sabato 12 settembre 2009

Dettaglio dell'interno della sinagoga di Saluzzo in Piemonte

ISRAELE: SCOPERTA SINAGOGA 50 AC, FORSE VI PREGO' GESU'

(AGI) - Gerusalemme, 11 set. - Le rovine di una sinagoga risalente a oltre 2.000 anni fa, in cui potrebbe aver pregato Gesu', sono state riportate alla luce sulla costa del Mare di Galilea. La scoperta e' avvenuta a Migdal, il luogo in cui i cristiani ritengono sia nata Maria Maddalena. Secondo gli storici venne costruita presumibilmente intorno al 50 a.C. ed e' uno dei sette luoghi di culto che risalgono al periodo precedente la costruzione del secondo tempio. "E' possibile che Gesu' abbia pregato in questa sinagoga perche' Migdal era una citta' molto importante", ha spiegato la direttrice degli scavi Dina Abshalom-Gorni. Gesu' trascorse molto tempo in preghiera sulle coste del Mare di Galilea, conosciuto anche come Lago Kinneret, dove secondo la Bibbia furono compiuti diversi miracoli. Gli archeologi attribuiscono grande valore al ritrovamento dei mosaici che ricoprono tutto il pavimento della sinagoga e alla scoperta di una delle quattro copie esistenti della menorah - il tradizionale candelabro a sette braccia - proveniente dal secondo tempio ebraico andato distrutto nel 70 d.C. "L'artista che l'ha realizzata probabilmente ha visitato Gerusalemme per vedere con i propri occhi il sacro candelabro", ha spiegato l'archeologa.


“Secondo un sondaggio condotto quest'estate in Israele dalla Milward Brown, il pubblico televisivo - scrive il Jerusalem Post - vuole vedere meno reality show e più sceneggiati (il 58% vuole più sitcom, il 57% preferirebbe show di intrattenimento e il 40% ama i documentari)”.


Google Insight è made in Israel... ma non c'è in ebraico

Speriamo che i ragazzi del team di Google in Israele abbiano un bel senso dell'umorismo. Già, perché con il duro sudore della loro fronte i programmatori israeliani hanno contribuito a creare l'ultimo prodotto del leader mondiale della ricerca su internet: Google Insight, ovvero lo strumento per “le ricerche all’interno delle ricerche”, che permette di scoprire i trend delle ricerche stesse. Di Google Insight si era già parlato qualche settimana fa in Italia, quando era stato reso disponibile in italiano. Già, perché sono almeno 38 le lingue in cui è possibile utilizzare il nuovo strumento... peccato però che tra queste non figuri l'ebraico. E pensare che recentemente i media israeliani hanno rivelato che una buona parte dello sviluppo software di Google Insight era avvenuta in un centro di ricerca e sviluppo israeliani. Anche tra gli algoritmi, a volte si trova un po' d'ironia. Anna Momigliano http://www.moked.it/

venerdì 11 settembre 2009


Anna MITGUTSCH LA CASA DELLA NOSTALGIA

Trad. Paola Buscaglione Candela, Ed. Giuntina, 2009, pp. 270
Una foto di famiglia scattata all’inizio degli anni ’20. Sui larghi gradini di casa, davanti alla porta d’ingresso, cinque adulti e tre bambini: tre generazioni. Un’immagine in bianco e nero in grado di trasformare “in un ulteriore luogo di esilio ogni nuova abitazione in cui si trasferivano”.Anna Mitgutsch, della quale abbiamo letto nel 2008 La voce del deserto, torna quest’anno, sempre nella collana “Diaspora” della Casa Editrice Giuntina, con La casa della nostalgia, uscito in Germania nel 2000.
La vicenda, come suggerisce il titolo originale tedesco Haus der Kinheit, ruota intorno ad una villa, adagiata su un vasto prato discendente ripido fino al fiume. Siamo in una pittoresca cittadina austriaca, della quale l’Autrice ci rivela solo la lettera iniziale -H.-, dove Hermann, un agiato commerciante ebreo, colà trasferitosi dalla nativa Boemia dopo la Prima Guerra Mondiale, fa costruire una bella casa per sé e per le due figlie, Sophie e Mira, con le rispettive famiglie.
Mira, la più brillante delle due sorelle, aveva interrotto gli studi di biologia per sposare Saul Berman, medico di origine polacca. Hanno tre figli: Victor, “pignolo e prepotente”; Benjamin, vivace e ricco di fantasia, ma che ben presto sviluppa una grave forma di schizofrenia; infine Max, il protagonista del romanzo, nato nel 1923.Grazie alla capacità del marito di intuire l’approssimarsi di tempi difficili, nel 1928 Mira emigra con lui e i figli negli USA. La famiglia si trasferisce a New York e, negli anni, cercherà invano di sottrarre al tragico destino degli Ebrei d’Europa Hermann, Sophie e Albert (marito di lei), rimasti a H. per non aver voluto abbandonare il Paese cui si sentivano tanto legati.La vita nel Nuovo Mondo è difficile per queste persone innamorate della vecchia Europa nella quale sono cresciute; soprattutto è la moglie a soffrire la lontananza da quella terra…al di là dell’Oceano. Tra i due coniugi sorgono dissapori, sfocianti in una dolorosa separazione. Saul incontra una nuova compagna e sviluppa sentimenti sionisti, ma, contrariamente a Victor, non compirà mai l’aliah. Benjamin (Ben) precipita sempre più nella sua schizofrenia.Max, educato -senza che ne se renda conto- dagli ambienti ricchi di contrasti, luci, ombre dove trascorre la seconda infanzia e l’adolescenza (le alte finestre con i piccoli balconi di ghisa…) al gusto dell’equilibrio e delle proporzioni, diventa da adulto un arredatore alla moda, molto ricercato.
E’ un uomo amante del bello, perennemente inquieto e alla ricerca di un ideale di perfezione. Fin da giovane incontra e frequenta molte donne, incantate dal suo fascino ironico: lo immagino con le sembianze di Marcello Mastroianni. Le sue preferenze vanno a creature complesse, enigmatiche, con una certa freddezza nel fondo dell’anima: la dura Eva, di origine viennese, che vuol diventare americana al 100%, Elizabeth, la pittrice che lo introduce nell’ambiente artistico….Quando di una egli ritiene di conoscere a fondo la personalità, tronca il rapporto; ovviamente è contrario al matrimonio poiché esso spegne, in qualche modo, “la magia”.
Le sofferenze di Mira per non aver potuto salvare i congiunti dalla morte, l’inguaribile nostalgia di lei per la casa di famiglia, fanno nascere in Max il desiderio di risarcire in qualche modo la madre, cui è molto affezionato, dei dolori patiti. Matura, nel tempo, il desiderio di riavere la casa immortalata in quella foto, ma gli impegni frenetici nel periodo della piena attività glielo impediscono. Giunto alla maturità, durante gli anni ’70, ritorna a H. Per la verità, vi si era recato, una prima volta, a fine conflitto, come militare dell’esercito USA, ma non era stato un incontro felice: estranei ostili occupavano le stanze che, tanti anni prima, avevano riecheggiato delle voci sue e dei congiunti. Per riprendere possesso della villa egli affronta pastoie burocratiche incredibili, trovandosi in situazioni spesso assurde, ma soprattutto deve intraprendere un difficile percorso di riconciliazione con un luogo, una Patria di origine, che aveva respinto lui e la sua famiglia; è impegnato cioè in un tentativo di “ripristinare una temporalità che si è spezzata”. Così afferma, in un’intervista di circa un anno fa, Anna Lissa a proposito delle tematiche, svolte dagli scrittori israeliani, sul rapporto tra esistenza diasporica e vita intrapresa nel nuovo Stato di Israele. Il motivo ritorna, con varianti di scarso rilievo, anche nel nostro contesto.La desiderata riconciliazione tuttavia non avviene poiché a H. la vita ebraica, dopo il periodo nazista, è stata rimossa e la piccola Comunità ivi ricostituita è per lo più composta da persone di passaggio o da anziani chiusi nei loro ricordi. L’ambiente esterno, poi, in un centro periferico (diverso, immagino, è il caso di una grande città), è un impasto di diffidenza e rimozione, su cui fa spesso capolino un mai scomparso antisemitismo.
Perfino la casa, la casa della nostalgia di Mira, ritornata dopo varie peripezie nella disponibilità di Max, è a lui estranea, nonostante gli sforzi profusi, nella ristrutturazione e nell’arredamento, per far rivivere l’epoca felice.Mentre percepisce l’inesorabile trascorrere del tempo -anzi, in parte per questo motivo- il protagonista si applica ad un altro impegnativo compito. Studia e poi scrive la tragica storia degli Ebrei vissuti in quei luoghi: una storia costellata di discriminazioni, torture, accuse infamanti (a cominciare dall’infanticidio, rituale o meno), stragi, confische di merci e proprietà, pur vivendo ebrei e gentili a poca distanza gli uni dagli altri. Una vita sempre all’insegna della provvisorietà, anche quando ciò non appariva ad un primo sguardo. “Vorrei”, spiega “scrivere la storia cancellata di H., quella su cui sorvola la storia ufficiale, tanto che quella mancanza non viene neppure notata”. Scrive perché le generazioni future sappiano che in quel luogo ci sono sempre stati Ebrei e che ciò non venga dimenticato. Nei suoi studi è aiutato da un giovane bibliotecario, non ebreo, Thomas, il quale ritiene molto importante che tale storia divenga patrimonio comune, complice il nascente interesse per gli Ebrei e l’Ebraismo, pur comprendendo la diffidenza verso il mondo esterno dei più anziani membri della Comunità.
Caro amico di Max diviene Arthur Spitzer, presidente di fatto della stessa Comunità. Egli si rivela un prezioso aiuto per Max in primo luogo perché esperto in problemi di Rueckstellungsverfahren, vale a dire i procedimenti giudiziari istituiti nel dopoguerra per la restituzione ai proprietari ebrei dei beni espropriati dai nazisti. Diversi studiosi si sono occupati di tali questioni e sono stati scritti volumi ricchi non solo di interessanti, pur complesse, problematiche giuridiche, ma anche di storie e vicende umane di alto profilo. Per quanto concerne le opere d'arte in senso stretto, a cominciare dai quadri, ricordiamo, tra tutti, un libro, uscito all'inizio di quest'anno in Germania, che è un vero e proprio viaggio attraverso il mondo del mecenatismo e collezionismo ebraico in Europa all'inizio del Novecento. Il testo, curato da Melissa Mueller e Monika Tatzkow, editore Elisabeth Sandmann, Muenchen, si intitola Verlorene Bilder-Verlorene Leben. Juedische Sammler und was aus ihren Kunstwerken wurde ("Quadri persi-Vite perdute. Collezionisti ebrei e cosa ne è stato dei loro capolavori"). Ne dà conto, in un ampio articolo, Andrea Affaticati su il Foglio Quotidiano dell'11 luglio scorso.
Pure illustri giuristi italiani hanno trattato queste tematiche, forse incoraggiati da esperienze vissute in prima persona. Ad esempio il Prof. Walter Bigiavi, il quale riuscì a beffare la "Belva nazista" grazie anche all'aiuto dei Colleghi dell'Università di Padova, ma i cui anziani genitori furono catturati e deportati ad Auschwitz per essere uccisi all'arrivo. Dell'indimenticato giuscommercialista dell'Ateneo bolognese rammentiamo: Confisca di depositi bancari intestati ad ebrei, in Giurisprudenza italiana, 1946, I, 1, disp. 8 e Annullamento di alienazioni immobiliari compiute da ebrei discriminati, in Giurisprudenza italiana, 1947, I, 2, disp. 8. Ma torniamo alla nostra storia. Arthur Spitzer è certo consapevole che il passato non potrà mai essere cancellato, ma resta ugualmente a H. come testimone della presenza ebraica, dopo la morte dell’amata moglie Flora e il trasferimento del fratello in Israele. Dolente figura di alto profilo morale, quest'uomo è il Custode dell’Eredità. Molto profonde le pagine in cui egli, poco prima di morire, racconta ad una giovane studentessa -interessata alle vicende degli espropri delle case di proprietà degli ebrei durante il nazismo- la vita della cittadina in quegli anni, in particolare durante il tremendo 1938. La ragazza, Margarethe, gli confessa subito con imbarazzo di provenire da una famiglia di nazisti e ciò dà un colore ancora più significativo all’episodio.
Max raccoglie in parte l’eredità di Spitzer, affinché, come si legge nella Torah, “La quarta generazione possieda la Terra”. Conosce Helene, figlia di lui e di una donna cattolica (sposata in seconde nozze); una ragazza di 18 anni che gli porta, racchiusa in una cartella, la documentazione, raccolta negli anni dallo stesso Arthur e dalla prima moglie, sulla propria famiglia, frutto di ricerche storiche e di viaggi nei luoghi della tragedia ebraica del XX secolo. Max ne trae spunto per avvicinare questa figlia alla memoria del padre, cercando in primo luogo di farle capire il dramma della “doppia vita” di lui, impegnato a risparmiare alla ragazza e a sua madre il dolore che egli aveva sofferto.
La rivincita sul passato, il riannodare i fili della memoria, è limitato a singoli episodi, come l’incontro con Helene, alla quale fa riscoprire il valore della figura paterna, ma non è possibile riempire il vuoto lasciato dall’assenza di coloro che si sono intesi dimenticare.Quando, in circostanze non chiare, muore Nadja, forse l’unica donna che egli, sia pure a suo modo, abbia amato, Max, rimasto solo dopo la scomparsa di queste due persone care, decide di rientrare per sempre a New York. Nadja era l’aspirante pittrice, divenuta su consiglio di lui, abile fotografa. E’una donna tormentata, impegnata nel recupero di un’identità ebraica che le era stata confiscata in tempi lontani: torna dunque a più riprese la tematica sviluppata in La voce del deserto.Ha deciso: a New York terminerà i suoi studi, in quella città, essa sì, percepita come sua, dove si chiama “Max” e non “signor Berman”, come a H.Il romanzo è avvincente, pur intriso di profonda malinconia; i personaggi sono seguiti con partecipazione a amore. Bellissimo ed evocativo l’alternarsi delle stagioni nella cittadina austriaca di provincia e nella metropoli americana. Impagabili le immagini di New York con la neve, come nelle nostre città non si vede più. Mara Marantonio, agosto 2009

giovedì 10 settembre 2009

sposa per le vie di Giaffa

Israele, l'abito da sposa è di carta igienica

Sembra uno stratagemma dettato dai tempi di crisi. E invece è una pubblicità. A Tel Aviv una casa produttrice di carta igienica ha scelto un modo decisamente originale di farsi conoscere, facendo sfilare modelle in abiti da sposa realizzati con le diverse varietà del suo prodotto. Nulla è lasciato al caso: a progettare gli insoliti vestiti, sette designer esperti che da un materiale "povero", solitamente relegato all'intimità della toilet, hanno dato vita a creazioni spettacolari. Da copiare per l'abito che si usa un giorno soltanto, sperando che non piova.

una scena del film

La guerra vista da un carro armato, al Lido in concorso 'Lebanon' di Samuel Maoz

Venezia 8 settembre- (Adnkronos/Cinematografo.it) - Il regista israeliano: ''Anime lacerate tra morale e istinto di sopravvivenza''. E spiega: ''L'ho girato solo ora perché dovevo prendere la giusta distanza dagli eventi''''Tutto è partito da un ricordo sensoriale: l'odore di carne bruciata. Dalla mia memoria soggettiva è nato questo film, che ha una struttura classica per far sentire i sentimenti dei personaggi al pubblico, perché si identifichi". Così il regista israeliano Samuel Maoz presenta il suo 'Lebanon', accolto favorevolmente dalla stampa in Concorso al Lido, che ritorna alla Prima Guerra del Libano del 1982, quando il 6 giugno alle 6.15 del mattino l'allora soldato 20enne Maoz uccise un uomo, per la prima volta nella sua vita. "Alcuni ricordi non li ho più, ma gli altri - prosegue il regista e sceneggiatore - mi sono serviti non per documentare degli eventi, ma per raccontare la storie interiore dei carristi, quattro anime ferite e sanguinanti".

spiaggia di Tel Aviv in festa

Sposi una non ebrea? Sei "perduto" In Israele divampa la polemica

Le tecniche di "recupero" di un'associazione irritano la diaspora Campagna sotto accusa
"Lost" , perduto. O scomparso. Una foto di tal Joel Fine nella classica posa e iconografia che segnala le persone segnalate innesca la polemica in Israele e fra la comunità ebraica della diaspora. Perché Fine non è scomparso e nemmeno «perduto»: perchè la famiglia e gli amici sanno perfettamente dove si trova. Ovvero lontano da Israele, e prossimo a sposarsi con una non ebrea. Quindi lost, perso, nell'interpretazione di Masa, un’organizzazione che collabora col governo israeliano e le agenzie ebraiche nel mondo.Il suo compito istituzionale è, di regola, portare la gioventù della diaspora in Israele per un periodo di sei mesi-un anno. Un soggiorno alla scoperta delle proprie radici. Stavolta, però, anche secondo il filogovernativo Jerusalem Post, Masa ha un po' esagerato nel ll'enfatizzare in questo modo i rischi dell’assimilazione. «Più del 50% dei giovani della diaspora vengono assimilati e sono persi per noi», dice una scritta in sovraimpressione che accompagna i volti dei ragazzi missing nello spot di presentazione. Il messaggio prosegue con un appello: «Conosci qualche giovane ebreo che vive all’estero? Chiamaci, insieme rafforzeremo il suo legame con Israele». L'organizzazione, infatti, non si limita a diffondere dati, ma incita anche amici e parenti a intervenire in modo attivo per riportare all'ovile la pecorella smarrita. Basta che un amico di Joel chieda un intervento e sarà qualche affiliato di Masa a farsi vivo con il ragazzo per invitarlo a un soggiorno nella terra dei padri. Da cosa nasce cosa e forse il Joel di turno si ravvederà.L'operazione durerà dieci giorni e ha già suscitato reazioni controverse nell’opinione pubblica israeliana, specie tra i diretti interessati, i ragazzi. Anche la stampa ha presentato l’iniziativa in modo problematico a aprtamente critico. Anche il moderatissimo quotidiano Jerusalem Post parla di una «campagna controproducente»: nessuno, si legge in un commento affidato a Shmuel Rosner, può «vincere i cuori» dei giovani ebrei «con una pubblicità che implica che il matrimonio interreligioso sia una forma di genocidio». Da parte loro, i responsabili del progetto sostengono che «con un tasso di crescita dello 0.5 e una percentuale di assimilazione pari all’80% in Paesi come le repubbliche ex sovietiche, le comunità ebraiche (della diaspora) sono vicine al punto di non ritorno». «Con questa campagna - si giustificano - abbiamo cercato di riportare l’argomento all’interno dell’agenda pubblica come questione di grande importanza». http://www.jpost.com/servlet/Satellite?cid=1251804513212&pagename=JPost%2FJPArticle%2FShowFull


Venezia cinema - Paradiso perduto

E’ giunto ormai alla sua decima edizione Circuito off, il Venice International Short Film Festival, in programma sull’Isola di San Servolo, manifestazione che si svolge a latere della sessantaseiesima mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia.Un iniziativa per promuovere i talenti emergenti grazie a una serie di concorsi, con i corti internazionali, il Made in Italy, il Short in Web e Veneto in Short, quest’anno. Fondamentale l’attenzione che la rassegna offre al mercato dei corti, che nel 2009 con Venice Off Trade – International Short Film Market, un evento nato dalla collaborazione tra il quarto mercato del cortometraggio di Circuito Off e terzo Digital Expo, prevede meeting con i buyer e distributori italiani ed europei e numerose conferenze.Quest’anno in preselezione sono arrivati 2860 cortometraggi provenienti da 101 nazioni, di questi 66 israeliani, un grande successo per il festival e per il cinema indipendente Israeliano. Tra i 37 cortometraggi selezionati per concorrere al Gran Premio Volvo assegnato dalla giuria internazionale, abbiamo Lost Paradise di Mihal Brezis e Oded Binun, due giovani registi diplomatisi entrambi al Sam Spiegel Film Institute di Gerusalemme. Nel cortometraggio un uomo e una donna fanno teneramente l’amore in una stanza d’albergo a una stella. Pochi attimi dopo, l’idillio che pareva autentico è sparito. L’uomo indossa nuovamente il Tallit katan, la kippà e i suoi abiti da ebreo ortodosso, mentre la donna copre le sue nudità con il chador, il velo tradizionale islamico. È giunto il momento di tornare alla vita di tutti i giorni, di riprendere separatamente la propria strada e abbandonare quel piccolo paradiso perduto, luogo etereo di passione impossibile, luogo dove poter abbandonare totalmente le proprie inibizioni, i propri ruoli sociali e religiosi per essere semplicemente due novelli Adamo ed Eva. Un uomo, una donna e il loro sogno d’amore.Michael Calimani, http://www.moked.it/8 settembre 2009

Lorenzo D’Avack

Il valore della vita fra etica e bioetica, dibattito ad Andria

La vita è un valore assoluto? Questo l'interrogativo cui hanno cercato di rispondere gli studiosi intervenuti alla conferenza che si è svolta alla Società per l'Arte, uno spazio espositivo abitualmente dedicato all'arte contemporanea, che si trova nel cuore del borgo antico della città di Andria.Fra i relatori intervenuti, Lorenzo D’Avack, giurista e vice presidente del Comitato Nazionale per la Bioetica, Gianfranco Di Segni, rabbino, insegnante del Collegio Rabbinico Italiano e biologo, e Piergiorgio Donatelli, filosofo, professore di Bioetica presso l’Università La Sapienza di Roma. A moderare il dibattito il giornalista Guido Vitale, coordinatore dei dipartimenti Cultura e informazione dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Lorenzo D’Avack ha cercato di far luce sul significato della bioetica: la bioetica sorge come garanzia e rivendicazione dei diritti dell’uomo laddove la Scienza incarna una forma di potere. Secondo D'Avack infatti, le biotecnologie e l’avanzamento scientifico degli ultimi decenni hanno allargato e offerto nuove e numerose possibilità che necessitano però una regolamentazione etica e giuridica. Sulla stessa linea si pone Piergiorgio Donatelli, che da laico fa notare quanto, ad esempio, il prolungamento della vita in stati profondamente deficitari, ha posto l’uomo di fronte al problema della responsabilità di nuove scelte, che segnano quei momenti fondamentali della vita umana come la nascita e la morte. "L’intreccio tra scienza ed etica - spiega rav Gianfranco Di Segni leggendo una pagina di Shabbetai Donnolo, nato proprio in Puglia, a Oria, mille anni fa - è sempre stato uno dei fili rossi che ha caratterizzato la tradizione ebraica, la quale ha cercato di non sottrarsi mai alla domanda del 'cosa fare?' alla luce delle scoperte scientifiche in corso".Secondo Di Segni il fatto che in Israele siano proprio gli ultraortodossi ad aver promosso la fecondazione medicalmente assistita in questi anni, permettendo così di adempiere al precetto biblico della procreazione, è un esempio. Ma non solo: la precedente definizione di morte biologica come arresto cardiaco ha lasciato il posto, per molti rabbini, a quella, più moderna, di arresto cerebrale, dando così la possibilità di salvare altre vite attraverso la donazione di organi che andrebbero prelevati a cuore battente. In questo senso l’ebraismo, sembra avere un portato culturale tale da costituire un valido interlocutore per le problematiche che pone l’etica contemporanea, sia religiosa che laica, come suggerisce il folosofo Donatelli: l’ebraismo apre la possibilità di parlare di questi temi come fossero dei processi piuttosto che dati assoluti, permettendo così la costruzione di un’etica pluralista. In questo senso, infatti, il concetto di sacralità acquista un valore situazionale piuttosto che aprioristico e il Potere, pur sempre necessario, viene addolcito dalle ragioni. "La vita allora è veramente un valore che, come dice il rav Di Segni, non è assoluto".Nel trarre le conclusioni della serata Lorenzo D'Avack, sostiene che un’etica pluralista deve essere il fine di una giurisdizione contemporanea: promulgare leggi a riguardo significa mediare tra etiche differenti, renderle possibili senza che esse si impongano l’una sull’altra, perché l’esistenza di una legge identifica non solo dei valori, ma soprattutto dà la possibilità di rendere più serene e possibili le scelte degli individui. Questo, nella realtà italiana è molto difficile. L'Italia, nell'opinione del giurista D'Avack, rimane un paese arretrato: a testimoniarlo è la lentezza con cui vengono promulgate leggi, come la legge 40 sulla fecondazione assistita, il mutismo diffuso che vige nel nostro paese ci allontana da questo processo civile. Ilana Bahbout http://www.moked.it/8 settembre 2009

Conseguenze tardive

Di Grete Weil a cura di Camilla Brunelli, Ed. Giuntina Euro 12
Scrittrice ebrea nata a Monaco nel 1906, Grete Weil è costretta all’esilio in Olanda a causa della persecuzione razziale. Sfuggita solo fisicamente alla Shoah mentre il marito Edgar Weil fu deportato e ucciso a Mauthausen, la Weil torna a vivere in Germania al termine della guerra nel 1947. A lungo ignorata dalla critica ancor più che dal pubblico, la scrittrice ebrea pone al centro della sua produzione letteraria la rappresentazione della Shoah e dei suoi effetti sull’identità personale e sulla società tedesca, rifiutando una semplicistica rielaborazione del passato.
Grete Weil che considera se stessa unicamente “testimone del dolore” in quanto non ha condiviso le sofferenze del marito ucciso nel campo di sterminio, affronta e tratta direttamente nella sua opera il “morbo Auschwitz” bel lungi dal “definirsi solamente influenzata da esso”.Tema centrale della sua narrativa è la deportazione e lo sterminio degli ebrei oltre alla condizione di vittime e alle “conseguenze tardive” di quel morbo: vale a dire quelle devastanti che albergano nell’animo dei sopravvissuti all’Olocausto nazista. Sotto la superficie della vita quotidiana il passato è avvolto da un sottile velo di nebbia e il ricordo delle sofferenze, delle persecuzioni, dell’angoscia e dell’ingiustizia subita non svanisce con il passare degli anni. Anzi per i sopravvissuti alla Shoah sembra accada proprio il contrario. Quella che l’autrice ci restituisce è un’umanità che, pur essendo scampata all’orrore del lager, non è riuscita a salvare l’anima.Pubblicato nel 1992 con il titolo Spatfolgen e ora nella nuova collana Diaspora della casa editrice Giuntina, Conseguenze tardive è una raccolta di cinque racconti che si chiude con un testo di riflessione di particolare interesse in quanto costituisce il testamento letterario di Grete Weil.In questo libro, i cui protagonisti cercano di rimuovere dalla memoria ogni ricordo del dramma vissuto, l’autrice si confronta con gli effetti a lungo termine del “morbo di Auschwitz” raccontando storie e vicende, ambientate in Europa e negli Stati Uniti, di superstiti della Shoah che, a vario titolo, dovettero affrontarne le conseguenze come “una ferita che non si sana più”.
Nei racconti “Guernica” e “La casa del deserto” l’autrice con una prosa controllata ma efficace costringe i protagonisti, ebrei americani, a guardare in faccia la realtà svelando memorie sepolte o facendo emergere il rimpianto e il senso di sradicamento dell’esule.Nel racconto “Don’t touch me” attraverso il racconto di Esther, superstite del lager, e della cugina Rosa che vive a Monaco a suo tempo salvatasi in clandestinità, l’autrice ripercorre il proprio destino potenziale e riflette sulla difficoltà di integrazione in Germania per gli ebrei sopravvissuti all’Olocausto.“La cosa più bella del mondo” è il racconto più breve della raccolta e forse il più struggente. Il dolore per la perdita della sua famiglia trucidata ad Auschwitz hanno lasciato in Ben, pilota dell’aviazione britannica, una cicatrice indelebile che ha condizionato tutta la sua vita. Scampato alla deportazione, Ben è colpito dagli effetti devastanti del trauma causato dalla perdita dei propri cari e non riuscendo a ricostruirsi una vita preferisce darsi la morte con un colpo di pistola.Autrice di romanzi di impronta autobiografica come “Mia sorella Antigone” (1980) e “Il prezzo della sposa” (1988), Grete Weil non ha mai percepito il vincolo religioso ebraico eppure “essere ebrei per la Weil e per Jean Améry significa soprattutto portare in sé la memoria di quella catastrofe avvenuta ieri”.“Conseguenze tardive” è un tassello prezioso nell’ambito della letteratura tedesca: un libro da leggere per non dimenticare e nella speranza che tutto questo non sia successo invano. Giorgia Greco

Eilat

Ecco cosa propone fra il resto il Festival Letteratura a Mantova per sabato 12 alle ore 15, al Seminario Vescovile. Incontro numero 146.Sbaglio o c'è qualcosa che stride.......
mariapia b.

ore 15:00, Seminario Vescovile, € 4,00, Ariella Azoulay e Maria Nadotti
PALESTINA ISRAELE 1967 - 2007: FOTOGRAFIE
Nell’era della comunicazione multimediale e in un mondo sovraccarico di immagini, in che modo approssimarsi allo spazio fisico degli accadimenti e immortalare la realtà nel suo farsi può favorire la genesi di un archivio condiviso, la costruzione di una storia per immagini? In Atto di Stato, Ariella Azoulay - docente di arti visive e di filosofia contemporanea - ha raccolto una mole impressionante di documenti fotografici relativi all’occupazione israeliana, ribadendo la rilevanza dell’intreccio tra fotografia e storiografia. Per sfuggire alla spettacolarizzazione della violenza e per sottolineare l’importanza di uno sguardo analitico sugli eventi, la studiosa dialoga con Maria Nadotti, giornalista e saggista da tempo impegnata nella diffusione di opere inerenti al conflitto israeliano-palestinese.

martedì 8 settembre 2009

Sir Nicholas Winton

Ancora su Nicholas Winton

3 settembre 1939 La Fuga degli Angeli

C'è guerra in Polonia. I nazisti hanno violato i confini invadendo il territorio polacco. La Gran Bretagna e la Francia rispondono a questa mossa tremenda dichiarando a loro volta guerra alla Germania... E' in questo scenario di dramma che sta per iniziare e che noi sappiamo durerà lunghissimi anni che viene sospeso quel bellissimo progetto che era iniziato qualche mese prima e che non molti conoscono.Per ricordarlo oggi si spalanca la portadellamemoria!E' la fine del 1938, mentre in Italia vengono promulgate Le Leggi Razziali che discriminano la popolazione di religione ebraica, normativa fatta sulla falsariga delle Leggi di Norimberga del 1935... mentre dunque l'Italia si macchia di un crimine contro l'Umanità: i bambini e i ragazzi ebrei verranno espulsi dalle scuole pubbliche, gli adulti ebrei non possono più eserrcitare le professioni di insegnante, di medico... gli ebrei non possono più andare in vacanza, non possono più andare in tram, non possono più avere una bicicletta, non possono più sedersi sulle banchine nei giardini pubblici, non possono più andare in piscina, ... non potranno più respirare perchè li asfiessieranno quasi tutti di lì a poco nelle camere a gas...Mentre quindi in Italia si pensa di discriminare gli ebrei che erano italiani a tutti gli effetti, in Gran Bretagna la Camera dei Comuni il 21 novembre 1938, (pochi giorni dopo il pogrom della Notte dei Cristalli, era il 9 novembre), approva una misura che permette di accogliere i minori di diciassette anni purchè ci sia chi li alloggerà e pagherà per ognuno cinquanta sterline!Questo ha mosso la sensibilità di un giovane inglese, non ancora trentenne di Maidenhead, Berkshire! Il suo nome è Nicholas Winton, è impiegato alla Borsa Valori e sta preparando le sue vacanze natalizie sulle Alpi Svizzere quando un amico gli telefona...La Cecoslovacchia nel 1938 è già in parte occupata dai nazisti, ed è da Praga che arriva la richiesta di aiuto. Nicholas Winton abbandona l'idea della vacanza sugli sci e parte per Praga, si mette in contatto con il Refugee Children's Movement di Londra e organizza il salvataggio di bambini!Da Praga per Londra partiranno nel giro di alcuni mesi otto treni carichi di bambini. Sono i Kindertransporte.669 bambini verranno salvati. Devono la loro vita a Nicholas Winton. I loro genitori moriranno tutti per mano dei carnefici nazisti..... ma il 3 settembre c'è un ultimo treno pronto alla stazione di Praga, e alla Liverpool Street Station di Londra ci sono famiglie che aspettano... tutto è pronto, il prezzo è stato pagato!Ma il 3 settembre è entrata in guerra anche la Gran Bretagna e a quel treno i nazisti non permetteranno di partire e i 250 bambini dell'ultimo Kindertransport non lascerà mai la stazione di Praga. ...Nicholas Winton ha compiuto 100 anni il 19 maggio di quest'anno. I "suoi bambini" lo ricordano sempre e lo festeggiano e ieri alcuni hanno partecipato al viaggio Praga-Londra che un treno speciale ha compiuto in memoria della Fuga degli Angeli!Ad aspettare il treno alla Liverpool Street Station era presente Nicholas Winton!

lunedì 7 settembre 2009

Josh BAZELL VEDI DI NON MORIRE

Trad. Luca Conti, Einaudi Stile libero BIG, 2009, pp. 322
“E’ una ben strana maledizione…Siamo fatti per il pensiero e la civiltà…Eppure il nostro unico desiderio è diventare dei killer”.
Estate, tempo di letture: l’occasione per approfondire complesse tematiche storiche o per riprendere con calma un romanzo di formazione che aveva lasciato dietro di sé una scia di problemi irrisolti ed interrogativi aperti.A volte però capita di abbandonare, sia pure per poco, il familiare terreno della letteratura, diciamo così classica, per approdare a generi, solo in apparenza, lontani, complice magari un articolo particolarmente evocativo, apparso su un quotidiano.E così mi sono trovata tra le mani questo thriller assai originale, del quale, va da sé, non rivelerò la trama (né men che mai il finale), ma del quale mi limiterò a fornire alcuni dati essenziali sull’Autore e il Protagonista.Josh Bazell, americano di circa quarant’anni, è laureato in letteratura inglese e scrittura, nonché in medicina. Vive a S. Francisco, ove sta conseguendo la specializzazione in psichiatria.
Il Protagonista, giovane anch’egli, si chiama Pietro Brnwa, alias Peter Brown, anch’egli medico, ma altresì ex killer, sia pure -anche- per spirito di amicizia, della mafia, ricercato con ogni mezzo dai vecchi compari perché entrato in un programma di protezione governativo. E’ ebreo, come Bazell. E questo è un dato non secondario, sia perché attorno ad una vicenda tragica, svoltasi molti anni addietro, ruota tanta parte della sua storia, sia perché è proprio il “personaggio Pietro” che fa riflettere, sia pure in modo indiretto, come afferma l’Autore in una recente intervista, su diversi temi legati all’Ebraismo. Questo, per cominciare: per decenni il mondo è stato così condizionato dall’orrore della Shoah da essere indotto a mitigare, o almeno occultare, il proprio antisemitismo. Ecco allora affermarsi il modello dell’Ebreo visto come vittima, il timido intellettuale occhialuto (preferibilmente apolide, almeno nello spirito), pronto a chiedere scusa di esistere; uno stereotipo ben presto adottato dai “gentili” (spesso alle prese con sentimenti di colpa) e pure da numerosi intellettuali ebrei politicamente corretti. Ora però, come osserva Bazell, quest’epoca d’oro è terminata ed è tornata la voglia di dire agli Ebrei come debbono comportarsi. In primo luogo ciò è riscontrabile in quell’attenzione, da lui definita, “psicotica” ai crimini -veri o inventati- commessi dallo Stato di Israele, il quale, pur con tutti gli errori compiuti nei suoi sessant’anni di vita, dovrebbe passare il tempo a scusarsi davanti al mondo intero per non esser stato ancora distrutto, nonostante l’impegno profuso da chi lo odia prima ancora che vedesse la luce. “Ecco perché” prosegue “il mio protagonista che dà mazzate senza paura, rappresenta un nuovo tipo di ebreo capace di difendersi: perché Woody Allen è il passato, l’uso della forza è necessario”.
Teatro delle imprese di Pietro è un lurido, ma non poi così improbabile, ospedale newyorkese, il Manhattan Catholic, dove egli incontra i personaggi più disparati, ai quali appioppa azzeccati soprannomi, come, ad esempio: “Dolori di Chiappe” o “Miss Oseosarcoma”…anzi, proprio in merito a quest’ultima, una giovane donna, scopre, per fortuna, che il tumore alle ossa non esiste; e, guarda guarda, giusto pochi minuti prima che alla stessa sia amputata una gamba sana.
E’ tra le pareti dell’ospedale che la “grande Mietitrice” attende il nostro medico: sotto le vesti di un paziente moribondo, un suo vecchio conoscente degli anni di mafia. Se questi muore, il passato del protagonista tornerà alla luce e ciò non può accadere.Ricco di suspence, di situazioni inverosimili, spassosissimo -ma con immagini e racconti che fanno riflettere- scritto con linguaggio coloritissimo e svelto, impreziosito da note a pié di pagina, nelle quali si mescolano informazioni di carattere medico/legale e spunti sempre interessanti-, questo primo romanzo di Bazell, scritto durante la pratica in ospedale, ha conquistato il pubblico e la critica americani. Ne sono derivati, da sé, un sito web -www.beatthereaper.com, ben consegnato- ed una serie di video su YouTube, che vede lo scrittore alle prese con consigli professionali tra il serio e il faceto.E presto la vicenda diverrà un film con Leonardo Di Caprio, interprete ideale per dar corpo e anima all’impagabile carogna dal cuore d’oro.Buona fortuna, Orso!(Mara Marantonio, Agosto 2009)

Gerusalemme

Segnalo a chi è interessato il n. 9 (Settembre) della Rivista Qui Touring:
un servizio su Gerusalemme e Gesù con protagonista il Prof. Dan Bahat, che tutti conosciamo e stimiamo; vi sono fotografie significative e una bella immagine in copertina dell'illustre archeologo.
Mara (Marantonio)