mercoledì 15 ottobre 2008

16 ottobre 1943
NON C'È FUTURO SENZA MEMORIACOLORO CHE NON HANNO MEMORIA DEL PASSATO SONO DESTINATI A RIPETERLO


È il 16 ottobre del 1943, il "sabato nero" del ghetto di Roma. Alle 5.15 del mattino le SS invadono le strade del Portico d’Ottavia e rastrellano 1024 persone, tra cui oltre 200 bambini. Due giorni dopo, alle 14.05 del 18 ottobre, diciotto vagoni piombati partiranno dalla stazione Tiburtina. Dopo sei giorni arriveranno al campo di concentramento di Auschwitz in territorio polacco. Solo quindici uomini e una donna ritorneranno a casa dalla Polonia. Nessuno dei duecento bambini è mai tornato. Il 25 settembre del 1943, il tenente colonnello Herbert Kappler, capo delle SS a Roma, riceve l’ordine da Berlino di procedere al rastrellamento del Ghetto della capitale italiana. Il capitano decide però di non eseguire subito l’ordine. Insieme al console tedesco, Eitel Friedrich Moellhausen, assume sin dal principio un comportamento molto strano. I due uomini si rivolgono, all’indomani dell’ordine ricevuto da Berlino, al Feldmaresciallo Albert Kesserling, comandante delle truppe tedesche in Sud Italia, che non concede immediatamente l’appoggio militare all’operazione. L’oro di Roma: La sera stessa Kappler convoca a Villa Volkonsky, sede del comando tedesco a Roma, i massimi rappresentanti della comunità ebraica Ugo Foà, Presidente della Comunità Israelitica di Roma e Dante Almansi, Presidente della Unione delle Comunità Israelitiche Italiane, per ricattarli. La richiesta è cinquanta chili d’oro in cambio della salvezza. La consegna dell'oro avviene non già a Villa Volkonsky ma a Via Tasso, e precisamente al numero 155, che non era ancora il famigerato carcere delle SS, luogo di torture e terrore che diventerà in seguito, ma formalmente “l'Ufficio di Collocamento dei Lavoratori italiani per la Germania” (è ora sede del Museo Storico della Liberazione). Kappler non si presenta. Non vuole abbassarsi alla formalità di ricevere quell'oro che ha estorto. Si fa sostituire da un ufficiale di grado inferiore, il capitano Kurt Schutz. La pesatura viene eseguita con una bilancia della portata di 5 chili. Ogni pesata viene registrata contemporaneamente da Dante Almansi e da un ufficiale tedesco, che si trovano alle due estremità del tavolo. Alla fine dell'operazione, mentre Almansi ha segnato dieci pesate, il capitano Schutz dichiara risentito che le pesate sono nove. Le proteste di tutti gli ebrei presenti irritano ancor di più il capitano che si oppone anche a quella che era la via più semplice per sciogliere ogni dubbio, cioè ripetere l'operazione. Finalmente, di fronte alle vive insistenze da parte ebraica, il capitano Schutz dà l'ordine di ripetere le pesate. I chili sono 50. La retata: La comunità non è, ovviamente, al corrente dell’accordo che i due hanno già fatto con Kesserling. Non può sapere che già è stato deciso di non portare avanti l’ordine di Berlino, almeno fino a quel momento. Kappler mente a tutti, mentirà anche durante il processo a suo carico. La città e il Vaticano si mobilitano per aiutare gli ebrei, l’oro è consegnato nei tempi prestabiliti e la comunità si sente finalmente al sicuro. Ma ai primi di ottobre il governo tedesco invia a Roma il Capitano delle SS Theo Dannecker per procedere alla deportazione e velocizzare i tempi. Dannecker è un “esperto” di fiducia di Eichmann che aveva dato il via ai rastrellamenti di Parigi. Grazie ai documenti ritrovati negli archivi degli Stati Uniti, si scopre ora che Kappler e Moellhausen temevano la reazione dei carabinieri se si fosse proceduto al rastrellamento. Ma a Dannecker questo aspetto non spaventa e organizza la retata. Cosa ne fu allora degli ebrei del ghetto di Roma? Abbandonati al loro destino, non ebbero più scampo. Dal Collegio Militare su Via della Lungara furono tradotti alla stazione Tiburtina, e da lì ad Auschwitz. (tratto da La storia siamo noi di Giovanni Minoli) http://www.giorgioperlasca.it/

La tigre sotto la pelle


di Zvi Kolitz, a cura di Vincenzo Pinto
Bollati Boringhieri Euro 14

E’ il mistero del Male Assoluto che aleggia in questa raccolta di racconti dello scrittore ebreo Zvi Kolitz, un autore capace come pochi altri di dare forma narrativa all’orrore e alla sofferenza del popolo ebraico durante l’Olocausto.
Nato nel piccolo villaggio lituano di Alytus nel 1913, militante sionista e membro dell’Irgun, insegnante di studi biblici alla Yeshivà University di New York, città dove approda dopo aver girato il mondo, Kolitz è conosciuto in Italia per il monologo di Yossl Rakover che negli ultimi istanti di vita nel ghetto di Varsavia si rivolge a Dio con parole accorate chiamandolo in causa per il suo silenzio di fronte al trionfo dell’orrore. Questa apostrofe a Dio che è al tempo stesso invettiva, preghiera e sfida è divenuta simbolo, lascito testamentario di chi si ribella contro l’iniquità.La raccolta di racconti “La tigre sotto la pelle” edita per la prima volta in Italia da Bollati Boringhieri (ad eccezione di “Yossl Rakover si rivolge a Dio”, apparso alcuni anni fa presso Adelphi) fu pubblicata nel 1947 a New York e rappresenta il primo tentativo di “narrare” la Shoah.In un mondo ancora pervaso dall’orrore dell’Olocausto, queste pagine scavano con potenza narrativa nelle vite tormentate di coloro che stavano affrontando, sgomenti e increduli, la ferocia nazista, la realtà dei campi di morte e il problema di come resistervi.
Sono pagine piene di sofferenza, di morte, pervase da un’atmosfera surreale dove i protagonisti, figure ricche spiritualmente e delineate con grande incisività dall’autore, esprimono sentimenti forti e si lasciano sopraffare dal dolore e dalla follia. Non sono vincenti da un punto di vista “fisico” perché la loro vittoria, tutta morale, consiste nel prevalere dello spirito sulla barbarie umana. Non si vendicano dei soprusi subiti dai nazisti perché la loro vittoria risiede nella presa di coscienza e nell’accettazione di una identità ebraica di cui sentono orgogliosi.
E’ quindi “la cupa accettazione del fato dell’ebraismo europeo” che emerge nelle parabole di Zvi Kolitz. Nella “Fine di una famiglia” la scelta del medico Bernhard van Merlo di morire nel campo di sterminio racchiude l’identificazione con il destino del suo popolo; in “Ceneri” l’eccessivo amore materno di Rachel Dworkin per il figlio sedicenne la condurrà a distruggere la vita del ragazzo e poi alla follia; in “Sulla strada luminosa” Jacob Rabin dopo la cupa disperazione per la perdita dell’amata intravede una luce dall’abisso della prigione, grazie alla devozione dei suoi compagni.
Costruite intorno a trame piuttosto scarne, con uno stile narrativo esplicito e a volte crudo, queste storie dalle tinte fosche vibrano per la tensione e il senso incombente di tragedia rappresentando un impareggiabile affresco della cultura occidentale, del mondo della Diaspora e di quella immensa tragedia che fu l’Olocausto.Un libro indimenticabile quello di Zvi Kolitz che sa raccontare la forza delle emozioni attraverso la dura concretezza delle parole. Giorgia Greco

martedì 14 ottobre 2008


Yad Vashem

Francesco Repetto

Don Francesco Repetto (Genova, ...) è un presbitero italiano, annoverato tra i giusti tra le nazioni per la sua azione a favore degli ebrei durante l'Olocausto e per il ruolo dirigente nell'organizzazione clandestina di soccorso DELASEM, che contribuì alla salvezza di migliaia di ebrei in Italia durante l'occupazione tedesca.Da giovane ha svolto studi nell'Università Gregoriana. A Roma fu conobbe e divenne amico del monsignor Giovanni Battista Montini (noto in futuro con il nome di Papa Paolo VI).Divenuto sacerdote nel 1938 e due anni dopo, nel 1940 ottenne lavoro come segretario di Pietro Boetto. Genova era nel frattempo divenuta nel dicembre 1939 la sede centrale della DELASEM, un'organizzazione legale ebraica presieduta da Lelio Vittorio Valobra, dedicata al sostegno dei sempre più numerose profughi ebrei in Italia.
a partire dall'8 settembre 1943 durante l'occupazione tedesca, ebrei, italiani e stranieri, nei territori della Repubblica Sociale Italiana venivano sistematicamente deportati. Prima di espatriare in Svizzera, Valobra si rivolse al cardinale Boetto con la richiesta di unire l'attività dell'organizzazione DELASEM, costretta alla clandestinità, a quella della Curia genovese, Repetto si avvalse allora dell'aiuto di Massimo Teglio, chiamato la "primula rossa" degli ebrei di Genova. Teglio organizzava nascondigli in abitazioni private e in case religiose, procurava carte di identità false, mentre don Repetto fungeva da cassiere per la raccolta e la distribuzione del denaro che arrivava alla DELASEM dalla Svizzera attraverso l'American Jewish Joint Distribution Committee.Nel(1944) l'intervento del Nunzio Apostolico di Berna, il monsignor Filippo Bernardini fu rislutivo nei rapporti fra Valobra (stabilitosi a Zurigo) e don Repetto che si trovava ancora a Genova. Alla Curia di Genova continuavano a giungere da monsignor Montini anche le numerose lettere inviate in Vaticano da ebrei alla ricerca di notizie di parenti e conoscenti al nord dell'Italia.Don Repetto trovò appoggio in autorità religiose ebraiche e cristiane: in particolare i rabbini Raffele Pacifici a Genova e Nathan Cassato a Firenze (fino alla loro deportazione) e i vescovi Pietro Boetto a Genova, Elia Dalla Costa a Firenze, Giuseppe Placido Nicolini ad Assisi, Maurilio Fossati a Torino, Alfredo Ildefonso Schuster a Milano e Antonio Torrini a Lucca.
Per poter gestire la non facile operazione di distribuire i fondi ricevuti laddove essi fossero necessari, don Repetto poté avvalersi della collaborazione d'alcuni volenterosi "corrieri di valuta", ebrei come Raffaele Cantoni, Giorgio Nissim o Salvator Jona, ma soprattutto, grazie al sostegno offerto a livello locale del cardinale Boetto, un nutrito gruppo di sacerdoti genovesi: don Giovanni Cicali, don Giovanni De Micheli, don Alessandro Piazza (che sarà poi Vescovo di Albenga), don Gian Maria Rotondi, don Carlo Salvi, don Natale Traverso, don Raffaele Storace e don Giuseppe Viola. I sacerdoti furono inviati in missione in diverse curie episcopali, in Toscana, Umbria, Marche, Piemonte, Valle d'Aosta, Lombardia e Veneto, in visite accuratamente pianificate da don Repetto.
La catena di solidarietà che da Genova si estendeva ai centri locali, consentì per tutta la durata dell'occupazione tedesca un periodico e quasi regolare arrivo di fondi che si rivelarono essenziali a garantire la sopravvivenza di migliaia di ebrei nel Centro-Nord dell'Itlia. Con Milano don Repetto era in contatto con don Giuseppe Bicchierai che, oltre a far parte della Segreteria del card. Schuster, era cappellano alle carceri di San Vittore. Con Torino i contatti erano con monsignor Vincenzo Barale, Segretario del card. Fossati. A Firenze il cardinale Dalla Costa aveva delegato il suo segretario particolare, monsignor Giacomo Meneghello e il Rettore del Seminario, monsignor Enrico Bartoletti con la collaborazione, fra gli altri, di don Leto Casini, padre Cipriano Ricotti, don Giulio Facibeni, Giorgio La Pira e Adone Zoli.La lista dei referenti locali è lunga: don Raimondo Viale a Borgo San Dalmazzo, don Bruno Beccari e Giuseppe Moreali a Nonantola, Giorgio Nissim e don Arturo Paoli a Lucca, Mario Finzi a Bologna, i padri Aldo Brunacci e Rufino Nicacci a Assisi, padre Benedetto Maria, Settimio Sorani, Angelo De Fiore e Giuseppe Levi a Roma. Fra le persone note che collaborarono al progetto si ritrova anche il nome del ciclista Gino Bartali.
Repetto decise di rifugiarsi in montagna per evitare di essere catturato e processato per i suoi interventi, trovando riparo sicuro in Val Bisogno, presso Molassana nel luglio 1944. La collaborazione con don Carlo Salvi continuava, e in seguito fece compagnia al cardinale Boetto, fino al sopraggiungere della sua morte (avvenuta nel 1946).Nel 1955, fu premiato con una medaglia d'oro dall'Unione delle Comunità Israelitiche Italiane, nella motivazione si leggeva:
« Don Francesco Repetto, segretario dell'Arcivescovo di Genova, dopo l'8 settembre 1943, si assunse il compito di proseguire nella clandestinità l'opera ardua e difficile ad allora condotta dalla delegazione assistenza emigrati ebrei (DELASEM), cessata a seguito dell'occupazione nazista. In tale sua opera nobilissima, non curante di numerose denunce, minacce e ordini di cattura, ai quali riuscì fortunatamente a sottrarsi, creò una vera e propria organizzazione per la distribuzione di viveri, per il ricovero in luoghi sicuri, per l'emigrazione, riuscendo a recare aiuto a centinaia di perseguitati. »Il 29 aprile 1976, don Repetto riceveva quindi l'onorificenza di giusto tra le nazioni dall'Istituto Yad Vashem di Gerusalemme. http://it.wikipedia.org/

Yad Vashem

I Giusti d’Italia che scelsero la banalità del Bene

A come Aceti Giuseppina, B come Bartoleschi Vincenzo, C come Caronia Giuseppe: sono alcuni dei quasi quattrocento italiani che hanno aiutato gli ebrei in difficoltà in un’Italia che improvvisamente aveva abbracciato l’antisemitismo durante il regime fascista. I cittadini italiani di religione ebraica che fino a quel momento erano ben integrati nel tessuto sociale, di colpo divennero le vittime incolpevoli di un’epoca che aveva smarrito la propria coscienza. La campagna razziale ormai tristemente nota del 1938 sorprese sia gli ebrei che gli italiani non ebrei: bambini, ragazzi e insegnanti espulsi dalle scuole pubbliche, ebrei stranieri allontanati dal suolo italiano, in un crescendo di leggi e circolari ministeriali che avvelenarono la vita di chi faceva parte di una «razza» considerata sgradita. Tutto ciò avveniva mentre il Paese era alleato con la Germania nazista che perseguiva, riguardo agli ebrei, una spietata politica discriminatoria. Ma se l’avversione tedesca nei confronti del popolo ebraico era dettata da razzismo biologico e sconfinò nella tragedia della soluzione finale, l’Italia fascista - nonostante avesse elaborato una propria politica antiebraica di cui non si cancellano le responsabilità - era tuttavia lontanissima dall’idea di ricorrere a uno sterminio di massa. Il clima che gli ebrei italiani respiravano era complesso, carico di luci e ombre, in un singolare miscuglio di benevolenza e tradimento, di persecuzione e aiuto.Ed è proprio alla straordinaria solidarietà di molti italiani coraggiosi che si rivolge il libro I Giusti d'Italia. I non ebrei che salvarono gli ebrei, 1943-45, uno degli otto volumi dell’Enciclopedia dei Giusti fra le nazioni, compilata dallo Yad Vashem, l’Istituto della memoria della Shoah in Israele (edito da Mondadori, con il messaggio del presidente Ciampi, un’introduzione del ministro Fini, la postfazione di Liliana Picciotto e una serie di interventi di studiosi dello Yad Vashem): un’opera di grande rilievo storico e umano che racconta le vicende di uomini e donne che salvarono uno o più ebrei e misero a rischio la loro stessa esistenza.Ma chi erano i Giusti? Chi erano queste persone, per lo più sconosciute, che seppero proteggere il valore e la dignità dell’uomo in un periodo oscuro della storia europea, al contrario di chi invece non assumeva rischi con l’alibi di non poter incidere su una simile realtà? (un atteggiamento che equivaleva a un «silenzio-assenso»). «Il Giusto - scrive Avner Shalev, presidente del Comitato di direzione di Yad Vashem - simboleggia l’essere umano, l’essenza stessa dell’idea del libero arbitrio dell’uomo di scegliere il bene contro il male e di non restare indifferente». In una sorta di «elenco del bene», scorrono i nomi e i volti anonimi e un po’ sfuocati di quei Giusti italiani riconosciuti dallo Yad Vashem (ma ci sono altri casi ancora in esame), frutto di una procedura scrupolosa e complessa, finalizzata ad accertare la verità dei fatti; volti rigorosamente allineati in ordine alfabetico, che raccontano storie simili e diverse da quelle già note al grande pubblico, come quelle di Schindler, Perlasca e Peshev. Basta aprire il libro ed ecco sfilare le vicende tratte dalle testimonianze dei sopravvissuti, segnate da successi e fallimenti, spesso commoventi di persone di ogni fede e ceto sociale, anziani, giovani, parroci, suore, atei, antifascisti e fascisti; addirittura di soccorritori antisemiti disgustati dai crimini nazisti e di coloro che erano supposti di essere i «persecutori», come funzionari di polizia, carabinieri, finanzieri e perfino «camicie nere», all’occasione capaci di chiudere un occhio. Italiani brava gente insomma, uniti in un esemplare concorso di buone azioni come trovare documenti falsi, finte tessere annonarie, rifugio, cibo e nell’accompagnare i clandestini alla frontiera italo-svizzera.Uno di loro, il dottor Arnaldi, accompagnò alcuni ebrei al confine: morì combattendo contro i tedeschi nel ’44. Un altro eroe fu l’avvocato Giuseppe Brusasca che creò una rete di resistenza nel Monferrato. Salvò la famiglia Foa di Casale, i Sacerdote di Milano e i Donati di Modena: di quest’ultimo riuscì a salvare parte delle proprietà trasferendole a suo nome. Nascondere bambini era particolarmente rischioso: Ida Brunelli in Lenti, di 15 anni, faceva la bambinaia presso una famiglia di rifugiati ungheresi, salvò la vita a tre bambini a lei affidati. Nonostante il silenzio ufficiale del Vaticano sulla Shoah, furono molti i sacerdoti e le suore che nascosero gli ebrei nei monasteri, negli orfanotrofi e altre istituzioni ecclesiastiche nell’Italia occupata. Uno fra tutti Padre Benedetto Maria che a Roma trasformò il convento dei cappuccini in via Sicilia in un centro di transito e di assistenza per centinaia di ebrei e rifugiati che si opponevano al nazismo. Ci furono poi i contadini come Attilio e Lidia Pigliapoco, che gestivano la proprietà dei Morpurgo nel paesino di Polverigi, vicino ad Ancona, e salvarono i loro datori di lavoro. Ci furono medici che curarono ebrei nascosti sotto falsa identità: a Roma, il noto pediatra Giuseppe Caronia, evitò la deportazione a dozzine di ebrei ricoverandoli in ospedale. Ma anche le autorità fecero la loro parte rischiando la carriera: Carlo Ravera, maresciallo dei carabinieri di Alba, in provincia di Cuneo, fu fondamentale nel salvataggio di dodici famiglie ebree, per lo più profughi jugoslavi.Ne Il libro della memoria. Gli ebrei deportati dall'Italia, 1943-1945 (Mursia, 2002), Liliana Picciotto scrive che durante l’occupazione tedesca su 33.360 ebrei italiani e 1.900 del Dodecaneso, 8.869 furono deportati nei lager. Di essi 7.860 perirono. Solo un piccolo numero trovò la morte sul suolo italiano (303 persone). La percentuale di sopravvissuti in Italia fu alta proprio per la grande solidarietà della popolazione. Di fronte allo stupore dei media o dei curiosi nei confronti del coraggio e dell’eticità delle loro azioni, i Giusti quasi sempre hanno manifestato uno stupore ancora maggiore. Quasi sempre dichiarano di non aver fatto nulla di speciale: «È stata poca cosa e del tutto naturale - è la frase ricorrente - che cosa avreste fatto, voi, al posto mio?». 24 gennaio 2006, http://www.ilgiornale.it/

Yad Vashem

Roberto Castracane


Durante la seconda guerra mondiale, a Villa Santa Maria, un comune di 1.435 abitanti della provincia di Chieti, erano presenti in paese alcune famiglie di profughi ebrei stranieri in domicilio coatto, che fraternizzarono con la popolazione locale. All'arrivo delle truppe tedesche nel 1943, il podestà Roberto Castracane negò recisamente che ebrei fossero ancora presenti in paese pur essendo a conoscenza che almeno una famiglia di essi, gli Steinberg, era nascosta presso la famiglia Piccone. Non appena - dopo un mese - le truppe tedesche lasciarono il paese, la famiglia Steinberg fu guidata a attraversare le linee e a raggiungere gli Alleati. Per questo impegno di solidarietà, il 16 aprile 1978, l'Istituto Yad Vashem di Gerusalemme ha conferito a Roberto Castracane l'alta onorificenza dei Giusti tra le Nazioni. http://it.wikipedia.org/


Giacomo Bassi

Giacomo Bassi (1886 – 1968) è stato un funzionario italiano. È stato proclamato Giusto tra le Nazioni per aver salvato i cinque componenti di una famiglia di ebrei milanesi dai rastrellamenti che insanguinavano l'Europa durante la seconda guerra mondiale (l'Olocausto).Giacomo Bassi nacque il 18 marzo 1886 a Gottro, piccola comunità affacciata sul Lago di Como situata sulle Prealpi Lepontine e frazione del Comune di Carlazzo. Già il padre esercitava la professione nell'Amministrazione pubblica ricoprendo anch'esso la carica di segretario comunale. Frequentò il Collegio dei Salesiani di Sondrio, dove conseguì il diploma di geometra.
Durante la prima guerra mondiale fu inviato sul fronte come Ufficiale di fanteria addetto agli approvvigionamenti del battaglione. Al termine della prima guerra mondiale si iscrisse alla Facoltà di Farmacia presso l'ateneo di Pavia, conseguendo la Laurea nel 1927. Intraprese successivamente la carriera professionale nella pubblica Amministrazione, in qualità di segretario comunale. Nel 1930 ottenne una seconda Laurea in veterinaria.Nel 1942 Giacomo Bassi fu trasferito dal comune di Brugherio a quello di San Giorgio su Legnano, dove rimase fino al 1945. Fu segretario comunale a San Giorgio su Legnano e Canegrate tra il 1943 e il 1945. Durante questo incarico, nascose una famiglia di ebrei milanesi (la famiglia Contente: genitori e tre figli) nella scuola primaria di San Giorgio su Legnano (attuale sede del Municipio), fornendo loro documenti di identità falsi e continua assistenza morale e materiale per quindici mesi fino alla Liberazione.Giacomo Bassi morì nel 1968, e fu tumulato nel cimitero del suo paese natale, Gottro.Per la sua generosa azione, il 6 settembre 1998 lo Stato d'Israele conferì a Giacomo Bassi il massimo riconoscimento, proclamandolo Giusto tra le Nazioni a Yad Vashem.

Giorgio Perlasca


L’infanzia e la giovinezza: Giorgio Perlasca nasce a Como il 31 gennaio 1910. Dopo qualche mese, per motivi di lavoro del padre Carlo, la famiglia si trasferisce a Maserà in provincia di Padova.Negli anni Venti aderisce con entusiasmo al fascismo, in particolar modo alla versione dannunziana e nazionalista. Tanto che per sostenere le idee di D’Annunzio litiga pesantemente con un suo professore che aveva condannato l’impresa di Fiume, e per questo motivo è espulso per un anno da tutte le scuole del Regno.Gli anni Trenta: Coerentemente con le sue idee, parte come volontario prima per l’Africa Orientale e poi per la Spagna, dove combatte in un reggimento di artiglieria al fianco del generale Franco.Tornato in Italia al termine della guerra civile spagnola, entra in crisi il suo rapporto con il fascismo. Essenzialmente per due motivi: l’alleanza con la Germania, contro cui l’Italia aveva combattuto solo vent’anni prima, e le leggi razziali entrate in vigore nel 1938 che sancivano la discriminazione degli ebrei italiani. Smette perciò di essere fascista, senza però mai diventare un antifascista.Gli anni di Budapest: Scoppiata la seconda guerra mondiale, è mandato come incaricato d’affari con lo status di diplomatico nei paesi dell’Est per comprare carne per l’Esercito italiano.L’Armistizio tra l’Italia e gli Alleati (8 settembre 1943) lo coglie a Budapest: sentendosi vincolato dal giuramento di fedeltà prestato al Re rifiuta di aderire alla Repubblica Sociale Italiana, ed è quindi internato per alcuni mesi in un castello riservato ai diplomatici.Quando i tedeschi prendono il potere (metà ottobre 1944) affidano il governo alle Croci Frecciate, i nazisti ungheresi, che iniziano le persecuzioni sistematiche, le violenze e le deportazioni verso i cittadini di religione ebraica.Si prospetta il trasferimento degli internati diplomatici in Germania. Approfittando di un permesso a Budapest per visita medica Perlasca fugge. Si nasconde prima presso vari conoscenti, quindi grazie a un documento che aveva ricevuto al momento del congedo in Spagna trova rifugio presso l’Ambasciata spagnola, in pochi minuti diventa cittadino spagnolo con un regolare passaporto intestato a Jorge Perlasca, e inizia a collaborare con Sanz Briz, l'Ambasciatore spagnolo che assieme alle altre potenze neutrali presenti (Svezia, Portogallo, Svizzera, Città del Vaticano) sta già rilasciando salvacondotti per proteggere i cittadini ungheresi di religione ebraica.A fine novembre Sanz Briz deve lasciare Budapest e l’Ungheria per non riconoscere de jure il governo filo nazista di Szalasi che chiede lo spostamento della sede diplomatica da Budapest a Sopron, vicino al confine con l’Austria.Il giorno dopo, il Ministero degli Interni ordina di sgomberare le case protette perché é venuto a conoscenza della partenza di Sanz Briz.È qui che Giorgio Perlasca prende la sua decisione: “Sospendete tutto! State sbagliando! Sanz Briz si è recato a Berna per comunicare più facilmente con Madrid. La sua è una missione diplomatica importantissima. Informatevi presso il Ministero degli Esteri. Esiste una precisa nota di Sanz Briz che mi nomina suo sostituto per il periodo della sua assenza”.E’ creduto e le operazioni di rastrellamento vengono sospese.Il giorno dopo su carta intestata e con timbri autentici compila di suo pugno la sua nomina ad Ambasciatore spagnolo e la presenta al Ministero degli Esteri dove le sue credenziali vengono accolte senza riserve.Dicembre 1944 – Gennaio 1945: i 45 giorni di Jorge Perlasca: Nelle vesti di diplomatico regge pressoché da solo l’Ambasciata spagnola, organizzando l’incredibile “impostura” che lo porta a proteggere, salvare e sfamare giorno dopo giorno migliaia di ungheresi di religione ebraica ammassati in “case protette” lungo il Danubio.Li tutela dalle incursioni delle Croci Frecciate, si reca con Wallenberg, l’incaricato personale del Re di Svezia, alla stazione per cercare di recuperare i protetti, tratta ogni giorno con il Governo ungherese e le autorità tedesche di occupazione, rilascia salvacondotti che recitano “parenti spagnoli hanno richiesto la sua presenza in Spagna; sino a che le comunicazioni non verranno ristabilite ed il viaggio possibile, Lei resterà qui sotto la protezione del governo spagnolo”.Li rilascia utilizzando una legge promossa nel 1924 da Miguel Primo de Rivera che riconosceva la cittadinanza spagnola a tutti gli ebrei di ascendenza sefardita (di antica origine spagnola, cacciati alcune centinaia di anni addietro dalla Regina Isabella la Cattolica) sparsi nel mondo.La legge Rivera è dunque la base legale dell’intera operazione organizzata da Perlasca, che gli permette di portare in salvo 5218 ebrei ungheresi.La Shoah in Ungheria: Sino alla Prima Guerra Mondiale gli ebrei si sentivano ed erano pienamente integrati (nel 1910 erano 911.227 il 4,3% della popolazione della Grande Ungheria) con un volontario processo di "magiarizzazione" in tutti i campi. Questa fedeltà alla nazione e fervente patriottismo ottenne in cambio un'attenzione particolare nel reprimere ogni atteggiamento antisemita. Questo rapporto di amicizia con il popolo ungherese iniziò ad incrinarsi subito dopo la sconfitta del 1918. L'Ungheria con il Trattato di Trianon" dovette cedere oltre i due terzi del suo territorio e circa 14 milioni di abitanti. In tale atmosfera maturarono una serie di movimenti ultranazionalistici il cui scopo principale fu quello di trovare un colpevole a cui attribuire le responsabilità di tale situazione. Il capro espiatorio fu trovato negli Ebrei. Venne introdotto nel 1920 il "Numerus clausus", stabilendo che la percentuale degli ebrei ammessi a frequentare le scuole superiori e le università non potesse superare il 6% del totale degli iscritti. Negli anni '30 vi fu un sostanziale avvicinamento con la Germania nazista e nel triennio 1938-41 furono promulgate tre leggi razziali sul modello delle leggi di Norimberga. La politica verso gli Ebrei si caratterizzò da accelerazioni e rallentamenti determinati innanzitutto dagli interessi della politica ungherese che li usava come merce di scambio per ottenere "favori" da Hitler. L'Ungheria, dopo aver recuperato la quasi totalità dei territori perduti con il Trattato di Trianon, esauriva il desiderio di collaborare pienamente con i Tedeschi e di fare alla Germania ulteriori concessioni sulla "questione ebraica". Ma quando nel giugno 1941 l'Ungheria entrò in guerra alleata alla Germania, le condizioni degli Ebrei peggiorarono notevolmente. I cittadini ebrei dai 22 anni in avanti dovettero prestare servizio nei "Battaglioni di lavoro" in abiti civili e un collare al braccio che li identificasse come ebrei. Peggiorando le sorti della guerra, l'Ungheria tentò di riprendersi una autonomia consumando la rottura totale nel settembre 1943 quando riconobbe la legittimità del governo italiano di Badoglio ma soprattutto quando prese posizione in difesa degli Ebrei. A quel punto l'unica soluzione valida per la Germania fu quella di rovesciare il governo ungherese e l'operazione "Margarethe I" fu il nome in codice scelto per l'occupazione del Paese (12 marzo 1944) e il 22 venne nominato un governo gradito ai Tedeschi. In quei giorni Eichmann e i suoi più fidati collaboratori arrivarono in Ungheria e il 28 aprile partirono i primi convogli: in meno di tre mesi Eichmann riuscì a deportare oltre 300.000 persone verso i campi di sterminio. Il 6 giugno lo sbarco in Normandia degli Alleati apriva un nuovo fronte di guerra: Horthy, il Reggente, sempre più preoccupato chiese il ritiro delle truppe tedesche senza risultato. Il 28 agosto l'Armata rossa raggiungeva la Transilvania minacciando direttamente l'Ungheria. Horthy tentò di trattare una pace separata. L'11 ottobre accettava le condizioni imposte dai Russi e il 15 annunciò l'armistizio alla radio. I nazisti ungheresi, le croci frecciate, spalleggiati dai tedeschi, occuparono la sede della radio annunciando che Horthy era stato deposto incitando la popolazione ungherese a continuare la lotta a fianco dei Tedeschi. A Budapest si trovavano tra i 150.000 e i 160.000 Ebrei ed altrettanti sopravvivevano ancora nel resto dell'Ungheria utilizzati nei "Battaglioni di lavoro". Il 17 Eichmann tornava a Budapest per riprendere l'opera lasciata interrotta pochi mesi prima. Il 21 squadre di nylas iniziavano a rastrellare casa per casa gli Ebrei di Budapest. Molti vennero impegnati in lavori disumani in città, altri organizzati in 70 "Battaglioni di lavoro" e mandati in Germania, a piedi, oltre 200 chilometri in 7 giorni, al freddo e senza cibo. Chi non resisteva veniva ucciso. Altri inviati nei campi di sterminio, altri uccisi e gettati nel Danubio, altri concentrati nel Ghetto a morire di stenti. Alla liberazione dei 786.555 ebrei ungheresi (censimento del 1941) solo 200.000 sopravvissero
Il ritorno a casa: Dopo l’entrata in Budapest dell’Armata Rossa, Giorgio Perlasca viene fatto prigioniero, liberato dopo qualche giorno, e dopo un lungo e avventuroso viaggio per i Balcani e la Turchia rientra finalmente in Italia.Da eroe solitario diventa un “uomo qualunque”: conduce una vita normalissima e chiuso nella sua riservatezza non racconta a nessuno, nemmeno in famiglia, la sua storia di coraggio, altruismo e solidarietà.Gli anni Ottanta: la scoperta di un uomo Giusto: Grazie ad alcune donne ebree ungheresi, ragazzine all’epoca delle persecuzioni, che attraverso il giornale della comunità ebraica di Budapest ricercano notizie del diplomatico spagnolo che durante la seconda guerra mondiale le aveva salvate, la vicenda di Giorgio Perlasca esce dal silenzio.Le testimonianze dei salvati sono numerose, arrivano i giornali, le televisioni, i libri, e lo stesso Perlasca si reca nelle scuole per raccontare quel che aveva compiuto. Non certo per protagonismo, ma proprio perché ritiene necessario rivolgersi alle giovani generazioni affinché tali follie non abbiano mai più a ripetersi.Giorgio Perlasca è morto il 15 agosto del 1992. È sepolto nel cimitero di Maserà, a pochi chilometri da Padova. Ha voluto essere sepolto nella terra con al fianco delle date un’unica frase: “Giusto tra le Nazioni”, in ebraico.
Le onorificenze:Una volta emersa la vicenda, Giorgio Perlasca riceve numerose onorificenze, a cominciare da Israele che, concedendogli la cittadinanza onoraria, nel 1989 lo proclama Giusto tra le Nazioni e lo invita a Gerusalemme a piantare nel Giardino dei Giusti l’albero che porta il suo nome.A ruota seguono altri Paesi: l’Italia gli conferisce la Medaglia d’Oro al Valor Civile ed il titolo di Grande Ufficiale della Repubblica; l’Ungheria gli assegna la massima onorificenza nazionale, la Stella al Merito, durante una sessione speciale del Parlamento; la Spagna, l’onorificenza di Isabella la Cattolica; gli Stati Uniti nel 1990 lo invitano a posare la prima pietra del Museo dell'Olocausto di Washington.Innumerevoli sono anche i riconoscimenti di associazioni e fondazioni private, così come in moltissime città italiane vi sono vie e piazze che portano il suo nome. http://www.giorgioperlasca.it/

traffico a Daliat Karmel

Auto elettrica, è in Israele la terra promessa

Lo tsunami finanziario sequestra le prime pagine: sembrano lontani i giorni del petrolio a 140 dollari, si attenua l'impulso verso le emissioni zero. Ma i trend di fondo persistono: Cina, India, Brasile e Russia continuano a crescere e hanno fame di energia; le tensioni geopolitiche nelle zone del petrolio e degli oleodotti (Iran, Georgia, prossimamente Crimea...) covano sotto la cenere in attesa dell'esito delle elezioni americane; entro l'anno avremo le norme europee di controllo delle emissioni.In questo quadro, il progetto Renault-Israele "Better Place" è un elemento di novità concreta e proietta scenari interessanti. Lo spettro del "supply crunch" con il barile a 200 dollari a breve termine è meno sbandierato ma non per questo meno realistico. Le nuove grandi scoperte di olio e gas (in Brasile, sotto l'Artico, nel Mare di Barents) cambiano la stima delle riserve e la graduatoria dei Paesi produttori, ma i costi di esplorazione e produzione sono enormi e il prezzo del prodotto sarà sostanzialmente superiore a quello arabo............Israele è un "best fit" per un progetto pilota che propone di pagare a chilometro l'energia consumata. In Israele la percorrenza media è inferiore a 70 km, le città sono relativamente vicine e il circolante è inferiore ai due milioni di veicoli. Piccole distanze, piccolo mercato, forti incentivi per l'auto a impatto zero, insieme alla volontà di ridurre la dipendenza dal petrolio e a grandi potenzialità di sviluppo della generazione fotovoltaica.Insomma, il laboratorio perfetto per un esperimento innovativo. Il progetto Renault-Nissan-Agassi è un'applicazione esemplare del precetto della Blue Ocean Strategy: come recuperare il tempo perduto mettendosi nelle condizioni migliori e con i minimi rischi. In mercati più grossi gli investimenti nella struttura distributiva sarebbero inavvicinabili. Già in Israele si parla di 500mila stazioni di ricarica (numero che sembra francamente eccessivo, ndr) ed emerge che il posizionamento delle batterie sotto il veicolo implica servomeccanismi specifici per ciascun modello, con moltiplicazione dei costi e della complessità di servizio..............13 ottobre 2008. http://www.ilsole24ore.com/


Israele-Italia verso tutto esaurito

(ANSA) - TEL AVIV, 13 OTT - Si va verso il tutto esaurito, a Tel Aviv, per Israele-Italia, ritorno dello spareggio che vale la qualificazione all'Europeo Under 21. Ottomila biglietti sono gia' stati venduti e mercoledi' sulle tribune dello stadio Blumfield di Ramat Gan si dovrebbe raggiungere la capienza massima di 15mila spettatori. Per l'occasione il prezzo di biglietti e' calato a 10 shekel, l'equivalente di due euro. L'andata, finita 0-0, si e' giocata sabato ad Ancona.

Matthaeus arrestato in Israele Il tecnico aveva il visto scaduto

Brutta avventura per Lothar Matthaeus. L'ex giocatore di Inter e Bayern Monaco, oggi allenatore del Maccabi Netanya, è stato arrestato all'aeroporto "Ben Gurion" di Tel Aviv perché non in possesso del permesso di lavoro richiesto e il suo visto da turista era scaduto. Ci sono volute parecchie ore e telefonate, tra cui quelle di alcuni politici locali, per risolvere la situazione e far rilasciare il tecnico.La disavventura di Matthaeus è accaduta lo scorso venerdì, ma è stata raccontata solo oggi dal magazine tedesco "Kicker". "Non mi era mai successo di essere in club incapace di risolvere una questione da poco come questa", siè sfogato Matthaeus, in Israele da tre mesi.Alla fine al tecnico è stato prolungato il visto da turista di una settimana, in attesa che il Maccabi regolarizzi la sua situazione e non finisca nuovamente in cella.
13 ottobre 2008, http://www.sportmediaset.it/

lunedì 13 ottobre 2008

Tel Aviv

UNDER 21, QUATTRO VOLTI NUOVI PER L'IMPRESA IN ISRAELE

AGI/ITALPRESS) - Roma, 12 ott. - Fare di necessita' virtu'. Essere piu' forti delle assenze e della tensione per vincere, dare una risposta alle critiche ma soprattutto per non mancare all'appuntamento piu' importante di un intero ciclo. Dopo lo scialbo 0-0 nel match di andata dei play-off per l'ammissione alla fase finale dell'Europeo Under 21, per la Nazionale di Gigi Casiraghi si avvicina la prova d'appello. Mercoledi' a Tel Aviv, nel match di ritorno, sara' tempo di spareggio negli ultimi novanta minuti che decideranno chi tra Italia e Israele andra' a fare parte delle otto nazionali che si contenderanno la vittoria finale a Svezia 2009. Vietato sbagliare, dunque, contro la squadra allenata da Moti, che ieri ha imbrigliato gli azzurrini mettendo in campo maggiore determinazione. In casa Italia ora si fanno i conti con le numerose assenze. Tra infortunati e squalificati Casiraghi dovra' fare sicuramente a meno di quattro pedine fondamentali e cosi' in questi giorni il quartier generale azzurro e' un vero e proprio porto di mare: gli ultimi due arrivi risalgono a questo pomeriggio e rispondono ai nomi di Davide Bottone (Vicenza) e Davide Di Gennaro (Reggina). Scelta quasi obbligata quella di Casiraghi, che gia' ieri sera aveva convocato Matteo Rubin (Torino) e Daniele Capelli (Atalanta). La speranza e' che in terra di Israele i quattro possano dare qualcosa in piu' in termini di incisivita' e concretezza. L'assenza piu' dolorosa sara' quella di Giovinco. Il piccolo centrocampista della Juventus saltera' la trasferta di Tel Aviv per via della squalifica. Stessa sorte anche per Marchisio e Dessena, altri pezzi portanti di un'Under 21 che sembra aver perso la strada della vittoria. Non ci sara' neanche Andreolli (ko per via di una ferita allo zigomo), mentre e' ancora in forse la presenza di De Ceglie.

Gerusalemme

ISRAELE E PALESTINA Sion: storia di un’idea

di Martin Buber, Ed. Marietti, € 15,00

Storia di un’idea: appunto della storia di un’idea qui si tratta; non dunque della ricostruzione dei precedenti ideologici di una realizzazione storica. L’idea di Sion, che accompagna con la sua ricchezza spirituale e con il suo pathos affettivo tutta la tradizione di Israele, è qui presentata nel suo immutato impulso ideale, nella sua forza ispiratrice, che nessun evento storico, nessuna contingenza politica, è in grado di soffocare, nemmeno con l’illusione di una realizzazione ormai compiuta.Certo, chi conosce l’infaticabile lotta di Buber contro l’idealismo sa che l’“idea” di Sion non può essere intesa nel senso di una concezione astratta, “filosofica”, ma come un preciso “evento” per Israele, popolo e individui. Si tratta di un’idea “religiosa”, dello “spirito di una fede”. La fede, per Buber, è evento, è incontro; farne la storia significa rileggere e rivivere questo incontro e riproporne il significato di domanda per l’uomo, di elezione a una responsabilità.
Il rapporto di Israle con la sua Terra non è fondato su un presunto legame naturale di sangue o di razza. Israele ha certo un rapporto essenziale con la sua Terra, ma si tratta di un rapporto etico: la Terra non è madre, ma sposa. Tra Israele e la sua Terra vi è il legame di un patto tra sposo e sposa, il cui significato è incluso nel più fondamentale patto di Alleanza tra Dio e Israele. Nella Terra promessa Israele è chiamato a realizzare Sion: la società giusta con la Terra, giusta con gli uomini e perciò giusta con Dio. Questo è il messaggio che Buber vuole affidare con quest’opera al movimento sionista del suo tempo e, in generale, a Israele. (Andrea Poma)
Martin Buber (Vienna 1878 – Gerusalemme 1965) è uno dei padri dell’ebraismo contemporaneo.Molto attivo sulla scena intellettuale tedesca, anche oltre l’avvento del nazismo e l’inizio della persecuzione antisemita, emigra nel 1938 in Palestina. Di qui continuerà ad irradiare il suo intenso magistero spirituale, adoperandosi tra l’altro per l’opera di riconciliazione tra arabi ed ebrei. Numerosi gli scritti, dedicati a temi molteplici, quali il chassidismo e la mistica giudaica, la filosofia dialogica, la Bibbia, di cui insieme a Franz Rosenzweig ha curato un’originale traduzione tedesca. Presso Marietti sono state tradotte le seguenti opere: La fede dei profeti (2002), La regalità di Dio (1989), Mosè (2002), Il problema dell’uomo (2004).