sabato 25 aprile 2009

Rutu Modan

Fumetto - Rutu Modan, le origini di un genio

Il passato è passato è un'antologia di short stories disegnate da Rutu Modan dal 1996 al 2003, pubblicata dalla Coconino Press di Bologna. Raccoglie sei storie pubblicate sotto l’etichetta Actus Tragicus, e una Jamilti con l’editore statunitense Drawn & Quaterly. Queste storie rivelano il percorso creativo della Modan quasi dagli esordi fino alla maturazione che possiamo far coincidere con Exit wounds. Sfortunatamente l’edizione italiana non riporta la data di pubblicazione delle storie, tanto meno i titolo originali, riducendo di molto il valore della pubblicazione. Questo percorso comunque svela una autrice magicamente poliedrica nello stile e nella composizione della narrazione. Le storie che possiamo leggere raccontano la vita in Israele delle gente comune, o meglio potremmo dire la vita comune, quindi non storie di guerra, di avventura o di spionaggio. Un società sottoposta a sessantuno anni di guerra non cerca nella fiction l’espressione delle proprie dinamiche, probabilmente anche perché il senso del futuro è una sensazione, una emozione che gli israeliani hanno messo da parte quasi per scaramanzia, come ci racconta Anna Momigliano nel suo libro Karma Kosher. Così le storie di Rutu Modan ci svelano le vicende di una assassina/serial killer, di una famiglia in attesa del figlio disperso in Libano, parliamo ovviamente della Prima Guerra Mondiale, oppure di un rocker che cerca il successo fuori da Israele. Ma anche storie di amore familiare e ossessioni amorose di amanti. Certo è ricorrente il riferimento a una società in guerra, ma la guerra che pensiamo noi, a cui siamo abituati a pensare dopo 60 anni di pace europea, è quella di soldati, carri armati, eserciti che si scontrano; mentre la guerra che colpisce Israele è quella psicologica degli attentati, dei missili da Gaza o dal sud del Libano. In Jamilti (del 2002) un’infermiera accorre nel luogo di una bomba e soccorre un ragazzo palestinese, per poi scoprire che era un terrorista. Mentre in Ritorno a casa (The home coming, del 1999) una ragazza non si risposa convinta che suo marito, pilota di aerei militari, non sia morto in Libano, ma che presto ritornerà. Convinzione rinforzata dai suoceri che vivono in attesa del miracoloso ritorno. La storia L’assassino delle mutande (The panty killer, del 2001) è un curiosissimo giallo ambientato a Tel Aviv, come mai potremmo immaginare. Ci sono ingredienti che vanno dal mistery all’investigativo con un tocco di dolcezza. Il tutto presentato con uno stile quasi surreale, dalle linee distorte, completamente incentrato sugli occhi e il viso dei personaggi. Tant’è che il tema è quello della vergogna che si palesa con il rosso del viso. In Blocco di energia (Energy Blockage, del 2004) e Il passato è passato (Bygone, del 1999) l’attenzione si pone sui legami familiari, padri che abbandonano moglie e figli, madri che si sacrificano oltre l’immaginabile per far crescere le figlie, ma anche le stesse figlie che poi prendono per mano i propri genitori. Un circolo di dolcezza al femminile, dove l’uomo non ha un ruolo positivo. Così come in Exit wounds. Infine King of the Lillies (del 1998) è una storia quasi mitteleuropea incentrata sull'amore ossessivo di un chirurgo plastico per una giovane donna, un amore talmente esclusivo da portarlo a modificare le pazienti secondo le caratteristiche fisiche della amata Lilly, scomparsa da anni. Quando il chirurgo riuscirà a ritrovare la donna, sarà modificata anche lei sulla base di un amore ormai talmente idealizzato, divinizzato, da non essere più amore. Rutu Modan spiega sulla tavola da disegno una capacità artistica, una varietà di stili e linguaggi che eccitano l’occhio e obbligano il lettore a una grande attenzione visiva. E anche emozionale. La lezione dell’underground statunitense, come Charles Burns, o anche europeo, se non italiano con interessanti similitudini con lo stile dei Valvoline, gruppo di artisti italiano degli anni Ottanta, segnala una particolare attenzione per la ricerca grafica e stilistica. L’ispirazione sembra proprio, come fu dei movimenti fumettistici dei decenni precedenti, venire dal design pubblicitario con scelte grafiche di volta in volta modificate e adattate al contenuto. Questa è comunque la firma stilistica degli Actus Tragicus, il gruppo di artisti israeliani di cui fa parte Rutu Modan. Questa antologia è un piccolo tesoro artistico e narrativo, che sottintende una grande maturità creativa e spiega anche il percorso evolutivo che ha portato a Exit wounds. Andrea Grilli http://www.moked.it/

Khaled Abdul Wahab

Khaled Abdul Wahab

arabo tunisino che salvò degli ebrei durante la Shoah
Testimonianza tratta dal libro di Robert Satloff Tra i Giusti. Storie perdute dell'Olocausto nei Paesi arabi, Marsilio, Venezia, 2008.Dopo la conquista hitleriana della Francia, gli ebrei delle colonie come Marocco e Algeria subirono le conseguenze delle leggi antisemite imposte da Vichy, ma le loro vite non furono messe a rischio. Invece in Tunisia, che le truppe tedesche e il loro alleato italiano occuparono nel novembre 1942, passarono subito le “leggi razziali” che imponevano agli ebrei di portare la stella gialla e disponevano la confisca dei loro beni. Prima che le truppe britanniche liberassero la Tunisia sei mesi più tardi, i nazisti inviarono 5.000 ebrei nei campi di lavoro forzato, dove almeno 46 di essi morirono, secondo Yad Vashem. Circa 160 ebrei tunisini furono deportati nei campi di sterminio in Europa. La persecuzione nazista colpì immediatamente Jakob Boukris, un ricco produttore di elettrodomestici, sua moglie, Odette, e la loro figlia di 11 anni, Anny. Le truppe tedesche concessero loro una sola ora di tempo per evacuare la spaziosa casa nella città costiera di Mahdia, che trasformarono in una baracca svaligiandola di tutti i beni di valore. La famiglia e due dozzine di ebrei trovarono rifugio in una produzione d'olio vicina, ma alcuni giorni più tardi un altro visitatore apparve all'improvviso a mezzanotte. Si trattava di Khaled Abdul Wahab, un uomo particolarmente affascinante di 32 anni, figlio dello storico più eminente della Tunisia, che li avvisò di andarsene immediatamente. Il giovane faceva da tramite fra la popolazione locale e gli occupanti nazisti e usava questa posizione per ingraziarsi i tedeschi, con la stessa tattica di Oskar Schindler in Polonia, offrendo spesso ai funzionari nazisti pranzi e interminabili bevute. I tedeschi avevano organizzato un giro di prostitute con un certo numero di donne locali, e anche ragazze tedesche. Una sera, un ufficiale ubriaco si era lasciato scappare di avere scovato una donna ebrea particolarmente bella e di volerla violentare la notte successiva. La vittima designata, come Abdul Wahab aveva capito subito, era Odette Boukris. Fra la mezzanotte e la mattina, Abdul Wahab portò la famiglia Boukris e gli altri ebrei nel frantoio della sua fattoria isolata, li nascose e nutrì il grande gruppo fino a quando i tedeschi furono cacciati dai britannici quattro mesi più tardi. E' morto nel 1997 a 86 anni. La sua famiglia ufficialmente ricordava solo il salvataggio da lui effettuato di un giovane soldato tedesco abbattuto con l'aereo dai britannici.Khaled Abdul Wahab è stato il primo arabo presentato a Yad Vashem per l'assegnazione dell'onorificenza di Giusto fra le Nazioni, dopo la ricerca di Satloff pubblicata nel libro Tra i Giusti. Nel 2009 gli è stato dedicato un albero sia nel "Adas Israel Garden of the Righteous" di Washington sia nel "Giardino dei Giusti di tutto il mondo" a Milano, con una cerimonia alla presenza della figlia Faiza. http://www.gariwo.net/

venerdì 24 aprile 2009

Safed

Israele e Palestina uniti nella corsa

La "maratona" Csi Giovanni Paolo II si svolgerà nel percorso tra Betlemme e Gerusalemme
BETLEMMECiò che non sarà possibile vedere ai prossimi Giochi del Mediterraneo a Pescara, ovvero atleti israeliani contro palestinesi, si avvererà oggi in Terra Santa. Tra Betlemme e Gerusalemme si correrà infatti la "maratona Giovanni Paolo II", lunga in realtà appena dieci chilometri, sulla strada compresa tra Betlemme a Gerusalemme attraverso il check point, e quindi il muro, che separa due popoli che per una volta gareggeranno insieme. È quindi un momento altamente significativo, testimonianza che a volte soltanto lo sport riesce ad unire ed è strumento di coesione, frutto questo del lavoro del Centro Sportivo Italiano riuscito ancora una volta a mettere d’accordo rappresentanti dei due governi e quindi ad organizzare la manifestazione, a cui quindi prenderanno parte anche corridori italiani. Per sottolineare il valore altamente sociale, è stato deciso che non sarà una gara agonistica vera e propria, e quindi italiani, israeliani e palestinesi si affronteranno senza che poi venga stilata una classifica. Si correrà quindi tutti in gruppo, senza che siano in lizza specialisti di spicco, e alla fine l’unico vincitore sarà la pace fra i popoli di cui questa corsa del Csi si è fatta promotrice. Questi dieci chilometri di festa saranno anche la prima tappa dell’evento "Correre sulle orme di San Paolo", staffetta di podisti e ciclisti che ripercorreranno, per celebrare l’Anno Paolino, il viaggio dell’Apostolo per andare dalla Terra Santa a Roma: l’arrivo finale è previsto in piazza San Pietro il 27 maggio, quando la fiaccola verrà consegnata nella mani di Papa Benedetto XVI, alla cui imminente visita in Israele la corsa di oggi fa quasi da prologo. Ma come mai il Csi è riuscito là dove molti altri hanno fallito? «Con un lungo lavoro diplomatico lento ma costante - risponde Edio Costantini, ex presidente del Csi e ora alla guida della Fondazione per lo Sport Giovanni Paolo II -. Quest’anno ci sono stati tentativi di strumentalizzazione politica, e la manifestazione ha rischiato di saltare, poi ha prevalso la nostra forza di coesione e la spirito delle persone di buona volontà». L’attuale presidente del Csi, Massimo Achini, spiega che «la nostra proposta in Terra Santa è la prosecuzione di un sogno: credere che anche lo sport abbia il dovere e la possibilità di creare distensione e dialogo, premesse necessarie per mettere fine ai conflitti. Ora la sfida sarà di allargare gli orizzonti e di portare questa corsa in altre zone di tensione a livello mondiale». Ed è proprio questo spirito che ha portato in Terra Santa, fra i partecipanti italiani alla corsa di domani, anche il vicepresidente della Figc Demetrio Albertini: «Sono legato al Csi, perchè ho cominciato a giocare all’oratorio e ho un fratello sacerdote - spiega -. Quella di domani è la vittoria dello sport sulla politica, dei valori veri contro i giochi di potere. Per me sarà una bella emozione».

Un paese non basta

di Arrigo Levi (Il Mulino, 2009) Ne parlano insieme all’autore Lucio Pardo, Romano Prodi e Ezio Raimondi. Modera Ugo Berti Arnoaldi A coronamento di una carriera intensa e fortunata, Arrigo Levi si è accinto a scrivere il suo "come diventai giornalista" ma, si sa, la memoria ci porta dove vuole lei: così è nato questo limpido e sereno reincontro con le proprie origini, un racconto intessuto di riflessioni e ricordi, che rievoca il mondo felice della giovinezza, trascorsa in un'agiata famiglia della borghesia ebraica modenese, e poi le peripezie subite a causa dell'andata al potere del fascismo e delle leggi razziali, l'emigrazione in Argentina, il ritorno in patria, la partecipazione da soldato alla nascita di Israele, il decennio nell'Inghilterra di Churchill e di Giorgio VI, l'ingresso definitivo nel giornalismo. Ritessendo la tela della propria formazione, itinerante di paese in paese, Levi riflette anche sulla fede, sui totalitarismi, sulla tragedia della Shoah, e in pagine di lucida e spesso sorridente saggezza consegna al lettore una penetrante lezione sul Novecento. ARRIGO LEVI, saggista e giornalista, e di recente consigliere dei presidenti Ciampi e Napolitano. Tra i numerosi libri pubblicati con il Mulino segnaliamo: "Rapporto sul Medio Oriente" (1998), "Dialoghi sulla fede" (con V. Paglia e A. Riccardi, 2000), "America Latina: memorie e ritorni" (2004) e "Cinque discorsi fra due secoli" (2004).(http://www.mulino.it
Quando: 28 aprile 2009ore 17,30
Dove:Sala dello Stabat Mater - ArchiginnasioPiazza Galvani 1 - 40124 Bologna

giovedì 23 aprile 2009

Paesaggio con bambina


di Aharon Appelfeld Traduzione di Elena Loewenthal Guanda ed. Euro 14,00
“…..senza i valori che le generazioni precedenti trasmettono, si è solo un corpo vivo ma senza un’anima. Scrivere non è un incantesimo magico, ma un varco verso il mondo che è nascosto dentro di noi. La parola scritta ha il potere di accendere l’immaginazione e di illuminare il tuo io interiore”Le parole di Aharon Appelfeld, scrittore israeliano nato in Bucovina nel 1932, raffinato interprete dello sterminio nazista, racchiudono l’essenza più profonda della sua narrativa.
Di famiglia ebraica, Appelfeld è deportato in un campo di concentramento insieme al padre, dopo la morte della madre per mano dei nazisti. All’età di otto anni fugge dal campo e trascorre i successivi tre anni nascondendosi nei boschi. Nel 1944 viene raccolto dall’Armata Rossa e presta servizio nelle cucine da campo in Ucraina per poi raggiungere l’Italia. E’ solo nel 1946 che, grazie a un movimento di emigrazione giovanile che cercava di recuperare gli orfani e portarli nella Terra promessa, approda in Palestina.Conosciuto in Italia per la struggente autobiografia “Storia di una vita” pubblicata dalla casa editrice Giuntina e ora anche da Guanda e per il romanzo Badenheim 1939 (Guanda) nel quale descrive con grande maestria i piccoli mutamenti che avvengono a partire dalla primavera del ’39 in una località di villeggiatura dell’Austria nazista dove alcune famiglie di ebrei trascorrono alcuni giorni di villeggiatura ignare dell’orrore di cui a breve sarebbero state testimoni, Aharon Appelfeld torna al pubblico italiano con un nuovo racconto autobiografico.Paesaggio con bambina narra la storia di Tsili Kraus, ultimogenita di una famiglia di commercianti ebrei dell’est che sfugge allo sterminio, dopo essere stata abbandonata dalla famiglia, “a badare alla casa”, nascondendosi nei boschi e lavorando duramente in cambio di cibo e riparo: un percorso che ricorda da vicino le drammatiche esperienze vissute dallo scrittore durante il secondo conflitto mondiale.Tsili è una bambina ingenua, un po’ ritardata che fatica ad applicarsi nello studio diversamente dai suoi numerosi fratelli, ma dopo la fuga dei suoi familiari questa ingenuità e purezza costituisce una vera arma di difesa contro i soprusi e le cattiverie del mondo che la circonda. Spacciandosi per “figlia di Maria” una prostituta del villaggio, Tsili incontra Caterina un’amica di Maria che ritiene che gli “amanti ebrei valgano più dell’oro zecchino” e siano gentili, dolci e generosi, poi offre il suo lavoro a una coppia di anziani ricevendo in cambio un trattamento brutale e infine incontra Marek un uomo fuggito dal campo di concentramento che le offrirà qualche breve istante di tenerezza e affetto. La speranza di Tsili di trovare conforto e una nuova ragione di vita in Marek si spezza quando l’uomo allontanatosi in cerca di cibo non fa più ritorno.La giovane donna che riprende il cammino insieme ad altri profughi scampati all’Olocausto si ritrova quasi senza accorgersene imbarcata su una nave “una piccola neve con un albero nudo e un fumaiolo” diretta in Palestina, “la terra del riscatto” ripercorrendo così la medesima sorte del suo coetaneo Aharon Appelfeld.Paesaggio con bambina ha la cadenza e la tenue levità di una favola; in verità leggendo l’ultimo libro di Appelfeld si prova un senso di inquietudine perché la crudeltà che vi è insita toglie ogni speranza di una storia a lieto fine e ci lascia con un pervasivo senso di colpa e di disagio nei confronti di un’umanità che si è resa colpevole di un tale crimine.Concisa ed essenziale a tratti penetrante e asciutta la scrittura di Appelfeld è il punto di arrivo di un percorso lungo e accidentato alla ricerca di una lingua che dopo l’esperienza della guerra e gli orrori del campo di concentramento rappresenti una luce per ricominciare a vivere e a sperare in un futuro migliore.“Oggi l’ebraico – afferma lo scrittore israeliano – è per me una lingua madre, la lingua madre adottata”. Giorgia Greco

TZFAT (Safed)

La tribù perduta degli ebrei pugliesi

Erano venti famiglie, si convertirono all'ebraismo durante il fascismo: adesso prosperano in Israele
FRANCESCA PACI, http://www.lastampa.it/, 10/6/2008
TZFAT (Galilea)«Prima di emigrare in Israele, i bambini della mia strada mi tiravano sassi e mi chiamavano “sabatista” perché facevo festa il sabato anziché la domenica» racconta Ester Tritto in puro dialetto pugliese mostrando l'album di foto in bianco e nero nel salone del suo appartamento a Biriya, una decina di chilometri da Tzfat, la celebre città dei cabalisti nel nord della Galilea. Centrini all'uncinetto sui braccioli delle poltrone, un telo di plastica trasparente a proteggere il tavolo laccato, alle pareti il calendario del Parco Nazionale del Gargano e la bandiera con stella di Davide. Era il 1943, Ester aveva nove anni e frequentava la terza elementare, l'ultimo anno di studi prima di essere cacciata dalla scuola «fascistissima» di San Nicandro Garganico perché rifiutava di segnarsi con la croce. La madre, un tempo fervente cattolica, si era convertita all'ebraismo prima della sua nascita, seguendo l'insegnamento del compaesano Donato Manduzio, e le aveva dato due nomi, Incoronata Box davanti all'impiegato dell'anagrafe e Ester davanti a Dio. Sessantacinque anni dopo Ester scherza sui gusti «immutabili» del marito Eliezer Tritto, tira fuori dal forno una teglia di pizza «sannicandrese» doc e ricorda l'esodo degli ebrei di Puglia, «la più piccola delle tribù perdute d'Israele», un viaggio mistico ricostruito nel 1995 in un saggio di Elena Cassin pubblicato da Corbaccio. Quella dei coniugi Tritto è la storia di venti famiglie illuminate dall'Antico Testamento negli anni Trenta, mentre l'Italia si prepara all'avvento del fascismo e lo Stato d'Israele è poco più d'un vago sogno sionista. Braccianti, artigiani, calzolai, gente semplice, cresciuta nel Mezzogiorno d'inizio secolo tra santini della Madonna anneriti dalle candele e credenze contadine, che un bel giorno s'appassiona alle parole del «profeta» Manduzio e s'incammina sulla via dell'ebraismo fino all'alya, il ritorno alla Terra Promessa. «All'inizio la sinagoga di Roma non ci voleva» ricorda Ester. Il popolo eletto non fa proselitismo, il processo di conversione è lungo, accurato, controverso, come dimostra la polemica odierna sui nuovi ebrei della diaspora che i rabbini ortodossi di Gerusalemme rifiutano di riconoscere. Gli anni sono quelli delle leggi razziali, tempi bui per indossare la kippa. Manduzio e i suoi non si arrendono: «Non mangiavamo maiale, facevamo festa il sabato. Mio padre, come molti uomini del paese, non era contento. Da principio alle riunioni di Manduzio c'erano tutti, poi man mano che venivano fuori i divieti, padri e mariti si allontanavano, certe volte picchiavano le mogli perché non volevano cucinare le salsicce o il coniglio». La scure dell'esclusione si abbatte sugli studenti come Ester ma, per quanto «bizzarri», gli ebrei sannicandresi fanno parte della comunità, sono compaesani: quando arrivano i tedeschi gli ufficiali del podestà non li denunciano. Saranno gli Alleati a emancipare la tribù pugliese, rimasta nel frattempo orfana del capostipite, morto all'indomani della Liberazione: «Con l'ottava armata britannica c'erano molti ebrei, ci riconobbero». Allora, solo allora, 4 agosto 1946, la comunità capitolina accoglie i neofiti con il rito della circoncisione. A ottobre viene inaugurata la sinagoga di San Nicandro. Due anni dopo i sionisti del Gargano s'imbarcano alla volta di Haifa. «Io ed Elizier ci sposammo prima di partire» continua Ester. Alle sue spalle una gigantografia della giovane coppia nel campo di smistamento di Ashkelon. Nel kibbutz Alma, una ventina di chilometri da Zfat e quindici dal confine libanese, gli anziani li ricordano, «gli italiani». Zion, un ebreo di origine tunisina con la barba bianca, siede nella veranda e annuisce: «Erano venti famiglie, ci conoscevamo eccome, sono sefarditi come noi. Parlavano tanto, cucinavano per tutti». Ester ed Elizir lo fanno ancora. A Tzfat hanno aperto un chiosco di falafel che è ormai il tempio delle polpette di ceci, il cibo nazionale per gli israeliani ma anche per i palestinesi. Vendere la pizza «sannicandrese»? Troppo complicato. E poi, tranne Elizier, chi conosce più il sapore del passato? Di certo non i 5 figli con i 19 nipoti e i 16 pronipoti che vivono sparsi tra Tel Aviv, Ashdod, Akko, come i Bonfitto, dei Santamaria, gli eredi della «più piccola tribù perduta d'Israele», figli di un Dio minore ancora, in fondo, alla ricerca dell'identità mitica che riscatti la conversione.

Fonte di ogni bene


Martedi 31 marzo, alle ore 19.00, presso l’Auditorium Palazzo Fioritto di Sannicandro Garganico (FG) verrà presentato il libro&CD “Fonte di ogni bene” (Editrice Rotas, Barletta) scritto dal pianista Francesco Lotoro e dal direttore d’orchestra Paolo Candido (entrambi di Barletta) sui canti di risveglio ebraico composti dal 1930 al 1945 da Donato Manduzio, Concetta Di Leo, Maria Frascaria e altri a Sannicandro Garganico.Il libro Fonte di ogni bene costituisce la prima pietra sulla quale si intende pubblicare l’integrale del repertorio musicale ebraico sannicandrese e contiene una introduzione storica di Francesco Lotoro, un saggio musicologico ed estetico–formale di Pasquale Troìa, testi e musiche di 11 canti scelti a cura di Paolo Candido, CD allegato contenente gli 11 canti scelti ed eseguiti dalla comunità ebraica sannicandrese.L’intero lavoro editoriale e discografico è stato reso possibile grazie all’Assessorato al Mediterraneo della Regione Puglia e gode del patrocinio dell’Unione Comunità Ebraiche Italiane.Alla presentazione del libro interverranno il Sindaco di Sannicandro Garganico Costantino Squeo, il pianista e coautore del libro Francesco Lotoro, il Prof. Pasquale Troìa (docente presso la Pontificia Università S. Tommaso d’Aquino di Roma e studioso della fenomenologia musicale ebraica di Sannicandro) e Grazia Gualano, ricercatrice di Storia dell’Ebraismo sannicandrese e lei stessa membro della comunità ebraica di Sannicandro.Durante la serata saranno eseguiti canti del repertorio ebraico sannicandrese a cura della Classe di Canto della Prof.ssa Rosa Ricciotti (Conservatorio di Musica U. Giordano di Rodi Garganico)

La straordinaria storia di Donato Manduzio, 1885–1948, e degli Ebrei di Sannicandro Garganico rappresenta nella Storia dell’Ebraismo di Puglia un momento significativo che ha continuamente suscitato l’interesse di numerosi storici in Italia e all’estero.Donato Manduzio era un bracciante di Sannicandro Garganico (Foggia) tornato invalido dalla Prima Guerra Mondiale. Già durante la convalescenza Manduzio scoprì doti personali di guaritore e cantastorie interessandosi anche di religione. Leggendo la Bibbia, ispirato anche da una visione profetica del 1930 sull’unicità di Dio, realizzò che occorre seguire il Dio d’Israele e la Legge di Mosé; tuttavia ritenne che gli Ebrei fossero scomparsi da secoli. Nel 1931 un venditore ambulante di passaggio a Sannicandro rivelò a Manduzio che nelle grandi città italiane ci sono numerosi Ebrei.Pertanto Manduzio, tramite diversi interlocutori, riuscì a stabilire i contatti con la comunità ebraica di Roma che tuttavia mantenne (secondo una prassi consolidata non conversionistica nè atta ad incoraggiare le stesse richieste di conversione) un atteggiamento di riserbo e prudenza.La stessa comunità ebraica romana intervenne energicamente nel 1938 quando, nonostante le leggi razziali, Manduzio e i suoi seguaci si dichiararono coraggiosamente Ebrei; non solo perché questi non ufficialmente Ebrei ma anche per preservarli da possibili quanto imminenti persecuzioni.
Tuttavia, l’insistenza e la perseveranza di Manduzio e dei suoi seguaci fu tale che Roma chiese alla comunità ebraica di Napoli (competente per giurisdizione) di indagare maggiormente su tale fenomeno di risveglio ebraico in questo paese del promontorio garganico.Nel suo report Raffaele Cantoni, figura di spicco dell’Ebraismo italiano tra le due Guerre (nel marzo 1946 divenne Presidente dell’Unione Comunità Israelitiche Italiane), ebbe per la comunità sannicandrese parole entusiaste e di reale riscontro di una vita ebraica molto osservante, al di là delle inevitabili inadempienze halachiche (circoncisione, kasheruth, ecc.).Indubbiamente, l’ebraismo professato da Manduzio, Tritto, Di Leo e gli altri correligionari assomigliava inizialmente a una sorta di Caraismo basato su una stretta aderenza al Pentateuco.D’altronde, mancava totalmente la conoscenza della lingua ebraica (condizione indispensabile per una conoscenza approfondita delle Scritture ebraiche), la Mishnà e un pur minimo di studio talmudico erano pressoché sconosciuti (sembra che lo stesso Manduzio, venuto in possesso di un piccolo digesto in lingua italiana del Talmud, non lo avesse particolarmente gradito).Tuttavia tali lacune erano, in un certo senso, colmate da una intensa ed emotiva partecipazione alla vita comunitaria che si sviluppò intorno al Manduzio, a una sincero e profondo attaccamento alle cose ebraiche e al culto del Dio d’Israele nonché a una solerte e inflessibile attenzione al riposo del sabato e alle feste e digiuni prescritti dalla Torà.Con non poca curiosità e titubanza da parte di autorità civili e personalità del contesto cattolico ed evangelico presenti nel piccolo paese garganico, la comunità del Manduzio non solo crebbe ma sviluppò una propria letteratura poetica e musicale.La lingua italiana da loro utilizzata è spesso ridondante e non priva di inesattezze ma sempre efficace e rispettosa del contesto scritturale ebraico dal quale essa prende spunto.Il canto di risveglio ebraico sannicandrese è anch’esso non immune da un forte sostrato popolare; tuttavia esso emana un vissuto ebraico che sembra provenire da lontano.Non è affatto sbagliata l’impressione di persone che hanno ascoltato questi canti e lo abbiano istintivamente paragonato al canto degli Israeliti usciti dall’Egitto e che tra modi e canti solenni conducevano sulle spalle il Mishkan, il primo grande tabernacolo nel deserto del Sinai.Come dire, un canto israelita precedente al Tempio e alle istituzioni ebraiche in Eretz Israel.Nel 1943, quando nella Puglia liberata dagli Alleati arrivarono 350 volontari ebrei della Palestina Mandataria inquadrati nella VIII Armata britannica, Manduzio e i suoi correligionari li accolsero con entusiasmo.
Gli Ebrei della Palestina Mandataria prospettarono loro di emigrare a guerra finita; Manduzio non ne fu affatto entusiasta. Nell’agosto 1946 il Beth Din (Tribunale rabbinico) di Roma accettò la loro conversione procedendo alla circoncisione di 13 uomini, seguita dalla tevilah dei proseliti (uomini e donne) nelle acque presso Torre Maletta.Si sancì così l’ingresso ufficiale della comunità ebraica di Sannicandro nell’orbita delle comunità ebraiche italiane.Manduzio morì il 15 marzo 1948.Tra il 1948 e il 1950 la maggior parte degli Ebrei di Sannicandro emigrò nel neonato Stato d’Israele concentrandosi soprattutto nelle zone settentrionali di Biria e Safed; a Sannicandro rimase soltanto un gruppo ben organizzato il quale perseverò nello studio e nella pratica dell’Ebraismo. Il repertorio musicale degli Ebrei sannicandresi (prevalentemente composto di inni e canti scritti dallo stesso Donato “Levi” Manduzio, Concetta Di Leo, Maria Frascaria) costituisce attualmente un unicum di inestimabile valore della tradizione popolare e religiosa pugliese ancora sconosciuto nel panorama culturale e musicale italiano. Il canto di risveglio ebraico sannicandrese è giunto intatto sino ad oggi, subendo solo limitatamente alcune piccole variazioni di testo e arricchendosi di ulteriori canti, più vicini allo stile moderno.L’attuale comunità, dotata di una propria casa di preghiera e una casa di studio, è un punto di riferimento non soltanto della vita ebraica pugliese (a Trani c’è una comunità ebraica sezione di Napoli istituita da diversi anni) ma anche del vissuto storico dei Paesi del Mediterraneo, capaci come pochi altri contesti socio–geografici di offrire simili risorse del pensiero e dello spirito umano.Musica Judaica, Istituto di Letteratura musicale concentrazionaria con sede in Barletta (IMJ) diretto da Grazia Tiritiello e proprietario dell’omonimo Archivio (dotato di oltre 4.000 partiture musicali scritte nei Campi di concentramento dal 1933 al 1945) nonché produttore artistico dell’Enciclopedia discografica KZ MUSIK (Musikstrasse–Membran Hamburg) in 48 CD–volumi, ha ricercato, raccolto e catalogato testi e musiche degli inni e canti di risveglio ebraico scritti dal Manduzio e dai suoi correligionari.L’IMJ ha inoltre condotto un’analisi critica di carattere letterario, linguistico e musicale basandosi su diverse fonti: la registrazione fonografica dei canti realizzata a Z’fad da Ester Bux, la registrazione fonografica dei canti effettuata dall’IMJ presso la casa di preghiera di Sannicandro Garganico, il quaderno originale dei canti del Manduzio e diversi filmati della Radiotelevisione italiana e tedesca.

Dr. Zvi Lederman and Professor Shlomo Bunimovitz

LA SIGNORA DELLE LEONESSE

Shlomo Bunimovitz e Zvi Lederman - archeologi dell’Università di Tel Aviv - hanno scoperto, durante una campagna di scavi Tel Beth-Shemesh, una piastra di terracotta raffigurante una dea in abiti femminili. La figura rappresentata è abbigliata come i re e le divinità egizie e cananee. Però la capigliatura è femminile e le mani reggono fiori di loto, simboli femminili. Forse si tratta della Signora delle Leonesse, una regina nota perché nel 1350 a. C. inviò al Faraone d’Egitto due lettere con cui chiedeva aiuto contro gli invasori che erano penetrati nella regione. Le due lettere, scritte su tavolette d’argilla, furono rinvenute da alcuni contadini egiziani a El Amarna. Non si conosce su quale città regnasse, però qualche anno fa il prof. Nadav Naaman dell’Università di Tel Aviv ha ipotizzato che possa trattarsi di Beth Shemesh. Ma non vi sono prove a sostegno di questa teoria. La città fu distrutta con violenza e rapidità. Ciò è positivo per i ricercatori perché gli abitanti, non avendo avuto il tempo di scappare, non hanno portato nulla con sé. Questo consente agli studiosi di poter contare una gran quantità di materiale per le loro ricerche. Inoltre gli oggetti di lusso, sin qui rinvenuti, fanno pensare che la città fosse tra le più ricche e importanti della regione. Gli scavi, previsti per la prossima estate, potranno fornire risposte alle tante domande e ipotesi sin qui formulate.

mercoledì 22 aprile 2009

Lago Kinnereth

Com.It.Es. Tel Aviv - Israele,P.O.Box 4672, Gerusalemme

Gerusalemme 22 aprile 2009 COMUNICATO STAMPA

LA COMUNITA' ITALIANA IN ISRAELE SI RACCOGLIE NEL GIORNO DELLA SHOA' E RICORDA GLI EBREI DEPORTATI DALL'ITALIA
Il 22 aprile 2009 e' stato ricordato in tutta Israele il giorno della Shoa', nel quale vengono ricordati e commemorati i sei milioni di ebrei uccisi; questo e' anche il giorno dell'anniversario della rivolta del Ghetto di Varsavia. . La cerimonia ufficiale ha avuto inizio la vigilia, ieri sera, con una solenna cerimonia a Yad Vashem, il Mausoleo dell'Olocausto a Gerusalemme, e durante la giornata si sono tenute cerimonie commemorative nelle scuole, nei kibbuzim, moshavim , nelle universita' e al Parlamento israeliano (la Knesseth).Anche la comunita' italiana in Israele , come e' oramai abitudine da diversi anni, si e' unita in memoria ed ha ricordato le vittime dall'Italia, e cioe' gli oltre ottomila ebrei che furono deportati dall'Italia e che non fecero piu' ritorno; a questi si devono aggiungere gli ebrei che furono uccisi in Italia . La cerimonia ufficiale viene tenuta da diversi anni, nella sinagoga italiana di Gerusalemme (Sinagoga di Conegliano Veneto) , ove vengono letti, nell'arco della giornata tutti i nominativi delle vittime, e cio' basandosi sul Libro della Memoria della dott.ssa Liliana Picciotto , " gli Ebrei deportati dall'Italia (1943-1945)" edito da Mursia. Presente, nell'arco della giornata, un folto pubblico, che si e' alternato nella lettura dei nominativi. All'inizio della cerimonia ha presenziato il Console Generale d'Italia a Gerusalemme dott. Luciano Pezzotti, accompagnato dal Console Francesco Santillo; alla cerimonia a Gerusalemme ha presenziato anche l'Ambasciatore d'Italia in Israele dott. Luigi Mattiolo accompagnato dalla consorte. Presenti nella sinagoga turisti dall'Italia che si sono voluti unire in comune ricordo con la comunita' locale.Cerimonia simile si e' tenuta contemporaneamente nella sinagoga italiana di Ramat Gan (sinagoga Ovadia da Bertinoro) , nei pressi di Tel Aviv, ove ha presenziato, oltre alla comunita' dei connazionali residenti nella zona centrale del paese, anche l'Ambasciatore d'Italia in Israele Luigi Mattiolo , accompagnato dalla consorte.Presenti alle cerimonie i rappresentanti dell'Associazione Immigrati dall'Italia, del Comites, della Dante Alighieri , della Hevrat Yehudei Italia, del FAIB e della Fondazione Raffaele Cantoni.Questa cerimonia, organizzata da tutte le istituzioni italiane operanti in Israele, si viene ad aggiungere alle diverse manifestazioni del Giorno della Memoria (27 gennaio) che vengono organizzate dall'Ambasciata d'Italia e quella del 16 ottobre , che viene organizzata dalle organizzazioni italiane in collaborazione con Yad Vashem.
(Uff. Stampa Com.It.Es. Tel Aviv - Israele) e-mail: info@comites.org.il - http://www.comites.org.il/

KIBBUTZ "NA'AMA" pranzo comunitario (anni '40)
KUWAIT

Saleh Bahman, candidato alle elezioni legislative del Kuwait che si svolgeranno il prossimo 16 maggio, ha proposto di istituire relazioni diplomatiche con Israele. La campagna elettorale di Saleh Bahaman sarà impostata su questa idea. Secondo Bahman, le relazioni diplomatiche con Israele porterebbero solo vantaggi all’emirato del Golfo Persico. Attualmente, il Kuwait pur essendo un paese moderato e filo-occidentale, non intrattiene relazioni con Israele e non ha mai dimostrato intenzioni di voler cambiare politica. Tra l’altro, in parlamento era stata presentata una proposta di legge che prevedeva severe sanzioni per chi aveva contatti con Israele. La notizia è stata data dal sito Wall Street Italia. Tonino NOCERA

martedì 21 aprile 2009

lavoro in kibbutz

L’antisionismo come arma politica

L’antisionismo come arma politica fa parte di una precisa strategia diplomatica ed ha inizio più di trent’anni fa. Nel novembre del 1975 l’Assemblea Generale delle Naizoni unite approva la risoluzione 3379 che equipara il sionismo al razzismo. L’analisi dei voti rende chiaro come il blocco arabo e musulmano appoggiato dal blocco sovietico e dalla quasi totalità del movimento dei non-allineati si siano schierati contro Israele. Questa risoluzione segna l’inizio della Guerra diplomatica contro Israele preordinata a delegittimare lo stato ebraico minando il suo fondamento ideologico, cioè il sionismo. Dopo le due fasi di rivolta nella Palestina mandataria negli anni ’20 e ’30 e dopo le tre guerre di distruzione del 1948, del 1967 e del 1973, Israele continuava ad esistere come forza economica e militare crescente, pertanto gettando nello sconforto gli stati arabi che avevano più volte tentato di distruggere Israele per mano militare. Si è dovuto questo cambiamento di strategia alla necessità pregnante di annientare in un qualche modo Israele, primo obiettivo nell’agenda politica delle ideologie pan-arabiste e pan-islamiche, scopo che chiaramente non poteva esser raggiunto attraverso le operazioni di guerra.
La risoluzione è rimasta in vita fino al 1991, quando la proposta di revoca è stata finalmente accolta e votata col favore dei paesi non-allineati e dell’ex blocco sovietico. Contrarii sono rimasti gli stati arabi, con la sola eccezione dell’astensione dal voto dell’Egitto, che nel frattempo aveva firmato una pace con Israele (il che gli era valsa l’espulsione dalla lega araba e la rottura dei rapporti diplomatici con diversi stati islamici, tra cui l’Iran). Tuttavia, questa guerra diplomatica contro Israele negli anni successivi alla revoca della risoluzione del 1975 ha assunto altre forme e si è propagata per altre vie. Negli anni ’90 la delegittimazione di Israele è stata declinata secondo le logiche della grammatica dei diritti umani. Prima nel 1994, con la firma della carta araba dei diritti umani, il cui primo articolo annuncia la lotta contro ogni forma di colonialismo, razzismo e sionismo; e successivamente nel 2001 a Durban, dove in occasione della conferenza mondiale patrocinata dall’ONU contro il razzismo, la xenofobia e ogni forma di discriminazione, i tavoli di discussione si sono trasformati in teatri di infame antisionismo e antisemitismo. Non solo le organizzazioni israeliane sono state escluse dai lavori, bensì sono state allontanate tutte quelle organizzazioni di stampo ebraico e tutti quei partecipanti di dichiarata confessione ebraica. Inoltre la carta araba ha di recente sollevato discussioni al Consiglio per i Diritti Umani per incompatibilità con la risoluzione del 1991 che revocava quella del 1975 e altre incompatibilità concernenti la libertà religiosa (basti sapere che ogni forma di conversione ad altra religione è interpretata nell’Islam come apostasia).L’antisionismo del pacifismo e della giustizia internazionale ha pervaso il modo di pensare anche scientifico. Qualsiasi studio giuridico, storico o politico che difenda Israele o che ne faccia valere le ragioni è tacciato di partigianeria e di inettitudine metodologica. In più l’antisionismo della giustizia ha pervaso così tanto l’opinione pubblica da suscitare moti di popolo contro i media accusati d’esser asserviti ad Israele nel caso in cui siano leggermente più obiettivi. Con riferimento all’ultima occasione di conflitto nel Vicino Oriente si possono tracciare delle chiare linee politiche antisioniste in almeno tre filoni: quello internazionale, quello interno e quello europeo.
Gaza e l’antisionismo
La guerra contro Hamas da poco conclusasi è scoppiata il 27 dicembre dello scorso anno in occasione delle ripetute violazioni della tregua concordata tra Hamas e Israele nel giugno 2008. Dato l’intensificarsi dei lanci di razzi ad opera di Hamas nel sud di Israele, il governo israeliano ha deciso, spalleggiato da un’opinione pubblica di rado così compatta, di lanciar un’offensiva aerea seguita da un’offensiva di terra iniziata il 3 gennaio. Dal punto di vista israeliano l’attacco armato a Hamas è una strategia di breve-medio periodo preordinata alla diminuzione del potenziale militare di Hamas. Sia il governo sia gli strateghi militari sono unanimi nel sostenere che questa guerra ha raggiunto gli obiettivi che si era proposta, riabilitando il morale della popolazione e dell’esercito gravemente incrinato in occasione della disorganizzazione nella seconda guerra in Libano. Sono stati attaccati i tunnel del contrabbando, gli arsenali di missili, è stata incrinata la dirigenza di Hamas e a parere di Israele si sono limitate al massimo le perdite di militari e di civili. Ed è questo il punto di maggior attrito nel diabttito contemporaneo sul conflitto arabo-israeliano. Si possono dunque analizzare i tre punti di vista principali: quello internaizonale, quello europeo e quello interno.Da un punto di vista del diritto internazionale l’uso della forza è stato limitato dopo l’entrata in vigore della carta delle Nazioni Unite a sporadici casi, fra i quali quello dell’autodifesa. Uno stato ha diritto di utilizzare la forza se subisce un attacco da un altro stato. La discussione fondamentale sul terrorismo rimane proprio in questo aspetto del diritto. Molte volte è impossibile attribuire un attacco direttamente ad uno stato quando è compiuto da un’organizzazione terroristica che si appoggia ad uno stato (per esempio è stato discusso il legame tra Afghanistan e Al Qaeda). Con Hamas però i dubbi sono fugati dalle elezioni del gennaio 2006 che hanno portato al trionfo Hamas che in seguito ha consolidato il potere eliminando gli oppositori politici. Il secondo aspetto del diritto internazionale si concentra sulle modalità di combattimento regolate dalle convenzioni dell’Aja e di Ginevra. La base da cui muovono le norme è il principio di distinzione tra civili e combattenti per cui questi ultimi devono portare divise, vessilli, armi in vista. Inoltre le norme si concentrano sul trattamento dei civili che devono esser risparmiati, così gli arsenali devono esser tenuti lontani dai luoghi sensibili, i luoghi civili non possono esser teatro di guerra ecc. Tutte norme che Hamas per prima non rispetta, costringendo l’esercito israeliano ad uno scontro casa per casa con l’inevitabile perdita di non-combattenti. Infine secondo il diritto internaizonale ogni risposta ad un attacco dev’essere proporzionale. Il principio di proporzionalità non riguarda il bilancio di morti da una e dall’altra parte, bensì riguarda il danno subito e la potenziale minaccia dell’aggressore. La proporzionalità non è basata sulla legge delle lance (di orgine africana per cui in guerra ogni tribù aveva diritto ad uccidere il numero di nemici corrispondente alle eprdite inflitte dal nemico), bensì si basa sul danno reale e danno futuro per cui rispondo all’attacco per impedire ulteriori danni in futuro.
Spostandosi ora sull’analisi politica della guerra e delle reazioni che ha scatenato ci si può concentrare sul piano europeo e su quello interno.L’Europa, che avrebbe potuto giocare un ruolo fondamentale in questo scenario, è stata come al solito impotente. L’impotenza è dovuta all’incapacità di coordinare le politiche estere dei singoli Stati e gli inefettivi poteri dell’istituzione comunitaria preposta alla politica estera. In Europa infatti si possono individuare perlomeno tre direzioni. Due di queste sono fisse: la Francia è sempre filoaraba, prima per convinzioni politiche, ora per il timore di rivolte interne che i cinque milioni di musulmani potrebbero scatenare nelle città francesi; mentre la Germania rimane filoisraeliana, e per ragioni storiche che vincolano la quarta potenza mondiale a difendere lo stato ebraico sia per maturate convinzioni politiche (il discorso di Angela Merkel in ebraico alla Knesset non è di certo una mera occasione di facciata per affermare la vicinanza dei due popoli, bensì un atto politico dalle rilevanti conseguenze che lega la Germania ad Israele). Vi sono altri stati come l’Italia che cambiano orientamento a seconda del governo. In quest’occasione l’Italia è filoisraeliana in quanto al governo vi è il centrodestra. Ad ogni modo, le prese di posizione cosiddette filoisraeliane si limitano ad indicare come la risposta di Israele sia stata causata dalle folli azioni di Hamas che persegue l’unico scopo di distruggere lo stato ebraico, restando ferme le critiche sulle modalità di combattimento e le condanne per la perdita di civili. Il che ci fa spostare l’attenzione sulla politica interna.
Nella politica interna italiana l’esser di sinistra è l’etichetta fondamentale per appartenere a determinati circoli e per vedere accettate le proprie idee. In un clima ideologico dominato dalla sinistra coloro che desiderano dialogare tengono prima a precisare di esser di sinistra per non esser gettati nella spazzatura della società per poi sostenere flebilmente tesi che divergono dalla vulgata di partito. Tale ideologia imperante è vittima di una visione del mondo ormai superata (USA v. URSS – imperialismo v. Libertà), per cui la considerazione di Israele, come di una fittizia creazione imperialista sostenuta oggigiorno dagli Stati Uniti, crea un malanimo di fondo che impedisce ogni visione obiettiva sulle questioni del vicino oriente. Finite le ere dei grandi proclami antimperialisti quelle poche situazioni che rassomigliano alle epoche della decolonizzazione e delle lotte in piazza per vendere il caffè del Nicaragua sono state prese sotto l’ala protettrice della sinistra che ha trovato di nuovo i poveri per cui combattere. Più che altro lo fa per istinto di sopravvivenza proprio e non per finalità filantropiche, visto che questa lotta ideologica rimane l’unica fiaccola di vitalità di una sinistra allo sbando che salvo il comune nemico Berlusconi nulla ha più da proporre. Inoltre mancano completamente le finalità filantropiche in quanto ai palestinesi non è che si guardi con occhio solidale (ad esempio agendo sulle situazioni sociali di completo degrado quali la violenza sulle donne, sui bambini, sui cristiani ecc.).
Hamas la sinistra e il nazismo
In particolar modo è incomprensibile come in nome di un trito terzomondismo la sinistra si ostini a sostenere posizioni del tutto contrarie alla sua base ideologica. Nei dibattiti su Gaza si ammette sempre la criminosità di Hamas, ma lo si giustifica per via delle elezioni. Inoltre lo si giustifica in quanto fenomento conseguente all’occupazione israeliana, alla miseria e alla disperazioni. Entrambe le tesi sono insostenibili.Il fondamentalismo islamico non è una scelta conseguente a miseria o disperazione, ma un dilagare ideologico che affonda le proprie radici nel Settecento, con la nascita dell’ideologia wahhabita in Arabia Saudita, con il dilagare della scuola islamica salafita e soprattutto con la grande rivoluzione iraniana che ha portato il clero sciita solitamente distante dalle questioni politiche a cercare di prender le redini della leadership islamica mondiale coi diversi tentativi di esportare la rivoluzioni fomentando il terrorismo. Inoltre il fondamentalismo islamico ha dei tratti spiccatamente antisemiti, in quanto per tradizione coranica gli ebrei sono causa di discordia e conflitto (dalla battaglia contro la tribù ebraica dei Banu Quraiza che aveva resistito a Medina all’attacco dei maomettani). Il fondamentalismo islamico è un fenomeno globale dall’India alla Palestina, dal Pakistan al Marocco, dall’Algeria all’Uzbekistan, dall’Egitto alle regioni islamiche della Cina comunista.La seconda tesi è altrettanto insostenibile. Si è soliti fare il paragone con Hitler che pure è stato democraticamente eletto per poi instaurare un regime totalitario di stampo razziale. Politici come D’Alema, la Morgantini ed altri fini pensatori ritengono che il paragone non possa reggere. Tuttavua un’attenta analisi dei due movimenti da un punto di vista di teoria politica può riavvicinarli più di quanto si creda.
Hamas è un movimento totalitario nichilista pari al nazismo. E’ un movimento anzitutto antidemocratico che si è fatto strada con slogan populisti legati alla giustizia sociale per combattere il nemico interno corrotto ed instabile (Arafat e i suoi successori), con una campagna mediatica che incita all’odio antiebraico ed antioccidentale, con una campagna sociale che ha trasformato i bambini in soldati ed infine con la violenza concretizzata in esecuzioni di piazza contro i collaboraizonisti. E’ un movimento nichilista che ha come scopo l’annientamento del nemico individuato progressivamente come l’oppositore politico, l’infedele, l’ebreo, il sionista, il cristiano, l’americano, l’apostata ecc. Dapprima ha sbaragliato al Fatah trucidandone i membri, poi ha instaurato la legge islamica per annullare ogni traccia di moderazione, laicismo e diversità religiosa, ed ecco che si concentra sull’annientamento di Israele. Così era anche il nazismo che si è fatto strada in politica con slogan populisti promettendo pace e prosperità alla popolazione, con la violenza di piazza e con l’individuazione progressiva del nemico come il comunista, l’ebreo, lo zinghero, l’omosessuale e sarebbe arrivato anche al cardiopatico. Così come il nazismo era un movimento metastorico che concepiva la storia come una lotta di razze che sarebbe terminata col trionfo della razza ariana sulle altre, così il fondamentalismo islamico concepisce la storia come una lotta di religioni che terminerà col trionfo dell’Islam sulle altre. Infine così come il nazismo, anche hamas riesce a porre in pratiche tattiche che hanno ad effetto lo spostamento delle colpe sulle vittime. I consigli ebraici e i consigli degli zingheri ignari di ciò che stavano facendo redigevano liste di ebrei e zingheri che servivano a facilitare la deportazione e lo sterminio; così hamas costringe Israele alla guerra facendo sì che sia inevitabile creare vittime civili la colpa del cui assassinio ricade su Israele che combatte hamas in un campo di battaglia urbano. A Gaza Hamas si fa scudo dei civili, nell’arena internazionale si fa scudo delle ideologie democratizzanti terzomondiste che paiono non aver più forza politica dettata dallo spirito di giustizia quanto invece sembrano esser saldamente vincolate a sterili legalismi e ridicole formalità politiche.
Tanto più grave appare che l’appoggio a Hamas arrivi da movimenti libertari quali quelli femministi che avevano fatto della libertà sessuale e della parità uomo-donna il proprio fiore all’occhiello nella lotta contro il conservatorismo e l’oppressione religiosa nel secolo scorso. Un appello andrebbe rivolto a queste femministe libertarie che appoggiano il findamentalismo islamico. Con quale coscienza si tende una mano ad un movimento che propugna principii tra i più nefasti per le donne? Inoltre appare ancor più grave che il dibattito sia intriso di episodii di violenza e vandalismo contro quegli operatori mediatici accusati di parzialità in favore di Israele quando hanno serenamente ammesso le brutalità di Hamas. La vernice ed i manichini lanciato contro le sedi di Repubblica e la Rai sono il segnale di una società allo sbando completamente acciecata dall’ideologia che non nutre alcun sentimento verso la verità bensì si inalbera quando i fatti non corrispondono agli schemi ideologici.
Infine l’insistenza sulla necessità del dialogo con Hamas è ridicola quanto gli altri slogan di pace e gli appelli per condannare gli israeliani di crimini contro l’umanità. Sulla ricerca del dialogo e la necessità di contrattare con la parte in conflitto vi è da dire che le possibilità dei negoziati permangono finché vi sono interessi da difendere. Quando l’interesse di una delle parti è il dominio assoluto su una zona e l’annientamento del nemico che passa attraverso forme di de/umanizzazioone (figli di porci e scimmie sono gli ebrei e i cristiani), ogni possibilità di dialogo è completamente inutile, priva di senso, controproducente. Il valore degli interessi delle parti è sostanzialmente differente: se una vuole risolvere il conflitto l’altra ne vuole la totalizzazione. Manca cioè una qualsiasi base comune al confronto. Ogni tregua contrattata è un semplice modo di riorganizzazione per la massimizzazione del potenziale distruttivo, mentre ogni tregua unilaterale diviene un esempio di debolezza che incita all’intensificazione del conflitto. I consigli ebraici cercavano di contrattare coi nazisti, ma non c’era proprio base comune su cui contrattare. I russi l’hanno fatto coi nazisti, ma i patti Molotov-Ribbentrop erano vuoti come tutte le categorie politiche del tempo che non riuscivano a descrivere la vera realtà: una potenza ideologica che tentava di portare a termine la missione dominatrice della razza ariana. Così è ogni hudna di Hamas, una tregua, peraltro mai in fondo rispettata, per riprendere i combattimenti.
Conclusione
La difficoltà di inquadrare gli eventi, la miopia delle analisi del conflitto, la violenza di piazza scatenata da facinorosi sostenitori della pace trovano cittadinanza in un mondo intriso di antisionismo e in un mondo cui mancano delle categorie politiche e giuridiche nuove.
Il deliberato antisionismo, la precisa volontà di attaccare Israele mascherando l’odio da pacifismo e da solidarietà verso i palestinesi finiscono per acuire il conflitto e per aiutare la scalata del fondamentalismo. Tale antisionismo arriva ad esser aperto antisemitismo lì dove in occasione della giornata della memoria si privano gli ebrei del diritto di ricordare e si sollevano gli altri europei dell’onere di ricordare quanto accaduto. La situazione odierna è assai simile al processo Dreyfus: c’è chi è pro e c’è chi è contro, così come con Israele. Ma chi è contro coglie di nuovo l’occasione per cavalcare dei miti antisemiti attingendo largamente all’immaginario antisemita cristiano (per citare solo due esempii: la vignetta che indicava il carro armato con la canna puntata contro Maria e bambino e la scritta “mi vuoi uccidere ancora?” in occasione dell’assedio della Chiesa della Natività a Betlemme, e l’equiparazione degli Israeliani al re Erode che si racconta avrebbe fatto uccidere tutti i primigeniti per non permettere a Gesù di Nazareth di diventare re dei Giudei). E’ come se finalmente si potesse esser antisemiti, finalmente ci si potesse scagliare contro gli ebrei senza alcuna accusa di razzismo. Anzi, questo antisemitismo è una nuova declinazione dei diritti umani!In secondo luogo la teoria politica manca di un’adatta categoria che possa descrivere ed inquadrare lo stragismo islamista. Il culto della morte, la fioritura del martirio stragista, il disinteresse verso la vita sono disvalori a noi misconosciuti. Nella tradizione cristiana il martirio è passivo, ossia è l’estremo atto di fede di chi non cede alle torture e alle minacce e rimane saldo sulle proprie convinzioni fino all’estremo atto di dare la vita per esse. La tradizione ebraica è tutta orientata verso la vita tanto che in caso di pericolo di vita si possono contravvenire altre norme, per esempio quelle dello shabbath nucleo fondante l’identità ebraica. Questo tipo di nichilismo alla base dell’ideologie islamiste che fanno della vita solo uno strumento di morte coinvolgendo donne e bambini da sempre considerati i soggetti più deboli e degni di speciali protezioni è a noi totalmente estraneo; l’impiego della vita per causare distruzione e morte, per dilagare terrore e disperazione, per costringere alla disfatta è un impiego politico della vita che non è per noi concepibile in quanto invece da sempre tutelata come valore supremo. Così come all’inizio del Novecento non si comprendeva bene il pericolo fascista, nazista e sovietico perché ancora non vi era la categoria politica del totalitarismo, così ora parte di quell’opinione pubblica antiisraeliana non comprende la situazione per la mancanza di un’altra categoria politica: lo stragismo nichilista, intriso di odio e propaganda religiosa e politica.
Una famosa scrittrice assai impopolare alla fine dei suoi anni spronò a riacquistare la forza della ragione unica via d’uscita ad una situazione talmente melmosa da evocare solo immaginarii disperati. Mentre una figura politica assai popolare disse che “la pace con gli arabi ci sarà solo quando ameranno i loro bambini più di quanto odiano noi”. Giovanni Quer

Rita, cento anni a testa alta Rita Levi Montalcini compie 100 anni. I primi festeggiamenti in suo onore si sono svolti il 16 aprile scorso presso l'Istituto Superiore di Sanità. Il suo compleanno sarà il 22 aprile. In serbo per lei una settimana di eventi, scientifici e non. Pensare che i suoi ultimi compleanni li aveva sempre trascorsi in laboratorio, ma quest'anno tutto sarà diverso, e lei, oramai arresa all'idea, afferma ironicamente: “mi difenderò”."Sono profondamente commossa di essere arrivata a 100 anni dopo una vita vissuta con una gioia che, penso, ben pochi hanno avuto", questo il primo pensiero del premio Nobel sul suo secolo di vita trascorso. "Arrivare a 100 anni è un premio per me. Il segreto? Non pensare a se stessi, ma agli altri e lavorare con passione" – questa una delle frasi del suo discorso tenuto presso l'Istituto di Sanità che l'ha festeggiata. Un'esistenza guidata dal "pensare non convenzionale", ha sottolineato Ferruccio Fazio, sottosegretario alla Salute intervenuto alla cerimonia. L'essenza della ricerca e del progresso, come ha aggiunto il sottosegretario, è quella 'serendipity' che spesso assiste gli scienziati che, mentre cercano qualcosa, fanno scoperte fondamentali, come fu per la penicillina. 'Serendipity' non vuol dire solo fortuna, vuol dire, soprattutto, acume, curiosità e saper capire che dietro l''insolito', ci può essere un mondo da indagare. "E così è stato anche per Rita Levi Montalcini" ha sottolineato Fazio .Laureatasi nel 1936 ha conquistato il premio Nobel per la Medicina per la scoperta del fattore di crescita NGF (Nerve Growth Factor), una molecola, ha spiegato la Montalcini, scoperta "perché ho capito che quello che stavo osservando non rientrava nella norma". L'NGF ha aperto la strada agli studi della biologia molecolare, a un nuovo approccio diagnostico che misura l'equilibrio delle vie metaboliche, quelle che portano le informazioni tra cellula e cellula e ha, infine, rivoluzionato, come ha sottolineato Fazio, anche la progettazione dei farmaci, non solo centrati sull'efficacia generale del principio attivo, ma disegnati per riparare pezzi di circuiti metabolici alterati. E' difficile pensare che Rita non era nata per fare lo scienziato, è lei stessa a sottolinearlo osservando "Non ero nata per fare lo scienziato, ma per andare in Africa ad aiutare chi ne ha bisogno". "Da adolescente - ha spiegato - volevo andare andare in Africa come Albert Schweitzer e curare i lebbrosi. Adesso, nell'ultima tappa della mia vita, esaudisco il desiderio di aiutare popolazioni sfruttate. Posso dire che l'unico motivo per cui ho lavorato è stato aiutare gli altri". Tuttavia, ha ammesso, "la ricerca mi ha dato molto più di quanto potessi sperare" .Parla di se stessa con grande autoironia, alla cerimonia, per esempio, accortasi di parlare un po' troppo ha detto che fortunatamente non soffre di Alzheimer e che il suo cervello, arricchito dall'esperienza scientifica ed umana, funziona meglio ora che quando aveva 20 anni "se non m'illudo"- ha aggiunto. E ancora a proposito dei suoi inizi come ricercatrice, ha ricordato che in fondo le leggi razziste l'hanno aiutata "perché segregata nella mia stanza ho potuto lavorare".Durante la cerimonia del 16 aprile è stata omaggiata dai ricordi dei suoi amici, dei suoi collaboratori e dei suoi allievi che hanno voluto lasciare testimonianza della loro stima e del loro affetto per Rita, come confidenzialmente la chiamano, in un volume che raccoglie i loro pensieri, molti dei quali sono stati letti dall'attore Paolo Triestino. Ne emerge il ritratto di una donna coraggiosa, coerente, piena di passione per il suo lavoro, gentile, elegante e che ha sempre saputo ascoltare i giovani.Proprio a quest'ultimi lancia un messaggio importante: "Credete nei valori" e "siate felici di essere italiani”, “La vita merita di essere vissuta se crediamo nei valori, perché questi rimangono dopo la nostra morte". Alla luce della sua lunghissima esperienza ha aggiunto: "ai giovani posso dire: siate felici di essere nati in Italia per la bellezza del capitale umano, sia maschile sia femminile, di questo Paese". "Il rientro in Italia dopo 15 anni di lavoro negli Stati Uniti, ha sottolineato il Nobel Montalcini, mi ha fatto scoprire il mio Paese. In nessun Paese del mondo c'è tanto capitale umano come in Italia, non solo per la ricerca ma per l'attività sociale". La cerimonia si è conclusa con i ringraziamenti della Montalcini all'ISS per averla non solo festeggiata ma per l'onore concessole dedicandole una targa nell'aula conferenze dei premi Nobel.Fra le cerimonie già trascorse ricordiamo che la centenaria è stata già ospite (domenica 19 aprile) della Fondazione Rita Levi Montalcini onlus, da sempre impegnata in Africa, che le ha dedicato un concerto nel quale gli allievi del conservatorio di Santa Cecilia hanno suonato la Quinta sinfonia di Beethoven, uno dei brani preferiti dal Nobel, insieme alle musiche di Bach e Schubert. Oggi sarà festeggiata dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano al Quirinale e domani è invece previsto un incontro scientifico nella sede dell'Istituto Europeo per le Ricerche sul Cervello (Ebri) organizzato da Luigi Aloe, braccio destro del Nobel in laboratorio per moltissimi anni. Il giorno del compleanno, mercoledì 22, a farle gli auguri sarà il Sindaco di Roma, Gianni Alemanno e il resto della giornata sarà dedicato a un convegno internazionale sulle neuroscienze, organizzato sempre in Campidoglio dall'Ebri, al quale è attesa la partecipazione di Stanley Cohen, il ricercatore che nel 1986 ha diviso il Nobel con Rita Levi Montalcini. Giovedì 23, infine, è in programma una cerimonia in Senato.V. M. http://www.moked.it/

lunedì 20 aprile 2009

Sdo Ham

ISRAELE: SCOPERTA DURANTE SCAVO A GERUSALEMME ISCRIZIONE VIII SECOLO A.C.FRAMMENTO DI PIETRA BIANCA RICORDA UN RE CITATO NELLA BIBBIA

Gerusalemme, 19 apr. - (Adnkronos) - Un frammento di un'iscrizione di circa 3000 anni fa, una placca calcarea su cui compaiono diverse lettere di un'antica scrittura ebraica del periodo dei re di Giudea, e' tornato alla luce durante uno scavo archeologico appena fuori dalla Citta' Vecchia di Gerusalemme. Lo ha annunciato la Israel Antiquities Authority. Il frammento di pietra bianca, hanno stabilito gli archeologi israeliani, risale all'VIII secolo a.C, ed e' stato trovato a sud delle mura dell'antica citta' di Davide, vicino alla sorgente Gihon.


A Capodanno non si scende in campo

E quelli Per favore, non fateci giocare durante Rosh Hashana e Yom Kippur. La squadra di football della Grande Mela New York Jets ha chiesto alla National football league (Nfl) di modificare il calendario delle partite in segno di rispetto alle festività religiose. I Jets, che annoverano molti fan di fede ebraica, dovrebbero infatti giocare contro la squadra del New England il prossimo 20 settembre, data in cui cade Rosh Hashana. Inoltre i Jets hanno in programma una partita con il Tennessee per la domenica successiva. Cioè la sera di Yom Kippur. Risultato? Il proprietario della squadra Woody Johnson ha inviato una lettera alla Nfl in cui chiede di anticipare le due partite anche solo di poche ore, in modo che non cadano di sera: “Siamo flessibili e saremmo più che contenti di lavorare con la federazione per accomodare il maggior numero di fan”. Del resto, ha ricordato, l'attuale calendario potrebbe mettere in difficoltà anche i New York Giants, altra squadra che ha molti fan ebrei. http://www.moked.it/

1933: giovani ebrei europei in partenza per la Palestina

Ebrei single a Milano

C'è chi ne fa uno stile di vita e a chi è solo capitato per un periodo. C’è a chi piace e a chi proprio non va giù. E c’è chi se lo fa piacere per non ammettere la sua difficoltà a trovare l’anima gemella. Ovviamente kasher. Perché essere single non sempre è facile, non sempre è solo divertimento, uscite in discoteca e happy hour, o allegro svolazzamento di fiore in fiore. Dopo una fisiologica stagione di spensieratezza, arriva il giorno in cui, magari con pudore e senza ammetterlo a se stessi, si fa strada il desiderio di costruire una coppia o una famiglia. Si fanno i conti con la propria solitudine o semplicemente con la propria insoddisfazione sentimentale. E allora ci si comincia a guardare in giro. Sì perché spesso, dietro le lunghe attese della kuppà matrimoniale c’è proprio questo: la voglia di trovare qualcuno che non solo ci piaccia veramente, ma che sia affine da un punto di vista del cuore, del carattere e dell’identità. E così comincia una timida ricerca: quella di molti ragazzi e ragazze che prima di gettare la spugna vogliono aver detto a se stessi di averle almeno provate tutte. Essere single, ovvero in una età che a spanne va dai 30 anni ai 43 anni, è una condizione piena di luci e ombre, che spaventa e attrae allo stesso tempo. Uscire con le amiche in pieno stile Sex and the city, sentirsi brillanti, belle, in carriera e incredibilmente glamour, illudersi di vivere circondato da donne sempre diverse come accade a George Clooney, sono cose che possono piacere a tutti e a volte, detto senza moralismi, anche dare un poco alla testa. A chi non piace la Dolcevita? Chi non ha provato l’ebbrezza di sentirsi un/una single ruggente e piena di speranze, col mondo in mano? D’altro canto, c’è da dire che dopo i 30 anni si affacciano problematiche che nel decennio precedente neanche ci sfioravano: il lavoro, la carriera e il successo sociale prendono sempre di più il sopravvento sul nostro tempo libero. Fatalmente il nostro giro si restringe e si conoscono sempre meno single, diventa più difficile trovare i posti giusti dove incontrare gente nuova. Insomma il tempo passa e si arriva ai 40 anni in un soffio senza avere incontrato la persona giusta. Gli amici e i tempi della scuola e dell’università sono lontani, e si cominciano a tirare le somme. La sensazione di stare per perdere il treno si fa più acuta, si guardano i coetanei con figli oppure già sposati e ci si sente estranei, spaesati e a disagio. Ma diciamo la verità: a chi non è capitato almeno una volta di vivere da single a Milano? E non sempre per scelta ma anche per necessità? E se oltre ad essere single si è anche ebrei, allora che accade? L’abbiamo chiesto direttamente a loro, ai ragazzi e ragazze single della Comunità di raccontarci cosa passa loro per la testa e per il cuore. “La vita è fatta di passaggi: essere single è necessario per crescere individualmente e poter passare a una fase successiva, quella di coppia; ma non bisogna forzare i tempi se non si vuole fallire e andare contro il destino”. Così Edoardo Fuchs, 35 anni, laureato in geografia all’Università di Genova e Nizza, collaboratore della società Lemor, racconta come vive la sua condizione. Davanti ad un buon cocktail entriamo in confidenza e cerchiamo di capirne di più. “Se poi consideriamo che a Milano ci sono 5000 ebrei, di cui solo 300 circa sono i giovani tra 18 e i 30 anni e meno di 200 frequentano la Comunità Ebraica, la possibilità d’incontrare una ragazza sono molto poche”. Fatalista, come lui stesso si definisce, Edoardo aspetta il momento di sentirsi pronto a un rapporto duraturo e confessa che per ora la sua relazione più lunga è durata sei mesi ma che “anche sei mesi sono tanti se non c’è domani. E se si capisce che la relazione non ha futuro, portarla avanti significherebbe solo fare del male agli altri e a se stessi”.Jack Roy Diwan invece ha 42 anni, è consulente finanziario, designer e presidente di una squadra di calcio a Milano. Da nove anni risiede in Svizzera, ma fa avanti e indietro da Milano. Dopo alcune storie con ragazze non ebree, nel 2000 decide di rinunciarci. “Cercare una storia con una ragazza che abbia la tua stessa identità richiede determinazione e tanta forza di volontà. Talvolta capita di pensare che sarebbe più semplice scendere a compromessi con la vita e accettare una relazione con una persona con la quale stiamo bene, magari anche innamorati, ma con la quale forse non potremmo condividere certe cose. Capita allora che ci si perda d’animo, ma non ci deve abbandonare la voglia e la speranza di trovare qualcuno giusto per noi. Credo che ne valga la pena. Anche se so che in certi casi può essere doloroso fare delle rinunce”.Contrariamente a Jack che dichiara senza problemi di amare la vita di coppia, Giada Menda, 34 anni, confessa che non disdegna lo stare da sola e dedicarsi al suo lavoro e ai suoi hobby. “Ho studiato alla scuola ebraica fino alla terza liceo, mi sono laureata in Diritto Internazionale in Cattolica e adesso lavoro come rappresentante marketing. Ho molte passioni e nel tempo libero sono educatrice di cani”. Giada ci spiega che ha avuto sia ragazzi ebrei sia non ebrei: “Amavo spiegare il senso delle nostre festività e quello della nostra identità, ma col passare del tempo mi sono resa conto che ci sarebbe sempre stata una grave mancanza, qualcosa che ci separava”.Indagando a “telecamere spente” (e per questo non possiamo riportare i nomi reali), abbiamo cercato di approfondire i lati più problematici che sono affiorati dalle tre interviste, scoprendone, a sorpresa, dei nuovi. Per prima cosa: “il numero di ebrei è esiguo e come se non bastasse negli ultimi 15 anni molti sono andati via da Milano, rendendo più difficile la ricerca di una compagna”. Così Ariel, 35 anni, commerciante, parla di un problema che tutti i single ebrei sentono fortemente. In secondo luogo: “la comunità di Milano è molto piccola e a volte chiusa: se si frequenta una ragazza, dopo poco si finisce sulla bocca di tutti. Questo inibisce e limita molto, senza poi parlare delle aspettative e delle pressioni che si scatenano. La sensazione è che nel mondo ebraico, qualsiasi flirt o storia non si possano prendere in modo leggero. Ma le cose, a volte, non cominciano proprio così, prima leggere e poi serie?”. In terzo luogo: “la mescolanza tra i vari gruppi di ebrei, una certa resistenza ai matrimoni tra le varie edot (persiani, libanesi, habad...), rimane un problema serio”, afferma Micol. Una faccenda legata alla questione dell’assimilazione, per cui le famiglie più ortodosse vogliono conservare la loro “purezza” dando i propri figli in sposi a parenti lontani pur di mantenere viva la propria comunità di origine. Infine l’ultima questione ce la spiega meglio Daniel, 40 anni, commerciante. “Il vero problema di Milano è che non c’è un vero ricambio di amicizie, poche facce nuove. Una volta la Comunità era più vicina alla realtà giovanile, ma poi con la chiusura del Centro Sociale si è creato un vuoto e la gente non ha più spazi di socializzazione, come accadeva una volta. E come se non bastasse c’è carenza di donne rispetto agli uomini”.“Il nostro obiettivo è quello di organizzare eventi che permettano ai giovani di incontrarsi. Sono eventi che coinvolgono in media 20/30 persone. Questo consente di conoscersi meglio e con più immediatezza. Efes2 ha una mailing list molto ampia, che include anche ebrei non particolarmente praticanti”, spiega Ronit Ezra dell’Ufficio Giovani della Comunità. Con questi eventi, dall’happy hour alle visite di mostre a Milano, si cerca di coinvolgere anche coloro che generalmente non frequentano la Comunità, dando una concreta e piacevole possibilità a chi è single di conoscere nuova gente. Il riscontro è buono, poiché, come afferma Ronit “nella maggior parte dei casi il fatto che l’altra persona non sia praticante non è un ostacolo”. Lea Malki, Monica Franco, Alessandra Varisco Franch
Newsletter Comunità ebraica Milano

domenica 19 aprile 2009

giardino botanico a Ein Ghedi (Neghev)

ROMA: ROSSIN (PDL), CITTADINANZA ONORARIA PER SOLDATO ISRAELIANO RAPITO DA 3 ANNI

Roma, 16 apr. - (Adnkronos) - ''E' stato approvato oggi, con 29 voti favorevoli, durante la seduta del Consiglio comunale, il conferimento della cittadinanza onoraria di Roma al soldato israeliano Gilad Shalit, del quale a piu' di tre anni dal rapimento ad opera della guerriglia di Hamas in territorio israeliano avvenuta il 25 giugno 2006, non si hanno notizie. Il sequestro ha suscitato sentimenti di sdegno a livello globale, toccando le coscienze civili e politiche, che si sono mobilitate in questi anni per la liberazione di Gilad Shalit''. Lo dichiara Dario Rossin, capogruppo Pdl in Consiglio comunale di Roma.''E' unanime la condanna di azioni di questo tipo - continua - che mettono in serio pericolo il processo di pace tra israeliani e palestinesi, andando contro la risoluzione 181 del 1947 dell'Assemblea Generale dell'Onu, che sancisce la costituzione di due stati e due popoli per Israele e per la Palestina. Facciamo nostro l'appello alla liberazione del giovane Gilad Shalit, richiamando la mozione approvata il 19 gennaio scorso, in cui si faceva appello anche al Governo italiano affinche' si adoperasse per la liberazione del soldato israeliano ostaggio di Hamas''.''Poiche' la Capitale e' per vocazione citta' del rispetto dei diritti umani e di coabitazione pacifica tra i popoli, Roma sara' onorata di annoverare tra i suoi cittadini la vittima di un cosi' grave dramma, nell'auspicio di una sua veloce messa in liberta''', conclude.

Pasta agli agretti


Questa ricetta può essere realizzata solo da febbraio all'inizio di giugno, perché gli agretti, detti anche barba di frate, si trovano in questo periodo.
INGREDIENTI: Spaghetti fini (800 g), agretti (2 mazzi abbondanti), ricotta da
grattare (300 g), olio extra vergine d’oliva (4 cucchiai), sale e pepe. PREPARAZIONE: Lavare gli agretti e lasciarli interi. Cuocere gli spaghetti e gli agretti insieme in acqua bollente e salata. Scolare il tutto e porre in una grande zuppiera con olio; mescolare bene e aggiungere abbondante ricotta grattugiata e pepe. Servire caldo. Beteavòn da Sullam n.29