mercoledì 21 maggio 2008

Mar Morto

I 60 ANNI D’ISRAELE

A 60 anni dalla nascita dello Stato di Israele, il 15 maggio 1948, esso non è ancora accettato da una parte della politica e della cultura italiana, come hanno platealmente dimostrato le tensioni sorte attorno alla Fiera del libro di Torino. Non si tratta di antisemitismo ma di antisionismo. Ma il dato non è allarmante perché lo stato di Israele è il prodotto dello sterminio degli ebrei, un fenomeno che appartiene alla nostra storia; non riconoscerlo quindi vuol dire cancellare il nostro passato. Senza voler indulgere alla storia fatta partendo con un se, mi sembra difficile negare che senza la Shoah assai più contrastata sarebbe stata la strada del sionismo in Palestina. Gli unici che hanno avuto chiaro fin dall'inizio il nesso inestricabile fra lo sterminio degli ebrei e la creazione di quello che già prima si era chiamato il focolare ebraico in Palestina furono gli americani, e in particolare il presidente Truman. Per costoro l'unico risarcimento credibile era appunto la creazione dello stato di Israele e, pur di propiziarne la nascita, non temettero di scontrarsi duramente con il loro più fedele alleato da sempre, gli inglesi cioè. A dire il vero, il primo a riconoscere Israele fu l'Unione Sovietica: ma lo fece per ragioni ideologiche, perché sembrava che certe esperienze di collettivismo da parte dei coloni ebrei lo avrebbe spostato da quella parte. A Mosca dovettero rapidamente ricredersi, perché è con gli Stati Uniti che Israele costruì un rapporto solido anche se non affatto idilliaco, come ancora si favoleggia. Più di uno fra i presidenti americani ha cercato di contenere l'attività delle lobby ebraiche, soprattutto quando queste hanno tentato di condizionare i comportamenti dell'amministrazione. Solo verso la metà degli anni sessanta a Washington si è definito Israele come un vantaggio strategico americano nel teatro del Medio Oriente. Dichiarazione assai impegnativa, questa, che fa di Israele un alleato, anche se non attraverso legami formali, con un peso del tutto a quello dei paesi dell'Europa occidentale; fra l'altro grazie a un impegno del genere Israele è stata aiutata a sviluppare tecnologia nucleare anche in campo militare ed è stato in seguito tollerato da parte americana la sua non adesione al trattato di non proliferazione nucleare, che pure ebbe negli Stati Uniti uno dei maggiori promotori.
Quanto agli europei la nascita di Israele come atto di risarcimento pressoché nessuno ha voluto intenderlo; tranne forse la Germania che negli anni sessanta il diritto al risarcimento lo riconobbe, ma lo concretò in termini piuttosto prosaici: in carri armati (attraverso una triangolazione con gli americani). Eppure oggi questo ritardo potrebbe essere definitivamente colmato da parte italiana e in generale europea col riconoscimento che nel Medio Oriente il primo nostro impegno dovrebbe essere volto a garantire la sicurezza di Israele, il diritto dei suoi cittadini a vivere entro confini sicuri: il che vuol dire confini che non si possano violare ogni volta che arrivano alla parte opposta congrui rifornimenti di missili. Per l'Italia in particolare un compito ancora spetterebbe: ridefinire il ruolo della missione militare in Libano, una missione alla quale non sono state dati neanche occhi per vedere, e che in tali condizioni nessuno capisce a cosa serva.
di Giampaolo Valdevit http://ilpiccolo.repubblica.it/ 20 maggio 2008

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Bell'articolo. In poche parole, Valdevit è riuscito a condensare la storia d'Israele e la difficoltà ci certa politica italiana a riconoscere l'esistenza dello Stato Ebraico. Una sola cosa, da vecchio arnese della sinistra quale sono, mi piace correggere. Non è vero che la Russia sovietica riconobbe Israele perchè credeva fosse uno stato socialista. Israele era uno stato socialista. Tore Pirino

Chicca Scarabello ha detto...

Grazie Tore della tua giusta precisazione.