresentabile documento uscito da quella situazione e riconvocare le Organizzazioni non governative che ne furono l'anima. Non è troppo tardi per impegnarci ad evitarlo".


Teheran
L'Iran con l'atomica imiterà il regime di Kim

Il Giornale, 25 novembre 2010 di Fiamma Nirenstein
Guardate bene la Corea del Nord volgendo il cannocchiale verso il futuro, e vedrete Teheran. Guardate i tormenti dei dissidenti nordcoreani e vedrete la lapidazione delle donne iraniane, considerate la determinazione nordcoreana nell’imporre al mondo il suo regime nazista con lo spauracchio della bomba atomica e vedrete chiaro il programma di Ahmadinejad.Forse la più spaventevole testimonianza che nel mondo contemporaneo sia dato ascoltare è quella di un sopravvissuto al campo di concentramento nordcoreano: chi scrive ne ha avuto l’occasione, e qui si dirà soltanto che la storia di torture, di uccisioni, di fame (spiace assai ricordarlo) fino all’antropofagia dentro le famiglie dei prigionieri, sono altrettante indicazioni di quanto quel regime basi la sua sopravvivenza sul terrore.Il totalitarismo di quel tipo, però, sa di non piacere, di avere dei nemici che lo vogliono morto perché lo considerano pericoloso. Ed ecco la sua assicurazione sulla vita: la bomba atomica. Quando ce l’hai puoi fare quello che ti pare e uscirne solo con qualche parolina di biasimo. In Corea del Sud il bilancio è ormai di quattro morti, di cui due civili, e di diciotto feriti, le esplosioni sono state veri atti di guerra: ma Ban Ki Moon si limita a essere «molto preoccupato», Obama sostiene che «l’incidente è grave», tutti e due chiedono «alle parti», mentre si sa benissimo che l’unica parte aggressiva è quella del Nord, di «agire con moderazione»; la Germania pure è «preoccupata» e il Giappone «si prepara per qualsiasi eventualità». Tutti si preoccupano, ma dalle reazioni del mondo il regime di Pyongyang capisce che si tratta di una preoccupazione che somiglia alla paura e che è per questo che i toni sono morbidi; il Consiglio di Sicurezza per ora non si muove e di fatto la Corea del Sud viene abbandonata a se stessa con tante raccomandazioni di stare calma.È la bomba atomica, stupido. Un giorno questo accadrà anche con l’Iran, il giorno in cui il regime degli ayatollah avrà pronte le sue testate atomiche puntate su Israele, sull’Europa e oltre. L’Iran spesso reclama alcune isole del Golfo Persico e con la bomba atomica il Golfo intero risveglierà i suoi appetiti; l’Iraq, il naturale nemico dell’Iran, tremerà di paura a rischio continuo di invasione, mentre l’Arabia Saudita che sarà certamente «molto preoccupata», tuttavia non scenderà in campo e si limiterà ad accelerare gli sforzi per diventare quanto prima un Paese nucleare a sua volta. Lo stesso farà, a ogni buon conto, l’Egitto, anch’esso Paese sunnita, e la Giordania, ma senza far rumore, per non irritare gli ayatollah atomici. E Israele avrà per vicini i rappresentanti degli iraniani sia a sud che a nord. Gli Hezbollah potranno usare i loro missili senza paura della risposta israeliana, e anche Hamas, a sud, mirerà su Tel Aviv senza temere l’esercito israeliano, adagiata su un tappeto persiano fatto di neutroni.Non è un caso che Pyongyang e Teheran vadano d’accordo, unite in quello che giustamente viene chiamato l’asse del male: la loro natura totalitaria le rende aggressive e pazzoidi. Per loro non funziona la teoria detta “MAD” quella Mutual Assured Destruction, che trattene gli USA e l’URSS da colpirsi. La loro natura stessa, i loro passionali culti li rendono di fatto adoratori della violenza, fino alla distruzione del mondo.


ZUCCOTTI DI CARCIOFI IMBOTTITI
INGREDIENTI: 7 o 8 carciofi, 300g di patate, ½ litro di crema di latte, 200g di carote, 4 amaretti, sale,pepe, prezzemolo.PREPARAZIONE: Pulire per bene i carciofi togliendo tutte le foglie dure, lavarli e lessarli in acqua salata e con un filo d’olio quindi scolarli e sistemarli in un colapasta. Tagliare a fette le patate metterle in una padella con la crema di latte sale, pepe e prezzemolo, farle insaporire per bene quindi schiacciarle con lo schiacciapatate e, se del caso, aggiungere ancora un poco di crema di latte. Per l’imbottitura dei carciofi lessare le carote e quindi frullarle aggiungendo gli amaretti; con questo composto riempire i carciofi e sistemarli in uno stampo rotondo come quello che si usa per fare lo zuccotto. Con il composto di patate riempire i vuoti tra un carciofo e l’altro, pressare un poco con un cucchiaio, coprire con cuki alluminio e cuocere in forno a 18 gradi per 20 o 25 minuti. Preparare in una padella un po’ di crema di latte con parmigiano, far amalgamare quindi versare in un piatto di portata e adagiare su questo lo zuccotto dopo averlo capovolto. Sullam n. 59

giovedì 25 novembre 2010


Il succo di melograno aiuta la salute dei pazienti in dialisi

I suoi antiossidanti riducono stress ossidativo, infiammazione ed infezioni
Bere succo di melograno può essere utile ai pazienti in dialisi, in quanto esso riduce morbilità e rischi per il cuore, riducendo di conseguenza la morbilità. Queste considerazioni derivano da una ricerca del Western Galilee Hospital di Nahariya e del Technion-Israel Institute of Technology di Haifa (Israele), diretta dalla dottoressa Batya Kristal e presentata alla convention annuale dell'American Society of Nephrology, in corso a Denver. Gli scienziati diretti dalla dottoressa Kristal si sono basati su indagini precedenti, che hanno mostrato come il succo di melograno fornisse buone quantità di antiossidanti. Tali elementi abbassavano colesterolo e pressione sanguigna, risultando particolarmente efficaci in caso di diabete ed ipertensione. Allora, i ricercatori hanno selezionato 101 pazienti dializzati, dividendoli in maniera casuale in due gruppi. I volontari del primo gruppo hanno ricevuto succo di melograno, quelli del secondo un placebo. In entrambi i casi, la somministrazione avveniva all'inizio della dialisi, veniva fatta 3 volte la settimana e durava un anno. I successivi esami clinici hanno rivelato una serie di vantaggi per i soggetti del primo gruppo. Essi infatti evidenziavano minore infiammazione, minore stress ossidativo e più basso livello d'infezioni, a sua volta legato ad un minor tasso di ospedalizzazione. Successivamente, gli esperti hanno riesaminato i risultati dei test. Il controllo suggerisce come il succo di melograno sia benefico anche per il cuore, in quanto fa calare dosi di lipidi e pressione arteriosa. Conclude allora la capo-ricercatrice: "Considerando l'epidemia di insufficienza renale cronica attesa per il prossimo decennio, occorrerebbe effettuare ulteriori studi sul potenziale impatto del succo di melagrana sulla riduzione della morbilità cardiovascolare in questa popolazione di pazienti e sulla loro evoluzione verso le stadi terminali della patologia".


Malvina Halberstam, autrice dio questo articolo, docente di diritto internazionale alla Benjamin N. Cardozo School of Law, già consulente in diritto internazionale pera il Dipartimento di stato americano

Quanto vale la parola della superpotenza democratica?

In Israele si discute se imporre o meno un’ulteriore moratoria di 90 giorni delle attività edilizie ebraiche in Giudea e Samaria (Cisgiordania) in cambio di una serie di promesse da parte del presidente degli Stati Uniti Barack Obama, fra cui quella di opporre il veto al Consiglio di Sicurezza dell’Onu a un’eventuale risoluzione che mirasse a riconoscere uno stato palestinese sulle linee pre-’67. La domanda è: tale impegno sarebbe vincolante per la legge americana? Lo sarebbe per Obama? E lo sarebbe per il suo successore? L’appoggio degli Stati Uniti per un siffatto stato palestinese non costituirebbe la violazione di un accordo già esistente?Alcune settimane fa è stato riportato che Obama, per spingere il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) a tornare al tavolo dei negoziati, gli avrebbe offerto di “appoggiare formalmente uno stato palestinese basato sui confini [sic] di Israele di prima della guerra del 1967” (New York Times, 6.10.10). Lasciando pure da parte la questione del perché mai Abu Mazen abbia bisogno di essere sointo a tornare al tavolo di negoziati destinati a sfociare nella creazione (per la prima volta nella storia) di uno stato palestinese, resta il fatto che tale promessa da parte del presidente Usa violerebbe un accordo fra Stati Uniti e Israele stipulato il 14 aprile 2004 mediante uno scambio di lettere ufficiali fra il presidente americano, che allora era George W. Bush, e il primo ministro israeliano, che allora era Ariel Sharon.Non basta. L’appoggio, o la non opposizione, da parte americana a una risoluzione del Consiglio di Sicurezza per uno stato palestinese basato sulle linee pre-’67 (che erano linee armistiziali, e non “confini”) sarebbe anche in contraddizione con la politica perseguita dagli Stati Uniti sin dal 1967, da quando cioè il Consiglio di Sicurezza adottò la risoluzione 242. Come è noto, il riferimento di quella risoluzione – proprio su insistenza degli Stati Uniti, a dispetto delle obiezioni dell’Unione Sovietica e degli stati arabi – a un ritiro israeliano non già da “tutti i territori”, e nemmeno “dai territori”, bensì solo da (una parte dei) territori, serviva per l’appunto a garantire che Israele potesse negoziare dei confini “sicuri e riconosciuti” non necessariamente coincidenti con le linee pre-’67.Diceva dunque la lettera di Sharon del 2004: «Le allego, perché ne possa prendere visione, i principi fondamentali del Piano di Disimpegno […]. Secondo questo piano, lo stato d’Israele intende trasferire installazioni militari, comunità e città israeliane dalla striscia di Gaza, così come altre installazioni militari e un piccolo numero di comunità dalla Samaria» (Cisgiordania settentrionale).La lettera di Bush diceva: «Accogliamo con favore il piano di disimpegno da voi predisposto […]. Gli Stati Uniti riconoscono i rischi che una tale impresa comporta. Desidero pertanto rassicurarvi su diversi punti. […] Terzo, alla luce delle nuove realtà sul terreno, compresi gli importanti centri abitati israeliani già esistenti, non è realistico aspettarsi che il risultato dei negoziati per lo status definitivo sia un ritorno totale e completo alle linee d’armistizio del 1949. […] È realistico aspettarsi che un accordo per lo status definitivo verrà raggiunto soltanto sulla base di cambiamenti reciprocamente concordati che riflettano tali realtà».Le lettere portano entrambe la data del 14 aprile 2004. Con un linguaggio attentamente redatto, elencavano una serie di impegni da parte rispettivamente di Israele e Stati Uniti. La lettura delle due lettere non lascia adito a dubbi: esse erano concepite per mettere nero su bianco un accordo fra Stati Uniti e Israele. Con una risoluzione concomitante adottata il 22 giugno 2004, il Congresso americano affermava di “sostenere con forza i principi formulati dal presidente Bush nella sua lettera al primo ministro israeliano Ariel Sharon datata 14 aprile 2004”.Israele attuò il disimpegno (nell’estate 2005) pagando un alto prezzo umano e materiale: tutte le comunità ebraiche nella striscia di Gaza vennero demolite, migliaia di ebrei vennero rimossi d’autorità dalle cittadine e dai villaggi che avevano costruito e nei quali avevano vissuto e lavorato per molti anni, alcuni per tutta la vita. Tanti di essi sono ancora oggi senza un’abitazione e un lavoro sicuri.L’offerta di Obama di “appoggiare formalmente uno stato palestinese basato sui confini di Israele di prima della guerra del 1967”, se fatta davvero, è dunque in evidente contraddizione con la “rassicurazione” fatta a Sharon dal suo predecessore Bush che “alla luce delle nuove realtà sul terreno, compresi gli importanti centri abitati israeliani già esistenti, è realistico aspettarsi che un accordo per lo status definitivo verrà raggiunto soltanto sulla base di cambiamenti che riflettano la realtà sul terreno”.Naturalmente Israele, come qualunque altro paese, non ha alcun mezzo per costringere gli Stati Uniti ad onorare gli impegni presi. Ma finora in generale gli Stati Uniti lo hanno fatto. Se invece Obama mancherà di onorare gli accordi stipulati dal suo predecessore, non solo macchierà la reputazione internazionale del suo paese, ma comprometterà seriamente la capacità dell’America di negoziare accordi futuri, giacché Israele e gli altri paesi avranno ragione di domandarsi se gli impegni assunti da Washington in cambio di loro concessioni saranno davvero mantenuti.(Da: Jerusalem Post, 21.11.10)Di Malvina Halberstam http://www.israele.net/