venerdì 23 maggio 2008


No. 405 - 13.2.08

La sventura di Sderot – I bambini in prima linea

Il Fondo per le Vittime del Terrorismo, sostenuto dal Keren Hayesod e dal UJC (USA), in azione a Sderot

10 febbraio 2008 / 4 Adar I 5768

I miracoli non continuano a ripetersi in eterno e lo scorso sabato 9 febbraio sono improvvisamente finiti, quando la gamba sinistra di Osher Tuito, 8 anni, è stata amputata dalle schegge di un razzo kassam caduto a pochi metri da lui.

Era andato al locale bancomat per prelevare il denaro necessario ad acquistare un regalino per il compleanno di suo padre. Nell'attacco è stato colpito anche suo fratello maggiore, Rami Tuito, 19 anni. Entrambi sono stati feriti gravemente durante il fuoco di fila di razzi kassam che sabato scorso ha martoriato Sderot. In un primo momento sono stati ricoverati presso l'ospedale Barzilai di Ashkelon, ma data la gravità delle loro condizioni sono stati poi trasferiti all'ospedale Tel Hashomer d Ramat Gan, che è specializzato nella cura di questo tipo di ferite. Là si sottoporranno alle cure necessarie, trascorreranno il periodo di convalescenza e, se va tutto bene - come si spera - affronteranno la riabilitazione. La gamba sinistra di Osher è stata amputata dopo che i dottori, nonostante tutti i loro sforzi al limite dell'eroismo, non sono riusciti a salvarla e dopo che il bambino era rimasto privo di conoscenza per molte ore.
La notizia che i due ragazzi erano stati feriti si è diffusa in un lampo tra gli attivisti coinvoilti nel progetto Giovani Futuri nel sud d'Israele. Dopo lo schock iniziale, il personale dell'Agenzia Ebraica si è subito messo in moto per assistere la famiglia e tutte le persone direttamente coinvolte nei fatti. Prima di tutto hanno contattato Tami Betito, il consigliere del progetto Giovani Futuri che, all’interno del programma, era direttamente responsabile per Osher. In un effetto domino di atti di gentilezza e generosità, tutte le persone in qualche modo coinvolte nel progetto hanno voluto partecipare. Tutti si sono impegnati a prendersi cura del ragazzo, in particolare, e di Sderot, in generale.
L'Agenzia Ebraica e i suoi partner sono al fianco di Sderot dall'inizio del blitz di razzi kassam, offrendo sostegno finanziario attraverso il Fondo per le vittime del terrorismo, rimodernando i rifugi antimissile, riparando il centro per il trauma di Sderot, offrendo oasi di pace ai bambini e ai giovani di Sderot e sviluppando altri programmi di assistenza.
L'Agenzia Ebraica per Israele sta offrendo assistenza finanziaria immediata alle vittime dei bombardamenti di razzi kassam a Sderot, grazie alla recente decisione di usare i fondi del Fondo per le Vittime del Terrorismo per assistere subito questi cittadini. Il Fondo per le Vittime del Terrorismo è sottoscritto dal Keren Hayesod e dall'Unione delle Comunità Ebraiche.
A causa dell’escalation dei bombardamenti contro Sderot e contro le comunità limitrofe, il mese scorso il Fondo per le vittime del terrorismo ha stanziato più di 300.000 dollari per l’assistenza finanziaria immediata delle vittime dei razzi kassam, in attesa degli aiuti che riceveranno dal governo.
Le famiglie destinatarie degli aiuti di emergenza dal Fondo per le vittime del terrorismo, riceveranno subito 1.100 dollari per l’acquisto di cibo, medicine, prodotti di prima necessità danneggiati dai razzi kassam, ecc. questa donazione verrà pagata alle famiglie immediatamente per coprire le spese dei loro bisogni personali che non sono coperte da altri enti coinvolti nell’assistenza alle vittime dei razzi kassam.

Mizpè Ramon - stambecchi in libertà

No. 408 - 7.3.08

Pircha Wiesel (80), Sopravvissuto all’Olocausto, Ashkelon: "Non ho più la forza di fuggire"

David Reguev , Yediot Achronot 4.3.2008

Non ho paura. Non più paura di niente. Quando ero giovane sono riuscito a sfuggire ai Nazisti, ma ora sono vecchio e malato e non ho più la forza di scappare. Ho accettato il fatto che sto per morire. Spero che a uccidermi non sia un missile.
Fino ad oggi mi sono preoccupato solo per mio figlio, che vive in un kibbutz vicino alla striscia di Gaza: la sua famiglia si è salvata per miracolo quando un razzo è caduto a pochi passi dalla loro casa.
Ma l’altro ieri un missile Grad è esploso anche qui, ad Ashkelon, a 500 metri da casa mia. Ero solo. La badante era uscita. Sono sceso alla stazione dell’autobus e poi ho sentito l’esplosione non lontano da me. Poi ho sentito la sirena. Non c’è nessuno qui che può stare con me. Anche i miei vicini hanno lasciato i loro appartamenti. Sono completamente solo.
Sono nato in Ungheria tra le due guerre. Dopo l’invasione tedesca ho vissuto nel ghetto di Budapest. I nazisti hanno ucciso tutta la mia famiglia nei campi di concentramento, ma io sono riuscito a scappare e a sopravvivere.
Dopo la guerra ho iniziare una nuova vita e sono venuto in Israele, dove ho avuto due bambini. Ho sei nipoti e due bisnipoti. Li ho cresciuti insegnando loro ad amare Israele. Ma ciò che sta succedendo adesso mi ricorda quello che ho passato durante l’Olocausto, questa senzazione di impotenza che non si esaurisce mai perché non c’è nulla che si possa fare per fermare i razzi.
Quando ero giovane non sono potuto crescere come un ragazzo normale, perché dovevo lottare per la mia sopravvivenza. Durante quella guerra tememevo per la mia vita e scappavo da un rifugio all’altro. Ma non sono più giovane e ora non so più dove scappare.
I nazisti mi hanno rubato la giovinezza. Ora i terroristi mi stanno rubando la vecchiaia.
Ho esaurito le forze.
Pircha Wiesel, 80 anni, vive ad Ashkelon e riceve assistenza finanziaria dal fondo per i sopravvissuti all’Olocausto.


No. 417 - 23.5.08

Due vittime di attentati terroristici trionfano sulle loro ferite – Due storie di speranza
La vittoria di Orly
Orly Virani è stata gravemente ferita nell'attentato del 2002 contro il ristorante Matza di Haifa ● Oggi è in attesa del suo primogenito e sta pensando di partorire nello stesso ospedale dove ha lottato per la sua vita.

di Eitan Glickman - Yediot Ha’haronot 19.05.08

I dottori hanno lottato per cinque giorni per salvare la vita di Orly Virani, che era stata ferita gravemente nell'attentato suicida del marzo 2002 contro il ristorante Matza di Haifa. Temevano che non ce l'avrebbe fatta. Oggi Orly ha 27 anni, è felicemente sposata e aspetta il suo primogenito.
Il 31 marzo 2002 Orly doveva incontrare per pranzo Daniel Menchel, un suo caro amico. Un terrorista è entrato nel ristorante e si è fatto esplodere, uccidendo Daniel e altre 14 persone. Orly è rimasta ferita gravemente. Non è stato facile per Orly guarire dalle sue ferite sia fisiche che emotive, e sei mesi dopo lo scoppio della bomba è emigrata in Germania. “Sentivo che non ce la facevo più a vivere in Israele”, ha spiegato. “Ero completamente sopraffatta dalle mie paure, e ho deciso di trasferirmi da mia zia a Monaco di Baviera”.
In Germania Orly ha incontrato e sposato Sven. Oggi è incinta di sette mesi e la coppia sta easpettando il suo primogenito. La settimana scorsa Orly ha visitato l'ospedale Rambam per un controllo e ha deciso di cogliere l'occasione per chiudere il cerchio tornando nel luogo dove la sua vita è cambiata in modo così drammatico.
“Ero ferita molto gravemente”, ricorda. “Il mio corpo era pieno di schegge e mi hanno detto che la probabilità che una persona con quel tipo di ferite riesca a sopravvivere è inferiore al 20%. Nessuno allora parlava delle probabilità di rimanere incinta e di avere un bambino, ma io sapevo che sarei sopravvissuta. Sono forte. Lo sapevo che sarei sopravvissuta e ora, da un momento all'altro, diventerò mamma. Chi lo avrebbe mai detto! Per me venire a un controllo di gravidanza al Rambam, dove ho lottato per la mia vita, è una grande vittoria”.

Asael cammina di nuovo

Sei anni dopo aver perso una gamba in un attentato terroristico Asael Shabo, 15 anni, torna in Israele con una sofisticata protesi sportiva.

di Avi Zinger, Yediot Ha’haronot 19.05.08

Sei anni fa, nel giugno del 2002, un terrorista entrò nella casa della famiglia Shabo a Itamar nel Shomron, sparò a raffica e uccise Rachel Shabo e tre dei suoi figli: Neria (15 anni), Zvika (12) e Avishai (5). Asael Shabo aveva allora 9 anni e venne colpito da una scarica di proiettili che gli amputò la gamba.
Domani, sei anni dopo quel terribile attentato terroristico, Asael tornerà in Israele sulle sue due gambe, una delle quali è una sofisticata protesi che è stata messa a punto negli Stati Uniti e che costa 70.000 dollari. “Papà, posso correre con due gambe”, ha detto al padre un emozionato Asael prima di tornare in Israele.
Dal giorno in cui è stato ferito nell'attentato terroristico, Asael, che oggi ha 15 anni, aveva sempre rifiutato di indossare una protesi, preferendo usare le grucce o saltellare su una gamba sola. Prima dell'attentato giocava a calcio, ma dopo ha deciso di dedicarsi alla corsa e si era convinto che una protesi avrebbe ostacolato i suoi sforzi di primeggiare.
L'atteggiamento di Asael è cambiato quando ha incontrato Shlomo Nimrod, un uomo d'affari americano, veterano dello Tsahal e invalido di guerra, che indossa una protesi appositamente progettata per correre e fare sport (simile a quella che usa il campione olimpico sud africano Oscar Pistorius). Nimrod ha convinto Asael a farsi preparare una protesi simile alla sua e ha persino preso accordi con l'Istituto negli Stati Uniti che mette a punto questo tipo di protesi.
Asael è partito per gli Stati Uniti poco prima del Giorno dell'Indipendenza e un paio di giorni dopo già correva e saltava su due gambe. “Tutti erano senza parole; non potevano credere ai loro occhi”, ricorda Guy Solomon, un rappresentante dell'organizzazione Etgarim che ha accompagnato Asael in America. “Tutti sono rimasti sorpresi dalla velocità con cui si è adattato alla protesi. Asael è un ragazzo incredibile, con una gran voglia di vivere. È un adolescente molto coraggioso, che ha subito un terribile trauma e dopo tutto quello che ha passato sono felice che siamo riusciti a restituirgli alcune delle gioie della vita. Il sorriso stampato sul suo volto quando ha visto che stava in piedi su due gambe ci ripaga di tutto".
“Volevamo che fosse in grado di fare quello che fa ogni altro ragazzo della sua età, di giocare a calcio e di correre come chiunque altro”, ha aggiunto Guy. “Non appena torna in Israele cominceremo ad allenarci per le sfide sportive che lo aspettano”.
Boaz, il padre di Asael, era accanto a lui nella gioia e nell'emozione di ieri. “Dopo tutto quello che ha passato non vedo l'ora di vederlo su due gambe”, ha detto. “Lo so che riuscirà in qualunque cosa che deciderà di fare. È un lottatore testardo, un vincitore!

giovedì 22 maggio 2008

Galilea - kibbutz Gazit

Diario dalla Galilea: solo in pace vincono tutti

di Angelica Edna Livè Calò
ed.Proedi € 10

Una voce forte e coraggiosa che si leva sul fragore dei missili in difesa della pace, della convivenza fra i popoli e del rispetto reciproco è quella di Angelica Edna Calò Livnè.
Angelica, che vive in Israele da quasi trent’anni a Sasa in un kibbutz della Galilea, è prima di tutto un’educatrice impegnata con ragazzi arabi, ebrei, circassi e drusi nell’arduo compito di educare alla pace.
Nell’anno in cui le Torri Gemelle crollavano per mano di terroristi islamici, Angelica fondava la Compagnia Teatro dell’Arcobaleno che unisce giovani di culture, religioni ed etnie diverse che attraverso spettacoli di musica e danza testimoniano il loro rispetto e riconoscimento per l’”Altro”.
Assieme al marito Yehuda, a dispetto delle bombe, dei missili e degli attentati terroristici, ha dato vita alla Fondazione “Beresheet La Shalom” che si occupa di porgere un aiuto concreto alle vittime israeliane del terrorismo, in particolare giovani, oltre che sensibilizzare al dialogo fra culture diverse.
Autrice del libro “Un sì, un inizio, una speranza” edito da Tempi e “Giù le maschere” pubblicato da Proedi, ha recentemente presentato alla Fiera del Libro di Torino, dove è stata invitata insieme ai ragazzi del teatro Arcobaleno, il suo “Diario dalla Galilea”: una cronaca intensa e drammatica dei terribili giorni vissuti in Israele durante la Seconda Guerra del Libano del 2006.
E’ il racconto sofferto di una donna coraggiosa, madre di quattro figli, due dei quali impegnati a difendere il paese dagli attacchi degli Hezbollah, alla quale il quotidiano La Repubblica chiede di annotare giorno per giorno le sensazioni, le emozioni che albergano nel cuore di una mamma e di un’educatrice durante quei giorni di ansia e paura.
Angelica non si sottrae a questa mitzvà e nella prima parte del libro ci regala momenti di profonda commozione nel racconto della difficile quotidianità di un popolo che non ha mai voluto, cercato e neppure provocato guerre ma che ancora una volta deve mandare i suoi figli a combattere per difendere il proprio diritto ad esistere.
“Fra la ragione che ti tiene abbarbicata alla realtà e le emozioni che si susseguono senza posa”, Angelica narra delle preoccupazioni per i giovani che rischiano di cadere nei tranelli architettati dagli Hezbollah, della forza che deve trovare per occuparsi delle 1200 persone che le sono state affidate nei villaggi turistici sul lago di Tiberiade.
Attraverso il racconto di Angelica incontriamo Samar, l’amica palestinese che cerca di infonderle coraggio, Nimrod, capo animatore del villaggio che frustrato per le reazioni ostili che Israele riceve da tutto il mondo vuol condividere la sua angoscia con gli italiani che sono “gente onesta”, Haim, capo dell’autorimessa del kibbutz che si alterna con la moglie per stare vicino ai bambini “troppo piccoli per essere lasciati soli” fino a quando riceve la “chiamata 8” dell’esercito (lo stato di allarme con il quale vengono richiamati alle riserve i soldati d’Israele).
Angelica, che i genitori del villaggio chiamano “duracell”, non si concede tregua e i bambini affidati alle sue cure “arrivano alla fine della giornata esausti dopo i giochi, le simulazioni teatrali e tutte le altre attività che creiamo per loro”.
Sono pagine intense che lasciano con il fiato sospeso ed una sensazione di stupore e rispetto dinanzi al coraggio e alla forza di volontà di una donna che sotto i bombardamenti incessanti, con il frastuono terrificante dei missili che spaventa a morte i bimbi più piccoli, continua ad essere una colonna e una bandiera di pace in un mondo in guerra.
Se la seconda parte del libro è una raccolta commovente delle testimonianze di affetto ricevute durante i 29 giorni di guerra in seguito agli articoli apparsi su La Repubblica, la terza parte raccoglie le riflessioni, i sentimenti e le speranze a un anno dalla fine della guerra.
Con la modestia che la contraddistingue, Angelica ci racconta del premio “Mamma Lucia” ricevuto a Cava de’ Tirreni nel 2007 (la località che ospiterà i ragazzi colpiti dal terrorismo)
e dell’onorificenza di “Cavaliere dell’Ordine della Solidarietà” conferitale dal Presidente Giorgio Napolitano.
Nell’ultima parte del libro il lettore troverà le emozioni suscitate negli spettatori dalla recente tourné italiana: sono testimonianze di affetto e gratitudine nei confronti di quei ragazzi ebrei, arabi cristiani o mussulmani che con il loro impegno dimostrano che “le guerre non possono distruggere lo spirito, gli ideali e la visione di un’educazione ai valori più alti dell’uomo”.
Quei valori che hanno sempre ispirato il popolo d’Israele e per i quali ogni venerdì sera l’augurio condiviso è: “Shabbat Shalom”. Un sabato di pace!
Giorgia Greco

mercoledì 21 maggio 2008



No. 409 - 14.3.08

Terrorismo ieri e oggi – 60 anni dopo l’attacco omicida al Keren Hayesod e alle Istituzioni Sioniste a Gerusalemme – 12 vittime, tra cui Leib Jaffe, direttore generale del Keren Hayesod (11/3/1948)

Il giorno dopo l’esecutivo dell’Organizzazione Sionista Mondiale pubblicò il seguente annuncio:
“L’11 marzo 1948 alle 19:45, l’auto del console americano guidata da un autista arabo è entrata nel cortile delle Istituzioni Nazionali. L’autista è stato identificato con sicurezza dalle guardie all’entrata come l’autista del console, che si reca negli uffici dell’Agenzia Ebraica quotidianamente per gli impegni consolari statunitensi. L’auto si è fermata vicino agli uffici del Keren Hayesod e l’autista è sparito. Poco dopo l’auto è esplosa e l’onda d’urto ha distrutto il secondo piano dell’ala del Keren Hayesod e i muri interni degli uffici dell’Agenzia Ebraica e del Consiglio Nazionale. Le operazioni di soccorso sono iniziate immediatamente. Dodici membri del Keren Hayesod e del Consiglio Nazionale sono morti e decine sono stati feriti, alcuni gravemente. … Una delle vittime è il signor Leib Jaffe, uno degli ultimi delegati ancora in vita del Primo Congresso Sionista, uno dei fondatori del Keren Hayesod e uno dei suoi leader sin dagli esordi. E’ morto svolgendo il suo dovere. Il movimento sionista piange la sua perdita. Subito dopo essersi presi cura di tutti i feriti, sono iniziati i lavori per togliere le macerie e ricostruire l’edificio. Negli uffici che non erano stati danneggiati dall’esplosione si è ripreso subito a lavorare. I lavori di restauro procedono speditamente e si spera che gli edifici delle Istituzioni Nazionali possano essere di nuovo operativi entro pochi giorni.

Eilat - museo oceanografico

No. 416 - 16.5.08

Israele feteggia 60 anni: Gli ultimi dati sulla popolazione

http://www.jewishvirtuallibrary.org/jsource/Society_&_Culture/newpop.html
Il 31 dicembre 2007 la popolazione israeliana ha raggiunto la cifra di 7.241 milioni di abitanti. Di questi 75,6% sono ebrei (5.472 milioni), 20% sono arabi (1.449 milioni) e 4,4% (320.000) sono ‘altri’ — ovvero gli immigrati che al Ministero dell'Interno non sono registrati come ebrei, i cristiano non-arabi e i residenti senza denominazione religiosa.
Durante il 2007 la popolazione israeliana è aumenta dell'1,7%, solo un decimo di punto in meno rispetto all'anno scorso. Inoltre nel 2007 sono arrivati 18.000 immigrati e sono nati 149.400 bambini.
Nel complesso durante l'anno la popolazione israeliana è aumanta di 124.000 unità, di cui l'88% è il risultato della crescita naturale della popolazione (la nascite meno la morti) e il rimanente 12% è dato dal fattore immigrazione: la differenza tra il numero degli immigrati e il numero degli emigrati.
Nel giorno del 59° anniversario dell'Indipendenza israeliana, il 24 aprile 2007, lo Strato d'Israele contava circa 7.150.000 di abitanti, 121.000 in più rispetto al 2006, con un tasso di crescita dell'1,8%. Dal 2003 il tasso di crescita è rimasto pressoché stabile. Come nel 2007, anche nel 2006 l'incremento è dovuto in massima parte (88%) alle nascite, che nel 2006 sono state 148.000. Nello stesso periodo 18.400 nuovi immigrati avevano fatto l'aliyah in Israele, il che corrisponde al rimanente 12% della crescita della popolazione israeliana nel 2006.
La maggioranza degli israeliani (92%) vive in aree urbane. Un quarto della popolazione israeliana vive o a Gerusalemme, Tel Aviv, Haifa o a Rishon Letzion. Con i suoi 719.900 abitanti Gerusalemme è la città più grande d'Israele. La maggioranza della popolazione israeliana si concentra nel centro del Paese attorno a Tel Aviv, che conta 378.900 abitanti.
Una delle 14 maggiori città israeliane è Rishon Letzion, fondata nel 1882, che è passata dagli 11.000 abitanti del 1948 ai 219.500 del 2007. La sua vicina a sud, Rehovot, anch'essa fondata alla fine dell'Ottocento, è cresciuta dai 12.500 abitanti del 1948 ai 100.300 del 2003. Ashkelon e Ashdod sono state fondate nel 1948 e nel 1955 alla periferia del popoloso centro del Paese. Nel 2003 la popolazione di Ashkelon ammontava a 104.700 unità e nel 2007 Ashdod conta 200.600 abitanti.
Be'er Sheva, "La capitale del Negev" e la maggiore città del Sud, aveva 183.200 abitanti nel 2003. La terza maggiore città del Paese e la maggiore città del Nord è Haifa con i suoi 267.000 abitanti.
Il 65% della popolazione ebraica e non-araba è nata in Israele. Nel 1948solo il 35% degli ebrei erano nati nel Paese.
Gli ebrei e i non-arabi che non sono nati in Israele sono 1.930.000; quelli che vengono dall'ex-Unione Sovietica rappresentano il maggiore gruppo "straniero" in Israele. Oltre ai 950.000 che sono arrivati dall'ex URSS, 157.000 persone che ora vivono in Israele sono nate in Marocco, 110.000 vengono dalla Romania, 77.000 sono originarie del Nord America, 70.000 vengono dall'Iraq, 70.000 dall'Ethiopia e 64.000 dalla Polonia. Dal 1948 sono immigrati in Israele tre milioni di persone, di cui più di un milione solo dal 1990.

Mar Morto

I 60 ANNI D’ISRAELE

A 60 anni dalla nascita dello Stato di Israele, il 15 maggio 1948, esso non è ancora accettato da una parte della politica e della cultura italiana, come hanno platealmente dimostrato le tensioni sorte attorno alla Fiera del libro di Torino. Non si tratta di antisemitismo ma di antisionismo. Ma il dato non è allarmante perché lo stato di Israele è il prodotto dello sterminio degli ebrei, un fenomeno che appartiene alla nostra storia; non riconoscerlo quindi vuol dire cancellare il nostro passato. Senza voler indulgere alla storia fatta partendo con un se, mi sembra difficile negare che senza la Shoah assai più contrastata sarebbe stata la strada del sionismo in Palestina. Gli unici che hanno avuto chiaro fin dall'inizio il nesso inestricabile fra lo sterminio degli ebrei e la creazione di quello che già prima si era chiamato il focolare ebraico in Palestina furono gli americani, e in particolare il presidente Truman. Per costoro l'unico risarcimento credibile era appunto la creazione dello stato di Israele e, pur di propiziarne la nascita, non temettero di scontrarsi duramente con il loro più fedele alleato da sempre, gli inglesi cioè. A dire il vero, il primo a riconoscere Israele fu l'Unione Sovietica: ma lo fece per ragioni ideologiche, perché sembrava che certe esperienze di collettivismo da parte dei coloni ebrei lo avrebbe spostato da quella parte. A Mosca dovettero rapidamente ricredersi, perché è con gli Stati Uniti che Israele costruì un rapporto solido anche se non affatto idilliaco, come ancora si favoleggia. Più di uno fra i presidenti americani ha cercato di contenere l'attività delle lobby ebraiche, soprattutto quando queste hanno tentato di condizionare i comportamenti dell'amministrazione. Solo verso la metà degli anni sessanta a Washington si è definito Israele come un vantaggio strategico americano nel teatro del Medio Oriente. Dichiarazione assai impegnativa, questa, che fa di Israele un alleato, anche se non attraverso legami formali, con un peso del tutto a quello dei paesi dell'Europa occidentale; fra l'altro grazie a un impegno del genere Israele è stata aiutata a sviluppare tecnologia nucleare anche in campo militare ed è stato in seguito tollerato da parte americana la sua non adesione al trattato di non proliferazione nucleare, che pure ebbe negli Stati Uniti uno dei maggiori promotori.
Quanto agli europei la nascita di Israele come atto di risarcimento pressoché nessuno ha voluto intenderlo; tranne forse la Germania che negli anni sessanta il diritto al risarcimento lo riconobbe, ma lo concretò in termini piuttosto prosaici: in carri armati (attraverso una triangolazione con gli americani). Eppure oggi questo ritardo potrebbe essere definitivamente colmato da parte italiana e in generale europea col riconoscimento che nel Medio Oriente il primo nostro impegno dovrebbe essere volto a garantire la sicurezza di Israele, il diritto dei suoi cittadini a vivere entro confini sicuri: il che vuol dire confini che non si possano violare ogni volta che arrivano alla parte opposta congrui rifornimenti di missili. Per l'Italia in particolare un compito ancora spetterebbe: ridefinire il ruolo della missione militare in Libano, una missione alla quale non sono state dati neanche occhi per vedere, e che in tali condizioni nessuno capisce a cosa serva.
di Giampaolo Valdevit http://ilpiccolo.repubblica.it/ 20 maggio 2008

Galilea - kibbutz Gazit

In Israele capire l'abbaiare dei cani aiuta a sorvegliare le carceri

E' in uso un software di riconoscimento vocale in grado di distinguere il significato dei latrati dei cani da guardia

ISRAELE – Il linguaggio canino sfugge certamente al codice umano, ma secondo gli esperti esiste un modo di spiegare e interpretare le varie declinazioni dell'abbaiare. E l'idea, già convertita in un software, è proprio quella di decifrare le diversità dei versi di questi animali, utilizzandole a fini di sicurezza.
NELLE CARCERI - Noam Tavor, capo dell'Israel Prisons Service, spiega che spesso le guardie sono sviate dagli allarmi dei cani, talvolta interpretati come pericoli quando invece sono semplici guaiti di dolore, fame, amore, entusiasmo o solitudine. Insomma, bisogna saper tradurre un semplice bau e laddove non c'è questa sensibilità umana interviene una piattaforma tecnologica, appositamente studiata nelle prigioni per lanciare tempestivamente i segnali di pericolo.
IL SOFTWARE – In buona sostanza vengono raccolti e registrati, attraverso speciali microfoni, solo alcuni latrati, ovvero quelli considerati significativi in termini di sicurezza. Una volta individuati i latrati rivelatori di aggressività, si attivano speciali telecamere e megafoni in corrispondenza delle zone calde della prigione.
TANTO RUMORE PER NULLA – Gli anglosassoni lo chiamano il fenomeno del "boy who cried wolf" (il ragazzo che grida al lupo) e identifica l'atteggiamento tipico di lanciare l'allarme per nulla (un concetto molto simile a quello della favola di Pierino e il lupo). Spesso i cani hanno creato difficoltà alle guardie carcerarie anziché essere d'aiuto, proprio per la difficoltà di riconoscere il segnale giusto. Da qui nasce in Israele, nazione notoriamente all'avanguardia in tema di difesa e sicurezza, una partnership tra il Prisons Service di Tel Aviv e una start up concittadina, Bio-Sense, incaricata di sviluppare una sorta di sensore in grado di percepire il livello di stress contenuto nel verso canino. Grazie al sensore i latrati di emergenza vengono prontamente raccolti e scatta un sistema di allarme. La tecnologia è stata sviluppata nel 2005 e da allora la giovane azienda israeliana sostiene di aver avuto più di 100 clienti (compresi gli agricoltori che vogliono difendersi dai ladri), tutti rigorosamente israeliani.
di Emanuela Di Pasqua Corriere.it 20 maggio 2008

martedì 20 maggio 2008

Gerusalemme

Cortocircuito

di Yehoshua Kenaz
Traduzione di Elena Loewenthal
Ed Nottetempo € 18,00

Cantore impareggiabile della vita israeliana nelle sue pieghe più nascoste, nella complessa quotidianità che a volte si scioglie in sprazzi di fugace serenità, Yehoshua Kenaz con
quest’ ultimo romanzo ci racconta la vita, gli amori, le disillusioni degli inquilini di un condominio di Tel Aviv sullo sfondo della Guerra del Golfo e del conflitto che oppone arabi ed israeliani.
Una galleria di personaggi indimenticabili: irascibili, affettuosi, impauriti, giovani pieni di contraddizioni che si affacciano alla vita e anziani desiderosi di compagnia, tutti delineati con grande maestria e sensibilità da uno scrittore che conosce come pochi altri le tensioni dell’animo umano, sa coglierle nella loro immediatezza per restituirci l’immagine di una società complessa ma pervasa da un profondo senso di solidarietà e amore per la vita.
La morte, quasi un personaggio del libro, apre il romanzo e ha il volto di Sofi Yaakov, una donna anziana e garbata la cui unica compagnia, la radio che ascolta tutto il giorno, è la fonte principale di storie e aneddoti che condivide con la vicina Eti.
Un cortocircuito nell’impianto elettrico riempie lo stabile di fumo, invadendo anche l’abitazione di Sofi che, presa dal panico, non riesce a respirare.
Nessuno risponde alle sue disperate richieste di aiuto e quando ritorna la corrente “Sofi Yaakov, una donnina minuta come un passerotto, era riversa in poltrona, inerte, accanto alla radio, là dove aveva fatto i suoi sogni più belli”.
Così la trova Eti, l’unica vicina che abbia provato nei confronti dell’anziana donna affetto e simpatia. La vita di Eti è resa ancor più difficile dopo la violenza subita da un arabo, una ferita che non riesce a metabolizzare e che si ripresenta sotto forma di fantasmi e incubi ricorrenti.
Da questa situazione di forte tensione il romanzo si dipana attraverso le vicende ora ossessive, ora tragiche, ora grottesche dei protagonisti impegnati nella loro battaglia personale con la vita oltre che nel tentativo di difendersi dal lancio dei missili: Doron, che si occupa del condominio, è ossessionato dal bisogno di trovare il responsabile del cortocircuito che ha causato la morte di Sofi e danneggiato il palazzo, Ghili e Zachi, vicini di Sofi, una coppia stralunata e scombinata, legati da un rapporto affettivo conflittuale, condividono saltuariamente l’abitazione con Vered, musicista alle prime armi sulla quale si riversa la rabbia di Nira che non apprezza le sue continue sbadataggini.
E ancora osserviamo la signora Flora Mashiach, un’anziana donna, ossessionata dalla pulizia che richiama continuamente all’ordine il povero Rachmani: uomo mite e sempliciotto ha l’incarico di pulire le scale del palazzo da quando l’arabo Ismail ha smesso di lavorare a causa della chiusura dei Territori in seguito allo scoppio dell’Intifada.
La figura controversa di Ismail, capace di suscitare nelle persone che incontra comprensione o sospetto, fiducia o diffidenza, racchiude in sé le contraddizioni di un popolo che dinanzi ad un attentato terroristico contro civili israeliani “balla e festeggia nelle strade di Gaza”.
Se la politica non entra di petto nelle vicende del romanzo rimane però sullo sfondo, una presenza costante che condiziona in un modo o nell’altro la vita dei personaggi siano essi arabi o ebrei: gli uni per l’impossibilità di lavorare se non illegalmente, gli altri per la paura che ogni arabo che incontrano sia un nemico pronto a colpirli.
Solo uno scrittore dotato di grande talento come Yehoshua Kenaz poteva padroneggiare un libro che è al tempo stesso una tessitura a più voci, un affresco della moderna società israeliana e un caleidoscopio di colori, luci, emozioni e sensazioni.
Sullo sfondo del conflitto fra arabi ed ebrei l’autore ci regala un romanzo autentico, senza reticenze né pudori, capace di descrivere la complessa realtà israeliana con sguardo attento e misurato ma consapevole che solo attraverso la tolleranza e il rispetto condivisi sarà possibile giungere ad una pacifica convivenza fra i popoli.
Giorgia Greco

Eilat - museo oceanografico

Rotta per la Palestina

di Mario Giacometti e Daniela Giacometti
EdMursia €13,00

Alla fine della seconda guerra mondiale i sopravvissuti ai campi di sterminio nazisti cercarono, con gravi rischi e pericoli, di raggiungere la salvezza nel futuro stato ebraico partendo dalle coste italiane.
Oltre 23.000 ebrei riuscirono a lasciare clandestinamente l’Italia diretti in Palestina grazie all’aiuto della popolazione italiana e delle autorità. Uno dei centri italiani da cui partiva l’esodo dei superstiti ebrei era La Spezia, la città che venne definita la Porta di Sion.
L’Alià Beth, ovvero l’ondata migratoria verso la Terra Promessa fu osteggiata dalla Gran Bretagna, potenza mandataria in Palestina, che cercò con ogni mezzo di bloccare l’arrivo dei profughi nonostante le sofferenze che ancora recavano con sé e la consapevolezza che quella terra rappresentava la loro unica salvezza.
Mario Giacometti, autore del libro e a quell’epoca giovane marinaio, ci racconta la sua esperienza vissuta a bordo del Giovanni Maria una delle navi che, con a bordo 1.300 profughi sopravvissuti ai lager nazisti, fece rotta per la Palestina nella primavera del 1947.
Il racconto, frutto di un’esperienza vissuta, “nasce dal desiderio di lasciare una testimonianza” , un frammento di storia che si innesta nel quadro più ampio della grande Storia.
Dopo l’incontro con Amnon un giovane alto, carismatico e con un fisico da lottatore, membro della Haganà - la milizia del futuro Stato ebraico – tutto l’equipaggio della nave è consapevole dei rischi cui andrà incontro, oltre che dell’importanza e della segretezza della missione affidatagli: trasportare clandestinamente i profughi ebrei nella loro terra d’origine, Eretz Israel.
L’imbarco del primo gruppo di profughi presso Tolone avviene senza intoppi e con l’ingenuità e l’immediatezza che solo la gioventù può donare, Mario ci racconta del suo stupore dinanzi a quella babele di lingue, a giovani, bambini, donne e anziani scampati all’inferno dei campi che, seppur provati nello spirito e nel fisico, “avevano in comune la volontà di gettarsi alle spalle il passato e ricostruirsi un avvenire”.
La vita quotidiana sulla nave, che scorre fra la difficoltà di stabilire i turni per consentire a 1.300 sopravvissuti di mangiare “almeno un pasto caldo al giorno” e la necessità di mantenere la disciplina, non impedisce a Mario di fare conoscenza con persone segnate dalla sofferenza come il Dottore che ha perso tutta la sua famiglia nell’Olocausto e la giovane donna dallo sguardo triste che porta tatuato un numero sul braccio e di cui Paolino, l’amico del cuore, si innamora perdutamente.
Dopo la prima missione portata a termine felicemente, una nuova chiamata arriva da Algeri. Questa seconda impresa non nasce sotto buoni auspici: dapprima solo una settantina di profughi riesce a salire a bordo, poi una tempesta e una grave avaria ai motori costringono l’equipaggio del Giovanni Maria a fare rotta per la Girolata nel golfo di Porto in Corsica. Dopo aver preso a bordo, il 3 dicembre, i passeggeri del Sette Fratelli, un bastimento italiano che li aveva raggiunti, la navigazione riprende alla volta della Palestina. L’appuntamento per lo sbarco è fissato per la sera del 24 dicembre su una spiaggia vicino a Haifa.
Da quel momento la situazione precipita: la nave viene intercettata dagli inglesi e, dopo una strenua difesa, equipaggio e profughi sono costretti a sbarcare a Haifa ed infine portati nei campi di Cipro dove Mario insieme ai suoi compagni rimane per alcuni mesi nella consapevolezza che gli ebrei e in particolare Amnon, non li avrebbero abbandonati.
La libertà arriva dopo settimane trascorse a contatto con un’umanità ferita, sofferente nell’anima e nel corpo ma che non ha perso la speranza di poter giungere nella Terra Promessa.
Dopo un soggiorno di due mesi in un kibbutz dove allo stupore dinanzi ai “vasti campi coltivati, ai verdi filari di viti, frondosi alberi di frutta, campi seminati a grano”, si aggiunge la gioia per l’accoglienza calorosa e la solidarietà riservata loro dai residenti, gli italiani riescono a tornare in Italia e a riabbracciare le proprie famiglie, ancora una volta grazie all’interessamento di Amnon.
E’ con la suggestiva immagine delle tre bandiere israeliane che “sventolano orgogliosamente alla brezza del mattino” sul vecchio bastimento Giovanni Maria, ormai in disarmo nel porto di Haifa, che si chiude questo delicato libro di memorie.
Scritto con tono scorrevole e familiare il racconto di Mario Giacometti è un “tassello di storia” oltre che un’eredità preziosa fatta di ricordi e testimonianze che le vecchie generazioni trasmettono alle nuove affinchè crescano “affondando le radici nelle storie di un passato” che, in quanto patrimonio della collettività, appartiene a ciascuno di noi e non può essere dimenticato.
Giorgia Greco

lunedì 19 maggio 2008

Rehovot - casa Weizmann

Israele. Studio: per la guida piu' pericoloso l'alcool della cannabis

Secondo una ricerca pubblicata sulla rivista Accident Analysis and Prevention, basse dosi di cannabis e alcool hanno un diverso impatto sulle attivita' psicomotorie. La ricerca delle university' Hebrew e di Negev, ha studiato l'impatto dell'alcol e del THC sulla guida di 14 automobilisti, ed e' risultata un diverso effetto delle due sostanze. Si legge nella ricerca: "Il tasso di velocita' e' stato il piu' variabile e osservabile rispetto alle due sostanze, ma con opposti effetti. Le sigarette di THC rendevano gli automobilisti meno veloci, mentre l'alcol piu' veloci. Sempre per dosi controllate".Sia l'alcol che la cannabis diminuivano la capacita' dell'automobilista di stare nella propria corsia, aumentando anche i tempi di reazione, ma le due sostanze non hanno aumentato il numero degli incidenti.Complessivamente, i fumatori di cannabis si comportavano come coloro che avevano uno 0,05% di tasso alcolico nel sangue."La ricerca rivela che, anche se ci sono delle similitudini nell'impatto delle sostanze, soprattutto con basse dosi, aumentando entrambe i tempi di reazione e difficolta' a mantenere la corsia, delle differenze ci sono. In particolare, i soggetti sono consapevoli delle loro difficolta' dopo avere fumato e per questo guidano piu' cautamente; mentre l'alcol li rende troppo sicuri e per questo guidano piu' velocemente".


Francobolli di Israele, Australia e Nuova Zelanda nei nuovi cataloghi Unificato

Sono due i cataloghi internazionali 2008/2009 recentemente pubblicati dall'editore milanese CIF: l'Unificato di Israele e l'Unificato di Australia e Nuova Zelanda. Poco più di 60 pagine il primo, un centinaio il secondo. Edizioni compatte, quindi, che presentano la produzione dentellata di queste tre nazioni dalla grande tradizione filatelica. Si tratta della seconda edizione, questa volta sdoppiata in due volumi, del catalogo originariamente dedicato solo a Israele ed Australia: la novità più rilevante, quindi, è la pubblicazione degli oltre 2000 francobolli, tutti rigorosamente a colori, della vicina Nuova Zelanda.

Dopo l'edizione in tre volumi interamente dedicata all'Europa presentata al Romafil 2007, l'Unificato sbarca in libreria con una coppia di cataloghi sui francobolli di Israele, Australia e Nuova Zelanda. In realtà si tratta del ritorno, sulla scena filatelica, di un catalogo che nella prima edizione raggruppava i primi due paesi in un'unica soluzione.Adesso, invece, i collezionisti potranno decidere di acquistare soltanto il catalogo di loro interesse: quello di Israele (64 pagg. a colori, 14,00€) e quello di Australia e Nuova Zelanda (più corposo con le sue 112 pagg., 18,00€), entrambi in edizione 2008/2009 con breve prefazione anche in lingua inglese.........
UNIFICATO di ISRAELE 2008/200964 pagine a coloriEditore: CIF srlPrezzo: 14,00€
http://www.philweb.it/ 18.05.2008 di Francesco De Carlo


14 maggio 1948 - 14 maggio 2008

60° anniversario
dello Stato d'Israele

Buon compleanno Israele !
A 60 anni dalla nascita dello Stato ebraico il 14 maggio 1948 sulla base della risoluzione 181 delle Nazioni Unite, oggi Israele è l’unico Stato al mondo la cui legittimità viene messa in discussione dalla maggioranza dei Paesi arabi e musulmani. Questi, pur essendo membri dell’Onu e pur avendo il dovere di attenersi alla sua Carta, continuano a negare il diritto all’esistenza di uno Stato anch’esso membro dell’Onu e pienamente legittimato dal diritto e dalla comunità internazionale. Ancor più preoccupante è il fatto che alcuni di questi Paesi, con in testa il regime nazi-islamico iraniano di Khamenei e di Ahmadinejad, perseguono deliberatamente e pubblicamente l’obiettivo della distruzione di Israele anche con la minaccia della bomba atomica che mirano ad ottenere in flagrante violazione delle risoluzioni dell’Onu. Nonché tramite il sostegno ai gruppi terroristici dell’Hezbollah, di Hamas e di altre sigle palestinesi, arabe ed islamiche che hanno fatto dell’eliminazione fisica di Israele la loro stessa ragion d’essere ricorrendo all’arma disumana e abietta del terrorismo suicida.
L'auspicio è che nel sessantesimo della nascita di Israele si sradichi definitivamente l’ideologia di odio, violenza e morte generata dal rifiuto pregiudiziale all'esistenza dello stato ebraico e che finalmente Israele possa vivere in pace e sicurezza.

Fondazione Giorgio Perlasca

deserto Neghev - parco Golda

Il mondo che non c'è

Leggo una notizia, è un’altra notizia che non fa notizia, è una notizia che vien dal mondo che non c’è, per quel mondo che non indigna, che non smuove, non colpisce, non ferisce.
È il mondo dove non vi sono coinvolti Ebrei né Americani, dove non vi è Bush né altro da contestare. E per questo è un mondo che non c’è, non c’è per i pacivendoli né per i media.
Eppure c’è e con circa 70.000 morti (leggi bene: SETTANTAMILA MORTI) ha tutto il diritto ad esserci.
Federico Falconi

Sri Lanka: attentato nella capitale Colombo, 10 morti

NEW DELHI - Sono 10 le vittime ufficiali dell'attentato kamikaze avvenuto stamattina a Colombo, la capitale dello Sri Lanka. Una moto a tre ruote, di quelle che qui vengono usate come mezzo di trasporto di cose e persone, con una bomba dentro, è piombata a tutta velocità contro un autobus che trasportava militari e poliziotti che andavano per garantire la sicurezza all cerimonia di insediamento del primo ministro della provincia orientale dell'isola, prevista per oggi pomeriggio.La polizia dello Sri Lanka ritiene che dietro l'attacco kamikaze ci sia la mano dell'LTTE, l'esercito di liberazione delle tigri Tamil. L'attentato, che ha causato la morte di sette poliziotti, due civili e dell'attentatore kamikaze, è avvenuto in una zona centrale della capitale, a pochi passi dall'hotel Hilton (alcune finestre del quale sono state distrutte dall'esplosione) e non lontano dalla residenza del presidente e dagli uffici dello stesso.Nell'esplosione sono anche rimaste ferite una novantina di persone, la maggior parte delle quali sono poliziotti. 12 di questi sono ricoverati in condizioni critiche nell'ospedale di Colombo. Il giuramento del primo ministro arriva dopo la vittoria alle scorse elezioni nell'area nord orientale (che i Tamil vorrebbero staccare dal controllo del paese) di Sivanesathurai Chandrakanthan alias Pillaiyan, ex ribelle Tamil capo del gruppo paramilitare TMVP, conosciuto anche come gruppo Pillayan. Questi ha partecipato alle elezioni sotto l'egida della United Peoplés Freedom Alliance, l'alleanza che fa capo al presidente cingalese Mahinda Rajapaksa, in una tornata definita "manipolata" dai Tamil che prima controllavano l'area.Dall'inizio del conflitto nello Sri Lanka, nel 1983, sono morte nel Paese tra le 60 e le 70 mila persone. Dal 16 gennaio scorso non è più in vigore tra governo e ribelli Tamil una tregua conclusa nel febbraio 2002 sotto il patrocinio della Norvegia. Un cessate il fuoco già finito nella pratica quando é stato eletto alla fine del 2005 il presidente Mahinda Rajapaksa, un nazionalista fautore del pugno di ferro contro i "terroristi". Nel precedente attentato e nelle battaglie che ne sono seguite, il 24 aprile scorso, sono morte oltre 160 persone tra militari e ribelli.
SDA-ATS* 16 maggio 2008 - 12.11
*Agenzia Telegrafica Svizzera

deserto Neghev - tomba di Ben Gurion e della moglie

TESTIMONIANZA

Nel 1945 mio padre aveva 46 anni.
L’immagine della sua faccia da slavo, viso rotondo, occhi azzurri immersi nella nostalgia di una vita non facile ma con uno sguardo cosi dolce, emerge dalla mia memoria.
La sua espressione triste ma tranquillizzante, la sua difficoltà a fare capire i suoi sentimenti profondi fanno parte del bagaglio delle mia infanzia.
Dopo anni di spostamenti in diverse cascine della campagna francese per evitare la Gestapo, la guerra finì e nel mese di Maggio con le nostre valigie cariche di ricordi che avevano attraversato tante province alla ricerca di posti che avrebbero allungato la nostra vita, tornammo a Parigi.
Ho nella mente gli scricchioli della vecchia camionetta e davanti agli occhi i fari dell’esercito americano. Senza di loro 2 o 3 mesi più tardi, come diceva Papa, saremmo finiti ad Auschwitz.
Esausti dalla paura, dalla mancanza di soldi, dai problemi di salute.
Lentamente, sulla strade di Francia inondate di veicoli come il nostro tornammo nella capitale liberata.
L’arrivo a casa, casa che ricordavo, come si poteva ricordare una bambina, casa bella per i nostri mobili, i nostri quadri. Papa aveva un debole per i Fiamminghi, il mio pianoforte, un Pleyel.
Tutto ciò che rappresentava le mie sicurezze era sparito. Il vuoto.
E difficile spiegare un vuoto totale, perché non era un vuoto
materiale, alla mia età. Ma un vuoto nell’anima, un vuoto nei ricordi, un buco nero dove le parole sono mute, dove il tuo respiro si ferma.
Ricordo i miei passi sul parquet, la mia mano in quelle del mio padre, il suo sguardo atterrito sul “ Nulla” e la sua prima parola : Niente.
Mà che cosa eravamo? Ognuno di noi, Mamma, Papa, mia sorella di 20 anni, mio fratello di 3 anni, eravamo delle persone, una famiglia, una storia?
Con quale sentimento dovevamo cercare la nostra identità?
Qual identità, per chi? Per andare dove?
Mia madre con la sua borsetta stretta contro il suo petto piangeva…disperata.
Mio padre dopo un lungo silenzia e con il suo sorriso luminoso disse :
Domani si ricommincia.
Da Solange

....e sul fondo il lago Tiberiade (Kinnereth)

La banca islamica

Per comprendere la scelta di campo britannica ai tempi dei Libri bianchi degli anni ’30 occorre considerare il rapporto
commerciale con le popolazioni arabe e islamiche dei territori strategici per l’economia di Sua Maestà.
Oggi le linee guida di politica estera seguono la stessa strada di “attenzione” e un interessante caso lo costituisce
quello di una banca britannica che crea una branca islamica per garantire ai propri clienti il rispetto dei principi della Shariah.
(segui link qui esposto)
http://www.standardchartered.com/islamic-banking/en/index.html
Non deve meravigliare l’interesse bancario verso clienti di una specifica religione, non è un caso isolato,
ma una logica di mercato per garantirsi l’attenzione di determinati clienti.
Una banca che già nel nome intendeva garantire ai proprio clienti il rispetto dei loro principi religiosi c’era anche in Italia:
la Banca Cattolica del Veneto, che ha saputo crescere e divenire nel tempo parte di un grande colosso bancario.
In effetti si potrebbe anche ricordare un altro istituto più o meno legato alla finanza cattolica, ma quello ha lasciato ricordi meno allegri:
era il Banco Ambrosiano… collegato a investimenti poco chiari con l’allora (e tuttora esistente) Istituto Opere Religiose, lo IOR, la “banca” vaticana.
Più banca religiosa di così…

*PS Attenzione: a chi fosse tentato di proporre il “boicottaggio”
della Standard Chartered Bank ricordo che essa è l’unica banca
presente nelle Isole Falkland e costituisce non soltanto uno
strumento molto utile per l’economia degli abitanti ma anche un
importante legame con il lontano Regno Unito.
By Federico Falconi

domenica 18 maggio 2008

Galilea - kibbutz Gazit

«Il nostro appassionante viaggio in Israele»
Il diario della trasferta degli studenti pavesi che hanno vinto il concorso della Provincia

I ragazzi pavesi che quest'anno hanno vinto il concorso "Il tempo della Storia", i loro accompagnatori e alcuni ex vincitori di edizioni precedenti hanno intrapreso un viaggio appassionante in Israele, visitando Tel Aviv, Haifa, le alture del Golan, la Galilea, il kibbutz Degania, il lago di Tiberiade, il Mar Morto e infine Gerusalemme, la città delle tre religioni.

E' la luce quel che resta dei giorni di Israele. Luce mattutina posseduta da un antico splendore a Cesarea Marittima, città di Erode il Grande. Dipinto policromatico mediorientale a San Giovanni d'Acri. Crepuscolo grigio cenere e rosa sul Lago di Tiberiade. Alba di fervida operosità nel kibbutz Degania Bet. Orizzonte di sguardi sulle alture del Golan. Epifania incandescente nella roccaforte di Masada. Bluastra corona salina sul Mar Morto. Divina presenza a Gerusalemme. Insostenibile chiaro/scuro di memorie allo Yad Vashem, il museo della Shohà. Partiti con un po' di preoccupazione (per gli atti di terrorismo accaduti ad inizio marzo), ma con il sostegno convinto dei familiari, siamo stati per sette giorni in un luogo che è tempo e storia, sovrannaturale e terrestre, testimonianza e progetto, fede e slanci utopistici, ferro e fuoco, latte e miele, lacerazione e coesione, ortodossia e integrazione, guerra e pace: museo della storia del mondo, arca delle religioni monoteiste, stazione meteorologica della contemporaneità. Da un'altra prospettiva. Così abbiamo vissuto i nostri giorni, guardando i "passages" d'Israele. Senza pregiudizi, senza la coltre nebbiosa di ottuse contrapposizioni, senza pagare pegno a disinformazione e strumentalizzazione. Liberi di giudicare, con senso critico, il bene e il male, il giusto e l'ingiusto. Consapevoli che la complessità della Storia e delle storie non è riducibile a slogan, formule, schiavitù ideologiche. Quella terra è il nostro passato perenne. Dura, ci riguarda. Dalla Torah, dal Libro viene Gesù ebreo. Dal Discorso della Montagna viene il bisogno di un cristianesimo mite e misericordioso, la necessità del riscatto degli umiliati e degli offesi. L'Islam annovera Cristo tra i profeti. La convivenza tra le religioni ha un nemico comune: i pasdaran d'ogni chiesa, d'ogni pensiero religioso elevatosi a dogma infallibile. A Gerusalemme capisci che ad ogni angolo di strada il divino ti insegue come un vento calmo, paziente e irresistibile. Sta a te capire: il Muro del Pianto, la spianata delle Moschee, il Santo Sepolcro non sono idoli, sono incarnazioni del sacro, della sacralità dell'uomo, di tutti gli uomini. Quella terra è un lungo medioevo di sangue; ma è anche crogiuolo di culture che si sono parlate, che si sono interconnesse, che si sono scambiate lingue, gastronomie, metafore, aneddoti, sillabari dell'esistenza comune. La città crociata di Acco, le bianche trincee del Golan, i bunker rifugio nei kibbutz: memorie di sangue. La spropositata bellezza dei giardini Bahai ad Haifa, le improvvise dolci acque di Banias e di Ein Gedi (concrete apparizioni di vita in mezzo al nulla), l'incomparabile suggestione dell'anfiteatro romano nel sito archeologico di Beith Shean: ritratti a testimonianza di una ostinata ricerca della pace, in ogni epoca, durante qualsivoglia guerra. Quella terra è questione politica di uno ieri recente (i sessanta anni dello Stato di Israele), di oggi e di domani. E' democrazia imperfetta (come tutte le democrazie), ma ha un Parlamento (la Knesset). Dove i profeti di sventura trovano opposizione nei sostenitori delle ragioni della pace e del dialogo. Non dimenticherò facilmente l'immagine del soldato israeliano che cerca un po' di refrigerio in una zona d'ombra seduto accanto a una ragazza araba. Entrambi con un libro in mano. La questione mediorientale ci obbliga a pensare che ogni soluzione sarà per tutti o per nessuno. E noi europei non potremo mai chiamarci fuori da questa vicenda: essa è anche nostra. Quella terra è la terra dei sopravvissuti e dei figli e dei nipoti dei sopravvissuti allo sterminio nazista del popolo ebraico nella "civile" Europa degli anni Quaranta del secolo scorso. Non possiamo dimenticarlo. Non dobbiamo raffreddare, con lo scorrere del tempo, le nostre emozioni. Lo Yad Vashem, il Museo della Shohà, è un ammonimento per sempre. Alle ragazze e ai ragazzi del viaggio studio 2008 del "Tempo della Storia", visibilmente scossi dopo aver visto soprattutto la Sala dei Nomi degli scomparsi e la Sala Memorial dei bambini uccisi nella più grande razzia che sia mai accaduta, dico solo questo: ricordate e raccontate. Avital, una delle nostre guide, aggiunge: «Volevano ucciderci tutti: noi siamo ancora vivi». C'è speranza dunque: una umana e ragionevole speranza nel futuro dell'umanità c'è. di Antonio Sacchi

I commenti dei Ragazzi
MELISSA FERRARI L'emozione di questo viaggio è impossibile da descrivere. Bisognerebbe andare in Israele per capire. Non dimenticherò mai Gerusalemme e neanche la piccola escursione a Betlemme, per non parlare del Kibbutz e delle emozioni provate allo Yad Vashem, dove le parole si trasformano in silenzi carichi di significato.
ANDREA ENRICI Cosa ricordare di questo viaggio? Il Kibbutz o il Mar Morto, il sito di Beith Shean o il Muro Occidentale, la Spianata delle Moschee o lo Yad Vashem? Ogni luogo, ogni momento del viaggio ci ha trasmesso un'emozione forte, unica che abbiamo condivisa con persone belle e speciali come la terra d'Israele.
MARTA FOSSATI E' stato ma un vero e propio viaggio studio che mi ha portato a conoscere la realtà di Israele in tutti i suoi aspetti: storico, sociale, politico. Ho potuto comprendere che Israele non è solo guerra, terrorismo e pericolo ma un luogo così ricco culturalmente, che cambia per sempre il tuo modo di vedere le cose.
ALESSANDRA MERLINI Insieme a nuovi amici ho condiviso un'esperienza di arricchimento culturale e spirituale. Abbiamo compiuto un percorso nello spazio e nel tempo e sono stata sorpresa dal rapido succedersi di paesaggi e intrecci differenti in luoghi così vicini. Vorrei non dimenticare nulla e mantenere l'amicizia con tutti i compagni.
MATTIA CARBONE Un viaggio straordinario come la sua meta. Israele è Europa, è Oriente, è cristiano, è ebraico e musulmano, è integralista e laico, ha sessant'anni di vita e una storia di millenni. Non c'è nulla di ordinario in un posto del genere.
MIRELA CALIMACHE Per descrivere ciò che ho provato in questo viaggio non mi basterebbe un libro intero. E' infatti stata un'esperienza che mi ha fatto crescere da tutti i punti di vista. Un viaggio coinvolgente, interessante, emozionante... semplicemente indimenticabile.
LUIGI DAPRA' Quando sono partito sapevo che stavo per vivere un'esperienza unica. Non ha paragoni la ricchezza che ci è stata donata in una settimana durante la quale abbiamo potuto conoscere culture, storia e persone in un viaggio che rimarrà indimenticabile.
SARA DATTURI Tante emozioni mi invadono il cuore. Il confronto con la realtà è complesso e spesso troppo strumentalizzato per una intera popolazione sia essa Ebraica, araba ortodossa cristiana o musulmana che ha tanta voglia di vivere.
FRANCESCA DATTURI Spazi infiniti e limitati, dal profumo di un passato che riflesso nel presente ritorna a cantare la gloria e la forza di un popolo che ha costruito uno stato a quella che era ed è una nazione. E sia davvero la pace in questo paese di "profughi e santi".
MARIA MIRANDO Visitare Gerusalemme mi ha permesso di conoscere la sua bellezza e la sua eterogeneità: la città, "anima della terra d'Israele" in ogni suo più minuto aspetto dimostra di essere come un mosaico, costituita com'è da lingue, costumi e culture differenti.
MARTA BACCHI La via che abbiamo percorso ci ha trasportati lontano e vicino nello spazio e nel tempo; portandoci a una più acuita percezione delle cose e a una consapevolezza nuova e fortificata. Abbiamo imparato molto, osservando luoghi e panorami mozzafiato ma l'insegnamento più grande è stato quello derivato dalla nostra convivenza e dal confronto con la storia. Questo viaggio incredibile e meraviglioso resterà nei cuori di tutti noi.
FRANCESCA GARDINO Non potrò mai dimenticare le emozioni che mi ha dato queso piccolo, immenso Paese, col suo intreccio di culture e religioni: la pace del deserto, la calma del denso Mar Morto, la frenesia dei mercati arabi, l'allegria della vita nel Kibbutz, la modernità di Tel Aviv, l'antichità e la spiritualità di Gerusalemme. L'intensità del Muro del Pianto, e quel senso di immobilità e devastazione dopo la visita al Museo dell'Olocausto.
RICCARDO MONTAGNA In giro per Israele ci siamo divertiti a passeggiare per città che sembravano incantate; ci siamo anche istruiti sulla storia incredibile di quel paese straordinario e di tutta l'umanità. A contatto diretto con certi luoghi, sacri sia per le religioni sia per la storia, credo di non sbagliarmi affermando che molti di noi hanno penetrato la propria spiritualità arricchendo il sapere enormemente e segnando un'esperienza
ILARIA PADOVAN Il viaggio in Israele è stata davvero un'esperienza fantastica, molto ricca umanamente e culturalmente, capace di far comprendere realtà diverse, ma troppo spesso distorte dai nostri mass media. Un'opportunità regalataci per insegnarci la storia vivendola e non solo studiando date e accadimenti sui libri di storia. Un'occasione unica capace di dare emozioni fortissime. Grazie a chi lo ha reso possibile.
ALESSANDRA CALVI Che dire... una settimana in compagnia di persone fantastiche visitando posti stupendi... c'è qualcosa di meglio? E' stato possibile unire la cultura al divertimento, e penso che questo sia fondamentale per noi giovani. Le emozioni sono state tante: vedere il muro del pianto, visitare il museo dell'olocausto, il sacro sepolcro, gerusalemme, farsi un'idea su come sia la vita in un luogo tanto diverso e lontano dal nostro... insomma, non sono cose da tutti i giorni!! Credo che non mi dimenticherò mai di questa esperienza israeliana!!
DAVIDE MARIA DACCO' Nel viaggio la percezione del tempo si è alterata, dilatandosi e spandendosi. E' stata una settimana che è durata un mese, almeno per me, la settimana più intensa della mia vita e sicuramente quella intellettualmente più formativa: questa sola settimana insieme a Israele mi ha fatto imparare e mi ha fatto crescere più di un intero anno di scuola.
ALESSIA NEGRI Israele è una realtà policromatica, pur avendo una superficie simile a quella della Lombardia, racchiude in se tanta ricchezza, sia a livello culturale e religioso, ma anche per quanto riguarda il paesaggio, il clima, le persone, che mi spinge a gridare a tutti: andate a vedere questo paese, perchè merita davvero e purtroppo noi lo sottovalutiamo, ingiustamente!
BEATRICE FARINA Differenti lingue, culture, religioni, entità etniche ogni giorno convivono in questa terra rendendo Israele un paese unico. Ripartirei subito per rivivere questo viaggio fantastico e indimenticabile, per le emozioni indescrivibili che possono essere provate solo vivendo pienamente Israele.
(09 aprile 2008) http://laprovinciapavese.repubblica.it/

Galilea - kibbutz Gazit

Renault: l'auto elettrica debutterà l'anno prossimo in Israele

Come tutti sanno, Israele si trova in uno stato di attrito latente con il mondo arabo, che al di là di momenti di distensione e di rapporti diplomatici tutto sommato buoni con alcuni tra gli stati musulmani più moderati, rischia sempre di aggravarsi da un momento all’altro.
Solo con questa chiave di lettura si riescono a capire le politiche di distacco dalla dipendenza dal petrolio che la piccola nazione porta avanti con molta tenacia e che contemplano una forte spinta verso l’ibrido e l’elettrico. Di questa dinamica ne sanno qualcosa i francesi di Renault, che da tempo coltivano il progetto della commercializzazione dell’auto elettrica in Israele, insieme all’iniziativa Project Better Place di Shai Agassi.
Nel corso del prossimo anno debutterà sulle strade israeliane una piccola flotta sperimentale di Renault Megane quattro porte, equipaggiate con batterie sviluppate insieme a Nissan e NEC, e capaci di un’autonomia di 125 miglia. Contemporaneamente inzierà lo sviluppo di una vastissima rete di “rifornimento” comprendente la bellezza di 500.000 punti di ricarica in tutto lo stato, che servirà quando nel 2010 inizierà la commercializzazione su vasta scala del modello.
http://www.autoblog.it/ 17 maggio 2008 da Fabio Sciarra

Rehovot - casa Weizmann

Israele e i suoi piedi sinistri

Vorrei fare i miei auguri di compleanno a quel paese di carattere che è Israele. Lo faccio pubblicamente, provo per questo paese una gratitudine infinita. Sono stata in Israele anni fa, per lavoro. L’innamoramento è scattato subito, istintivo, così a fine viaggio ho deciso di spostare il rientro di dieci giorni. Sono rimasta a girare quelle terre: in autobus, nei taxi collettivi, a piedi. Gerusalemme ha una luce magica. La sera andavo al pub. Mi stupiva trovarli pieni, qualche mese prima un terribile attentato si era visto proprio in un locale frequentato da universitari. Dopo due giorni era diventato normale anche per me aprire la borsa prima di entrare, farla controllare a un ragazzo - mio coetaneo, ma imbracciava un’arma. In giro, giovanissime facce (anche felici) sopra tute mimetiche e armi a tracolla. Lì le armi non impressionano nessuno. I giovani crescono in fretta, si sposano presto, fanno tre anni di militare, hanno figli. Hanno il senso del tempo che noi abbiamo perso. Salire sugli autobus era un'angoscia. Appena su, studi le facce dei compagni di viaggio, e se hanno zaini, borse, vestiti troppo ampi, pensi se mai scenderai vivo. Un terrorista non porta la divisa. Eppure gli israeliani continuano a riempire ristoranti e fermate di autobus. Sono stata in un mercato affollatissimo a fare la spesa, poi in un bazar tipico, vendevano anticaglie e ho comprato tre piastrelle vecchie a forma di stella con il disegno di pesciolini. Un pomeriggio c’è un attentato, in un centro commerciale non lontano da Tel Aviv, dove mi trovo. Propongo un articolo al giornale per cui ero partita e salto su un taxi. Le transenne iniziano molto prima di arrivare all’angolo dove un ragazzo si è fatto esplodere. Con l’attentatore è morto anche il giovane che faceva la guardia, ha bloccato il kamikaze bloccandolo all’ingresso ed evitando una strage. L’angolo di quel centro commerciale è sventrato. Fili, calcinacci, vetri. C’è odore di bruciato, sembra pollo bruciato. Ci sono piccoli sacchi neri ordinati, per terra, ognuno con una scritta diversa. Non so leggere l’ebraico. Chiedo a un ragazzo cosa ci sia scritto su uno, mi dice: “Piede sinistro”. Israele è lì che combatte, unica democrazia in Medio Oriente. E’ lì che combatte anche per noi, con tutti i suoi piedi sinistri.
Il Foglio.it 17 maggio 2008 di Diana Zuncheddu