ELEZIONI IN ISRAELE. MENO STELLETTE, PIU' CIVILI 24/1/13 |
venerdì 25 gennaio 2013
Com'è consuetudine, le elezioni israeliane sono riuscite a sorprendere
non solo gli analisti, ma anche i sondaggisti. C’è, però, un segnale
nuovo, da comprendere fino in fondo. È che in queste elezioni ci sono
state meno stellette. Meno generali, insomma. Emblematico il caso di
Shaul Mofaz, in bilico dopo il tracollo del suo partito Kadima, da cui
la Tzipi Livni si era staccata giusto in tempo per non essere travolta.
Il partito che fu fondato dal generale Ariel Sharon potrebbe avere due
seggi, e dunque Mofaz potrebbe arrivare alla Knesset, ma il quadro non
cambia. Il destino di Shaul Mofaz è un destino che, di questi tempi,
accomuna altre stellette: lui ex capo di stato maggiore ed ex ministro
della difesa, era fino a ieri sera uno dei grandi sconfitti, così come
Ehud Barak, che però aveva deciso di non partecipare alle elezioni,
proprio per evitare una brutta figura.Cosa significa? Che si è concluso il pluridecennale capitolo dei
generali-premier, o dei generali-ministri o dei generali politici? Che
Israele veste in giacca? Il ritratto non è così semplice, visto che il
cursus honorum in divisa fa parte anche di alcuni dei protagonisti di
queste ennesime elezioni anticipate israeliane. Un esempio su tutti:
Naftali Bennett, l’astro nascente della destra radicale descritto come
un tycoon dell’informatica, ha il grado di maggiore e ha fatto parte
delle truppe speciali israeliane. Detto tutto questo, è un dato di fatto
che i militari hanno meno appeal nei confronti dell’elettore e
dell’elettrice di quanto abbiano avuto, per esempio, i rabbin. Come il
numero due di Yesh Atid, il partito del giornalista-conduttore
televisivo Yair Lapid. Il rabbino Shai Piron, poco più che cinquantenne,
è l’esempio di un nuovo tipo di politico che per la prima volta entra
alla Knesset. Lo definiremmo un esponente della società civile, che
porta in parlamento la frattura tra laici e religiosi sempre più
evidente in Israele, una frattura che Piron vorrebbe anzi colmare,
distanziando se stesso dalla schiera di rabbini ed esponenti religiosi
che vengono soprattutto da Gerusalemme. Meno generali e più rabbini? Questa, è evidente, è una semplificazione
giornalistica, provocatoria quanto basta per sottolineare i segnali
importanti dei cambiamenti in corso in Israele, dove essere generali non
vuol dire per forza essere di destra, ed essere della società civile o
dell’imprenditoria (come Bennett, appunto) non vuol dire per forza avere
una concezione meno conservatrice e/o radicale del futuro del Paese. Il
“meno generali e più rabbini” dice, anzitutto, che il ritratto della
società israeliana è profondamente cambiato rispetto all’immagine che se
ne ha in Europa, e a dimostrarlo c’è una pattuglia di oltre cinquanta
nuovi deputati che entreranno nella Knesset. Basta scorrere le loro biografie pubblicate sul sito di Yediot Ahronot
per farsi un’idea della fase di transizione che attraversa la società
israeliana. Non ci sono solo giornalisti, in Israele come in Italia i
professionisti più ricercati per riempire le liste dei candidati. Ci
sono imprenditori, amministratori locali, persone che lavorano nel
settore sociale, esponenti del movimento delle tende, e via elencando.La loro presenza cambierà la politica israeliana? Troppo presto per
dirlo. È probabile anche che questa Knesset appena eletta sia un agone
per misurare il cambiamento, ma non ancora per definirlo. Perché, al
fondo, la politica del Palazzo sarà troppo impegnata col manuale
Cencelli, necessario per mettere in piedi un governo e cercare di farlo
reggere il più possibile. Un governo di unità nazionale, forse, che
salvi Netanyahu, e anche Lapid, dalla spada di Damocle di una Knesset
spaccata, non tanto a metà tra Destra e Sinistra, ma spaccata dai
diversi modi di intendere il futuro sviluppo di Israele.Chi, insomma, si prenderà il carico di una legge finanziaria difficile?
Chi deciderà di cambiare il sistema assistenziale israeliano, e secondo
quali linee? Chi si scontrerà con lo Shas e con i partitini religiosi
per togliere benefit alle famiglie ultraortodosse? E in quale modo i
coloni influenzeranno il governo? In maniera trasversale, oppure si
concentreranno su un ariete della potenza della nuova star Naftali
Bennett, che però non ha il sostegno di tutta la lobby dei coloni?L’unica cosa certa è che in queste elezioni c’è un solo, grande
sconfitto. Si chiama Benyamin Netanyahu, il premier che queste elezioni
le ha fortemente volute per rafforzarsi. Il premier che ha rischiato di
mettere in pericolo l’alleanza con gli Stati Uniti, intervenendo a gamba
tesa nelle elezioni presidenziali che hanno segnato il nuovo mandato di
Obama, puntando sull’altro candidato. Il premier che ancora una volta,
come è praticamente sempre successo nella sua esperienza politica, ha
giocato alto, e ha perso. Netanyahu ha tempo un mese e mezzo per fare un
nuovo governo, se il presidente Peres gli darà l’incarico di guidare il
nuovo esecutivo. O conquista l'appoggio del centrista Yair Lapìd,
oppure Israele avrà forse un altro premier. E questa confusione, questa
frammentazione, questa instabilità non fa bene, in questo momento. Né a
Israele, né ai palestinesi, né ai siriani.Paola Caridi 24 Gennaio 2013 .http://www.lettera22.it
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