
Le bocce sono finalmente ferme
dopo che sono stati tabulati i voti dei soldati, dei marinai e dei diplomatici
in missione all'estero. Dai risultati finali del voto di martedí in Israele è
chiaro che i grandi sconfitti non sono (come vorrebbe qualcuno) i sondaggisti,
che avevano previsto 32 seggi a Likud-Beitenu, bensí Benyamin Netanyahu –
l'apparente vincitore e candidato naturale a premier – e la sua equipe che di
seggi ne hanno raggranellati 31. La caduta di Bibi da 42 a 31 seggi ha stupito
quasi più della folgorante ascesa di Yair Lapid da 0 a 19. Per meglio capire la
radiografia della politica israeliana, al di là dei dettagli delle liste e dei
personaggi, conviene esaminare i flussi elettorali rispetto alle elezioni del
2009. Se dividiamo il campo esageratemente frazionato dei partiti in quattro
aree politiche principali, vediamo che i partiti religiosi-Haredim (Shas e
Yahadut Hatorah) passano da 16 a 18 seggi – un guadagno di 2; i partiti Arabi
(Hadash, Ram-Tal, Balad) restano fermi a 11; i partiti della destra, i
"repubblicani" (Likud-Beytenu e Habayit Hayehudi), passano da 49 a 43
(-6); e i partiti del centro e della sinistra, i "democratici"
(Laburisti, Yesh Atid di Lapid, Hatnuah di Livni, Meretz, e Kadima), passano da
44 a 48 (+4). Dunque, un leggero spostamento del baricentro verso sinistra. La sfiducia
nei confronti di Bibi è accentuata dal fatto che la sua formazione (insieme a
Lieberman) perde 11 seggi, ma 5 di questi vengono risucchiati dal vicino e
rivale Naftali Bennett. Degno di nota il sorpasso dei "democratici"
nel confronto con i "repubblicani" che ricalca il modello
dell'alternanza in atto senza eccezioni fin dagli anni '80, mentre Haredim e
Arabi vanno avanti in forza del loro lento incremento demografico. Il risultato
fondamentale è che la somma "repubblicani"+Haredim, ossia il governo
uscente, passa da 65 a 61 seggi, mentre l'opposizione
"democratici"+Arabi passa da 55 a 59. A prima vista, dunque, la
coalizione di Bibi conserva un minimo vantaggio. Ma non è certo la compagine
che ha dovuto anticipare le elezioni perché incapace di approvare la legge di
bilancio (che va comunque passata entro giugno) quella che potrà attuare gli
inevitabili tagli alla spesa dello Stato. Da questa situazione di impasse si
esce in primo luogo cambiando radicalmente la retorica del discorso pubblico, e
Netanyahu sembra averlo percepito nelle sue prime dichiarazioni. Contrariamente
all'opinione di molti osservatori nel mondo, amici e nemici, la maggioranza
dell'elettorato non pensa al futuro di Israele in termini di shoah nucleare o
della prossima collina in Giudea e Samaria su cui piazzare nottetempo una
roulotte, bensí nei termini di una società moderna, competitiva, culturalmente
tollerante, in cui l'alloggio deve essere accessibile a tutti, i servizi devono
funzionare, e la distribuzione delle risorse deve essere più egualitaria. È
questa la grande sfida per Bibi da cui uscirà o un grande uomo politico o una
breve nota a piè pagina nei futuri libri di storia. La coalizione governativa
si forma mettendo insieme 61 seggi, concordando fra questi un programma di
legislatura, e poi semmai invitando altri partiti a condividere qualche spoglia
nella spartizione del potere. Il governo uscente avrebbe i 61, ma non funziona
più, e quindi bisogna cambiare. Likud-Beytenu (31, di cui 20 Likud e 11
Lieberman), Yesh Atid (19) e Habayit Hayehudi (12) hanno insieme 62 seggi. La
chimica fra questi partiti non è semplice, ma non è impossibile. Lapid e
Bennett sono due tipi simili, nati in Israele figli di immigrati, fra i 40 e i
50, nuovi alla politica, professionisti affermati e indipendenti sul piano
economico, residenti nei sobborghi bene della grande Tel Aviv, interessati a
migliorare la posizione delle classi medie super-tartassate fiscalmente. Bibi è
fatto degli stessi materiali, anche se leggermente più anziano, molto più
esperto, e condizionato dalle sue intense convinzioni ideologiche (e da quelle
del padre Ben Zion) e dalle vecchie alleanze politiche. Lapid e Bennett
condividono con Lieberman l'impegno a una suddivisione paritaria dei diritti e
dei doveri dei Haredim: servizio militare, istruzione che includa un minimo di
storia ebraica, di matematica, e di inglese, e partecipazione al lavoro. Lapid
è intensamente secolare (come suo padre Tommy), Bennett è religioso, ma sotto
la kippah si nascondono narrative ben diverse: negli ultimi giorni il rabbino
Ovadia Yosef, capo spirituale di Shas, ha lanciato un attacco violento contro
Bennett, definendolo "partito di goyim". D'altra parte Bibi e Bennett
condividono una linea di non patteggiamento con i palestinesi e di attivismo
nella costruzione degli insediamenti, linea che Lapid stigmatizza anche se
forse non con la stessa fermezza di Tzipi Livni o di Shelly Yachimovich prima
maniera. L'accordo tripartito è comunque possibile se Bibi avrà il coraggio e
la capacità di farlo. Dopo affluiranno, ammansiti politicamente e in cerca di
qulche spezzone di potere, gli altri: per primo Kadima, che stabilisce quasi un
record da Guinness (da 28 a 2 seggi, anche se la somma di Yesh Atid, Hatenuah e
Kadima fa 27: dunque un cambio di leaders più che di elettorato). Poi Shas che
non essendo più l'ago della bilancia non può più imporre le sue condizioni e
dovrà accettare qualche compromesso sul tema servizio militare-studi-lavoro.
Poi forse ancora qualcun altro, estendendo magari fino a oltre 80 la piattaforma
iniziale degli essenziali 61 seggi di maggioranza. Esistono ovviamente molti
altri copioni, in parte sprovvisti dei numeri, in parte impossibili per
l'incompatibilità degli attori. Lapid non andrà da solo con Shas a fare la
foglia di fico alla solita coalizione di Bibi. Yachimovich non andrà da sola
con Habayit Hayehudi. Né Lapid può andare con Hanin Zuabi, la passionaria della
destra nazionalista palestinese. Infine, per concludere con un sorriso,
estraiamo un coniglio dal cappello. Lieberman aveva dichiarato che dopo le
elezioni la sua fazione parlamentare sarebbe rimasta separata da quella del
Likud. Ed ecco un rapido macchiavellico conteggio: Liberman 11, Lapid 19,
Laburisti 15, Bennett 12, Livni 6 = 63. Con Bibi leader dell'opposizione.
Fantastico? Staremo a vedere. Specialmente quando l'alternativa potrebbe essere
nuove elezioni anticipate. Sergio Della Pergola,Università Ebraica di Gerusalemme.www.moked.it