venerdì 4 dicembre 2009



Israele: chiesto al parlamento di far abbassare il volume dei muezzin

La tv saudita al Arabiya sostiene che ormai sia guerra aperta ai muezzin dei minarti. Pare infatti che sia stata avanzata al parlamento israeliano, il Knesset, una proposta di legge per far abbassare il volume degli altoparlanti dei minareti durante la preghiera mattutina dei fedeli palestinesi."Dopo il bando svizzero ai minareti - si legge sul sito web dell'emittente araba - anche Israele vuole vietare ai muezzin la chiamata alla preghiera dalle moschee di Gerusalemme". Secondo la stampa israeliana, una proposta di legge presentata alla Knesset dal deputato del partito Kadima, Aryeh Bibi, chiede di abbassare il volume delle chiamate dei muezzin. "Se proprio vogliono sentire il muezzin, i musulmani devono trovare il modo per farlo senza disturbare gli altri", è stato il commento del parlamentare che ha affermato di aver ricevuto molte lamentele per le chiamate dei muezzin alle prime ore del mattino. La prima delle cinque preghiere giornaliere previste dall'islam si effettua al sorgere del sole. http://www.sabatoseraonline.it/, 03 dicembre 2009


Bugler playing the Last Post at funeral of a British soldier. June 1948

Hamas - Israele, scambio di prigionieri: accordi bloccati, problemi su quindici nomi

Tel Aviv, 3 dic - L'accordo fra Israele e Hamas, che ruota attorno allo scambio di centinaia di palestinesi detenuti in Israele, inclusi 450 condannati per gravi fatti di terrorismo, per il recupero da parte israeliana dell'unico soldato Gilad Shalit, rapito da Hamas più di tre anni fa, è appeso alle divergenze su 15 nomi. Lo riferiscono oggi media arabi e israeliani, mentre fonti di Hamas negano categoricamente che Shalit possa essere già stato trasferito in Egitto, come rimbalzato dal Kuwait. Secondo l'edizione online di Haaretz, si tratta di una decina di figure simbolo di Hamas, di un paio di donne coinvolte in attentati particolarmente sanguinosi e di leader di altre fazioni palestinesi come Marwan Barghuti (Al Fatah), condannato a 5 ergastoli in Israele per le violenze della seconda Intifada. Figure su cui il governo israeliano esita, subordinandone la liberazione quanto meno a un periodo d'esilio dai Territori palestinesi. E su cui, nel caso specifico di Barghuti, pesa il 'no' espresso ieri a ogni ipotesi di scarcerazione dal ministro degli Esteri, Avigdor Lieberman.http://www.moked.it/



Il 21 aprile Peres e Abu Mazen all'Ara Pacis

L'idea era nata a maggio, durante la visita ufficiale del sindaco Gianni Alemanno a Gerusalemme e Ramallah. E ieri, dall'Ara Pacis, è arrivato l'annuncio ufficiale: «I vertici ebraico e palestinese, Shimon Peres e Abu Mazen, saranno a Roma il 21 aprile, in occasione del Natale di Roma dice Alemanno - Vorremmo che dalla Capitale partisse una spinta per la pace in Medio Oriente e una sinergia per la riconciliazione». E proprio all'Ara Pacis, simbolo della pax romana all'epoca dell'imperatore Augusto, sarà ospitato quest'incontro di grande portata simbolica, ma anche pratica, tra il presidente dello Stato di Israele e il presidente dell'Autorità nazionale palestinese. I due leader «hanno accettato il nostro invito e si confronteranno sui concetti di dignità, perdono e riconciliazione - sottolinea il sindaco - Nel Mediterraneo non ci sarà mai uno sviluppo profondo se non sarà risolto il conflitto israelo-palestinese: vorremmo che dalla capitale partisse una spinta per la pace in Medio Oriente e una sinergia per la riconciliazione». Alemanno ribadisce l'intenzione dell'amministrazione comunale di contribuire all'istituzione di un Consiglio per la dignità, il perdono e la riconciliazione. L'organismo raggrupperà 80 persone, capi di Stato e di Governo e leader religiosi, che si incontreranno nella Capitale sempre il 21 aprile 2010, per l'istituzione e il riconoscimento del nuovo Consiglio e per la sottoscrizione della Carta universale per la dignità, il perdono e la riconciliazione. Durante la seconda fase verrà avviato anche l'iter di riconoscimento della Carta alle Nazioni unite. Nell'occasione, Alemanno è tornato anche sul futuro della teca dell'Ara Pacis, opera di Richard Meier, che tante polemiche ha provocato negli ultimi anni. «Nel 2010 sarà pubblicato il bando per la riqualificazione della piazza e del Mausoleo di Augusto - ricorda il sindaco - Quest'anno abbiamo approvato il progetto che comprende anche interventi sul Muro della Teca di Meier, aggiustamenti e rifacimenti per correggerne l'eccessivo ingombro attuale, dal quale sono scaturite molte polemiche». Secondo Alemanno, comunque, «prima della messa a bando del progetto ci sarà un confronto con Meier».
Fa.Ro, Il Messaggero, 3 dicembre 2009



L'arrivo del conto

L’ultimo nazista è in tribunale. Organizzò l’eliminazione di ventisettemila ebrei. Quando è stato rintracciato, viveva normalmente - cioè come se lui fosse una persona. Similmente ad altri esemplari, è lucido. Recita. Parimenti a un uomo, si è presentato decrepito. Con il tocco del clown, è apparso sulla sedia a rotelle e ha urlato: “Anch’io sono una vittima”. La gente ha smesso di ridere. Sull’isola del tempo, Robinson è solo. Da sessantacinque anni, per parlare con qualcuno, deve andare a dormire e sognare. Ogni frazione di orologio, vede sospese su di sé la spada della paura e l’accetta del ricordo. E’ vittima della sua condizione. Come il coccodrillo, il boa constrictor, il cobra, lo squalo bianco, la iena, la formica rossa, la mantide religiosa. Andrebbe reinserito in un rettilario. Ma si può fare questo a dei pitoni innocenti? Il Tizio della Sera, http://www.moked.it/


Mosca - la piazza rossa

La comunità russa in Israele

La comunità degli ebrei e immigrati russi in Israele conta circa un milione di persone su una popolazione di circa sei milioni di abitanti. Sono state due le principali ondate migratorie provenienti dai paesi dell’ex Unione Sovietica: la prima, durante gli anni Settanta sotto il regime di Brezhnev e che portò in Israele circa 130mila persone (famosa all’epoca la vicenda di Anatolij Sharanskij, un dissidente ebreo scambiato al Check Point Charlie di Berlino, o le vicende descritte nei libri di Chaim Potok), nella quasi totalità ebrei fortemente motivati e contrari al regime sovietico, la seconda, negli anni Novanta e ancora in atto, iniziata sotto Gorbaciov e con il crollo dell’Urss, con oltre 880mila persone che si sono riversate in Israele soprattutto per sfuggire alle difficili condizioni economiche nell’ex paese dei Soviet.Movimenti di ispirazione sionista agli inizi degli anni ‘90 hanno fondato scuole e centri culturali per la riscoperta delle radici ebraiche e se fino a quel tempo si cercava di camuffare questa origine (l’art.5 sul passaporto sovietico indicava come appartenente alla razza ebraica e precludeva un determinato numero di studi universitari ed era una forte discriminante negativa nella società sovietica) cambiando addirittura cognome, da allora essere ebrei diveniva un’opportunità in più, sopratutto per emigrare in paesi più fortunati. Logicamente la prima ondata sì è integrata nella nuova patria, la seconda ha portato con sè il proprio bagaglio culturale facendo così fiorire in Israele scuole, teatri, giornali e televisioni in lingua russa. Ed è interessante notare che le relazioni con il proprio paese d’origine non sono state tagliate, sia per lavoro che per mantenere gli affetti.Molti immigrati russi - circa un terzo - non sono ebrei agli occhi dell’establishment religioso ortodosso, che li discrimina. Sono emigrati in Israele grazie alla legge del ritorno che riconosce tale diritto al coniuge di un ebreo o di un’ebrea e ai suoi figli e a chi ha avuto almeno un nonno ebreo. Si calcola che circa il 20% degli immigrati provenienti dalla Russia non sia affatto ebreo, ma si sia procurato questa identità.
Riguardo al tormentato processo di pace tra israeliani e palestinesi, le opinioni degli ebrei russi sono in larga parte schierate su posizioni oltranziste. Infatti se i “padri fondatori” di Israele erano in massima parte russi, veri ashkenaziti, politicamente laici e intrisi dei valori socialisti e democratici europei, i nuovi immigrati dall’ex-URSS tendono a votare a destra e a mostrare poca inclinazione per la democrazia liberale. I partiti che li rappresentano sono Israel Bel-Aliya fondato da Sharansky e che sostiene Sharon. Mahar, un partito laico di centro, nato dalla scissione di Israel-Be-Aliya dopo le elezioni, Israel Beitenu, formazione nazionalista decisamente di destra, il cui leader è Avigdor Lieberman.L’impatto dell’immigrazione ebraica dalla Russia non deve essere sovrastimato riguardo l’identità dello stato israeliano, perchè i russi sono profondamente laici, quando non atei, e non hanno fretta di imparare l’ebraico. Essi formano un gruppo storicamente compatto perchè chi proviene dall’Europa dell’Est ha sempre dovuto combattere per la propria sopravvivenza: l’ ebreo orientale, infatti, dovendosi difendere dagli attacchi del regime zarista, dai pogrom e dall’antisemitismo diffuso, fu indotto a isolarsi territorialmente dagli altri abitanti del paese, costituendo così delle comunità, che seppero mantenere inalterati tradizioni e riti millenari, valori e abitudini completamente ignoti all’ebreo occidentale, che viveva in mezzo agli altri senza avvertire minimamente il peso della sua diversità.Con l’arrivo dei russi in Israele sono salite le statistiche relative a delitti e reati di mafia. Le certificazioni burocratiche, molto semplici, si sono complicate con le dichiarazioni di ebraismo dubbie di migliaia di russi con mamme ebree finte. Un altro problema che hanno creato i russi e’ l’esame obbligatorio per cambiare la patente straniera con quella israeliana. Prima era una cosa automatica, poi si sono accorti che gli incidenti aumentavano pericolosamente e, da un’inchiesta, e’ risultato che i russi immigrati avevano quasi tutti patenti acquistate prima dell’Aliah (il mitico arrivo in Israele, e cioè l’ascesa metaforica al sacro monte di Sion, dove sorge Gerusalemme) in Russia o negli altri paesi dell’Est Europeo per alcune centinaia di rubli, e non sapevano guidare (un giretto per Mosca o Pietroburgo è un’esperienza che dà una ragionevole dose di brividi).
Di sicuro la presenza russo-ebraica ha notevolmente migliorato i rapporti tra l’ex-URSS e Israele. Quasi tutti i russi hanno parenti e amici in Israele: questo nuovo lato della medaglia ha suscitato un ri-apprezzamento dell’identità e della cultura ebraica in un paese tradizionalmente antisemita quale la Russia. E la Russia può giocare un ruolo importante, anche grazie ai tradizionali buoni rapporti con i palestinesi (molti di loro hanno studiato nelle università russe, e ancora oggi le comunità mediorientali sono cospicue a Mosca e Pietroburgo), nel processo di pace.



Gerusalemme - davanti al muro occidentale

Gli ebrei russi, fra dispersione e nuova frontiera

La riunione semestrale del comitato permanente della Conferenza Rabbinica Europea si è tenuta in questi giorni a Mosca, nella sinagoga Choral: edificio simbolo della storia recente degli ebrei russi, fu iniziato a costruire alla fine del diciannovesimo secolo. La cupola, dominata da un maghen David, fu fatta subito abbattere per ordine del governo zarista (troppo alta, troppo visibile...; gli ebrei erano considerati sovversivi e pericolosi per il sistema ed effettivamente venti anni dopo se ne ebbe la dimostrazione...). Sotto il comunismo la Sinagoga fu sempre meno tollerata, luogo di difficile sopravvivenza e resistenza, pullulato di spie, sede delle più importanti manifestazioni di affermazione di identità ebraica, malgrado tutto. Oggi, da poco restaurata, con tutta la cupola e grande splendore interno, è il centro di una attività comunitaria vitale e pulsante. Quaranta anni fa le organizzazioni ebraiche di tutto il mondo erano coinvolte nella campagna "let my people go" in favore degli ebrei russi. Venti anni dopo il progetto si è realizzato con una 'aliyà massiva. Oggi di nuovo la situazione è cambiata e lo slogan sembra essere quello di "let my people stay": gli ebrei non si muovono più, si godono la libertà e per il momento l'amicizia con i governanti, hanno grandi potenzialità economiche, e c'è un incredibile rinascimento culturale e religioso. Decine di giovani rabbini arrivano in Russia e creano dal nulla nuove comunità. Perché a differenza di quello che succede dalle nostre parti, dove il numero degli ebrei è piuttosto noto e limitato, nell'ex Unione Sovietica nessuno sa con precisione quanti siano gli ebrei ma è certo che ogni giorno ne emergono a galla tanti, desiderosi di riscoprire la propria identità. Il nostro provincialismo occidentale deve misurarsi con una realtà ebraica che cambia tumultuosamente e sposta continuamente i suoi centri di gravità.Rav Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma, http://www.moked.it/


L'Osservatore Romano: “Con Pagine Ebraiche confronto anche duro, ma sempre nuovo e stimolante”

Pagine Ebraiche, il giornale dell'ebraismo italiano edito dall'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, continua a suscitare interesse e a raccogliere autorevoli riconoscimenti. Quando ieri in serata le rotative vaticane hanno cominciato a mettere in circolazione le prime copie del numero che porta la data odierna dell'influente quotidiano cattolico Osservatore romano, le agenzie di stampa hanno immediatamente segnalato che il giornale apriva il confronto sulla delicata questione della conversione della filosofa ebrea Edith Stein riportando per intero un commento tratto dall'ultimo numero, quello attualmente in circolazione, della nuova testata della minoranza ebraica in Italia. La scelta del direttore dell'Osservatore, professor Giovanni Maria Vian, di riprendere Pagine Ebraiche per esprimere una posizione cattolica su una vicenda tanto delicata ha immediatamente fatto notizia e nell'arco di pochi minuti è stata ripresa da tutte le agenzie di stampa italiane (Ansa, Agi, Apcom e AdnKronos) con numerosi lanci immessi in rete. Mentre il coordinatore dei dipartimenti Informazione e Cultura dell'Unione della Comunità Ebraiche Italiane Guido Vitale riuniva la redazione del Portale dell'ebraismo italiano per valutare la situazione, lo stesso professor Vian interveniva poi con una nuova dichiarazione ripresa dalle agenzie di stampa. Tra l'Osservatore Romano e il mensile Pagine Ebraiche, afferma il direttore del giornale vaticano, “non c'è nessuna polemica”, ma anzi “un confronto positivo”. “Il dibattito aperto - ha precisato Vian - non va assolutamente visto in chiave polemica, ma rappresenta, invece, un segnale di novità, un confronto, anche duro, ma sempre positivo, un segno ulteriore di collaborazione tra le due testate”. Vian, riporta l'agenzia Ansa, ha fra l'altro definito Pagine Ebraiche “un bellissimo giornale” e anche Lucetta Scaraffia, autrice del testo pubblicato da Pagine Ebraiche e ripreso integralmente dal quotidiano cattolico “ne aveva tessuto le lodi lamentando una caduta sul tema specifico”.Il dibattito suscitato nei primi due numeri di Pagine Ebraiche sulla figura di Edith Stein (ribattezzata Santa Teresa Benedetta della Croce), pensatrice ebrea convertitasi al cattolicesimo e divenuta suora carmelitana prima della deportazione e della morte ad Auschwitz era stato aperto dalla filosofa Donatella Di Cesare, una delle voci del Portale dell'ebraismo italiano, che aveva offerto spunti di riflessione e di conoscenza sul controverso caso. La questione aveva destato turbamenti e inquietudine in ambienti cattolici, e Lucetta Scaraffia, docente di Storia Contemporanea nel medesimo ateneo della Di Cesare e articolista, tra gli altri, del Corriere della Sera e dell'Osservatore Romano aveva chiesto di intervenire sul nuovo giornale ebraico. “Il fiume straripante di pubblicazioni riguardanti Edith Stein - aveva denunciato Donatella Di Cesare nel suo editoriale - sembra non avere altro scopo che cancellare il cancellabile, gli ultimi resti ebraici di Edith Stein, per imporre, con ripetizione ossessiva, la figura di suor Teresa Benedetta della Croce, monaca carmelitana, martire, già beata e santa, ci dicono, nonché patrona d’Europa”. La filosofa romana ha parlato di una donna che “alla disperata ricerca di un'assimilazione negata, si era messa a scrivere di mistica, diventando cattolica, tomista e perfino carmelitana” e si chiede “a che titolo la glorificano quelli che allora hanno sbagliato”, ovvero la Chiesa, “questa potente istituzione che non ebbe il coraggio di chiamare gli sterminatori con il loro nome davanti al mondo”. Parole molto dure e dirette che non potevano lasciare indifferente l'interlocutore cattolico. Nella sua replica, pubblicata sull’ultimo numero di Pagine Ebraiche, la Scaraffia rivendica per Edith Stein “il diritto di scegliere la sua vita e la sua religione. Di Cesare attribuisce alla Chiesa cattolica colpe e poteri che storicamente non hanno fondamento”. Secondo la storica torinese, infatti, uno dei motivi che portò alla deportazione della suora carmelitana ad Auschwitz, sarebbe stata “la severa presa di posizione pubblica del clero cattolico olandese contro la persecuzione nazista degli ebrei”. Dunque, “Edith Stein può essere considerata al tempo stesso martire ebrea e cristiana, come del resto lei ha sempre voluto essere, fedele al suo popolo anche nella conversione e nella vita religiosa”.Il dibattito resta aperto non solo fra gli storici del pensiero. Il confronto fra mondo ebraico e mondo cattolico assumerà nuovi spunti e nuovi punti di riferimento anche alla luce dell'attesa visita di gennaio di Benedetto XVI alla sinagoga di Roma.Nel corso della riunione di redazione di ieri sera Guido Vitale ha annunciato nuovi interventi dedicati a questo delicato argomento sul prossimo numero di Pagine Ebraiche e ha ricordato quanto sia importante per la minoranza ebraica in Italia avere una voce aperta, incisiva e capace di riportare sul vivo posizioni articolate e diversificate. Il dialogo fra le identità e le religioni non può passare solo attraverso atti formali, ma deve trovare luogo anche attraverso atti concreti che senza mai prevaricare le reciproche differenze costruiscano un nuovo clima caratterizzato dalla volontà di una reale comprensione e di rispetto reciproco fra le diverse identità in gioco.Adam Smulevich, http://www.moked.it/


Gerusalemme

Due storie di calcio e di politica

La prima è che il presidente del Brasile Luis Inacio Lula da Silva per dimostrare il contributo del suo paese alla pace in Medio Oriente ha promesso che se vi sarà progresso nelle trattative, farà disputare una partita fra la sua forte nazionale e una squadra mista Israele-Palestina. Grazie, signor presidente, ma solo a patto che la mista Israele-Palestina giochi contro una rappresentativa mista Brasile-Argentina... La seconda storia è che il Qatar, uno degli emirati del Golfo, vuole organizzare i campionati del mondo di calcio nel 2022, e per promuovere la sua candidatura promette di non opporsi alla partecipazione della nazionale israeliana. Facile demagogia: visti i risultati recenti, chi mai si aspetta che Israele possa riuscire a superare i gironi eliminatori.. S.Della Pergola,Un Ebraica di Gerusalemme http://www.moked.it/






Frittura di patate (piatto tipico di channuccà)



INGREDIENTI: 500 g di patate, 2 uova, sale, noce moscata, grasso d’oca o di pollo o olio
PREPARAZIONE: Lessare le patate e schiacciarle, unirci le uova battute, il sale, la noce moscata e friggerle a cucchiaiate nel grasso o nell’olio. Scolarle e servirle calde.Sullam n.41


Mele Fritte (piatto tipico di channuccà)

INGREDIENTI: 6 mele, 300 g farina, sale, 2-3 cucchiai di olio, 2 cucchiai aceto o un pizzico di bicarbonato, zucchero vanigliato.PREPARAZIONE: Sbucciare e tagliare a fette tonde le mele, togliere i semi al centro.Preparare la pastella battendo la farina con l’acqua, l’olio e l’aceto. Questa pastella deve risultare piuttosto densa e liscia. Friggere le ciambelline di mela dopo averle immerse nella pastella. Farle scolare e spolverizzarle di zucchero vanigliato.Sullam n.41



Gino Bartali durante il “Giro di Francia” del 1948

Il bis per Bartali stupisce la famiglia

Intanto, si scopre un'attività particolare del grande ciclista, non a caso definito “il postino della pace”
Fondazione onlus Gino Bartali “il postino della pace”. Così si presenta il sodalizio intitolato al grande campione delle due ruote, questi beneficiato, giovedì scorso, dal francobollo italiano in vendita a 60 centesimi.Perché tale nome? “Vaccari news” lo ha chiesto al figlio Andrea, cioè al presidente. “La Fondazione -spiega- è nata un paio di anni fa, e vuole ricordare il protagonista ed i valori in cui credeva ma, al tempo stesso, intende sviluppare progetti di ispirazione ciclistica ed umanitaria”.Ma cosa significa quel richiamo alla posta? “Bisogna risalire -prosegue Andrea Bartali- alla Seconda guerra mondiale. Già allora, mio padre era molto conosciuto e si allenava costantemente; perciò non destava sospetti”.Dopo l'inasprimento delle leggi razziali, fece parte di una rete segreta, ideata dal cardinale di Firenze Elia Dalla Costa, che puntava a far espatriare da Genova, con meta ultima gli Stati Uniti, quanti più perseguitati, sia politici sia religiosi, possibile. Per farlo occorrevano i documenti, e Gino Bartali si spostava da Firenze (dove abitava) a Farneta, cioè alla Certosa di Lucca (dove c'era la centrale partigiana), e da lì fino alla città ligure. Nascondeva i documenti nel tubo del telaio, sotto il sellino.“Quando -continua il figlio- tale via si rivelò impraticabile, il punto di riferimento divenne Assisi, più vicino alla linea del fronte «Gustav». Qui, con il supporto di alcuni contrabbandieri, si potevano mettere in salvo i malcapitati. In altre situazioni lo mandavano a perlustrare le strade per vedere se c'erano posti di blocco. Sì, veniva fermato: non per essere controllato, ma per scambiare due chiacchiere su argomenti sportivi”. Alla stazione di Terontola, ieri come oggi importante snodo ferroviario, c'è una lapide che ricorda il suo contributo, mentre il 31 maggio 2005 gli è stata conferita, dall'allora presidente Carlo Azeglio Ciampi, la medaglia d'oro alla memoria per merito civile poiché -dice la motivazione- “con encomiabile spirito cristiano e preclara virtù civica, collaborò con una struttura clandestina che diede ospitalità ed assistenza ai perseguitati politici e a quanti sfuggirono ai rastrellamenti nazifascisti dell'Alta Toscana, riuscendo a salvare circa ottocento cittadini ebrei”.E il francobollo per San Marino? “Una sorpresa molto bella”, conclude. “Anche perché mio padre ha avuto un particolare collegamento con l'antica Repubblica e ha contato su diversi amici, fra cui Giovanni Michelotti, fino a qualche anno fa stretto collaboratore del «Giro d'Italia». Nei progetti della Fondazione rientra lo sviluppo degli itinerari toscani chiamati «I percorsi di Gino Bartali», rivolti ai cicloturisti europei. Non a caso, fra questi è previsto uno sconfinamento sul monte Titano”.http://www.vaccari.it/ 27.10.09

Channuccà

di Amedeo Spagnoletto da Sullam n. 41
Non potrò mai dimenticare la prima volta che ho trascorso la festa di chanucca’ a casa della mia futura moglie. Riuniti, ci si accingeva ad accendere i lumi e si seguiva da un antico foglio molto unto e reso spesso dalle numerose gocce di cera che nel corso dei secoli si erano accumulate qui e là tanto da renderne difficile la lettura. Mio suocero Gino Servi iniziava ad intonare le berachot con l’aria di Pitigliano, e già questo destava in me forti emozioni. Il rituale tutto recitato con una pronuncia propriamente italiana terminava con il salmo n. 30 noto come mizmor shir chanuccad ha-baid-le-david. Rimasi sorpreso alla fine, quando alle ultime parole del salmo Ado.ay Eloh.ay lengolam odeka tutti insieme si riunivano in cerchio e gridavano con enfasi la frase “la mi nonna e’ vecchia” e una simpatica filastrocca che accompagnava lo spegnimento della candela. Non lo nego, allo stupore si aggiungeva un po’ di sufficienza, non mi sembrava adatta alla circostanza quella frase, a dire il vero mi suonava del tutto estranea al rito. Nei giorni seguenti ho continuato a vivere quella appendice colorita con una certa dose di fastidio e di rifiuto.Qualche anno più tardi mi trovavo al tempio mentre si accendeva la chanucca’ ; stesso rituale, stessi testi ma altre musiche, arie familiari, quelle che gia’ da bambino si imparano a scuola. Accanto a me c’e’ Angelino Moscati, più noto come Pulcino, un signore devoto e attento alle tradizioni romane che mi fa la rima alla fine del salmo mormorandomi nelle orecchie “mammeta e’ vecchia”. Rimango per un attimo disorientato, la mente mi va immediatamente all’uso pitiglianese e mi chiedo se questi modi di dire hanno un nesso tra loro e ancora di più se hanno un senso. E’ certamente difficile stabilire come e dove sia nato questo strano uso ma mi fa piacere collegarlo con un passaggio del Talmud di Shabbad in cui ci si chiede perchè mai nella benedizione di Chanucca’ aggiungiamo asher kiddeshanu bemizvodav we-zivvanu – che ci ha santificato con le sue mizvot e ci ha comandato di accendere …
A guardare bene, la ghemara’ ha ragione, se la festa di chanucca’ non e’ descritta in nessuno dei libri biblici, dove mai e’ stato imposto da Dio questo precetto? Una delle risposte che dà il Talmud si basa su un versetto della Torà che dice“…chiedi ai tuoi vecchi e te lo diranno”. Ovvero la Torà impone di seguire le parole che insegnano gli anziani, in questo sta il senso vero del verbo zivvanu - che ci ha comandato.Ho iniziato a ricredermi, quella frase non era così fuori luogo. Se inserita nel giusto contesto offre una lettura autentica e preziosa della festa di chanucca’. Celebrandola esprimiamo la manifestazione del miracolo – pirsum ha-nes- . Ma i prodigi sono tanti,vi e’ quello della vittoria dei pochi sui molti, quello dell’ampolla d’olio, ma anche e non ultimo il miracolo di un popolo che ha saputo essere aderente agli insegnamentidei proprisaggi intuendo che proprio in questo si nascondeva l’elisir della vita eterna per la propria nazione.
Mi sono chiesto varie volte perchè con tanta leggerezza avevo giudicato in modo sfavorevole l’espressione pitiglianese e me ne crucciavo un po’. Mi ritornava alla mente quel passo della mishna’ di Berachod in cui per dare rilievo e validità ad un uso non del tutto comprensibile, ed evitare che con sufficienza venga rifiutato, si richiamano le parole dei proverbi in modo allegorico, in cui la tradizione e’ paragonata ad una genitrice saggia e attenta: “al tabuz chi zeqena’ immecha – non disprezzare perche’ tua mamma e’ vecchia”.
E ancora oggi la bizzarra filastrocca, risuona sulle labbra dei miei figli.


parco del ghiaccio ad Eilat

La religione non c’entra: i minareti sono simboli politici

Il Giornale, 3 dicembre 2009, di Fiamma Nirenstein
Per parlare della decisione svizzera di bandire i minareti, innanzitutto avvertirò che nei miei anni come corrispondente da Gerusalemme ogni notte, alle 4, ben prima del gallo, dalla valle sotto casa mia ho dovuto subire il canto del muezzin da una vicina moschea, e non lontano da lui, l’eco di molte altre voci simili. Mai, tuttavia, ho pensato che quel muezzin dovesse star zitto. Nel suo villaggio non canta per farsi sentire anche da me, ma per chiamare i suoi alla preghiera. Questa è libertà religiosa, e Gerusalemme la dà a tutti.Pensare che laggiù cercasse di affermare un messaggio politico oltre che religioso significherebbe andare oltre ciò che è legittimo per una persona democratica, liberale, rispettosa della cultura, della religione altrui. Di fatto l’islamofobia, salvo per alcuni casi patologici, è un’invenzione dell’Onu, quando nel 2004 il segretario Kofi Annan la definì ufficialmente causa della frustrazione di molti musulmani, senza dedicare una parola alla jihad che allora impazzava e ad altri immensi problemi. Infatti, nella sua maggioranza, l’Islam ufficiale, nei suoi luoghi d’origine e all’estero, non ha accettato la dichiarazione universale dei diritti umani, contrapponendovisi con altre come la Dichiarazione del Cairo che afferma «ognuno ha diritto a sostenere ciò che è giusto, e a mettere in guardia contro ciò che è sbagliato e malvagio in conformità con la Sharia islamica».Al fondo della problematica che ha condotto gli svizzeri a rispondere di no a nuovi minareti non c’è una scarso rispetto della libertà religiosa. Non c’è nemmeno la perdita di identità che ora ci fa correre, sbagliando, a chiedere di mettere una croce sulla bandiera. Non c’entra nulla. C’è una quantità di semplici ragioni di diffidenza che impediscono di desiderare l’allargamento dell’Islam. Né si deve immaginare che la scelta inviti i musulmani all’estremismo: ben altre ragioni guidano lo jihadismo, che è nutrito solo da se stesso, dalla decisione indefettibile di convertire il mondo. Gli svizzeri vedono la TV e si preoccupano: la sharia porta alla pena di morte, all’impiccagione di omosessuali, alla lapidazione. In generale, nei paesi islamici, vige la dittatura, i dissidenti soffrono, muoiono. I cristiani sono perseguitati, gli ebrei poi non se ne parla nemmeno. I gruppi e i Paesi che più forte gridano la loro fede sono anche i più evidenti, e certo sia l’Iran di Ahmadinejad che gli Hezbollah o Hamas o Al Qaida rappresentano modelli negativi, terroristi.Certo, non tutto l’Islam è così. Ma parliamone, esaminando i problemi senza censure con accuse di islamofobia; abbiamo un problema, che lo si risolva guardando negli occhi l’immigrazione islamica, o alla prima occasione la preoccupazione si trasformerà in rifiuto. E non vale a calmare la pubblica opinione l’idea che comunque il vero Islam è altrove rispetto alla jihad: sono pochi e minoritari gli episodi in cui una voce islamica valorosa si levi per garantirci il rispetto della democrazia, della sessualità altrui, dei convertiti, dei dissidenti. La negazione politically correct, quella sì che lascia fiorire la jihad: in Svizzera, dopo l’arresto di otto persone sospettate di aver collaborato in alcuni attentati suicidi in Arabia Saudita, la reazione del capo di un gruppo musulmano locale fu che «il problema non è l’aumento dell’integralismo islamico ma l’intensificarsi dell’islamofobia». Anche negli Usa si è ripetuto lo stesso per l’episodio di Fort Hood.È proibito ridere di vignette che parlano dell’Islam, è proibito occuparsi della terrificante oppressione delle donne, è abbietto notare che fra Islam e regimi autoritari sussiste un’evidente identificazione, è orrido sollevare il tema del delitto d’onore, della poligamia e delle vetrioleggiate che ci trascinano decenni indietro (sì, molto deriva da usi tribali, non religiosi, ma andiamo per favore a vedere la dislocazione geografica e sociologica), e soprattutto è generico parlare della jihad... E allora, visto che tutto ciò che è concreto è vietato, la reazione si concentra sui simboli dell’islam.Esistono milioni di moschee senza minareto nei paesi islamici. Ma se si costruiscono vicino alle chiese, sono generalmente più alti, orgogliosi, potenti. La costruzione del luogo di culto islamico ha in sé una serie di espliciti significati secolari che sempre ribadiscono la santa competizione dell’Islam per conquistare il mondo. Molte moschee sorgono su antichi templi ebraici e cristiani. Una rivolta contro il politically correct sull’Islam può avvenire ovunque, e la molla non sarà l’intolleranza religiosa: non è nostra, né Svizzera, né europea.

giovedì 3 dicembre 2009



Gerusalemme


Libano. Il governo: "Giusto armare gli Hezbollah contro Israele"

2 Dicembre 2009 , http://www.loccidentale.it/
Il governo libanese di unità nazionale ha approvato oggi il testo del documento programmatico, in cui si conferma il "diritto del movimento sciita Hezbollah a usare il suo arsenale contro Israele in nome della resistenza". Con l'opposizione di un ministro e le riserve di altri tre, tutti e quattro cristiani della maggioranza parlamentare, è passato il testo che, sul tema delle armi di Hezbollah, è pressoché identico a quello approvato nel 2008 in occasione della nascita del precedente "governo di unità nazionale". Il programma approvato oggi afferma che l'esecutivo, "sulla base della sua responsabilità di salvaguardare la sovranità, l'indipendenza, l'unità e la sicurezza territoriale del Libano, ribadisce il diritto del popolo, dell'esercito e della resistenza (sinonimo di Hezbollah), di liberare e riottenere le fattorie di Shebaa, le colline di Kfar Shuba e la parte nord del villaggio di Ghajar", in riferimento ai territori occupati da Israele e rivendicati dal Libano.
Le riserve e l'opposizione dei 4 ministri si riferiscono esclusivamente al paragrafo del testo relativo alla "resistenza". Il Parlamento di Beirut si riunirà la settimana prossima per esprimere la fiducia al governo e al suo programma, con una votazione dagli esiti positivi già annunciati.



ISRAELE: PER LA PRIMA VOLTA DONNE SOLDATO COMPLETANO CORSO DA CECCHINO

Tel Aviv, 2 dic. - (Adnkronos/Dpa) - Per la prima volta nella storia dell'esercito israeliano, un gruppo di donne soldato ha completato il corso da cecchino. Lo ha reso noto una portavoce militare, citata dal quotidiano Maariv.Considerato a lungo un bastione maschile, il corso dura sei settimane e insegna a centrare un bersaglio alla distanza di un chilometro. Un cecchino deve essere in grado di rimanere appostato fino a dieci ore di seguito e di colpire il suo bersaglio in meno di un minuto. Dei 16 allievi dell'ultimo corso, ben 13 erano donne.Le donne cecchino hanno recentemente riportato il loro primo successo, colpendo due trafficanti di droga ad un chilometro di distanza mentre cercavano di traversare il confine del Sinai fra Israele ed Egitto. L'obiettivo finale dell'esercito israeliano e' di poter dotare ogni battaglione di fanteria di una compagnia di cecchini, uomini e donne.


Fonti di stampa: Gilad trasferito in Egitto

Il movimento radicale palestinese Hamas avrebbe trasferito Gilad Shalit in Egitto nell'ambito dello scambio di prigionieri con Israele che dovrebbe portare al suo rilascio dopo oltre tre anni trascorsi in mano a miliziani palestinesi. Lo scrive oggi il quotidiano kuwaitiano Al Jarida, citato da Haaretz. Il quotidiano del Kuwait riferisce che il militare israeliano Gilad Shalit sarebbe già stato trasferito in una località sicura e segreta in Egitto, accompagnato dal capo dell'ala militare di Hamas, Ahmed Jabari, e da uno dei leader di Hamas, Mahmoud Zahar. Israele è ancora in attesa di una risposta ufficiale di Hamas alla proposta del mediatore tedesco sullo scambio di prigionieri con il movimento palestinese. Il gruppo radicale si è impegnato a chiarire la sua posizione in pochi giorni. 3 dicembre 2009, ILSOLE24ORE.COM





Tel Aviv - Bank Leumi le-Israel


La banca centrale australiana porta i tassi al 3,75%

La banca centrale australiana ha aumentato per il terzo mese consecutivo il tasso ufficiale di interesse di un quarto di punto, di fatto dichiarando superato il rischio di una grave contrazione dell'economia. Il tasso ufficiale sale così al 3,75%, a confronto di tassi vicini a zero in Usa e Giappone, dello 0,5% in Gran Bretagna e 1% nella zona euro. Norvegia e Israele sono le sole altre economie avanzate che hanno cominciato a rialzare i tassi da quando è passata la punta della crisi globale, ma partivano da livelli molto più bassi del 3% dell'Australia di quattro mesi fa. Nel comunicato che accompagna la decisione, il governatore della Reserve, Glenn Stevens conferma le rosee previsioni per la crescita economica nei prossimi due anni, e lascia prevedere una serie di incrementi diretti ad una "normalizzazione" dei tassi. «Ora che il rischio di una grave contrazione in Australia èpassato, è stato concordato di abbassare gradualmente il livello di stimoli monetari adottato quando le prospettive apparivano molto più deboli», scrive.
1 dicembre 2009, http://www.ilsole24ore.com/



Gerusalemme - porta delle Mura antiche

L'era della guerra informatica

La preparazione alla guerra informatica, finora coperta da media e governi, deve uscire dall'ombra e diventare argomento di confronto. Le vittime di eventuali attacchi sarebbero i civili, cioè noi. Ecco il Quinto Rapporto McAfee sulla criminologia virtuale
02 Dicembre 2009, http://www.01net.it/
La corsa agli armamenti sta crescendo a dismisura e il numero di attacchi informatici a sfondo politico si sta impennando. Cinque le nazioni meglio armate: Cina, Russia, Stati Uniti, Francia e Israele. Sembra una notizia vecchia e non informatica, ma non è così. Non si parla di armi convenzionali né nucleari, bensì di armi informatiche. Il paragone storico è improprio: basti pensare che la complessità della situazione è tale da non poter ipotizzare l'equivalente delle “regole d'ingaggio”, per stabilire come e con quali forze reagire ad un attacco.Le informazioni provengono dal quinto rapporto annuale McAfee sulla criminologia virtuale , presentato ieri a Roma. Il rapporto, commissionato da McAfee a Good Harbor Consulting, è stato preparato da Paul B. Kurtz. “McAfee è l'unica azienda mondiale a rendere note queste informazioni”, ha detto Ferdinando Torazzi, Regional director di McAfee Italia, non per allarmismo ma per informazione, tanto che sono molte le traduzioni dall'inglese, compresa la versione in italiano. “Come criminologi stiamo verificando che aziende anche non grandi hanno la stessa valenza di un'infrastruttura critica”, ha aggiunto Marco Strano, presidente Icaa, “che a differenza delle grandi strutture non hanno coscienza della loro attaccabilità”. Certo “inertizzando” Facebook si darebbe un grande fastidio, ma bloccare un importante sito di prenotazioni alberghiere per i dieci giorni precedenti le vacanze creerebbe un disagio ancora maggiore. D'altronde in un suo altro recentissimo report, The Security Paradox, McAfee indicava che proprio le aziende di medie dimensioni stanno riducendo i budget di sicurezza.Alcuni casi reali“McAfee ha iniziato ad avvertire della corsa globale all’armamento cibernetico oltre due anni fa, ma ora assistiamo a continue testimonianze del fatto che oggi è una realtà," ha affermato Dave DeWalt, presidente e CEO di McAfee. “Attualmente varie nazioni nel mondo sono coinvolte attivamente in preparativi e attacchi di guerra informatica, e tutti devono adeguarsi a tali minacce”.Il più evidente di questi attacchi è stata la campagna informatica lanciata contro la Georgia nell'agosto del 2008 durante la guerra dell'Ossezia meridionale, ma è probabile che fatti ben più gravi di terrorismo internazionale vengano tenuti nascosti. Scott Borg, direttore della US-CCU (U.S. Cyber Consequences Unit), ritiene che il conflitto georgiano possa essere un precursore dei futuri attacchi informatici orchestrati dagli stati-nazione. "Nella campagna informatica georgiana sono stati forniti strumenti di attacco, obiettivi e tempi", ha commentato Borg. "Finora questa tecnica è stata utilizzata per attacchi DoS o analoghi, ma in futuro verrà usata per organizzare attacchi più devastanti".Il rapporto analizza svariati casi interessanti, dall'Estonia all'Illinois. Protezione civile informatica“In Italia non c'è un documento programmatico come quello affidato al Gao, lo US Government Accountability Office”, indica Gabrile Cicognani della Guardia di Finanza ma in prestito al Cnipa, “Il loro documento lista le cinque minacce principali: foreign nations, criminal groups, hackers, hacktivists, disgruntled insiders, terrorists”, e si noti che minacce come Al-Qaeda, non citate esplicitamente nel report, vengono messe in fondo alla graduatoria insieme ai terroristi e dopo i dipendenti scontenti.Di fatto “c'è bisogno dell'equivalente della Protezione civile ma sul piano informatico”, suggerisce Cicognani. Ormai non si tratta più di generiche avvertenze: per la prima volta il rapporto McAfee fornisce un modello per definire la guerra informatica, identifica le nazioni coinvolte nello sviluppo di reati e difese informatiche, sviscera esempi di attacchi informatici a sfondo politico e rivela come il settore privato sarà coinvolto in questo fuoco incrociato. Gli esperti invocano una chiara definizione e un dibattito aperto sull'argomento. Senza un dibattito aperto tra il governo, il settore privato e pubblico, i futuri attacchi informatici volti a colpire le infrastrutture critiche potrebbero essere devastanti. Un conflitto informatico avrebbe quindi effetti devastanti e reali. Le armi informatiche mirano a colpire le infrastrutture critiche quali reti elettriche, trasporti, telecomunicazioni, finanza e forniture idriche. Anche nelle nazioni più avanzate la connessione telematica con le “reti tecnologiche” è del tutto indifesa e di fatto viene gestita da privati che confidano nella protezione governativa. Tra le domande sollevate dal report c'è la questione d'un trattato di non proliferazione dell'armamento informatico e molti approfondimenti disponibili sul blog McAfee Security Insights. Si noti che le linee di demarcazione tra spionaggio e guerra, ma anche tra guerra informatica e cybercrime, sono molto, molto incerte. Basti pensare che alcuni stati-nazione vedono nelle organizzazioni criminali dei preziosi alleati, dimostrando di tollerare, incoraggiare o addirittura ispirare gli attacchi a bersagli nemici da parte di organizzazioni criminali e privati cittadini.


1948 .ragazze dell'Haganà


02/12/2009 Il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad ha dichiarato martedì sera che non è necessario fornire ulteriori precisazioni all'AIEA sulle centrali nucleari.02/12/2009 Ogni anno l'Onu commemora come una giornata di lutto il 29 novembre, anniversario del riconoscimento del diritto di Israele ad esistere da parte della stessa Onu: una tradizione stigmatizzata dall'ambasciatrice d'Israele alle Nazioni Unite, Gabriela Shalev, come avversa alle speranze di pace.02/12/2009 Pfizer, la più grande casa farmaceutica del mondo, intende investire 115 milioni di $ per acquisire i diritti di un farmaco sperimentale della società biotecnologica israeliana Protalix Biotherapeutics. Secondo la Pfizer, la tecnologia derivata da cellule di carote sarebbe "rivoluzionaria": consiste nell'utilizzo di cellule vegetali per produrre le proteine alla base di farmaci, una metodica più sicura rispetto alle cellule animali attualmente utilizzate. http://www.israele.net/



Gerusalemme

Israele, Robot salva due bambini dall'attacco di un serpente

Israele: «Un robot non può recare danno a un essere umano né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, un essere umano riceva danno». Così recita la prima delle tre leggi sulla robotica, formulate da Isaac Asimov. Potrebbe essere questo che ha "pensato" Roomba un robot-aspirapolvere quando ha ucciso una vipera palestinae che era entrata in un'abitazione in Galilea, forse alla ricerca di un cantuccio per l'inverno.http://www.barimia.info/ 2.12.09


Clinton: Israele e Palestina più vicini

Se qualcuno avesse avuto il desiderio di conoscere come ragionava Bill Clinton quando era presidente, gli sarebbe bastato ignorare i suoi discorsi scritti e andare a sentirlo parlare lontano dai microfoni nelle serate organizzate per la raccolta di fondi. La sera, infatti, gli piaceva esternare a ruota libera le sue idee su razza, religione, scienza e natura dell'anima umana. Oggi il posto giusto nel quale recarsi ad ascoltarlo disquisire in tutta libertà è la conferenza annuale denominata Clinton Global Initiative a New York, alla quale prendono parte centinaia di capi di stato, personalità eccezionali del mondo del lavoro, dirigenti delle organizzazioni non governative, accademici e perfino star hollywoodiane, che non si limitano a parlare dei problemi del mondo, ma anche di come affrontarli. Presidente Clinton, in vista del 2010 quali sono secondo lei gli avvenimenti strategici più imprevedibili che dovremmo invece aspettarci? Dovremmo osservare con attenzione ogni regione del mondo, per vedere se vi sono zone nelle quali possa accadere qualcosa di politicamente simile alla crisi finanziaria che abbiamo vissuto. Per esempio, non dovremmo chiederci se in Nigeria qualcosa potrebbe andare storto a seguito della concomitanza di conflitto politico e di crisi economica?D'altra parte, dovremmo anche chiederci in ogni caso quali altri paesi al mondo potrebbero ancora sorprenderci positivamente, con qualcosa di positivo e brillante. Penso che vi siano ancora buone possibilità che israeliani, governo di Hamas e governo palestinese arrivino a un accordo, perché a lungo termine sarebbe un male non arrivare a un'intesa se entrambe le parti ne hanno la possibilità. Per il momento Hamas ha un'immagine molto screditata a seguito dell'operazione di Gaza, ma nonostante tutto l'Autorità palestinese sta palesemente cercando di migliorare le proprie potenzialità. Godono di favore al momento, ma se non fossero in grado di garantire concreti progressi economici e politici e di renderli duraturi nel tempo, le cose cambierebbero parecchio per loro. Per gli israeliani le previsioni a lungo termine sono ancora più nette e chiare, perché ben presto non saranno più una maggioranza. A quel punto dovranno necessariamente decidere se continuare a essere una democrazia e non essere più uno stato ebraico, oppure se continuare a essere uno stato ebraico e non più una democrazia. E di sicuro questo è un grande incoraggiamento. Io credo che una delle cose che potrebbero davvero stupirci nel 2010 sia che israeliani e palestinesi arrivino a un'intesa sostanziale. Nessuno crede che ciò abbia molte possibilità di accadere, e probabilmente non accadrà, a causa degli ostacoli e della complessità politica che caratterizza il governo israeliano. Tutto quello che posso dirvi, in ogni caso, è che ho trascorso moltissimo tempo, quando ero presidente, a cercare di distinguere tra i titoli in prima pagina sui giornali e le effettive evoluzioni delle situazioni. Se è mai esistito un posto nel quale studiare l'andamento dei trend ti può portare alla conclusione che quanto prima si perviene a un accordo tanto meglio è, di sicuro è lì.Quali considera che siano oggi le menti più brillanti e intuitive al mondo (escludendo quelle della sua famiglia)? Ci sono personaggi particolari che dovrebbero essere inclusi in questo elenco? Paul Krugman. Non sempre condivido le sue opinioni, ma è immancabilmente bravo. David Brook è stato molto bravo. Tom Friedman è oggi il nostro giornalista più dotato, il più esperto nel saper osservare che cosa accade nel mondo, dedurne le implicazioni per il nostro futuro, e oltretutto escogitare valide espressioni per spiegarle che restano ben impresse, per esempio «gli uomini veri alzano le tasse sulla benzina». Capite di che cosa sto parlando, vero? Malcolm Gladwell ha assunto un'importanza di rilievo. Tipping Point è un libro molto preciso e accurato su quello che è accaduto e che cosa è cambiato. Penso che il suo ultimo libro, Outliers, sia ancora più importante per comprendere come progredire e per addurre valide motivazioni a sostegno della tesi che perfino secondo le persone che consideriamo geniali la vita è più una corsa sulla lunga distanza che l'evento strabiliante di una sera da parte di un solo performer. Credo sia un libro veramente eccezionale. Robert Wrigh: ha scritto The evolution of God, The moral animal e il libro pubblicato in mezzo a questi due, Nonzero, che mi ha influenzato moltissimo quando ero presidente. Un altro scrittore che ha pubblicato un libro molto interessante sull'importanza determinante della cooperazione nel genere umano e in altre specie è Matt Ridley. Quello che ha avuto una discreta influenza su di me è The origins of virtue.La Guerra Fredda è durata una quarantina d'anni circa. Considerata l'attuale guerra all'estremismo - o guerra al terrorismo che la si voglia chiamare - prevede che durerà altrettanto o che nel prossimo decennio assisteremo a svolte importanti?................. http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/dossier/Italia/2009/commenti-sole-24-ore/1-dicembre-2009/clinton-israele-palestina-piu-vicini.shtml



Israele: BSL - 6a giornata: Maccabi schiacciasassi, Haifa continua la risalita

Dopo il sofferto scalpo di Elyon della scorsa settimana, il Maccabi Tel Aviv torna a rivestire i panni di autentica schiacciasassi triturando alla Nokia Arena i malcapitati ospiti dell’Hapoel Afula. Il Gilboa Galil resta comunque in scia grazie alla vittoria casalinga nel posticipo del lunedi su un Hapoel Holon se possibile sempre più inguaiato, visto che in questi giorni sono arrivate anche le direttive da parte della BSL sui necessari adeguamenti strutturali da apportare alla Holon City Arena; se entro metà gennaio non saranno ristrutturati bagni e spogliatoi ed entro la fine della prossima estate non verrà installata l’aria condizionata nell’impianto, la società dell’owner Toby Schwarz dovrà cercarsi un’altra sistemazione.................



Giovanni Borromeo

nasce a Roma il 15 dicembre 1898. Laureatosi in Medicina nel 1922, inizia la carriera ospedaliera e nel 1931 vince una prima volta il concorso di Primario, ma non ottiene l'incarico a causa del suo rifiuto di iscriversi al partito fascista. Nel 1933 vince nuovamente il concorso, e nuovamente viene accantonato per lo stesso motivo. A partire dal 1934 si occupa a tempo pieno dell'Ospedale Fatebenefratelli sull'Isola Tiberina di Roma, che grazie a lui diventerà uno dei più apprezzati ospedali della Capitale. Durante l'occupazione nazista di Roma nasconde nello scantinato del nosocomio una radio ricetrasmittente, utilizzata per tenere i contatti con la resistenza e con le forze alleate; salva la vita a numerose decine di ebrei, ricoverandoli con la diagnosi di un misterioso "morbo di K" (K come Kappler e Kesselring), una malattia pericolosissima ed estremamente contagiosa, da lui stesso inventata di sana pianta per tenere i tedeschi più lontani possibile dalle corsie. Persona di eccezionali doti umane, possiede una vastissima cultura, con interessi e approfondite conoscenze che vanno dalla musica alla letteratura, dalla filosofia alla matematica. Muore a Roma il 24 agosto 1961. Nel corso di una cerimonia tenutasi nel suo ospedale il 2 marzo 2005, l'Ambasciatore d'Israele ha consegnato ai figli il riconoscimento di Yad Vashem di "Giusto tra le Nazioni".


Gerusalemme - cimitero sul monte degli Ulivi

Radio Radicale, conversazione settimanale sull'attualità mediorientale con il Direttore di Radio Radicale Massimo Bordin mercoledì 2 dicembre 2009
ASCOLTA LA REGISTRAZIONESintesi degli argomenti della puntata di questa settimana:Cambio della leadership all'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica. Ahmadinejad non demorde.Internet & the Middle East:Due attivisti iraniani arrestati il 18 novembre e condannati a 6 anni di carcere per attività di dissenso su internet contro il regime.Istituita una nuova unità di polizia per combattere "gli insulti e il diffondersi di bugie su internet".Ahmadinejad nella veste di blogger: "le memorie personali di Mahmoud Ahmadinejad" - 15 minuti alla settimana per avere un contatto personale con la popolazione.Blog in inglese e in farsi: due lingue, due versioni.L'esercito israeliano sta organizzando una nuova unità di media per rispondere agli attacchi su Youtube.Sito DEBKA: attendibile o no? Buona fonte, ma da verificare...Questione Gilad Shalit: nulla di nuovo sotto il sole, tutto in sospeso dalla settimana scorsa.La vicenda è in stretto collegamento con le elezioni palestinesi, inizialmente indette da Abu Mazen e poi sospese. Sempre rifiutate da Hamas, ma ora sembra che ci stia ripensando. Ovvero: la liberazione di Shalit farebbe grande pubblicità a Hamas, e quindi eventuali elezioni giocherebbero a suo favore.Netanyahu ha annunciato tre giorni fa un congelamento di tutti gli insediamenti per 10 mesi. L'esercito ha già iniziato a distribuire ordini di arresto dei lavori in tutti gli insediamenti.Frattanto, i membri del Likud, il partito di Netanyahu, che vivono in insediamenti, hanno a loro volta annunciato un "congelamento", ma della loro appartenenza al partito, fino a che non si riprenderà la ricostruzione. Ma riprenderà mai la costruzione una volta accettato il principio?L'apprezzamento degli Stati Uniti per il gesto israeliano e la posizione ostile dell'Unione Europea.Un'Unione Europea fortemente condizionata dalla presidenza svedese di turno, in carica fino a fine dicembre. Dopo l'episodio della pubblicazione antisemita sul traffico di organi palestinesi da parte dell'Esercito israeliano sul giornale svedese Aftonbladet, e il rifiuto del Governo svedese di condannarla, i rapporti Svezia-Israele si sono incrinati.Carl Bild, Ministro degli Esteri svedese, ha preparato un documento, che presenterà la settimana prossima all'Unione Europea, in cui sancisce la spartizione di Gerusalemme. Ovvero, pone come primo punto quasi scontato, il nodo principale, la questione più delicata in tutte le trattative israelo-palestinesi, come ci insegna Camp David 2000, le trattative tra Barak e Arafat, sotto gli auspici di Bill Clinton, che fallirono drammaticamente proprio su questo punto, perché Arafat disse che per lui era impossibile accettare la divisione di Gerusalemme.Problemi: l'unilateralità. Impossibile pensare di non discutere di questo punto se non a un tavolo di trattative.La libertà di culto, concessa a tutte le fedi solo dal 1967 (sotto il dominio giordano, agli ebrei è sempre stato negato l'accesso al Muro del Pianto).La propaganda arafattiana per cui gli ebrei non avrebbero nessun legame con Gerusalemme.Sari Nousseibeh, professore palestinese, è intervenuto a una recente presentazione all'Università Ebraica di Gerusalemme del libro "Dove il Cielo e la Terra si incontrano: la Sacra Spianata di Gerusalemme", alla cui stesura ha contribuito, sostenendo il legame esistente tra ebrei e Gerusalemme. Alla presentazione, tuttavia, non ha parlato, probabilmente per preservarsi.


Istituto Weizmann

L’Europa vuol dividere Gerusalemme in due per regalarla agli arabi

Il Giornale, 2 dicembre 2009, Fiamma Nirenstein
Dato che la sua presidenza della Unione Europea durerà fino al primo di gennaio, la Svezia fa di tutto per portare a casa più in fretta possibile qualche risultato eclatante, spingendo l’Ue verso inusitate sponde di palestinismo. Carl Bildt ministro degli esteri svedese, lo stesso che si rifiutò di dissociarsi dall’articolo del quotidiano Aftonbladet per il quale i soldati israeliani uccidono i palestinesi per commerciare nei loro organi, adesso ha preparato un documento svelato ieri dal giornale israeliano Ha’aretz. Sarà presentato la prossima settimana all’incontro dei ministri degli esteri dei 27 paesi dell’Ue: l’Unione Europea vi si pronuncia perché Gerusalemme sia divisa in due, insieme capitale israeliana e capitale palestinese.Ecco come si risolve all’Europea una delle questioni più delicate del mondo: un documento, una spina per Israele, un piacere ai palestinesi, e niente di fatto. Pare che la Germania, l’Italia, e la Spagna non vogliano starci, e invece la Francia e l’Inghilterra sì. Il solito stile che ha portato l’Europa fuori di ogni rilevanza politica in Medio Oriente. Qui, è solo l’avventata conclusione di una trattativa ancora non iniziata e mille volte abortita.Come è noto, Netanyahu proprio due giorni or sono ha stabilito che le costruzioni negli insediamenti vengano fermate per dieci mesi per dare un segnale ai palestinesi della volontà di Israele di andare a un tavolo di pace. Di questa mossa nel documento dell’Ue si fa un cenno sprezzante, simile molto all’atteggiamento della nomenclatura araba, dicendo solo che si spera che la mossa porti a più significativi passi per la pace. Invece, senza che i palestinesi abbiano accettato di parlare di pace, ecco che l’Unione Europea promette Gerusalemme a un’Autorità spaccata fra Fatah e Hamas; chiede il ripristino dell’uso palestinese di siti che sono serviti, come l’Oriental House, per organizzazioni politiche che hanno giuocato anche un ruolo violento; dimenticano che la gestione giordano-palestinese della città non ha mai garantito, a differenza di quella ebraica, la libertà religiosa per tutti. Ignora che la scelta di dividere Gerusalemme, se non accompagnata da una quantità di cautele, di garanzie di sicurezza e religiose, dalla delicatissima gestione del Monte del Tempio e di tutta una serie di altri siti, porterebbe a grandi disastri, a una guerra permanente.In una parola, difficile immaginare una gestione liberale di una città policulturale come Gerusalemme da parte di uno Stato con la Sharia. Un passo avventato, dicono gli israeliani, impedirebbe per chissà quanto tempo la ripresa di seri colloqui di pace negoziata. Sostengono che la Svezia agisce solo per polemica. Non si può essere ingenui su problemi come questo: non si può dimenticare che Ehud Barak a Camp David aveva già diviso Gerusalemme con Arafat e che questo non solo non ha portato alla pace, ma ha al contrario portato al peggiore scontro fra israeliani e palestinesi, quello dell’ Intifada del terrorismo suicida. Arafat disse che gli era impossibile accettare qualsiasi divisione perché il mondo arabo non lo avrebbe accettato. «Sarebbe la mia fine», disse.La divisione di Gerusalemme creerebbe un’eccitazione micidiale nel mondo islamico estremista, che vi vedrebbe uno richiamo alla battaglia definitiva. Il documento svedese intende sottoporre all’approvazione dell’Ue la scelta di Salam Fayyad per la dichiarazione unilaterale di uno Stato Palestinese, quando è evidente, ed anche statuito dalla risoluzione 242 dell’Onu, che senza accordi definitivi sui confini, sulla sicurezza, sull’economia, sulla fine dell’incitamento e della convinzione mai sopita di potere alla fine cancellare lo Stato d’Israele, per il futuro stato non c’è futuro. Senza negoziati Israele non accetterà mai di dividere con i palestinesi Gerusalemme, che hanno da poco tradito la fiducia di una suddivisione territoriale unilaterale mettendosi a sparare da ogni centimetro di terra liberata a Gaza. Gerusalemme ha 750mila abitanti di cui due terzi ebrei: senza garanzie, non vogliono trovarsi sotto il fuoco nemico nella strada accanto. Di destra o di sinistra, inoltre, la capitale, riconosciuta o meno dal resto del mondo, è la loro stessa identità, l'identificazione con la Bibbia, con la grande storia del re David, con la gloria del Primo e del Secondo Tempio, con la sopravvivenza nelle guerre dal 48 in avanti. Gli arabi avevano sempre riconosciuto questa primogenitura nonostante l’importanza per l’Islam della città e delle bellissime Moschee che sorgono sul Monte del Tempio e sono nella religione musulmana il luogo da cui Maometto volò in cielo. Fu Arafat che negò, con invenzione mediatica potente fino a oggi, le radici ebraiche di Gerusalemme.Ora, finché i palestinesi non ammetteranno che gli ebrei a Gerusalemme ci sono nati, è inutile che Bildt si dia tanto da fare: Israele non accetterà chi li nega. L’accordo avverrà solo a un tavolo delle trattative. Forse. E semmai nonostante gli aiuti europei.

martedì 1 dicembre 2009


Gerusalemme

La batteria ecologica che va ad aria

Roma - Un team di scienziati del Technion Institute of Technology di Haifa, in Israele, ha messo a punto un tipo di batteria che, rispetto a quelle tradizionali, promette di incidere drasticamente meno sull'ambiente, funzionare continuativamente per "migliaia di ore" e mantenere inalterata la propria carica per periodi di tempo molto lunghi. Basata su ossigeno e silicio, i due elementi più abbondanti sul nostro pianeta, la batteria sviluppata dagli scienziati israeliani è leggerissima, molto tollerante alle condizioni di umidità dell'aria, ed economica da produrre: tali vantaggi derivano principalmente dal fatto che nelle batterie silicon-air l'anodo è fatto di silicio e il catodo di... aria, o per meglio dire di ossigeno. "Nelle batterie metallo-aria si ha un significativo risparmio in termini di peso e costi a causa del fatto che non incorporano un catodo" ha spiegato il professor Yair Ein-Eli della Facoltà di Ingegneria dei Materiali del Technion, che da anni compie ricerche sulle batterie metallo-aria. "In questo tipo di batterie (incluso quello silicio-aria, NdR), il catodo è l'ossigeno che proviene dall'atmosfera passando attraverso una membrana". Ein-Eli ha aggiunto che si sta già lavorando da tempo per adattare queste batterie alle auto elettriche e ai dispositivi elettronici di consumo, e che di recente Toyota e Panasonic hanno unito le forze per sviluppare batterie zinco-aria. Technion ricorda poi come MIT, IBM e Tesla Motors stiano invece mettendo a punto batterie litio-aria che promettono capacità fino a dieci volte superiori a quelle degli accumulatori li-ion tradizionali. Il principio di funzionamento di tutte le batterie che utilizzano l'ossigeno come catodo è sostanzialmente lo stesso. L'uso del silicio al posto di un metallo, secondo Ein-Eli, fornisce però numerosi vantaggi: "Il silicio è un materiale più comune e stabile, non pericoloso, leggero e con una più elevata capacità di carica". Per il momento le batterie silicio-aria sono state concepite come pile non ricaricabili da utilizzare in dispositivi elettronici mission-critical, come ad esempio le pompe insuliniche per i diabetici, e in altri device dove è difficile se non impossibile cambiare la batteria. I ricercatori israeliani contano di sviluppare versioni ricaricabili di queste batterie entro tre anni, e di produrne modelli commerciali per le automobili entro dieci.http://www.venetonanotech.it/,30 novembre 2009



Soldati di Israele. Perché Gilat Shalit è tanto importante

30 novembre 2009, http://www.abruzzoliberale.it/
Esistono oltre 900 memoriali in Israele; in media uno per ogni diciassette soldati uccisi (la media negli altri paesi è uno ogni 10.000 militari caduti). Israele, però, è l’unico paese al mondo dove non esiste un monumento al milite ignoto: tutti devono tornare nella propria terra, vivi o morti. Per Israele ogni soldato morto è un eroe perché Israele non può permettersi di perdere neppure una guerra: una sconfitta significherebbe semplicemente l’annientamento di quel popolo.
Come ha scritto Giulio Meotti, “tre anni di servizio militare a diciotto anni significa una cosa sola: che tutti devono difendere il paese. Anche tuo padre quando lo chiamano dalla riserva, un mese una volta l’anno, è insieme a te nell’esercito. Nel 1948 l’esercito nasce con l’ossessione del legame col popolo: vuole essere umano, egualitario, intelligente, morale.E’ l’unico esercito [al mondo] che porti nel suo statuto una clausola che impone al soldato di disobbedire se riceve un ordine disumano”.In proposito si può vedere questo filmato: http://www.road90.com/watch.php?id=Cx3wV3PBAx (ve lo consiglio!!!n.r.)


tutti i graffiti palestinesi riproducono la rappresentazione delle immutate rivendicazioni territoriali: lo stato di Israele risulta cancellato

Non è (mai) abbastanza

Da un editoriale del Jerusalem Post
Con la pazienza di un taxista allo scatto del semaforo verde, la dirigenza palestinese si è precipitata a reagire alla moratoria delle nuove costruzioni negli insediamenti di Cisgiordania, annunciata mercoledì dal governo israeliano, con un chiaro e netto “Non è abbastanza!”.Il congelamento senza precedenti deciso dal governo del primo ministro Benjamin Netanyahu è sia sostanziale che simbolico: è l’appropriata risposta alla richiesta di blocco da parte palestinese, che è però di facciata e uno specchietto per allodole.Il contenzioso fra palestinesi e israeliani non è sugli insediamenti. Esso verte sulla disponibilità o meno degli arabi a riconoscere la legittimità di Israele come Stato del popolo ebraico all’interno di qualsivoglia confine. C’è chi trova più confortevole immaginare che lo scontro fra causa sionista e causa araba abbia perso la sua caratteristica di gioco che non è più a somma zero (quello cioè dove tanto vince uno, tanto perde l’altro). Ma non è certo così che la vede la maggior parte degli israeliani.Nel 1920 la comunità internazionale assegnò alla Gran Bretagna la responsabilità di istituire una “sede nazionale” per il popolo ebraico in Palestina (o Terra d’Israele). Ma un anno dopo Londra consegnò tutta la Palestina orientale (a est del fiume Giordano) all’emiro Abdullah, e così nacque la Transgiordania (oggi Giordania). La reazione araba? “Non è abbastanza”.Nel 1937 la Commissione Peel raccomandò di dividere la Palestina (sotto Mandato britannico) in due Stati, uno ebraico e uno arabo. I sionisti acconsentirono. Gli arabi dissero: no.Nel 1947 l’Assemblea Generale dell’Onu votò la spartizione della Palestina in due Stati, uno ebraico e uno arabo. Di nuovo, gli ebrei accettarono. Gli arabi risposero: “Non è abbastanza”, e cercarono di strangolare il neonato Stato ebraico. Israele si difese e sopravvisse, mentre gli arabi prendevano il controllo di Cisgiordania e striscia di Gaza. Vi crearono uno Stato palestinese? Naturalmente no, perché quei territori da soli non erano “abbastanza”.Nel 1967 tentarono di gettare a mare un Israele che viveva all’interno delle linee armistiziali del 1949 (la Linea Verde); ma fallirono e la Cisgiordania – fra l’altro – finì sotto il controllo israeliano. Magnanimi nella vittoria, gli israeliani offrirono di fare la pace. La risposta araba? “No alla pace, no al riconoscimento di Israele, no a negoziati con Israele” (summit arabo di Khartoum del 29.08-1.09.67).Nel 1977 il presidente egiziano Anwar Sadat imboccò coraggiosamente la strada della pace. Israele si ritirò da tutti i territori rivendicati dall’Egitto e, oltre a ciò, Menachem Begin offrì ai palestinesi qualcosa che fino ad allora non avevano mai avuto in tutta la loro storia: l’autonomia politica. Le forze israeliane sarebbero state riposizionate come preludio a negoziati sullo status definitivo. La reazione araba? “Non è abbastanza” (e fu il “Fronte del rifiuto”).Grazie agli Accordi di Oslo del 1993, la dirigenza dell’Olp venne invitata a rientrare da Tunisi per istituire un’Autorità Palestinese in Cisgiordania e striscia di Gaza. Ma il subdolo Yasser Arafat non abbracciò mai davvero questa storica opportunità di riconciliazione. E Hamas intensificava la sua campagna terroristica, che mieteva vite israeliane a decine (ben prima del massacro di Baruch Goldstein a Hebron del febbraio ’94). Ehud Barak per due volte – a Camp David nel luglio 2000 e a Taba nel gennaio 2001 – offrì ad Arafat uno Stato palestinese accompagnato da concessioni territoriali e politiche senza precedenti. La risposta araba? “Non è abbastanza”.Quando Israele ritirò unilateralmente tutti i suoi soldati e civili (“coloni”) dalla striscia di Gaza nell’estate 2005, gli arabi dissero di nuovo: “Non è abbastanza” (e furono altri attentati, e razzi, e sequestri di ostaggi).Nel 2008, Ehud Olmert offrì a Mahmoud Abbas (Abu Mazen) il 93% della Cisgiordania più altro territorio tolto a Israele. Abu Mazen non rispose nemmeno “non è abbastanza”: semplicemente se ne andò senza rispondere.Poi Netanyahu, nel giugno di quest’anno, sulle orme dei suoi predecessori dichiarò in modo inequivocabile che accettava uno Stato palestinese smilitarizzato. La risposta araba? “Non è abbastanza”.Una generazione dopo l’altra, un decennio dopo l’altro, una concessione israeliana dopo l’altra i palestinesi non hanno mai perso un’occasione di dire: “Non è abbastanza” (compreso il congelamento degli insediamenti di settimana scorsa).Così adesso la domanda è: cosa farà l’America? L’inviato speciale George Mitchell ha reagito con una tiepida approvazione della moratoria di Netanyahu. “Non è ancora il congelamento completo degli insediamenti – ha detto – ma è più di quanto qualunque governo israeliano abbia mai fatto prima d’ora”; per poi annacquare questo pallido encomio ribadendo con distacco che comunque “l’America non riconosce legittimità ai perduranti insediamenti israeliani”.Una reazione leggermente più positiva è arrivata dal segretario di stato Usa Hillary Clinton, la quale ha riconosciuto che “scambi concordati” (di territorio) dovrebbero rientrare nei negoziati basati sulle linee del ’67.Se gli israeliani devono assumersi ancora altri rischi per la pace, devono essere perlomeno sicuri che l’amministrazione Obama sostiene pienamente la formula “1967-più qualcosa”. Occorre che Washington persuada Abu Mazen a tornare al tavolo negoziale a trattare in buona fede, e che ottenga dai paesi arabi suoi alleati dei concreti gesti diplomatici in cambio delle concessioni di Gerusalemme. Altrimenti il messaggio sconfortante che arriva agli israeliani che vorrebbero un accordo è che qualunque cosa faranno sarà sempre “non ancora” quello che vuole questa amministrazione Usa, e certamente mai “abbastanza” per i vicini arabi.(Da: Jerusalem Post, 27.11.09)http://www.israele.net/