sabato 22 novembre 2008



Polpette di pesce stufato

INGREDIENTI: Pesce azzurro intero (3 libbre), 2 uova, 2 cipolle tritate, 3 carote, affettate
per il lungo, 2 cucchiai farina di matzo, limone, prezzemolo, ½ cucchiaino di zucchero, ½ tazza d'acqua ghiacciata, 1 quarto e ½ d'acqua, pepe, sale
PREPARAZIONE: Mettere le spine e la testa del pesce in una casseruola con 3 pinte d'acqua, sale e pepe a piacere, far bollire su fuoco medio. Preparare il pesce rimanente, macinarlo e aggiungervi la cipolla tritata. Aggiungere l'uovo con attenzione, zucchero, farina di matzo,acqua ghiacciata, sale e pepe. Tritare molto finemente il preparato. Formare delle polpette.Ridurre il fuoco sotto la casseruola contenente le spine e la testa del pesce, gradualmente mettervi dentro le polpettedi pesce, aggiungere le carote, e cuocere per 2 ore. Condire a piacere e cuocere per un'altra ½ ora. Buttare via la testa le spine e l'acqua. Raffreddare il pesce, le polpette e disporre su di un piatto da portata. Guarnire con limone e prezzemolo. da Sullam n.19


Presentato a Milano il film israeliano "Qualcuno con cui correre"

A colloquio con Odeod Davidoff, Bar Belfer e Yuval Mendelson
Il regista Odeod Davidoff, con due dei tre attori principali, Bar Belfer e Yuval Mendelson, e con la partecipazione di Luca Barbareschi che ha co-prodotto questo film con la Casanova Entertaiment, ha presentato "Qualcuno con correre" a Roma e a Milano. Durante la conferenza stampa, alle domande hanno risposto alternandosi sia il regista che gli attori. Il film verrà distribuito dal 21 novembre in 70 copie. Per Barbareschi è una sfida vinta: "Il progetto è partito tre anni fa e non è stato per nulla facile trovare un appoggio, convincere Medusa a distribuire il film. E’ la prima volta che un film israeliano ha visibilità in Italia. Trarre un film fa un libro così importante è una piccola vittoria".
Qual è stato il processo di trasposizione dal libro al film? E quali rapporti avete avuto, durante la lavorazione della sceneggiatura, con l’autore David Grossman?
Davidoff: ho letto il libro in due ore, nonostante non sia una storia facile, e ho subito provato il desiderio di trasporlo sul grande schermo. Ho subito avvertito che questa storia si sarebbe prestata a un adattamento cinematografico per le sue trame che si intrecciano. È un racconto duro, a volte violento, che coinvolge i giovani; dove la musica ha un aspetto preponderante; e soprattutto è una storia che si svolge a Gerusalemme, città natale di Grossman, ma anche mia. La sceneggiatura è stata scritta da Stollman non da me, ma con David abbiamo subito instaurato un rapporto amichevole, ci siamo visti spesso e abbiamo posto le basi per una profonda amicizia. David è una persona estremamente aperta e amichevole. David ha letto la stesura della prima sceneggiatura e gli è piaciuta, ci ha lasciato procedere. Poi gli abbiamo sottoposto la seconda stesura, ma lui già si fidava completamente di noi. È un uomo molto impegnato come scrittore, ci ha lasciati lavorare perché si riconosceva in quello che stavamo facendo. Non aveva mai visto il cast del film; i primi giorni sul set era felice, entusiasta di vedere i suoi personaggi incarnati.
Bar Belfer: io ero tesa, molto nervosa, emozionata, quando lo vidi la prima volta sul set… nervosa per il giudizio che lui mi avrebbe dato come interprete di Tamar. Poi ho visto che gli si sono illuminati gli occhi, mi ha detto “ciao Tamar” e ho capito che gli piacevo. Lui emanava felicità e commozione a vedere la sua Tamar che prendeva vita. Veniva spesso sul set, sempre sorpreso dal nostro lavoro, una reazione che non tutti gli scrittori hanno.
Le canzoni che Tamar interpreta durante il film sono originali?
Bar Belfer: sono canzoni originali israeliane, io suono e canto le cover di queste canzoni.
Davidoff: sono canzoni degli anni ’60, ’70 e ’90. E’ stata una scelta musicale mirata. Non è stato facile sapere trovare due attori non conosciuti che sapessero cantare e interpretare queste canzoni. È stata una scelta determinata a cui però abbiamo sottoposto il consenso di Bar, perché fosse sicura di poter dare il meglio di sé. Ogni canzone rappresenta una sequenza del film.
È un film che non parla di politica, è una scelta precisa?
Davidoff: una delle ragioni per cui ho voluto fare questo film è per l’assenza di politica; perché io, come molta gente, giovani soprattutto, siamo stufi di parlare di politica. Ho descritto com’è Gerusalemme, è così. Quando una persona vede una borsa abbandonata non ha nessuna reazione isterica, ma è naturale che chiami la polizia, è un fatto normale.
Che reazioni ha avuto il pubblico israeliano a vedere questo film?
Davidoff: la gente in sala ha amato questo film, il pubblico ha applaudito soprattutto Bar. È stato distribuito in tutto il paese, ancora adesso viene visto da scolaresche ed è adottato come strumento didattico nelle scuole. Il pubblico israeliano esce dal cinema con l’idea che “non c’è niente che non sia possibile se uno vuole”.
Mendelson: Il messaggio profondo di questo film è la speranza. Io da musicista ho reso più realistico il personaggio di Shay. Tanto che la gente per strada confonde la mia vita con la sua.
Bar Belfer: il pubblico si è immedesimato molto, ha avuto a cuore il destino dei protagonisti di questo film.
Qual è il futuro del cinema israeliano dal punto di vista industriale e creativo?
Davidoff: il cinema israeliano è cambiato negli ultimi anni. Ci sono scuole di cinema, che prima non c’erano, l’industria cinematografica ha più finanziamenti. Anche la televisione, che prima aveva solo un canale statale, ora offre più scelta. Questo nuovo stato del cinema israeliano si riscontra in tutto il mondo, da Cannes agli Stati Uniti. Sta diventando più professionale. Non dimentichiamoci che lo Stato di Israele esiste da soli 60 anni, non ha un grande passato cinematografico, ma ha tante cose da voler dire. Noi viviamo alla giornata, non pensiamo troppo al futuro, vogliamo comunicare il nostro punto di vista. Siamo alla ricerca, stiamo riflettendo e sperimentando. venerdì 21 novembre 2008 http://www.nonsolocinema.com/


ELIE WIESEL: LA DANZA DELLA MEMORIA

Garzanti Libri S.p.A., 2008, pp. 267 €. 18,60

“Lei è con me da parecchio tempo, vero?” “Sì, in analisi, come si dice.” “Si sente solo quando è con me?” “Le parlo, l’ascolto. Questo dovrebbe rendermi meno solo?” “Meno folle?” “O piuttosto il contrario?” E’ un aspro scontro con la realtà della follia e della solitudine l’ultimo romanzo di Elie Wiesel, apparso due anni orsono in Francia con le Éditions du Seuil ed ora uscito, nel nostro Paese, con Garzanti.Il protagonista si chiama Doriel Waldman, un sessantenne ebreo polacco che vive a New York. Solitario, prigioniero dei fantasmi del passato, ossessionato dalla follia verso la quale nutre un sentimento di repulsione / attrazione, ad un certo punto egli decide di affidare la propria vita tormentata ad una “guaritrice d’anime”, la psicanalista Thérèse Goldschmidt, segnalatagli da un altro medico, suo conoscente. Sarà lei, afferma Doriel con diffidente ironia, che, “ben pagata”, lo guiderà nei più intimi recessi del suo io per aiutarlo a vivere con se stesso e liberarlo dal suo “dibbuq”, lo spirito maligno che si è impossessato del suo essere, della sua identità e gli avvelena l’esistenza, spingendolo alla follia.
Fin dall’inizio il rapporto medico/paziente non è affatto facile, come talora succede. L’uomo non intende sottomettersi alle rigide regole che inquadrano tale rapporto e cerca in mille modi di provocare la sua interlocutrice. Thérèse -anch’ella ebrea e figlia di deportati, sposata (senza figli, con suo grande dolore) con Martin, direttore di una biblioteca- non cade nei tranelli verbali che Doriel le tende con diabolica abilità dialettica, intervallati da ben studiati silenzi; ma, ad un certo punto, contravvenendo all’aurea regola secondo la quale il terapeuta nulla deve dire di sé, accetta, a sua volta, di frasi conoscere e di mettersi in discussione.
Le sedute si trasformano spesso in duri scontri, quasi dei “corpo a corpo” verbali perché l’uomo tende a nascondersi -“…appena mi dà una chiave,” scrive la dottoressa nei suoi appunti “cambia la serratura”- e a sfuggire lo snodo principale della sua vita, che è il rapporto coi genitori, morti, dopo la guerra, in un incidente stradale in Francia, quando egli è ancora un ragazzo.
Doriel entra a fatica nel proprio passato e ripercorre una vita tormentata, a cominciare dagli anni dell’infanzia trascorsi in un piccolo villaggio della Polonia, nascosto, per sfuggire ai nazisti, nel granaio di un contadino, insieme al padre, con il quale ha una forte solidarietà, cementata dalla vita dura di clandestini ricercati.
La madre, Lea, è una donna bionda, molto bella e coraggiosa, che trascura la famiglia per intraprendere la lotta partigiana. L’amore del piccolo Doriel verso di lei è striato di dolore e costituisce il nucleo di quell’ “ascesso” psichico che egli, adulto, non intende far scoppiare, nonostante l’impegno della D.ssa Goldschmidt. Anzi, quando la terapeuta insiste su questo tasto, egli ha una violenta reazione, accusandola di essere una “freudiana”, cioè di interpretare la realtà alla luce di veri o presunti problemi sessuali irrisolti, originati nell’infanzia.
Le parla anche dei fratelli: il piccolo Jacob (Jankele), ucciso a Treblinka; e Dina, la sorella, a sua volta entrata nella Resistenza; poi uccisa da un fanatico antisemita una settimana prima della liberazione.Tutta l’esistenza di Doriel è marchiata dalla tragedia della Shoah, che egli non ha vissuto, diciamo, in prima persona (contrariamente all’A.), ma che ha fatto di lui un uomo sradicato, la cui lucida follia -gabbia e rifugio ad un tempo- nasce come estrema reazione al male del mondo e all’impotenza di D-o di fronte all’orrore. Se il Creatore ha permesso lo sterminio di un milione e mezzo di piccoli innocenti, ciò significa che Egli preferisce un mondo senza di loro; e dunque meglio non sposarsi, non generare. Solitudine come protesta e sfida alla crudeltà degli uomini, ma soprattutto al colpevole silenzio di D-o.Elie Wiesel si esprime in un linguaggio a volte arduo, intervallando i dialoghi tra Thérèse -talvolta ci lascia intuire le domande e le risposte di lei dal parlare di lui, secondo un modulo espressivo sempre efficace- e il protagonista sia con le riflessioni di quest’ultimo, che spesso assumono la veste di lettera aperta ai genitori, sia con gli appunti scritti dalla stessa dottoressa, che vede le proprie sicurezze professionali ed esistenziali messe in crisi dalla pervicace ostinazione del paziente di aggrapparsi alla malattia. Come uscire dal tunnel? “Le affido degli appunti che la riguardano…non le ho dato il sostegno e l’aiuto ai quali aveva diritto. Adesso però tocca a lei giocare. E con un po’ di fortuna, si guarirà da solo”. Ad un certo punto il medico, nella certezza che è giunto il momento, lascia il campo al paziente. E Doriel, dopo una vita di peregrinazioni, di impegni in istituzioni umanitarie, in viaggi di studio nel mondo, costellati da incontri i più vari e da delusioni sentimentali nella vana ricerca di una donna dal “sorriso di bambina spaventata”, una mattina si trova a camminare lungo la Madison Avenue innevata.Si ferma davanti alla vetrina della sua pasticceria preferita e…..
Mara Marantonio Bernardini, 20 novembre 2008 http://www.mara.free.bm/

Conferenza di Grossman - Bologna, 21 novembre 2008

Nell’aria aleggiano come note musicali parole in ebraico, la loro musicalità forte, aspra e sensuale incanta il pubblico dell’Arena del Sole di Bologna.David Grossman legge un pezzo dal suo ultimo libro “A un cerbiatto somiglia il mio amore” tornando in una città che lo ha accolto due anni fa per ricevere il premio “Alta qualità” quale “Testimone straordinario del rispetto della dignità umana attraverso i suoi romanzi che parlano sia ai giovani sia agli adulti e tramite i suoi articoli che affrontano la difficoltà di vivere in una terra di antica civiltà ma anche di forti contrasti”.
E’ un’occasione importante la presentazione del suo ultimo romanzo perche coincide con l’uscita nelle sale italiane del film “Qualcuno con cui correre” tratto dall’omonimo romanzo pubblicato nel 2001 e che narra la storia di due adolescenti straordinari Assaf e Tamar, che si cercano, forse si amano combattono con generosità e coraggio per qualcosa che alberga nel loro animo. Un libro che illumina in modo mirabile il mistero dell’adolescenza con le sue difficoltà e le sue contraddizioni dove chiusura e generosità convivono in perfetta armonia.
E’ un film che a David Grossman è piaciuto moltissimo. E’ inconsueto che un autore si innamori della trasposizione cinematografica di un suo romanzo eppure lo scrittore israeliano apprezza il lavoro del regista perché ha dato vita a un film commovente, che tocca fin nel profondo l’anima degli spettatori oltre ad essere molto fedele al libro, sebbene non da un punto di vista propriamente letterario. “Ad esempio, la protagonista Tamar è un’attrice bellissima – dice Grossman – è perfetta per quella parte anche se io nella scrittura l’avevo immaginata diversa”.
E’ sulla sua esperienza alla radio israeliana che Grossman si sofferma spiegando l’incipit un po’ insolito del libro: tre ragazzi, Orah, Ilan e Avram si trovano nel reparto di isolamento in un ospedale di Gerusalemme durante la guerra dei Sei giorni e il dialogo che si instaura fra loro ha quasi le caratteristiche di un radiodramma.“In effetti le tonalità del dialogo che il lettore trova nelle prime pagine del romanzo si possono spiegare con la mia esperienza infantile quando all’età di nove anni attraversavo il paese a bordo degli autobus, accompagnato da mia madre, per andare a intervistare calciatori, attori e altre personalità importanti. Pur provenendo da una famiglia molto conservatrice mi sono trovato proiettato nel mondo del teatro. Del resto ancora oggi, come il protagonista Avram, preferisco la radio alla televisione in quanto crea un sentimento di maggiore intimità e condivisione con gli ascoltatori”.
Le tonalità e le voci acquistano una grande importanza nella narrativa di Grossman, ogni paragrafo che scrive deve avere una sua musicalità, un suo ritmo, al punto che quando ha terminato un romanzo lo legge a voce alta – come faceva Gustave Flaubert – perché “in tal modo capisco meglio ciò che il mio lettore sentirà con il suo orecchio interno”.E ricordando Tamar la protagonista del romanzo “Qualcuno con cui correre”, che è una cantante di strada, ritiene che quella sia un’arte molto coraggiosa perché deve confrontarsi quotidianamente con i rumori della strada, la confusione e a volte anche con la maleducazione della gente.
Un altro tema che affascina lo scrittore israeliano e che ritroviamo in molti suoi romanzi è quello della gelosia, un sentimento che definisce umiliante e che arreca sempre molto dolore. Nel romanzo “Col corpo capisco” i protagonisti, Shaul e Elisheva, sono una coppia che funziona bene eppure il marito è convinto che la moglie lo tradisca ogni giorno quando va a nuotare. “Nulla e nessuno potrebbero convincere Shaul del contrario, nemmeno se venisse il Mossad a tranquillizzarlo”. Eppure – continua Grossman – quando siamo gelosi diventiamo creativi, il geloso ha una mente fervida, ricca di immaginazione, diventa un drammaturgo. Bisognerebbe chiedersi perché si cade in situazioni così insopportabili ma del resto capita anche ai paesi di ripetere costantemente i propri errori”.Anche la fisicità acquista un ruolo di rilievo nei libri di Grossman, soprattutto nell’ultimo, dove una parte determinante è riservata alla natura. “Avevo bisogno di far vivere e sentire anche al lettore le onde della natura che si irradiano nei personaggi e riescono miracolosamente a farli aprire alla vita”. E’ di Avram che parla Grossman, un giovane diventato un relitto umano dopo essere stato torturato dagli egiziani durante la guerra del Kippur: ora è un uomo che ha perso il contatto con vita ma Orah conducendolo in questa lunga camminata attraverso il paese dalla Galilea fino alle propaggini del Carmelo e raccontandogli la vita del figlio lo aiuta a tornare alla vita, ad esistere, pensare e amare come un essere umano.
Per David Grossman è indispensabile immedesimarsi nell’altro. “Il senso dello scrivere è la nostra capacità di essere con l’”altro” e soltanto quando scrivo posso capire appieno cosa significa essere l’”altro”. Nella vita di tutti i giorni ci difendiamo dagli altri, non vogliamo essere esposti al caos, ai misteri e alle zone buie che albergano dentro ognuno di noi.
Quando scrivo di un personaggio devo avere il privilegio di disarmarmi, di rinunciare completamente alle mie difese e arrendermi completamente al personaggio.
Attraverso il lavoro della scrittura provo la sensazione di arricchirmi, cosa che non mi è possibile in nessun’altra sfera della vita perché soltanto con la scrittura riesco a toccare quel filamento che arde dentro la persona che mi sta davanti”.Le parole, strumento di ogni scrittore, racchiudono in sé molto spesso delle contrapposizioni con le quali Grossman si è sempre confrontato nei suoi libri cercando di sondare in che modo le persone agiscono quando si trovano di fronte all’arbitrio. “Ho cercato di capire in che modo l’anima che è la parte più flessibile e libera di ciascuno di noi sia costretta ad adeguarsi alle costrizioni, alle pastoie delle burocrazie e dei grandi sistemi politici e, soprattutto in questo libro, ho cercato di mostrare il modo in cui un individuo può sopravvivere alla realtà tremenda in una zona disastrata come è il Medio Oriente da più di cento anni. Analizzando attraverso la scrittura queste situazioni di arbitrio e oppressione nel modo più delicato e preciso sento che qualcosa cambia, anche se non riesco a risolvere il problema dell’occupazione e l’eterno conflitto fra anima e corpo. Non mi sento più vittima della situazione e questo è molto importante per me sia come ebreo, sia come israeliano e, in particolar modo, per le esperienze che la vita mi ha posto di fronte in questi ultimi tempi.”Per non essere vittime delle imposizioni e dell’arbitrio – ribadisce lo scrittore – non dobbiamo usare le parole imposte dagli altri in modo arbitrario bensì avvalersi della lingua per rispecchiare ciò che sentimao nel profondo del nostro animo.
Da ultimo, dopo aver espresso una valutazione molto positiva sull’elezione di Barack
Obama che “ha saputo risvegliare le qualità migliori degli americani, la fede e la capacità di sperare in un futuro migliore” , ritiene - a differenza di Amos Oz - che la risata non sia
un’ arma efficace contro il fanatismo anche se è convinto che l’umorismo sia l’ultima ancora di salvezza, l’ultimo conforto in un mondo sul quale non abbiamo alcun controllo.Ciò che apprezza nell’ebraismo è il senso dell’umorismo ebraico che è una forma molto sottile di ironia e che deriva in gran parte dalla storia degli ebrei, dal fatto che attraverso i secoli non si sono mai sentiti a casa propria nel mondo; hanno sempre vissuto come degli outsider, degli esclusi creando in tal modo grandi costrizioni. Una realtà che per David Grossman è anche un enorme privilegio.Il privilegio di poter cambiare idea e modificare il proprio punto di vista, guardando il resto del mondo ma anche sé stessi con un occhio più ironico e benevolo. Giorgia Greco

martedì 18 novembre 2008

Gerusalemme

Egitto-Israele: tribunale blocca vendita gasCorsivoGiustificaGrassetto

(ANSA)- IL CAIRO, 18 NOV- La sezione amministrativa del Consiglio di Stato del Cairo ha ordinato la sospensione della vendita da parte dell'Egitto di gas a Israele. La vendita era cominciata nel febbraio scorso sulla base di un accordo firmato il primo luglio 2005. Un ricorso contro la vendita era stato presentato all'inizio dell'anno dall'ex ambasciatore egiziano in Yemen, Hassan Ibrahim.

lunedì 17 novembre 2008

Il calore del sangue


di Irène Némirovsky, Ed.Adelphi Euro 11,00

Issy-l’ Évêque il paese del Morvan nel quale Irène Némirovsky trovò rifugio insieme alla famiglia dalle persecuzioni razziali è lo scenario dell’ultimo capolavoro della scrittrice francese, il cui grande talento dopo il romanzo “Suite francese” che l’ha fatta conoscere in Italia, si riconferma all’uscita di ogni nuovo libro. E’ in questo paesino della provincia francese che la Némirovsky nel 1942 verrà arrestata e deportata ad Auschwitz dove morirà per mano degli aguzzini nazisti. A differenza dei romanzi precedenti, ambientati nel mondo della borghesia ebraica e nei ghetti dell’Europa orientale, ne “Il calore del sangue” l’autrice punta lo sguardo sul mondo rurale della provincia francese chiuso, gretto e angusto dove sotto una patina di apparente felicità e quiete domestica si celano segreti inconfessabili e passioni che bruciano l’anima. Scenario simile a Suite francese nella caratterizzazione dei personaggi, la storia è narrata in prima persona da Sylvestre, un anziano benestante che dopo una vita avventurosa si è ritirato a vivere a Mont-Tharaud, una zona campestre vicino a Moulin-Neuf, “una terra selvaggia e ricca al tempo stesso”. Ed è in questo luogo semplice e appartato che Colette, figlia di Hélène e François, i cugini Erard di Sylvestre, andrà a vivere dopo il matrimonio con Jean Dorin, “dei Dorin di Moulin-Neuf, mugnai di padre in figlio”.
E’ una vita quieta, un po’ scialba quella che attende Colette la quale spera, con l’ingenuità della giovinezza, di poter eguagliare la perfetta felicità coniugale che all’ apparenza unisce i genitori.
Al ricevimento di nozze l’anziano Sylvestre si attarda ad osservare con insolita curiosità e interesse una giovane donna, Brigitte Declos, sposata a un vecchio e avaro contadino che in cambio della sua giovinezza le ha assicurato un’esistenza più che dignitosa. “…è una ragazza alta e di grande bellezza, con l’aria sfrontata, piena di forza e di salute”. Ma chi è il giovane alto e bruno con cui Brigitte balla al ricevimento di nozze di Colette? E’ Marc Ohnet, un uomo affascinante che “ha fama di essere un donnaiolo dal temperamento sanguigno” e che lascerà un segno indelebile nei destini di due donne giovani e innamorate. La vita di Sylvestre scorre con pacatezza: passeggiate per la campagna, un bicchiere di vino all’Hotel des Voyageurs, una cena tranquilla e qualche ora di sonno ristoratore. Dopo aveci regalato un quadro di tranquilla agiatezza campagnola dove l’esistenza dei ricchi cugini Erard scorre cadenzata da momenti di perfetta felicità, a un tratto dal tessuto del romanzo si aprono scorci come crepe in un terreno arido dai quali emergono insondabili segreti e si palesano tragedie familiari destinate a sconvolgere quel piccolo mondo fatto di ipocrisie e passioni sconvolgenti.
Jean Dorin, il timido e innamorato marito di Colette muore cadendo in acqua dal ponticello ”munito di parapetto da un solo lato”, nei pressi della sua abitazione.
Tutti pensano a una disgrazia causata da un malore improvviso ma a distanza di due anni si palesa una verità inquietante: il giovane garzone che per primo aveva dato la notizia della morte rivela di aver visto una persona spingere in acqua il povero Jean Dorin.
Per Colette la morte del marito è “una sciagura di proporzioni immani” oppure un evento drammatico che intende nascondere agli occhi dei vicini e della famiglia perché foriero di un segreto atroce? Con la consueta sapienza narrativa la Némirovsky scandaglia le pieghe più recondite dell’animo umano posando uno sguardo acuto e penetrante sulle debolezze, le cattiverie e l’avidità degli uomini regalandoci un romanzo forte e crudele dove nessuno è al riparo dalle passioni che ottundono la mente al punto da nascondere un delitto per salvare le apparenze di una vita quieta e serena. Ritrovato dai biografi della Némirovsky, Oliver Philipponnat e Patrick Lienhardt, e dato alle stampe nel 2007 “Il calore del sangue” è l’ultimo gioiello dell’autrice francese che la casa editrice Adelphi pubblica in Italia, l’ennesima conferma dell’indiscutibile talento di una scrittrice che come poche altre riesce a toccare il cuore e l’anima dei lettori e a coinvolgerli con la sua straordinaria arte compositiva. Giorgia Greco

domenica 16 novembre 2008


Rahm Emanuel, capo staff del nuovo numero uno della Casa Bianca, è un ottimo ballerino. Ed esulta la comunità gay Usa

In America i gay democratici considerano come miglior notizia post elettorale questa: Rahm Emanuel è la prima persona nominata da Barack Obama. Sarà il suo capo di gabinetto, cioè colui che dovrà gestire il passaggio tra Obama e George W.Bush alla Casa Bianca e coordinare i due staff presidenziali. Un compito delicato che richiede delle personali capacità organizzative non comuni. Emanuel le ha secondo Obama. E sa anche ballare. Il suo curriculum è pieno di scuole, master e borse di studio guadagnate in gioventù con la danza classica.Per questo la miglior notizia post elettorale che ha fatto rizzare le orecchie ai gruppi lgbt americani è questa. Perché su Rahm Emanuel si mormora da anni che sia gay. Ma a nessuno interessava veramente fino a ieri. Oggi che è un pezzo grosso della amministrazione entrante tutti gli occhi sono puntati verso di lui.
Ecco quindi come si espresso in Parlamento sui temi dei diritti civili: - ha votato "SI" alla proposta di sanzionare le discriminazioni per orientamento sessuale sul luogo di lavoro. - ha votato "NO" ad un emendamento costituzionale che mirava ad introdurre il matrimonio come basato su una coppia uomo-donna- ha votato "NO" ad un emendamento costituzionale che mirava a rendere illegale il matrimonio per le coppie gay Il gruppo HRC che negli States si occupa di monitorare queste votazioni, in una scala da 1 a 100 lo classifica "A favore dei diritti gay" al 100%. Il quotidiano ebraico Maariv ha dedicato alla nomina un ampio servizio dal titolo "Il nostro uomo alla Casa Bianca" grazie alle origini israeliane di Emanuel. Ecco, con un tale curriculum i gay potrebbero dire altrettanto. Perché se sia gay o no poco importa. Tantomeno se sa ballare. Di sicuro sa votare. Gay.it , 07.11.2008