martedì 10 novembre 2009



Scintille – Una storia di anime vagabonde

Mercoledì 11 novembre, uscirà il mio nuovo libro Scintille – Una storia di anime vagabonde, pubblicato da Feltrinelli. E’ un testo intimo e personale , cui ho dedicato molti anni di lavoro e molti viaggi. Vi anticipo la sintesi fornita dall’editore nel risvolto di copertina.
Gilgul, nella Qabbalah ebraica, è il frenetico movimento delle anime vagabonde che ruotano intorno a noi quando la separazione del corpo è dovuta a circostanze ingiuste o dolorose. Tanto violenti possono essere i conflitti che attendono gli spiriti rimasti sulla terra, che la tradizione parla addirittura di “scintille d’anime” prodotte dalla loro frantumazione.Con questo libro inatteso, di straordinaria intensità e autenticità, Gad Lerner ha deciso di addentrarsi nel suo gilgul familiare, nelle “scintille d’anime” della sua storia personale. Suo padre Moshè reca il trauma della Galizia yiddish spazzata via dalla furia della guerra, e mai davvero trapiantata in Medio Oriente. Dietro di lui si staglia enigmatica la figura di nonna Teta, incompresa e dileggiata perchè estranea alla raffinatezza levantina della Beirut in cui è cresciuta Tali, la moglie di Moshè. Ma anche la Beirut degli anni Quaranta, luogo d’incanto senza pari, si rivela un recinto di beatitudine illusoria.Vano è il tentativo di rimuovere lo sterminio degli ebrei d’Europa e la Guerra d’indipendenza nella nativa Palestina: anche se taciuti, questi eventi si ripercuotono nella vicenda familiare generando malessere e inconsapevolezza. Le anime vagabonde nel gilgul reclamano di essere perpetuate nel riconoscimento, senza il quale non c’è serenità possibile. Il racconto si snoda da Beirut ad Aleppo, fino alla regione ucraina di Leopoli e Boryslaw, lo shtetl in cui perse la vita gran parte dei Lerner, per concludersi sorprendentemente al confine tra Libano e Israele, presediato dai soldati italiani, dove si riuniscono le molteplici nazionalità dell’autore. Così l’indagine sulla memoria e sui conflitti familiari si rivela occasione per un viaggio nel mondo contemporaneo minato dalla crisi dei nazionalismi, tuttora alla ricerca di convivenza armonica. Un itinerario attraverso nuove e vecchie frontiere che scava nel passato per rivelarne il peso sul presente. Una storia appassionante, felicemente sospesa tra biografia e reportage. http://www.gadlerner.it/



Come un diamante

Yvette Szczupak-Thomas, Un diamante grezzo, Ponte alle Grazie, euro 18.
E' urgente e fiammeggiante. Una memoria che germina in narrazione di immagini potenti, magari senza la consequenzialità ordinata di un romanzo classico, ma con l’intensità che solo le esperienze vissute in profondità possono avere. È una scoperta felice Un diamante grezzo, il “mémoir” di Yvette Szczupak-Thomas, artista francese di nascita, ebrea di conversione e israeliana di cittadinanza. Abbandonata piccolissima dai genitori, compie l’itinerario di un’orfana nella Francia rurale degli anni ’30. Dall’infanzia in Borgogna, passando da una famiglia adottiva all’altra, arriva nella Parigi d’inizio guerra e diventa “figlia” degli Zervos, coppia intorno a cui ruota un’eccezionale vita artistica, da Picasso a Braque, da Èluard a Char. Christian Zervos è l’editore degli storici Cahiers d’art, la moglie Yvonne è una geniale organizzatrice culturale. L’adolescente Yvette viene dunque catapultata dalla provincia assoluta a una turbinosa bohème, tra grandi esposizioni, Resistenza francese e studio del disegno con un maestro, esigentissimo ed efficace, quale può essere Pablo Picasso. E, nonostante certe attenzioni malate che le riserva papà Christian, Yvette matura un carattere energico e un talento sicuro. Gli anni dell’occupazione nazista e del dopoguerra, fino all’“illuminazione”: una totale solidarietà con le vittime dell’Olocausto, che la avvicina al nascente Israele, grazie anche al nuovo amore per Sacha, che diventerà suo marito. Lo stile di Szczupak-Thomas, scomparsa nel 2003, è tutto fuorché “grezzo”: alterna pagine di fiaba bucolica a una cronaca ironica e realistica sui “mostri sacri” dell’arte – Picasso o Char – visti in debolezze e compromessi quotidiani. “Vengo da altrove, vado altrove”, pensa la spaesata Yvette nel suo pellegrinare di famiglia in famiglia. L’ebraismo le ha dato un luogo dove consistere. E i suoi ricordi fanno ripercorrere questo viaggio verso una “patria dell’anima”. http://www.mosaico-cem.it/

Jaffa: The band of the National Christian Orthodox School (1938)

Rutelli: basta con l’antisionismo

È tra i pochi politici favorevole al Muro che divide Israele dai Territori. Vorrebbe una sinistra meno schierata e un Europa più forte Era stato l’avversario di Berlusconi, nel 2001, il candidato premier mandato avanti dalla sinistra perché si sapeva che avrebbe perso le elezioni politiche. Lui non si tirò indietro e fece una campagna di grande dignità, riuscendo a non perdere (almeno) la faccia. Insieme a Fassino ha condotto in porto la travagliata navigazione della Margherita e dei Ds verso la costituzione del Partito Democratico ma poi entrambi hanno dovuto cedere il passo nella guida del nuovo soggetto politico. Da allora la stella politica di Rutelli sembra aver perso un po’ di luce. L’anno scorso i suoi concittadini gli hanno voltato le spalle preferendogli, per la carica di sindaco, Alemanno dopo che negli anni Novanta era stato lui il primo cittadino di Roma, molto amato tra l’altro per aver dato inizio al rilancio della Capitale. Negli ultimi tempi, alcuni comici lo hanno sbeffeggiato: lo ha fatto Maurizio Crozza, di recente, dicendo che quando “Rutelli annuncia che potrebbe lasciare il Pd sembra quei tipi che alle feste passano il tempo ad avvisare che stanno per andare via per vedere l’effetto che fa”.Senatore della Repubblica, eletto con voto unanime Presidente del Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica che sovrintende al controllo dell’intelligence e dei servizi, Rutelli ha passato l’estate a scrivere un libro sull’esperienza e lo stato del Pd , La svolta, lettera a un partito mai nato, “un duro atto d’accusa - lo ha definito - contro chi rischia di tradire l’ispirazione originaria del Partito democratico spostandolo verso una sinistra senza futuro e, insieme un appello per unire le migliori forze democratiche del paese e puntare, con coraggio, a far crescere l’Italia”. Molti scommettono che dopo la nomina del segretario del Pd, Rutelli si metterà in moto per avviare un patto di alleanza al centro con Casini, ma bisognerà vedere se funzionerà, se sarà solo lui ad andarsene o se si porterà dietro un pezzo di Pd. In ogni caso Rutelli sembra intenzionato a restare uno dei protagonisti; del resto a 55 anni è forse troppo presto per accontentarsi di un posto nel Museo delle Cere degli ex della scena politica. Rutelli è stato molto amato dalla Comunità ebraica romana, anche se alle ultime elezioni per il sindaco molti lo hanno tradito. Di sicuro, tra i politici di centrosinistra è considerato quello più vicino a Israele. In questo legame un peso lo ha avuto la figura del nonno materno, Mario Gentili, fiorentino, dottore commercialista, morto nel 1962, proclamato “Giusto delle Nazioni” per aver salvato nel 1943-44 un giovane ebreo durante l’occupazione nazista di Roma. Lei ha ricevuto a Gerusalemme l’onorificenza di Yad Vashem perché suo nonno e sua madre salvarono un ebreo dai nazisti. In che modo la questione ebraica fa parte della sua formazione familiare e personale?È un fatto imprescindibile. Ho amici e amiche carissimi tra gli ebrei italiani. Persone che vivono in Israele. Il medico curante - Massimo Finzi - che segue la mia famiglia da decenni! Il riconoscimento di Mario Gentili, mio nonno, come Giusto delle Nazioni è una radice, che non potrà mai essere divelta, della mia formazione civile.Nel 2007, come vicepresidente del Consiglio e Ministro per i Beni e le Attività Culturali Lei è stato in visita in Medio Oriente, dove ha incontrato il Presidente dello Stato d’Israele Shimon Peres e il Primo Ministro Ehud Olmert e ha inaugurato all’Eretz Israel Museum di Tel Aviv la mostra “Italia Ebraica”; ha scritto inoltre, nell’introduzione al catalogo, di come gli ebrei italiani siano stati protagonisti della vita politica e civile in Italia sin dal Risorgimento. Che cosa pensa dei recenti sondaggi che danno la popolazione italiana per il 12 % antisemita e per il 48% convinta che gli ebrei italiani siano più legati ad Israele che all’Italia?Sono giudizi e pregiudizi da sconfiggere. Per altro, meglio guardare la realtà in faccia che nasconderla. È sempre esistita una minoranza antisemita. Più subdola, è la componente antisionista. E anch’essa va combattuta, a viso aperto. Sul piano politico, non sono pochi i nostri concittadini che non conoscono, non capiscono, non rispettano Israele: lo considerano un problema, più che un miracolo democratico e civile qual è. Non sottovalutiamo, per dovere di onestà, gli errori di chi, nelle comunità ebraiche unifica totalmente il messaggio religioso ebraico, quello sull’identità delle comunità in Italia, quello sullo Stato di Israele, quello sul governo in carica a Gerusalemme. Ovvero: queste dimensioni non sono un tutt’uno, anche se è razionale sentirsi legati a ciascuna di esse.Nella sinistra italiana si è sempre distinto, insieme a Fassino, per la considerazione delle ragioni di Israele, anche rispetto al cosiddetto Muro, la Barriera si sicurezza fatta erigere dopo la lunga sequenza di attentati tra la popolazione civile. Lei ne ha riconosciuto l’efficacia nel ridurre drasticamente gli attacchi kamikaze, e ha lodato la politica estera di Berlusconi che ha portato ad un riavvicinamento tra Italia e Israele. Ha pagato un prezzo per queste sue posizioni all’interno della sua compagine politica?Vede, ho pagato dei prezzi per tantissime scelte, come del resto è logico che sia per un politico che non voglia essere corrivo. È evidente che difendere il diritto di Israele a vivere come una democrazia vitale - e non soltanto sotto assedio, intimidita e condizionata dall’odio fondamentalista - non può essere un atto di cortesia, né solo di rispetto formale. È una scelta. Una scelta politica. Che impone di sostenere un’equa pace con i palestinesi, che hanno diritto a uno Stato e a una democrazia, alla dignità di un destino legato a quei territori. E l’intangibile libertà e sicurezza di Israele. L’Europa e Israele Lei ha espresso in passato giudizi molto duri sull’Europa per la sua incapacità di portare avanti una politica estera unitaria e forte sulla questione medio-orientale. Com’è cambiata oggi, a suo giudizio, la situazione?L’Europa non ha un forte peso politico nel mondo, nonostante rappresenti mezzo miliardo di persone: resta tuttavia l’area più prospera del pianeta, la comunità democratica più preziosa, dopo l’affermazione dell’Unione Europea e la disfatta delle dittature comunista e fascista. Ma ora potrà - e dovrà - iniziare a pronunciarsi con più efficacia sulla politica estera con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona. Tuttavia non mi illudo: non sono i meccanismi istituzionali, ma è la volontà politica che può rendere credibile la proiezione del nostro continente. E anche verso il Medio Oriente e i suoi problemi, le differenze politiche tra gli Stati membri sono grandi. E poca, dunque, l’influenza positiva. Negli ambienti della politica viene data per sicura la formazione di un nuovo schieramento politico detto “La cosa bianca” che dovrebbe avere Lei e Casini come leader di un gruppo politico cattolico-centrista. Che genere di approccio questo nuovo centro avrà nei confronti degli ebrei italiani, di Israele, dell’antisemitismo strisciante dovuto ai numeri sempre più alti della presenza musulmana in Europa?Non vedo “cose bianche” all’orizzonte. Vedo la necessità di riorganizzare l’offerta politica in Italia, perché la destra va sempre più in una direzione populista, mentre il Pd rischia di tornare indietro, a una pur dignitosa fisionomia di sinistra. Ma, qualunque cosa accada - e oggi non lo so - le mie opinioni sull’antisemitismo e su Israele non muteranno: sono identiche da quando ho iniziato a far politica, a venticinque anni, con il Partito Radicale.Nella sua vita personale e di relazione, anche prima di svolgere incarichi istituzionali importanti, ha avuto rapporti col mondo e la cultura ebraica? Ho deciso per primo, da Sindaco di Roma, di portare centinaia di ragazzi delle scuole ad Auschwitz, a visitare i campi di concentramento nazisti. E sono contento che Veltroni prima e oggi Alemanno abbiano continuato. Troppe volte una scelta civile e istituzionale viene ridotta a messaggio di parte. Se è condivisa, può far crescere una comunità intera. E su questi valori ci si deve unire, tanto più in tempi difficili. L’amicizia per Israele di oggi passa per la consapevolezza che gli attacchi di Ahmadinejad non sono episodi isolati. È quell’odio che va sradicato, per sempre. Giorgio Secchi http://www.mosaico-cem.it/

lunedì 9 novembre 2009

casa natale di Hither in una foto d'epoca


CASA NATALE DI HITLER: IL GRUPPO EVERYONE PROPONE ALLO STATO DI ISRAELE DI FARNE UNA PINACOTECA DELLA SHOA

Non potendo riportare tecnicamente l'articolo sul blog, vi rimando alla sua pagina:

http://www.imgpress.it/notizia.asp?idnotizia=46662&idSezione=1#

Eilat - parco del ghiaccio


M.O.,missile lanciato contro Sderot

Proiettile lanciato da Striscia di Gaza
Un razzo palestinese lanciato dalla Striscia di Gaza è esploso in territorio israeliano, vicino la città di Sderot, senza causare vittime o danni. Lo rendono noto fonti di polizia. Secondo un bilancio dell'Esercito israeliano, almeno 266 tra razzi e colpi di mortaio sono stati sparati contro Israele dalla fine, lo scorso gennaio, dell'offensiva israeliana contro il movimento islamico di Hamas che controlla la Striscia di Gaza.9/11/2009 http://www.tgcom.mediaset.it/

Shaul Mofaz

Israele: Mofaz espone alla stampa un piano per la pace

Tel Aviv, 8 nov - Shaul Mofaz, il numero due del partito israeliano Kadima ha presentato alla stampa un dettagliato progetto di pace. Mofaz ha infatti espresso la necessità di dar vita al più presto ad uno Stato palestinese provvisorio, indipendente e disarmato. Nella prima fase di questo progetto, i palestinesi estenderebbero il loro Stato sulla striscia di Gaza e sul 60 per cento della Cisgiordania. In compenso verrebbe riconosciuta la sovranità israeliana sulle zone omogenee di insediamento ebraiche in Cisgiordania. In una seconda fase Israele e Anp raggiungerebbero, in un tempo prestabilito, una intesa per un accordo definitivo di pace che consentirebbe ai palestinesi di assumere il controllo su quasi tutta la Cisgiordania. Mofaz ha detto che nella prima fase del suo progetto non sarebbero sgomberate colonie. Ma con la realizzazione della seconda fase, circa sessantamila coloni israeliani (su un totale di oltre trecentomila) dovrebbero essere rimossi e aiutati dal governo a insediarsi nel Negev o in Galilea. Mofaz ha aggiunto di non avere preclusioni di principio a negoziare anche con Hamas, se quel movimento uscisse vincente da elezioni democratiche nei Territori ed mostrasse una analoga disponibilità a intavolare trattative con Israele. "In quel momento sarebbe un Hamas con una agenda politica totalmente diversa" ha notato. http://www.moked.it/


A Hebrew sign welcomes Jewish tourists and expatriates to the Chabad House in Ho Chi Minh City, Vietnam.


Israele: rischio missili, squilla il cellulare

Tel Aviv, 8 nov - In un'intervista rilasciata al Jerusalem Post,uno dei dirigenti del Comando delle retrovie israeliane, il colonnello Hilik Sofer, ha spiegato che si stanno mettendo a punto sensori capaci di stabilire - mediante una "ellisse virtuale" - la esatta traiettoria di ogni razzo o missile lanciato contro Israele. Attraverso questa nuova tecnologia nella evenienza di un attacco missilistico nelle retrovie Israeliane, nella zona immediatamente esposta al rischio squilleranno tutti i telefoni cellulari. In quel modo sarà possibile salvare vite umane. Il nuovo sistema, ha notato il Colonnello Sofer, sarà molto più preciso delle attuali sirene di allarme e dunque la popolazione allertata di volta in volta sarà più ristretta. La settimana scorsa le sirene di allarme sono risuonate a Tel Aviv nel contesto di una esercitazione delle retrovie che simulava un attacco di razzi sulla città. Secondo i responsabili militari israeliani, sia Hamas da Gaza sia Hezbollah dal Libano possono teoricamente minacciare la città, o almeno la sua periferia. http://www.moked.it/



Da San Francisco a Ferrara Rachel Corrie fa ancora discutere

Proliferano in questa stagione, in Italia e all'estero, gli appuntamenti con la cinematografia israeliana ed ebraica in genere. Ogni fine estate, dal 1980, ha luogo il San Francisco Jewish Film Ferstival (SFJFF). È un appuntamento ormai istituzionalizzato, e molto seguito e apprezzato.Quest'anno però l'evento è stato sconvolto da una polemica infuocata, iniziata con la dimissioni di cinque membri del comitato del Festival in polemica col direttore Peter Stein. Quest'ultimo si sarebbe reso colpevole di aver inserito della programmazione il documentario “Rachel”, non gradito a una parte della comunità ebraica californiana.Girato dalla cineasta israelo-francese Simone Bitton, questo documentario ripercorre la vicenda di Rachel Corrie, giovanissima attivista americana rimasta uccisa a ventitrè anni nella striscia di Gaza (nella foto in alto). Nel marzo del 2003, durante una protesta dell'International Solidarity Movement, l'organizzazione in cui militava, per impedire la demolizione di alcune case nei pressi della città di Rafah, fu travolta da un buldozer dell'esercitò israeliano: non si poté fare nulla per salvarle la vita, fu aperta un'inchiesta dalla polizia militare e l'accaduto venne dichiarato un incidente. Sei anni dopo la curiosa documentarista ha voluto “riaprire il caso”: il film è un'inchiesta sulla morte di Rachel, condotta con un buon grado di scrupolo investigativo: include diversi punti di vista e opinioni sugli eventi di quel giorno, vi sono interviste con Avital Leibovitch, portavoce di Zahal, dottori, attivisti amici di Rachel, soldati, civili israeliani e palestinesi, genitori della ragazza. Si vedono anche i video ufficiali dell'esercito. Ma non solo. È anche una riflessione sul senso dell'impegno politico dei giovani, sull'ingenuità di chi muore per i propri ideali. Non manca, pur nel rigore analitico, di forti accenti romantici ed emotivi, che ne fanno, nelle parole della regista stessa “un prodotto artistico più che un reportage”.La decisione di Peter Stein di proiettare il film e di invitare a parlarne col pubblico Cindy Corrie, la madre di Rachel, ha spaccato in due la comunità ebraica locale, e il contrasto si è via via inasprito. “Siamo profondamente in disaccordo con la direzione che il SFJFF sta prendendo: abbiamo una visione fondamentalmente diversa di quello che dovrebbe essere il servizio del Festival”, recita la lettera dei consiglieri dimissionari. Qualcuno di loro accusa Stein di non aver avuto scrupoli ad “alimentare le divisioni già esistenti in seno alla comunità e a inaugurare una crisi di comunicazione senza precedenti”. Gli è stata attribuita la responsabilità del clima di tensione che si è venuto a creare. Lui di questo si è scusato, in un lettera aperta, ma ha difeso a spada tratta la decisione di inserire il film nel programma, nonché l'invito della signora Corrie, preceduta, per creare contraddittorio, dall'intervento di un portavoce di SF Voice of Israel, un giornale del sionismo di destra americano. “Come organizzazione ebraica culturale ed artistica – dichiara - noi presentiamo film che talvolta contemplano una significativa autocritica, atteggiamento che credo sia una caratteristica distintiva del nostro popolo”. “Rachel peraltro – continua – s'inserisce in una rassegna di 37 film che si concentrano, celebrano o ci informano su Israele, compresi film sui soldati israeliani rapiti, Ghilad Shalit e Ehud Goldwasser, e le loro famiglie. Un'ampia gamma di emozioni, idee, punti di vista e temi: noi crediamo che favorire il dialogo ed essere aperti a più punti di vista sia un valore innato dell'ebraismo, e proveremo a coltivarlo”.All'inaugurazione del festival il risoluto direttore si è imposto con un discorso molto duro: ha ribadito la sua decisione e ha diffidato gli spettatori dal “mancare di civiltà nelle discussioni sul film, sia dentro che fuori dal teatro”. Ha richiamato al democratico rispetto reciproco delle diverse opinioni, espresso la speranza di “ricucire le ferite aperte da un dibattito rancoroso”, ma ha concluso il suo intervento ricordando che “chi avesse mancato di cortesia in qualunque momento del film o del dibattito sarebbe stato immediatamente allontanato”. Questo non è successo, tutto è andato liscio. Stein è ancora il direttore. Alcuni finanziamenti sono stati sospesi, ma l'istituzione non è in pericolo di vita.Il documentario sta iniziando a fare il giro del mondo e continua a raccogliere riconoscimenti artistici e spietate critiche. E' stato presentato anche in Italia nell'ambito del festival di Internazionale a Ferrara. Comunque la si pensi in merito non è un film che lascia indifferenti e non può non far pensare, emozionare, lasciare perplessi, discutere.Manuel Disegni
http://www.moked.it/

Nasrallah Boutros Sfeir


Hezbollah ha perso ma va al governo lo stesso

In Libano va al governo anche chi perde le elezioni. Così Hezbollah, movimento islamico sciita responsabile di attacchi terroristici contro Israele, si appresta a ricoprire almeno due incarichi nel nuovo esecutivo che va formandosi a Beirut, sebbene fosse stato sconfitto il 7 giugno scorso dalla coalizione filo-occidentale “14 marzo” che fa capo a Saad Hariri.La formula spartitoria, escogitata nel tentativo di evitare che il Paese dei Cedri precipiti in una nuova guerra civile, si riassume nella sequenza 15-10-5, cioè quindici ministeri alla maggioranza relativa, dieci all’opposizione e cinque posti di nomina presidenziale, scelti cioè dal capo dello Stato, Michel Sleiman.IL NO DEL PATRIARCA Al più tardi domani, l’esecutivo di unità nazionale dovrebbe vedere la luce, dopo le ultime limature. Mancherà però la benedizione del patriarca cattolico maronita Nasrallah Boutros Sfeir che venerdì aveva ammonito i partiti politici che «la democrazia e le armi non possono coesistere mentre la maggioranza e la minoranza non possono coesistere in un governo».A preoccupare la Chiesa cattolica sono le milizie sciite di Hezbollah, armate dalla Siria e dall’Iran, come ha dimostrato il sequestro di 500 tonnellate di armi a bordo della nave mercantile Francop, bloccata il 5 novembre nel porto israeliano di Ashdod. Attraccato a Beirut, il cargo è stato nuovamente ispezionato e il suo equipaggio al completo è stato interrogato da marinai dell’Unifil, la missione Onu schierata nel sud del Paese e che dall’autunno 2006 pattuglia le acque territoriali del Libano per evitare, di fatto, che arrivino carichi proibiti destinati alla milizia sciita anti-israeliana. Secondo la stampa di Beirut, tuttavia, fonti di Unifil affermerebbero che, durante le ispezioni, non sarebbe stata riscontrata nessuna anomalia nella tipologia del carico, «destinato a clienti privati libanesi». Di che razza di acquirenti potesse trattarsi, lo si può facilmente constatare sul sito informazionecorretta.com, visionando il filmato dell’apertura dei container dell’imbarcazione, zeppi di missili katyusha, granate, mine antiuomo ed esplosivo occultati da sacchi di polietilene.Hezbollah e l’Iran avevano smentito ogni legame con il carico, anche se il presidente del Parlamento libanese Nabih Berri, alleato sciita del Partito di Dio, aveva rivendicato «il diritto di procurarsi armi da chi ritiene più opportuno».
Con tali figure istituzionali, la governabilità del Paese appare già in bilico, anche perché alcuni ministeri chiave paiono destinati all’opposizione. All’ex generale maronita Michel Aoun, ex anti-siriano ma ora fedele alleato di Hezbollah, andrebbero le telecomunicazioni (da affidare all’attuale titolare, Gebran Bassil, genero di Aoun), l’energia, l’industria, il turismo e un altro a scelta tra gli incarichi senza portafoglio. Berri otterrebbe invece gli esteri (che dovrebbero essere assegnati ad Ali al-Shami), la sanità e lo sport, mentre Hezbollah sarebbe soddisfatto dell’agricoltura e delle riforme amministrative.Mentre pare quasi certa la conferma dei due attuali ministri della difesa e degli interni: Elias al Murr e Ziad Baroud, in quota Sleiman, la maggioranza otterrebbe soltanto la giustizia e le finanze, oltre a numerosi ministri senza portafoglio e dicasteri apparentemente meno strategici come gli affari sociali, il lavoro, l’educazione, l’economia, l’informazione e la cultura.Antisemitismo sciitaSe nelle mani di Hezbollah, tuttavia, finisse la pubblica istruzione il rischio per la libertà d’espressione non sarebbe trascurabile. Pochi giorni fa, una scuola anglofona privata di Beirut aveva censurato alcuni estratti del “Diario di Anna Frank” da un testo scolastico, per cassarli poi defintivamente, cedendo alle pressioni degli sciiti antisemiti, ispirati dalle teorie negazioniste della Shoah coltivate a Teheran.08/11/09 http://www.libero-news.it/

Mahmoud Vahidnia

Mozione sulla situazione dei diritti umani in Iran

Cari amici,dopo che ieri si sono rinnovati gli scontri violenti in Iran tra l’“Onda verde” e il regime degli Ayatollah, è più che mai necessario discutere anche da noi sulle continue violazioni di diritti umani in corso in quel paese.Avrete di certo visto su internet in questi giorni la toccante ripresa dell’intervento dello studente Mahmoud Vahidnia che ha osato sfidare pubblicamente, con il solo uso della parola, la Guida Suprema Ali Khamenei. “Perché nessuno può permettersi di criticarla in questo Paese?”, ha chiesto lo studente tra le altre cose. In seguito a questo intervento la sorte di Vahidnia risulta misteriosa, come quella di numerose altre persone scomparse negli ultimi mesi in Iran. Per questo oggi ho proposto una mozione ai colleghi deputati, che depositerò non appena raggiunte le dieci firme necessarie nella speranza venga calendarizzata al più presto per la discussione in Aula. Segue il testo.Fiamma Nirenstein

Mozione alla Camera
premesso che mercoledì 28 ottobre, Mahmoud Vahidnia, studente iraniano di matematica dell’Università di Sharif, ha criticato l’Ayatollah Ali Khamenei prendendo in sua presenza la parola durante il convegno annuale dei migliori studenti e professori iraniani;Vahidnia nel suo intervento ha espresso, con grande moderazione e contegno, critiche al regime iraniano per il controllo dei mass media e per l’uso della violenza per reprimere l’opposizione politica, specie in seguito alle ultime controverse elezioni presidenziali;la TV di stato che stava seguendo il convegno, ha interrotto la trasmissione proprio nel corso dell’intervento di Vahidnia, dando in sostanza conferma alle parole dello studente che, tra le altre cose, ha affermato di non ricordarsi di aver mai sentito sulla stampa iraniana una voce in dissenso con la leadership;nei giorni successivi a questo episodio, alcune fonti tra cui il sito degli studenti dell’Università di Sharif, hanno riportato che, alla fine del convegno, Vahidnia è stato avvicinato da presunti agenti dell’intelligence e che da giovedì sera si troverebbe in stato di fermo. Dal quel momento non ci sono più notizie sicure su dove si trovi e quale sia stata la sorte del ragazzo;il sito conservatore in lingua farsi “Alef” ha riportato lunedì presunte dichiarazioni di Vahidnia che smentisce il suo arresto e rassicura sulle sue condizioni di salute; “Alef” rimane tuttavia l’unica fonte a riportare questa versione;considerato chenon è mai stato chiarito quante siano le vittime degli scontri di piazza avvenuti a seguito dei risultati delle elezioni presidenziali del 12 giugno scorso. Incerto è anche il numero delle persone tuttora detenute così come quello degli scomparsi: secondo alcune fonti non si ha ancora alcuna notizia di 36 persone, ma potrebbero essere di più;a seguito di processi considerati farsa dalle principali organizzazioni umanitarie, lo scorso 12 ottobre è stata emessa una quarta condanna a morte nei confronti di dissidenti politici, accusati di aver preso parte a manifestazioni contrarie alla sicurezza nazionale. Secondo il gruppo “Iran Human Rights”, il numero delle esecuzioni in Iran è drammaticamente aumentato dall’inizio delle manifestazioni pro-democrazia dell’estate scorsa e il regime usa le esecuzioni per ristabilire un clima di terrore nel Paese. In base alle notizie da fonti recuperate dalla stessa organizzazione, almeno 139 persone sarebbero state impiccate in Iran dal 1° luglio al 12 ottobre 2009;mercoledì 4 novembre, nel ricorrere del trentesimo anniversario dall’assalto all’Ambasciata americana a Teheran con la cattura dei 53 ostaggi, il movimento riformista noto come l’“Onda verde” è sceso nuovamente in piazza, annunciando di voler trasformare questa ricorrenza simbolo della repubblica islamica nell'occasione per una contro-manifestazione contro il governo. Sono stati nuovamente registrati scontri violenti tra le forze del regime e i manifestanti;impegna il Governoa operare sul piano internazionale per fare luce sul caso di Mahmoud Vahidnia, per accertare se egli sia effettivamente libero e quali siano le sue condizioni di salute, nonché ad indagare sulla sorte degli altri scomparsi;a farsi promotore in sede europea di una politica comune volta a fare chiarezza sulle continue violazioni di diritti umani in Iran.Fiamma Nirenstein PDL,Furio Colombo PD,Rita Bernardini Radicali-PD,Souad Sbai PDLGianfranco Paglia PDL,Gianni Vernetti PD,Benedetto Della Vedova PDL,Emerenzio Barbieri PDL Giuliano Cazzola PDL,Walter Verini PD

kibbutz in Galilea



Lezioni di suicidio politico: il caso Abu Mazen

Il Giornale, 8 novembre 2009, di Fiamma Nirenstein
Il presidente dell’Anp, rinunciando a candidarsi alle prossime elezioni, si è messo da solo in una via senza uscitaFine settimana piuttosto luttuoso per le politiche di conciliazione internazionale, di cui il patrono è Barack Obama. Da una parte, il rifiuto ormai chiaro dell’Iran a seguire il piano occidentale che doveva portare a un rallentamento della costruzione del suo nucleare, con immediata e ossequiosa sostituzione del piano da parte di El Baradei e entrata in scena della Turchia; dall’altra parte lo sconcerto occidentale di fronte al ritiro di Abu Mazen dalla competizione elettorale da lui stesso fissata per il 24 gennaio. Bernard Kouchner, ministro degli Esteri francesi è il più disperato e chiede a Abbas di ripensarci: il suo abbandono è una minaccia non solo per la pace, dice, ma «per tutti noi». Anche Hillary Clinton spera di continuare con Mahmoud Abbas «qualsiasi sarà la sua posizione».Tutti, anche gli israeliani, fra cui Ehud Barak, sperano di recuperare le vecchie abitudini, e quindi che Abu Mazen scenda dall’albero sui cui si è arrampicato. Ma la verità è che la decisione di Abu Mazen riguarda l’onda nera che si eleva e si arrotola all’orizzonte, e il modo in cui egli stesso e il resto del mondo stanno cercando di affrontarla, ovvero, debolmente, amatorialmente. L’unica maniera che forse avrebbe Abu Mazen di tornare sulla scena sarebbe di rimandare quelle elezioni che ha appena convocato e mettersi a nuotare contro corrente, e non è detto che alla fine non lo faccia. Tornare a competere sarebbe suicida, ed è difficile che possa tornare a farlo.Abu Mazen è fra l’incudine del moderatismo e quella dell’estremismo. È stato oggetto dell’incauto gioco pacifista degli Usa e dell’aggressione di Hamas, e invece di rifiutare ambedue le dannose relazioni, ha cercato di navigare in due fiumi. Obama gli ha chiesto di essere l’uomo della trattativa e gli ha però di fatto posto un ostacolo insormontabile nel momento in cui, per la prima volta nella storia del processo di pace, ha chiesto a Israele il completo e immediato stop delle costruzioni negli insediamenti e anche a Gerusalemme. Abu Mazen, che non poteva certo essere da meno, ha messo a sua volta questa altissima asta davanti a Netanyahu, da saltare prima di sedersi al tavolo. Ma Bibi voleva una prova: quella che Fatah riconoscesse l’esistenza di Israele come stato ebraico. Abu Mazen però doveva contenere la concorrenza con Hamas, sempre più sprezzante e aggressivo nei suoi confronti, e ha adottato toni oltranzisti lanciando una campagna per il diritto al ritorno e per la negazione del diritto storico degli ebrei a Gerusalemme e a Israele in generale.Però, attenzione, quando Obama alcune settimane fa lo ha invitato insieme a Bibi a New York, è andato mitemente all’appuntamento e ha accettato di non spingere all’Onu la relazione Goldstone che vuole Israele di fronte al tribunale internazionale per crimini di guerra a Gaza. Con il risultato di doversi ben presto rimangiare questa posizione sotto le pressioni di Hamas che lo accusava in piazza di alto tradimento.Di fatto, Abbas si è rimangiato la concessione a Obama, la risoluzione Goldstone è passata all’Onu; e il divieto a Israele di difendersi ha messo Netanyahu in una posizione poco agibile per accordi preventivi con Abu Mazen.Ma intanto anche l’accordo con Hamas sponsorizzato dal Cairo è andato a pezzi. Si chiamerebbe una gioco «loose-loose», di perdita e ancora perdita per Abbas. Intanto Hamas, col plauso popolare, compiva lanci di nuovi missili Fajar forniti dall’Iran che possono arrivare fino a Tel Aviv. Questa è la propaganda che ha più presa, e Abu Mazen ha capito di non avere chance alle elezioni con la sua pallida e impossibile richiesta di smetterla con le costruzioni negli insediamenti: Israele certo non può accettarla mentre Hamas si prepara a alzare il tono dello scontro e l’esercito cattura nel Mediterraneo una nave che porta agli Hezbollah centinaia di tonnellate di armi da usare contro i civili israeliani, tutti con amore dall’Iran che fa sberleffi a tutte le nostre mani tese. Il clima è di guerra, e lo dicono anche le enormi esercitazioni militari compiute da Israele con gli americani nei giorni scorsi. Abu Mazen ha voluto essere insieme la colomba che tutti desideriamo e l’uomo che non si siede al tavolo delle trattative se non si parte da dove dice lui. Ora si parla di successori impossibili, come Barghouti, che è in carcere con cinque ergastoli, e che perse le elezioni, da capolista, nel 2006. Lui stesso ha detto che le elezioni sceglierebbero solo il capo di metà dei palestinesi, impotente a gestire qualsiasi trattativa.

domenica 8 novembre 2009

Mar Morto

Dialogo con l'ebraismo nelle mozioni approvate stamane

Due le mozioni approvate nella seduta antimeridiana del Consiglio provinciale di Trento.La prima - presentata dalla consigliera Dominici- riguarda la proroga degli aiuti finanziari per la sostituzioni di meleti colpiti dagli scopazzi in valle di Non.La seconda- presentata dal consigliere Lunelli - sollecita interventi per favorire iniziative finalizzate alla reciproca conoscenza fra il Trentino e l'ebraismo.
....................E' caduta proprio all'indomani della sentenza della Corte dei diritti dell'uomo di Strasburgo sui crocifissi nelle aule scolastiche la mozione di Giorgio Lunelli che sollecita una maggiore attenzione nel dialogo con la cultura ebraica e quindi il rispetto delle convinzioni religiose.Prendendo spunto dalla giornata della cultura ebraica, alla quale ha aderito anche la città di Trento , la mozione intende sottolineare l'importanza di favorire lo sviluppo dei contatti fra le due culture nella consapevolezza di quanto l'ebraismo sia componente irrinunciabile della grande complessità identitaria europea."Non si tratta dell' "espiazione" di presunte e collettive colpe della storia, - ha notato Lunelli- quanto piuttosto del dovere di incrociare il nostro essere plurale crocevia della più complessa vicenda europea, con quella composita e polifonica cultura dell'Ebraismo della Diaspora, che ha innervato di sé, ieri come oggi, lo sviluppo del continente europeo nei secoli."Da qui la proposta di favorire, anche in forme concrete di ideazione, programmazione e sostegno economico, iniziative, programmi ed azioni tesi alla reciproca conoscenza fra il Trentino e l'Ebraismo, promosse da associazioni e soggetti della cultura e del volontariato. Apprezzamenti alla proposta sono venuti dal consigliere Casna che ha lodato la sensibilità mostrata da Lunelli verso un popolo che ha molto sofferto, ma nel contempo ha invitato a guardare con altrettanta attenzione ad altri popoli che ancor oggi soffrono.Una mozione che si pone all'indomani della decisione della Corte europea sui crocefissi nelle aule scolastiche - ha esordito Viola.- e che pone il rilievo come il rispetto delle religioni e delle culture non è un astratto concetto di laicità, ma un preciso dovere di tutti. Per Nardelli interculturalità significa conoscere. E dentro la cultura dell'altro sta la straordinaria ricchezza delle culture europee. Conoscere è la condizione primaria per costruire un dialogo.Parere favorevole alla mozione è stata annunciato anche dall'assessore Lia Beltrami ricordando come questa proposta in pratica rientri al primo posto nel piano della convivenza.Per Morandini la sentenza della Corte dei diritti dell'uomo europea suscita sconforto e ripugnanza. Il dialogo fra le religioni è fecondo e fertile nella misura in cui c'è rispetto per la storia e la cultura dell'altro.Anche per la consigliere Penasa la mozione ha un valore perché ci induce a conoscere anche noi stessi come cristiani ed accresce la consapevolezza della nostra appartenenza .D'accordo con la mozione anche la consigliere Dominici che si è definita una filo ebraica accanita. Ha quindi definito aberrante la sentenza della corte europea.Dopo la replica del proponente che ha ringraziato per la disponibilità mostrata dall'aula e perché la conoscenza è il migliore antidoto contro la costruzione nuovi e pericolosi muri, si è svolta la votazione che ha registrato un solo voto di astensione. Quello del consigliere Firmani.



Golan - Gamla



Il caso della nave piena di armi intercettata dagli israeliani getta un’ombra sulla missione

Riarmo alla faccia di Unifil


Il sequestro del mercantile “FrancoP.” nave cargo di proprietà tedesca ma battente bandiera di Antigua, in acque internazionali non lontano dalle coste cipriote, da parte dei commandos della Shaietet 13, l’unità d’assalto della marina israeliana, è sicuramente il frutto di un attento lavoro di intelligence. Infatti, a bordo del mercantile sono state trovate armi di tutti i tipi destinate ad Hetzbollah nel sud del Libano. Le armi, di fabbricazione iraniana, erano stivate all’interno di container trasbordati sulla “FrancoP” nel porto egiziano di Damietta da un’altra porta container arrivata dall’Iran. La “FrancoP” viene, in queste ore, scaricata nel porto di Ashdod, e da un primo inventario risulta che questo sequestro non solo è di gran lunga superiore a quello effettuato, alcuni anni fa, sulla nave “Karine A”, ma si tratterebbe del più grande sequestro di armi effettuato dall’esercito israeliano in tutta la sua storia. Oltre ad armi leggeri di tutti i tipi, fucili d’assalto, mitragliatrici pesanti e decine di migliaia di proiettili di ogni calibro, facevano parte del carico anche centinaia di mine antiuomo, anticarro e un numero imprecisato di casse contenenti esplosivi vari. Ma non è tutto, perché nelle stive della nave sono stati trovati 3000 missili terra-terra a media e a lunga gittata, una versione riveduta e corretta dei famosi Katiuscia. Se non fossero stati intercettati dalla marina israeliana i container, una volta arrivati in Siria, avrebbero proseguito via terra verso il Libano e sarebbero giunti ad Hetzbollah nonostante la presenza delle truppe Unifil.È prevedibile, a questo punto, che le conseguenze politiche non si faranno attendere anche perché in molti, questa volta, dovranno spiegare il loro operato. Innanzitutto il trasbordo delle armi è avvenuto in un porto egiziano e questo mette il governo del Cairo in grave imbarazzo. Per non parlare del mittente, cioè l’Iran, che continua a seminare guerra in tutta la regione sia per la faccenda del nucleare sia per l’appoggio militare esplicito agli sciiti di Hetzbollah che attendono solo il momento giusto per scatenare una nuova guerra contro lo Stato ebraico. Siamo sicuri che il governo di Damasco sarà bravissimo a far intendere al mondo intero di non avere alcuna idea di quello che era il carico di una nave che aveva come prossimo attracco proprio un porto siriano. L’Iran, l’Egitto, la Siria ed anche Hetzbollah, che sono tanto bravi ad accusare Israele di ogni crimine immaginabile, dovranno anche loro, prima o poi, rispondere della loro complicità in operazioni, come quella pena sventata, vietate dalla risoluzione 1701 dell’Onu che prevede il completo disarmo della milizia sciita filo iraniana. E non sono i soli a dover fare un approfondito esame di coscienza. Anche i governi dei contingenti che attualmente compongono l’Unifil nel sud del Libano, Francia, Italia e Spagna solo per citarne alcuni, dovranno spiegare il perché del mancato controllo più volte denunciato da Israele negli ultimi anni che ha permesso ad Hetzbollah di riarmarsi ed essere oggi militarmente più potente di quello che era prima della guerra del 2006.di Michael Sfaradi, 06 Novembre 2009 http://www.opinione.it/



EST - M.O., preoccupazione di Usa e Israele per ritiro Abbas

Roma, 6 nov (Velino) - Esprime preoccupazione il governo israeliano per l’annuncio del ritiro della candidatura di Mahmoud Abbas dalle elezioni presidenziali palestinesi previste per il 24 gennaio. Il presidente di Israele, Shimon Peres, ha telefonato all’omologo palestinese per suggerirgli di cambiare idea. Peres si è detto convinto che senza Abbas i palestinesi rischierebbero di precipitare in una crisi politica senza precedenti, che potrebbe condurre alla conquista della Cisgiordania da parte di Hamas. “Se abbandoni, i palestinesi perderanno le speranze di avere uno Stato indipendente”, ha insistito il presidente israeliano. “Resta, per il bene dei palestinesi”, si è appellato alla fine Peres al collega. Anche il premier Benjamin Netanyahu è sembrato sorpreso della decisione di Abbas, da lui definito “il miglior partner tra quelli possibili”. Il primo ministro ha comunque precisato che ogni intervento israeliano negli affari interni palestinesi creerebbe solo danni. Preoccupati anche gli Stati Uniti. Il segretario di Stato Hillary Clinton già in settimana aveva telefonato al presidente egiziano Hosni Mubarak e ad alcuni leader arabi per suggerire loro di convincere Abbas a presentarsi alle elezioni. Ma dopo il discorso in cui il leader dell’Olp ha annunciato il ritiro, l’ex first lady ha elogiato i suoi tentativi di creare uno Stato palestinese che viva in pace con Israele. Nonostante Abbas abbia dichiarato che la sua decisione è irrevocabile, non mancano coloro che ritengono la sua rinuncia un mezzo per costringere gli Stati Uniti a premere su Israele per il congelamento degli insediamenti. E che qualora gli Usa decidessero di essere più risoluti nei confronti dello Stato ebraico, non è del tutto escluso che il presidente palestinese torni in pista.