sabato 24 settembre 2011

"Per la pace niente scorciatoie"

Obama: Abu Mazen deve trattare. Il voto sul riconoscimento sarà congelato per alcune settimane
«Le risoluzioni dell’Onu non servono, per arrivare alla pace l’unica strada è il negoziato diretto»: il presidente americano Barack Obama sfrutta il discorso dal podio dell’Assemblea Generale per opporsi alla richiesta dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) di essere riconosciuta come Stato membro delle Nazioni Unite, ribadendo così la validità degli accordi di Oslo del 1993.Dittatori in ritirataObama esordisce definendo «notevole» l’anno trascorso per le svolte democratiche in più teatri: «Il Sud Sudan è indipendente, il regime di Gheddafi è finito, Gbagbo, Ben Ali, Mubarak non sono più al potere, Bin Laden se n’è andato, Al Qaeda è in rotta e i dittatori sono in allerta» perché «la tecnologia consegna il potere nelle mani del popolo». Ciò non toglie che «le difficoltà rimangono» perché nello Yemen e Bahrein le transizioni sono ostacolate mentre «il regime iraniano opprime la sua gente e quello siriano la uccide». Obama chiede al Consiglio di Sicurezza di «agire in fretta» e schierarsi «dalla parte del popolo siriano», confermando che il suo timone è «sostegno ai diritti universali degli individui ed alle transizioni delle nazioni verso la democrazia».«Sostegno a Israele» Obama ammette però «amarezza e frustrazione» perché l’anno trascorso non ha portato alla nascita della «Palestina indipendente» da lui auspicata proprio all’Onu. Parla di «stallo» e ammette che «la pace è difficile» ribadendo che l’obiettivo resta quello dei due popoli e due Stati, per concludere che «per raggiungerlo non servono le scorciatoie ma i negoziati diretti». Da qui il no alla richiesta che l’Anp presenterà domani al Consiglio di Sicurezza di essere riconosciuta come «Stato membro»: «La pace non arriverà attraverso dichiarazioni e risoluzioni dell’Onu, devono essere israeliani e palestinesi a raggiungere l’accordo sui temi che li separano: confini e sicurezza, rifugiati e Gerusalemme». Nel parterre dell’Assemblea Generale il silenzio è totale, con il presidente palestinese Abu Mazen che si mette una mano sulla guancia mentre un suo collaboratore scuote la testa. Obama termina ribadendo il sostegno per «uno Stato sovrano palestinese» e «l’incrollabile sostegno alla sicurezza di Israele», aggiungendo: «Dobbiamo essere onesti, è circondato da Stati che lo hanno aggredito e che minacciano di cancellarlo dalla carta geografica, ha la memoria di sei milioni di vittime, merita relazioni normali con i vicini».Il plauso di Netanyahu Appena uscito dall’aula, Obama incontra il premier israeliano Benjamin Netanyahu, gli ribadisce la scelta di «non imporre la pace alle parti» e di «sostenere i negoziati diretti» previsti dalle intese di Oslo, risalenti all’amministrazione Clinton. Netanyahu replica: «Aver difeso questa posizione di principio in un’aula dove c’è un’automatica maggioranza antiisraeliana equivale ad una medaglia d’onore che la ringrazio di indossare». Netanyahu è convinto che il tentativo dell’Anp di «usare l’Onu come una scorciatoia verso lo Stato» dimostri che «non sono ancora pronti a fare la pace» ma si dice sicuro che «questa mossa fallirà». La stretta di mano finale, sullo sfondo delle bandiere dei due Paesi, rassicura Israele e consente a Obama di provare a respingere l’assalto dei repubblicani che puntano a strappargli l’elettorato ebraico nel 2012.La mossa di Sarkozy Neanche due ore dopo sul podio sale il presidente francese, Nicholas Sarkozy e avanza all’Anp una proposta tesa a scongiurare la battaglia dei voti. «Il veto americano nel Consiglio di Sicurezza innescherebbe le violenze, lo Stato palestinese diventi osservatore» con la promessa di una adesione a pieno titolo «entro un anno». La mossa francese cela la richiesta del Quartetto (Usa, Onu, Ue e Russia) all’Anp di non accelerare i tempi del riconoscimento in cambio di forti garanzie.Abu Mazen rilancia Con le città della Cisgiordania imbandierate in attesa del riconoscimento, Abu Mazen confessa «delusione» per Obama ma poi fa un mezzo passo indietro. «Sappiamo che questo processo prenderà tempo», spiega il negoziatore Nabil Shaat, lasciando intendere che la richiesta sarà fatta «senza chiedere subito il voto». In serata Obama e Abbas si vedono al Waldorf Astoria, presente Hillary. A suggerire prudenza all’Anp è anche la conta dei voti perché su 15 membri ne servono 9 favorevoli e al momento sono 8: Russia, Cina, Gabon, Nigeria, Sudafrica, Brasile, Libano e India. È la Bosnia che, schierata con europei, Usa e Colombia, fa mancare il quorum.Maurizio Molinari 22/9/2011 La Stampa



La sopravvita


Per dire la simpatia che circonda lo Stato ebraico, oggi l'espressione
"persone vicine a Israele" significa persone contrarie alla sua cancellazione. In questo amore, si sopravvive.
Il Tizio della Sera http://www.moked.it/


Il suono dello shofar

Almeno un centinaio di generazioni ci separano dagli antenati testimoni della rivelazione sul Sinai; e anche chi non è diretto discendente, come i proseliti, può vantare, secondo la tradizione, la presenza della sua anima in quella sede e in quell'evento che si distinse anche per un sottofondo crescente del suono dello shofar. Avrebbero tutti dovuto sentire lo stesso suono, per riprodurlo simile in varie occasioni, come nell'imminente Rosh haShanà. Ma proprio il suono dello shofar è una delle cose che viene interpretata e vissuta in modi molto differenti. Un italo-sefardita rimane disorientato dal suono ashkenazita e viceversa. Le fonti danno diverse spiegazioni di queste differenze. Potrebbe esserci l'indecisione sulla vera tradizione originale. Per i mistici la risposta è un'altra: nel "palazzo" celeste non c'è un'unica porta di accesso, ma molte, e ognuno deve entrare in quella a lui più adatta. Questo spiega la differenza di minhagim e ancora di più le differenze dello shofar che guidano la salita delle anime nella strada a loro più congeniale.Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma http://www.moked.it/


Shelly dopo Golda, nuova leader dei laburisti di Israele

Con il 54% dei voti nel ballottaggio i membri del Partito laburista israeliano hanno scelto l'ex giornalista Shelly Yacimovich per guidarli verso le prossime elezioni.La Yacimovich è stata preferita ad Amir Peretz ed è la seconda donna alla testa della formazione, dopo Golda Meir a cavallo fra gli anni '60 e '70. Fattasi conoscere come paladina della lotta contro le ingiustizie sociali, ha ricevuto l'appoggio sindacale e dei ceti urbani, soprattutto del nord del paese, mentre il suo rivale poteva contare sul sostegno del sud, più povero, degli arabi e dei drusi. http://www.moked.it/


JOHN MADDEN IL DEBITO (Titolo originale The Debt; USA, 2011; Genere: Drammatico, Thriller)

“Bisogna saldare il conto!” “E che vuol dire…..'Saldare il conto' ?”

1966 Tre giovani agenti del Mossad -Stefan Gold, 30 anni; David Peretz, 29; Rachel Singer, 25- vengono incaricati dal Governo israeliano di catturare un pericoloso criminale nazista, Dieter Vogel, noto come il “Chirurgo di Birkenau”, colpevole di aver seviziato o ucciso migliaia di persone (in prevalenza donne e bambini). Essi giungono a Berlino Est dove l’uomo ora esercita indisturbato la professione di ginecologo, assistito dalla moglie infermiera. Grazie al sangue freddo di Rachel, che funge da esca spacciandosi per una paziente con problemi di fertilità, essi riescono a catturare Vogel, ma, contrariamente a quanto previsto dal piano originario -che implicava cattura e trasferimento in Israele per processarlo sul modello di Adolf Eichmann-, essi, a causa di gravissime difficoltà sopravvenute, sono costretti ad ucciderlo. Ritornati in Patria, sono ugualmente accolti come eroi poiché, nonostante i tremendi problemi incontrati, hanno affrontato ed eliminato “un’inimmaginabile malvagità”.L’esperienza lascia in loro dolorose tracce, sia sul piano fisico che, soprattutto, su quello psicologico.Trent’anni dopo, a Tel Aviv, di fronte ad un pubblico ammirato e commosso, assistiamo alla presentazione del libro che la figlia di Rachel e Stefan (divenuti, nel prosieguo del tempo, coniugi, ora divorziati) ha scritto sull’impresa dei genitori e del loro collega David. Ed è in concomitanza con tale occasione che i primi due apprendono che David, ritornato da poco in Israele dopo lunghi anni all’estero, dove ha condotto una vita travagliata, si è tolto la vita.Pressoché in contemporanea alla notizia del suicidio di David, Stefan rivela a Rachel che, da informazioni fornitegli, pare che, in un ospedale dell’Ucrania, un uomo anziano ivi ricoverato dichiari di essere Dieter Vogel; l’inviato di un giornale locale, poi, si appresterebbe ad intervistarlo.L’incubo ritorna.Questi drammatici eventi riaprono antiche ferite, ritorna al cuore e alla mente quell’esperienza eccezionale che i tre avevano vissuto tanti anni prima: il rapporto che si era creato tra loro, la passione piena di contraddizioni e contrasti che aveva legato Rachel ai due colleghi, l’amarezza di Stefan nel constatare che il suo amore non sarebbe mai stato corrisposto fino in fondo, il dolore di David al rifiuto definitivo di lei. Ma c’era soprattutto quel segreto che li legava l’un l’altro, il tacere in nome della fedeltà verso il Paese per amore del quale, giovanissimi, avevano rischiato la vita.Ispirato all’omonimo film israeliano del 2007 (titolo originale: Ha Hov -appunto Il Debito-, che tuttavia non è mai stato proiettato nelle nostre sale cinematografiche, restando confinato nelle rassegne di settore), diretto da Assaf Bernstein e con Gila Almagor quale protagonista, la presente pellicola, regista John Madden (nomination all’Oscar per Shakespeare in love), si avvale, a sua volta, di un notevole cast di attori, in primo luogo di una sempre stupenda Helen Mirren, nel ruolo di Rachel matura, che fu della Almagor.Dopo una parte iniziale che si svolge nella contemporaneità, un lungo flashback ci riporta agli eventi del 1966. La missione dei giovani agenti si svolge tra momenti di profonda tensione, di violenti confronti e discussioni tra loro. Principale causa di contrasto è proprio la presenza, nel piccolo appartamento in cui si sono nascosti dopo la cattura, di Vogel. La figura del “mostro”, gonfio di crudele sicumera anche quando è legato e potrebbe apparire in grado di non nuocere, ne mette a nudo la fragilità: in particolare David (Samuel Worthington, un ideale fratello minore di Antonio Banderas) sembra come intimidito davanti al male assoluto in carne ed ossa. Mentre più equilibrata appare Rachel -e infatti il “Chirurgo” pare averne quasi soggezione-. La ragazza (l’intensa Jessica Chastain) è ben consapevole della propria paura, ma ciò non le impedisce di andare avanti. A Stefan che le si rivolge ammirato: “Sei molto coraggiosa” risponde con sincerità: “Non sono coraggiosa, sono terrorizzata”.Coraggio e consapevolezza, nella Rachel di oggi, che “non si può ritornare indietro”.E il conto, puntualizza ed insiste ora Stefan, dev’essere saldato.Chi se ne assume l’onere?David è morto. Lui, Stefan (Tom Wilkinson), disilluso e sempre lucido, è fisicamente impossibilitato, visto che, tempo addietro, un attentato terroristico con autobomba lo ha costretto su una sieda a rotelle.Resta un solo membro del trio.Combattuta tra il dovere di chiudere la partita e gli affetti impersonati da figlia, nipotina e genero che ridono e giocano sulla spiaggia di Tel Aviv, sotto lo sguardo colmo di amore e dolore di lei e Stefan, distaccati e uniti al tempo stesso, Rachel compie la sua scelta e gioca la partita decisiva col destino: il Duello tra la Vita e la Morte, con una scena finale tanto breve quanto fulminante, nella quale si riassume tutta l’appassionante vicenda.Mara Marantonio www.angolodimara.com

venerdì 23 settembre 2011


Una lezione di ironia e voglia di pace!!!

video:

http://www.youtube.com/watch?v=i2FISv2RLEo&feature=player_embedded

http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=mosbkxtMohI

Checkpoint di Qalandiya. Ieri

Ieri c’è stata una battaglia. O, se volete, un assaggio di guerra. Con i soldati israeliani a rispondere alla violenza dei palestinesi. E questi ultimi a replicare, a modo loro, all’”invasione” dell’esercito dello Stato ebraico con un fitto lancio di sassi, con copertoni infuocati e botti di fine anno usati manco fossero granate.Ieri, al checkpoint di Qalandiya, in Cisgiordania, centinaia di giovani palestinesi e decine di uomini dell’Idf si sono scontrati come non succedeva da tempo. Ringalluzziti, i primi, dalla richiesta all’Onu di riconoscere lo Stato di Palestina. Spaventati, i secondi, dall’escalation di violenza che rischia di esondare sul suolo ebraico.In tutto questo c’è una scena, nel video che trovate sotto, che colpisce: quella che mostra il volto dipinto di Yasser Arafat che giganteggia sul lato palestinese del muro di separazione mentre “osserva” i soldati israeliani all’opera. Ieri, a Qalandiya, in Cisgiordania, è andata in scena la prova generale della Terza intifada. 22 settembre 2011 http://falafelcafe.wordpress.com/2011/09/22/checkpoint-di-qalandiya-ieri/ Alla stessa pagina un video dei disordini

Mi chiedo: dov'era la polizia dell'ANP che avevano il dovere di fermare la violenza dei palestinesi? n.r.

giovedì 22 settembre 2011


Pesce di Rosh ha Shanà

Ingredienti: 6 pesci di acqua dolce, possibilmente trote salmonate; farina; bacche di pepe rosa (schinus); 1 cucchiaino di grani di coriandolo leggermente pestati; 1 cipolla piccola;1 carota; 2 cucchiai di uva passa ammollata; 2 cucchiai di pinoli; Succo di due limoni;2 cucchiai di miele; 1 cucchiaino di zucchero di canna; olio extra vergine di oliva; sale Preparazione: Lavate e asciugate i pesci. Fate scaldare in una padella 4 cucchiai di olio insieme con i grani di coriandolo. Infarinate i pesci e soffriggeteli .Toglieteli dalla padella, poneteli su una carta assorbente da cucina e salateli. Sistemateli su una teglia da forno.Preparate in una scodella mescolando l’uva passa, la cipolla pelata e tritata, la carota tagliata a listerelle sottili, il pepe rosa, il succo dei limoni, il miele e un bicchiere d’acqua.Irrorate i pesci con questa preparazione e cospargete con i pinoli e lo zucchero di canna.
Cuocere in forno riscaldato a 180 gradi per un quarto d’ora. Servite ben caldo.Sullam n 78


Non prendiamoci troppo sul serio........

Un bambino ebreo torna a casa da scuola e dice alla sua yeddish mame che ha avuto una parte nella recita della
scuola.
- e che parte hai avuto, motek? - chiede lei
- quella del marito ebreo - risponde il figlio
- allora,adesso tu torni subito a scuola e dici alla maestra che non ti accontenti di fare scena muta e che vuoi anche recitare!
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Telegramma dalla classica yedish mame: "inizia a preoccuparti.seguiranno dettagli.mamma"
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Tre yedish mame sono sedute al caffè e la prima sospira un: oyyy!
La seconda aggiunge un: oyy, oyvavoy!
La terza dice: “insomma ragazze, avevate promesso che non avremmo più parlato dei nostri figli!”
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La differenza fra una madre napoletana ed una yedish mame e che la prima dice al figlio:
“se non mangi tutto, io ti ammazzo!”
E la seconda dice: “se non mangi tutto,…io mi ammazzo!”
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Un’altra differenza fra una madre napoletana ed una yedish mame è che la napoletana se ne va e magari non saluta.
La seconda invece saluta, saluta, ma sicuro non se ne va mai!
A cura di R Modiano, Sullam n78


GiustificaNonna per una sera di Shabbat

Fausta Finzi, Sullam n78
Amo le vacanze brevi e perciò avevo optato per una crociera nel Mediterraneo orientale. Intendevo imbarcarmi a Bari di domenica e sbarcare a Dubrovnik il venerdì, per andare a trovare gli ebrei locali ed occupare l’ozio sabbatico visitando la città. Il divieto doganale di sbarco in porti esteri mi ha costretto a ripiegare di nuovo su Bari, escludendo Venezia in cui la sosta era prevista di sabato. Avrei rinunciato alla discesa a terra, paga della meravigliosa vista che si gode all’entrata ed all’uscita dal porto. Che ricordavo bene dai miei viaggi giovanili per mare verso Israele.Si trattava dunque di passare shabbat a bordo. Il mio maestro rav Emanuele M. Artom, di benedetta memoria, mi ha insegnato che anche nei luoghi di villeggiatura privi di strutture ebraiche è bene cercare altri ebrei con i quali condividere la letizia dello shabbat ed io ho una grande esperienza di ricerche del genere.Negli anni di residenza a Palermo gli amici del nord mi chiedevano ridendo se andassi in giro con il lanternino…Ma ne trovavo parecchi di ebrei.Salita a bordo, ho iniziato per tempo a guardarmi intorno. Tra gli italiani, essendo la compagnia di navigazione napoletana, prevaleva l’accento campano,ma di ebrei neanche l’ombra: li conosco quasi tutti i partenopei. Inglesi ed americani non avevano facce indicative, ero quindi rassegnata ad uno squallido kiddush in cabina con due panini e qualche cibaria trafugati dal ristorante.Ma, ecco che al rientro dalla prima escursione mi accorgo che il tizio che controlla le carte d’imbarco parla ebraico al microfonino. Lo interpello immediatamente ed il giovane in poche parole, dato che è occupato, mi dice che la sicurezza è affidata ad un gruppo di israeliani. Non mollo la presa e propongo subito di far kiddush insieme venerdì sera. E’ loro vietato fraternizzare con i passeggeri e tanto più mangiare nel ristorante, tuttavia si vedrà…Quanta gioia mi abbia dato il giorno successivo la telefonata di invito alla cena di shabbat in saletta ufficiali, non so dire. Canti tradizionali. Immaginate dei ragazzi che hanno prestato servizio nella brigata Golani, l’equivalente, per intenderci, del battaglione San Marco e che hanno deciso, dopo un corso di formazione, di fare un’esperienza diversa per vedere un po’ di mondo prima dell’università o del lavoro definitivo. A Sgi, Nadav, David, Itzig ed altri, comprese Hadar e Jael che peraltro non sono mai in turno da sole, tocca il compito di sedare risse, indurre qualche ubriaco a non molestare le signore, o i genitori di bambini pestiferi ad evitare che questi disturbino i vicini. Oltre a controllare ingressi ed uscite dei passeggeri.E’ sbagliato ritenere che quasi tutti gli israeliani siano anti religiosi. Il gruppo che ho incontrato, nei limiti imposti dalle mansioni, osserva le mitzvot. Si sarebbero anche procurati un Sefer Torà se avessero avuto la certezza della presenza di tutti i dieci componenti maschi il sabato mattina: ciò significa che alcuni di loro sono in grado di leggere il Sefer. Trovare un armadietto da adibire ad Aron Hakodesh sarebbe stato facile, l’ostacolo, i turni di guardia.La nostalgia di casa di quei ragazzi li ha portati a confidarmi l’impressione di trovarsi per una sera a casa con la mamma. “Con la nonna” rettifico, trattandosi di ventenni o poco più. Ci siamo lasciati con un bacio ed un affettuoso shabbat shalom.
La mattina dopo, incontrandomi sul ponte, uno di loro mi chiede: “Come hai dormito, nonna?”Che Nogah, Joshua, Jona e Joel che pure mi chiamano “savta” non siano gelosi: mi sono commossa.
Amici ebrei napoletani e non, studiate l’ebraico. Avrete un biglietto da visita che nel nostro ambiente vale più di un passaporto diplomatico. E il nostro ambiente è il mondo.

I tanti fraintendimenti dell'opinione pubblica europea. Israele Palestina la grande dispercezione

http://notizie.radicali.it/22-09-2011,

Mediamente, l’opinione pubblica europea ha del conflitto mediorientale una percezione distorta, dovuta alla scarsa conoscenza dei fatti storici e a un’informazione quasi sempre incompleta, deviante, quando non apertamente ostile. Per “opinione pubblica” non mi riferisco a quella parte più o meno dichiaratamente antisemita, cioè antiebraica, minoritaria e collocata prevalentemente (ma non esclusivamente) all’estrema destra; né all’altro segmento violentemente antisionista, cioè anti-israeliano, più numeroso e d’abitudine schierato a sinistra. Parlo invece di una vasta area di opinione pubblica “centrale”, moderata, meno connotata politicamente ma non per questo meno suggestionabile, condizionata da una serie di “convinzioni” ben radicate ma assolutamente sbagliate, “percezioni” apertamente false e tuttavia credute vere. Una serie di luoghi comuni di cui è facile dimostrare l’infondatezza e che però persistono tenacemente, con conseguenze politiche non secondarie, gravi e dannose soprattutto per Israele. Per cercare di smontare alcuni di questi luoghi comuni scrivo l’elenco qui di seguito, consapevole della limitatezza di questo tentativo. Spero con ciò di offrire un contributo a un’informazione più equilibrata e corretta, alla chiarezza e soprattutto alla verità.Primo. La causa fondamentale del perdurare del conflitto in Medio Oriente è la mancata soluzione della “questione palestinese”. Falso. La vera causa del conflitto è rappresentato invece dalla “questione israeliana”, cioè dall’esistenza dello Stato di Israele, assolutamente intollerabile per larghissima parte del mondo arabo e musulmano. Per costoro l’offesa ai fratelli palestinesi è solo un pretesto, un tentativo di mascherare l’odio antico con una nobile causa, per cercare di far passare la cancellazione di Israele come la riparazione di un’ingiustizia. Se i paesi arabi avessero davvero a cuore la sorte dei palestinesi, non gli avrebbero sparato addosso per decenni, ovunque essi abbiano tentato di trovare rifugio: dall’Egitto alla Giordania, al Libano, alla Siria; non rifiuterebbero loro l’ingresso e il lavoro sul proprio suolo; non avrebbero occupato (loro, ben prima di Israele!) per quasi vent’anni anni, fra il 48 e il 67, il territorio che l’Onu aveva destinato allo Stato arabo di Palestina. Ma costituire quello Stato avrebbe significato per gli arabi prendere atto di conseguenza dell’esistenza di Israele, un fatto anche psicologicamente insopportabile. Ecco perché la soluzione della “questione palestinese” non potrà mai portare con sé la fine della guerra, come dimostra il tentativo di Abu Mazen di questi giorni. Per raggiungere la pace è necessaria invece una di queste due condizioni: o la cancellazione di Israele dalla carta geografica, oppure lo spegnimento (magari un poco alla volta) del fuoco dell’odio che arde nelle viscere del mondo arabo-musulmano. La stragrande maggioranza degli israeliani sogna di vivere finalmente in pace, fianco a fianco con i paesi arabi confinanti, mentre la stragrande maggioranza del mondo arabo considera questa condizione una tragedia e una resa. Questo è il problema: il “rifiuto della convivenza” da parte del mondo arabo-musulmano. La questione palestinese esiste, nessuno lo deve negare, poiché le condizioni di vita di quel popolo sono spesso drammatiche e miserevoli. Ma contrariamente a quello che pensano i distratti cittadini europei, la tragedia palestinese rappresenta un effetto e non la causa del conflitto mediorientale.Secondo. Gli israeliani, oltre al territorio che spetta loro, chiamato Israele, occupano con la forza un’altra porzione di terra che si chiama “Palestina”. Sbagliato. Anche Israele “è” in Palestina, nel senso che risiede in quella parte della Palestina storica che le venne assegnata con una votazione dalle Nazioni Unite (caso di legittimazione pressoché unico al mondo) nel dicembre del ‘47. L’altra parte della Palestina, la Cisgiordania e la Striscia di Gaza sono state occupate, come si è detto, prima da Giordania ed Egitto e solo dopo da Israele, a seguito della Guerra dei Sei giorni (1967). L’intero Sinai, cioè circa l’80 per cento dei territori occupati nel ’67, è stato restituito da Israele all’Egitto in seguito al trattato di pace del ‘78, proprio in ottemperanza alle famose “risoluzioni Onu” del dicembre ’67, incentrate sullo scambio “peace for territories”. Nel corso della sua storia, Israele ha occupato e sgombrato per tre volte il Sinai, ma solo la terza volta in cambio di un trattato di pace. Le volte precedenti si è ritirato unilateralmente. Quindi, quando gli estremisti gridano in piazza “Palestina libera!”, bisogna capire bene cosa vogliono: non che gli israeliani si ritirino a casa loro in Israele, bensì che l’intera Palestina storica sia liberata del tutto e per sempre dalla presenza dello Stato ebraico. E’ questa la “pace” cui aspirano i “pacifisti” italiani. Ma la maggior parte degli europei ignora la spartizione Onu del dicembre ’47 e non capisce quanto sia violenta questa minaccia.Terzo. Israele è uno Stato teocratico, riservato esclusivamente a chi pratica la religione ebraica. Assolutamente falso. Israele è il frutto del “sionismo”, cioè del processo risorgimentale del “popolo” ebraico, cioè ancora: del più grande tentativo di riforma e di laicizzazione dell’ebraismo mai tentato nella storia di questo popolo straordinario. Il sionismo nasce e si sviluppa nell’800, a mano a mano che gli ebrei riescono a emanciparsi e a uscire dai ghetti delle città europee. Il sionismo è sempre stato osteggiato dai rabbini tradizionalisti come una bestemmia e un allontanamento dal precetto biblico, perché la Terra di Israele secondo costoro sarebbe venuta solo con l’avvento del Messia. (I rabbini che hanno appoggiato il sionismo potrebbero essere equiparati, per intenderci, ai cattolici liberali nel Risorgimento italiano). Si tratta dunque di un processo al contempo laico e nazionale, che mira al recupero della Patria per il popolo ebraico, identificata là dove esso ha sempre mantenuto le sue radici storiche e culturali: in Palestina e a Gerusalemme. E’ un’aspirazione comune a tutti i popoli europei nell’800, che si è realizzata per gradi, attraverso alterne vicende, fino alla proclamazione dell’indipendenza, il 15 maggio del 1948. In Israele oggi vivono circa 1,8 milioni di cittadini arabi israeliani, per lo più musulmani, che hanno scuole, moschee, partiti, sindaci e parlamentari, varie cariche pubbliche, godendo di tutti i diritti civili fondamentali, sicuramente superiori a quelli di qualsiasi paese arabo (sono solo esentati dal servizio militare). Altro che “razzismo” e “ apartheid”. In Israele i religiosi sicuramente oggi sono un problema, nessuno può negarlo, per il loro fondamentalismo e la loro invadenza nella vita pubblica. E’ un conflitto aperto: una ragione in più per difendere Israele, la sua democrazia e la sua laicità, anche dai nemici interni oltre che da quelli di fuori. Israele è dunque lo Stato del “popolo” ebraico, non della “religione” ebraica, anche se gli europei mostrano spesso, per cattiva informazione, di non saper cogliere questa differenza.Quarto. Israele è nato subito dopo la seconda guerra mondiale, come risarcimento al popolo ebraico per le sofferenze patite con la Shoah ad opera dei nazisti. Assolutamente sbagliato. Si tratta di un tipico “errore di percezione”: post hoc, propter hoc. Questa è la tesi che piace ai sostenitori della causa araba, che possono dire: ma che colpa hanno gli arabi nella Shoah? E’ la tesi che piace ad Ahmadinejad, che ha chiesto retoricamente: “ma allora, se è vero che sono stati uccisi 6 milioni di ebrei - cosa che io non credo affatto - perché gli europei non hanno assegnato agli ebrei un loro territorio, che so, la Galizia austriaca?” E’ vero invece che quel lungo processo risorgimentale nazionale, sopra descritto, ha avuto una spinta decisiva dopo la fine della guerra, quando si sono create le condizioni storiche, politiche, diplomatiche e militari per la proclamazione dell’indipendenza, preparata a lungo dai padri fondatori guidati da Ben Gurion. Nella guerra del 48-49 gli israeliani, pur essendo ancora soltanto una milizia di volontari, hanno avuto la meglio su 5 o 6 eserciti regolari, mandati dagli Stati arabi per soffocare sul nascere lo Stato ebraico. Allora il Gran Muftì di Gerusalemme, già alleato di Hitler, invitò gli arabi ad abbandonare in fretta le loro case, per consentire l’attacco. Sarebbero tornati di lì a poco, non appena gli ebrei fossero stati annientati. “Gli ebrei superstiti, se vorranno, potranno restare – disse l’amico di Hitler, stretto congiunto di Yasser Arafat – Non credo però che saranno in molti”. Invece, per la prima volta dopo duemila anni, gli ebrei israeliani hanno dimostrato di sapersi difendere. La tragedia palestinese nasce così, con quell’appello del Gran Muftì. Questa è la storia vera della “nakba”, che gli europei per lo più ignorano. Certo ci sono state eccessi, violenze, uccisioni, episodi tragici e dolorosissimi anche da parte israeliana. Quale guerra ne è immune? Perché negarlo? Infatti Israele non lo nega. Ne ha parlato ad esempio Benny Morris in “Vittime”, suscitando un grande dibattito in Israele. Ne parla Vittorio Dan Segre nel suo bel libro “Le metamorfosi di Israele”. Ben Gurion, dopo aver vinto la guerra, è riuscito a costringere i suoi estremisti alla resa. Occorre aggiungere però che nulla di ciò che è accaduto era veramente irreparabile, se solo ci fosse stata la volontà di pace, specie all’indomani di una tragedia mondiale di proporzioni infinitamente superiori, avendo per giunta a disposizione l’immensa ricchezza del petrolio. Invece la guerra è continuata per più di 60 anni e dura tuttora. Perché? L’Europa si interroghi su questo, invece di fare ingenuamente il “tifo” per il più debole.Quinto. Israele era un paese democratico finché hanno governato i laburisti, ma adesso è degenerato in uno Stato autoritario, in mano alla destra militarista e guerrafondaia. Nulla di più falso e facilmente confutabile. Questa tesi è particolarmente cara alla sinistra moderata e democratica europea, sempre alla ricerca di un’identità ideale, in equilibrio fra i vecchi stereotipi e una patina di modernità. Tesi suffragata dal fatto che Rabin, dopo gli accordi di Oslo, è stato assassinato da un estremista di destra, finendo così fra gli israeliani “buoni” di sinistra, contrapposti ai “cattivi” di destra (ma quando Rabin era ministro della Difesa, durante la prima Intifada, non ne parlavano così bene; l’unico ebreo buono è dunque solo... quello morto?). Se guardiamo la pura cronaca dei fatti, Begin ha firmato la pace con l’Egitto, Shamir ha firmato la pace con la Giordania, Sharon ha sgombrato Gaza: tutti e tre capi del Likud. Proprio Ariel Sharon, il falco per eccellenza, ha dimostrato che gli uomini d’armi in Israele possono trasformarsi in fautori di pace. Egli ha sgombrato con la forza i coloni dalla striscia di Gaza, contraddicendo la politica di tutta la sua vita e pronunciando parole che nessuno avrebbe mai immaginato di poter udire. Questo ha saputo fare Sharon, da primo ministro di Israele. La risposta, da Gaza, è stata la vittoria di Hamas, l’uccisione e la cacciata degli uomini dell’Anp e uno stillicidio di missili sulle città israeliane del sud. E’ la pura cronaca dei fatti, che molti europei ignorano.Questo elenco potrebbe continuare a lungo, ma preferisco fermarmi qui. Già solo questi cinque punti meriterebbero lunghi approfondimenti e discussioni interminabili. Mi rendo conto di non avere apportato, in questo scritto, alcun elemento di novità sostanziale nel dibattito sulla questione mediorientale, ma di avere solo tentato una sintesi molto limitata e parziale di alcuni punti controversi. Mi piace pensare però che non sia stato un lavoro inutile, se servirà a sfatare anche solo in parte alcuni pregiudizi che condizionano, secondo me negativamente, il dibattito su Israele e sulla sua difficile democrazia. Di Alessandro Litta Modignani

Alessandro Litta Modignani (1954) è giornalista. È iscritto e milita nel Partito Radicale ininterrottamente dal 1974. Nella Legislatura 2000-2005 è stato capogruppo per i Radicali-Lista Bonino nel Consiglio Regionale della Lombardia. È attualmente membro del Comitato Nazionale di Radicali Italiani.


Diffamare Israele: ecco il copione in scena all’Onu

Il Giornale, 19 settembre 2011 Fiamma Nirenstein

Comincia una settimana drammatica all’Onu, l’istituzione internazionale più importante e spesso la più dannosa e confusa. Dall’Onu, poiché è nelle mani di una maggioranza automatica di stati islamici e di ex Paesi non allineati, più che soluzioni ci si possono aspettare equivoci e violazioni dei diritti umani. E così si presenta lo scontro di questa settimana: da una parte l’Autonomia Palestinese che chiede il riconoscimento unilaterale di uno Stato, cioè cancello tutto, mi disegno da solo i miei confini, risolvo io problemi bilaterali spinosissimi come i profughi e Gerusalemme, senza trattative, senza garanzie di sicurezza per Israele, se! nza riconoscerlo come stato del popolo ebraico, senza i precedenti dell’Onu, del quartetto, della road map; dall’altra parte Israele, affranto dalla solita menzogna: è lui che opprime, che non vuole fare la pace. Nessuno ricorda che Israele lascia la terra appena pensa di essere in sicurezza, lo ha fatto in Sinai, in Libano, a Gaza, ha lasciato con l’accordo di Oslo tutte le città palestinesi. L’Onu spinge la favola dei paesi occidentali oppressori e imperialisti, non mette in conto ai palestinesi il regime di fatto autoritario, l’enorme potere di Hamas, le persecuzioni di omosessuali e dissidenti politici.I palestinesi hanno di fatto, a ogni trattativa, rifiutato l’accordo con Israele, il sogno è che svanisca: anche questa volta rifiutano di trattare senza che nessuno gli ricordi come abbiano rifiutato gli accordi con Rabin, con Barak, con Olmert, la proposta di Netanyahu di sedersi e parlare. Ci sono in queste ore trattative frenetiche sulle opzioni Co! nsiglio di Sicurezza-Assemblea Generale. I palestinesi se l’Europa li sosterrà in Assemblea generale, sono pronti a rinunciare per ora al Consiglio di Sicurezza, dove l’America ha promesso il veto. Ma l’Europa è spaccata, propende in parte per una soluzione di membro osservatore, ma non si sa se ai palestinesi basterebbe né se alla fine alcuni stati europei (fra cui l’Italia), che sanno che l’unilateralismo rompe il principio stesso della legalità internazionale e che per fare la pace si deve trattare, ci starebbero. Lo scontro servirà ad Abu Mazen per farne il capo di un movimento internazionale che genererà la solita diffamazione di Israele, e forse molta violenza. Il seguito a questa settimana.


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