venerdì 26 novembre 2010


Neppure un terrorista è mai riuscito a penetrare nell'aeroporto di Tel Aviv

Arrivando ai controlli di sicurezza, i passeggeri che viaggiano negli Stati Uniti oggi hanno due opzioni: venire ispezionati direttamente dagli agenti della sicurezza aeroportuale (TSA), ben muniti di guanti, o essere fotografati “nudi” dal dispositivo con retrodiffusione a raggi X, già soprannominato “porn machine” da Jeffrey Goldberg nel “The Atlantic”.Per questo nuovo sistema bisogna ringraziare Umar Farouk Abdulmutallab, il fallito attentatore della mutanda-bomba. Mentre gli eserciti sono drammaticamente impegnati a combattere l’ultima delle guerre, il TSA continua a cercare l’ultimo dei sistemi utilizzati dai terroristi.Subito dopo l’11 settembre 2001, per esempio, qualsiasi oggetto appuntito – persino le pinzette – è stato proibito. Da quando Richard Reind tentò di dar fuoco alle proprie scarpe e fallì, gli agenti di sicurezza ci hanno imposto di togliere le scarpe. In seguito all’arresto da parte delle autorità britanniche di alcuni terroristi che progettavano di portare esplosivo liquido a bordo, da allora a tutti noi è stato impedito di portare gli shampoo attraverso i controlli di sicurezza.Se è vero che i terroristi non hanno mai utilizzato la stessa arma per due volte, il TSA non è neanche in grado di scoprire quale sarà il sistema che gli attentatori cercheranno di mettere in atto la prossima volta. Personalmente, posso pensare a tutta una serie di oggetti non ancora proibiti con cui una persona potrebbe provocare il caos a bordo. Per questo, gli agenti di sicurezza dovrebbero prestare meno attenzione agli oggetti e molta di più alle persone. Proprio come fanno gli israeliani.A causa delle terribili circostanze, infatti, gli israeliani sono i principali esperti nella lotta al terrorismo. E non a caso, ai loro agenti non glie ne può fregar di meno cosa porti tua nonna sull’aereo. Al contrario, gli addetti alla sicurezza dell’aeroporto Ben Gurion interrogano ogni singolo passeggero in fila, prima ancora di fare il check-in.Gli agenti israeliani poi tracciano il profilo dei passeggeri. Non a seconda della razza, ma li classificano. Gli arabi israeliani, per esempio, passano abbastanza rapidamente ma a causa della dozzina di timbri a dir poco sospettabili sul mio passaporto – circa la metà sono del Libano e dell’Iraq – ogni volta vengo messo da parte per essere sottoposto a ulteriori domande. E tutto ciò nonostante io sia bianco e venga classificato come “cristiano americano”.
Se gli agenti ti fanno uscire dalla fila, ti conviene sempre dire la verità. Ti pongono tutta una serie di domande all’impazzata con così tanta rapidità che è impossibile inventare una storia che regga fino in fondo. Non provateci mai! Sono molto allenati e hanno molta esperienza, e riescono a beccare chiunque cerchi di dir loro una balla.Siccome rientro in uno dei loro profili, per superare la prima ondata di sicurezza ci metto circa 15-20 minuti di più rispetto al resto dei passeggeri. D’altro canto, però, gli agenti compensano il disagio scortandomi fino all’inizio della fila del metal detector, ma non fanno passare nessuno attraverso la “porn machine”. In Israele, non ha alcun senso averne una perché i terroristi non riescono a spingersi così lontano all’interno dell’aeroporto.L’esperienza israeliana non è esattamente piacevole e ci sono parecchie cose che non vanno bene. In effetti, per coloro che vengono interrogati più minuziosamente può risultare davvero esasperante.Ma, a parte il fatto che non c’è nessuno che va a guardare o a metter le mani nei pantaloni delle persone, il sistema ha i suoi vantaggi: gli israeliani infatti non utilizzano il “teatrino” della sicurezza per trasmettere ai passeggeri la sensazione d’essere al sicuro. I loro agenti mettono in atto vere misure di sicurezza per far sì che le persone siano al sicuro. Basta tenere in conto che, nonostante gli attentatori suicidi si facciano esplodere quasi quotidianamente nelle città israeliane, neanche uno solo di questi è mai riuscito a penetrare nell’aeroporto di Tel Aviv.Tratto dal New York Post©,di Michael J. Totten24 Novembre 2010,http://www.loccidentale.it/

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