Ingredienti: 1.5 kg di girello di vitello; olio d’oliva q. b.; 2 limoni; sale q.b.; pepe q.b.Preparazione: Salate il vitello e rivestitelo tutto con fette di limone che legherete attorno alla carne con lo spago da cucina. Adagiatelo poi su di un foglio di carta da forno, bagnatelo con un filo di olio di oliva, quindi richiudete la carta in modo da formare un cartoccio. Cuocete il vostro arrosto in forno già caldo a 180° per circa un’ora poi, aprite il cartoccio, alzate la temperatura del forno a 200° e continuate la cottura per 15 minuti, girandolo e bagnandolo a metà cottura, in modo che l’ arrosto sia ben dorato in ogni suo lato. Togliete l’arrosto dal forno e fatelo riposare per circa 5 minuti prima di affettarlo e servite subito versandoci sopra i sughi di cottura.Sullam n.80
sabato 5 novembre 2011
Ingredienti: 1.5 kg di girello di vitello; olio d’oliva q. b.; 2 limoni; sale q.b.; pepe q.b.Preparazione: Salate il vitello e rivestitelo tutto con fette di limone che legherete attorno alla carne con lo spago da cucina. Adagiatelo poi su di un foglio di carta da forno, bagnatelo con un filo di olio di oliva, quindi richiudete la carta in modo da formare un cartoccio. Cuocete il vostro arrosto in forno già caldo a 180° per circa un’ora poi, aprite il cartoccio, alzate la temperatura del forno a 200° e continuate la cottura per 15 minuti, girandolo e bagnandolo a metà cottura, in modo che l’ arrosto sia ben dorato in ogni suo lato. Togliete l’arrosto dal forno e fatelo riposare per circa 5 minuti prima di affettarlo e servite subito versandoci sopra i sughi di cottura.Sullam n.80
venerdì 4 novembre 2011
Il Festival del Film premia Eti Tsico
Gitai finisce in cantina
Nei sotterranei della Moleracconta il dramma del padre, perseguitato dai nazisti
Si esce nel cortile e si apre una porta cui probabilmente non si sarebbe fatto caso. Bisogna scendere le scale, strette, si sente pungente l’aria da cantina, inutile guardare il montacarichi è solo per il trasporto dei materiali. Si va cinque metri sotto il livello del suolo, cinque metri dalla «base» della Mole. E’ la prima volta che vengono aperti i sotterranei del Museo del Cinema, e l’occasione non è ufficiale, nemmeno strettamente legata al cinema. E’ un evento pensato per e con Amos Gitai, il regista israeliano che in questi giorni sta lavorando «in cantina». Fra le travi in cemento, la sala macchina dell’ascensore panoramico, i quadri elettrici: è il luogo che lui ha scelto per la sua video-installazione «Architettura delle memoria». Dopo il Kust-Werke a Berlino, la Base sottomarina a Bordeaux e il Palais de Tokyo a Parigi. E Alberto Barbera assicura che il deposito potrebbe diventare un nuovo spazio permanente della Mole. La performance Gitai la inaugurerà domani alle 11 (ingresso gratuito; da sabato all’8 gennaio: 7 euro), ma fino a quel momento il lavoro è in trasformazione. La visita in anteprima è davvero un’idea di quello che il regista insegue: «Ogni volta il progetto si evolve, la sua realizzazione è strettamente legata al luogo» inizia a guidare il percorso l’autore dell’opera autobiografica, cercando di far immaginare come si materializzerà il racconto di sé attraverso la storia del padre, Munio Weinraub, architetto del Bauhaus, ebreo perseguitato dai nazisti, processato nel 1933 e fuggito poco dopo in Palestina dove contribuì all’architettura dello Stato d’Israele. Punto focale: il legame tra architettura e potere. Osservato da lui, che nasce architetto: «Mi piace mettermi in gioco sulle arti figurative, cerco l’equilibrio fra un edificio e il periodo storico di cui parlo». Si è innamorato dei sotterranei della Mole, «danno il senso dell’emozione, permettono immagini “sussurrate”. Arriveranno da 18 proiettori sui muri, su una porta - ecco l’elemento cinematografico, qualcosa che si apre davvero e fa entrare nel subconscio del regista -, sul pavimento». Alle spalle di un incrocio di travi di cemento il processo al padre; in una nicchia grigia alcune sequenze del film «Free Zone»; a terra, davanti a una pedana-scala, in anteprima assoluta stralci del docu-film che l’artista sta ultimando e cuore del progetto: «Lullaby to my father». La poesia «Ninnananna per mio padre», scritta da Gitai due anni fa e presentata come sceneggiatura, appesa in una micro-galleria del sotterraneo: «Munio mio padre/ Come tutti quelli della sua generazione/ Applicava all’architettura la nozione di modestia, di ritegno/ L’obbedienza a un progetto collettivo...» inizia. «La Scuola Bauhaus fu chiusa ancora prima di altre con tendenze decisamente marxiste» prosegue Gitai, e intanto si appunta a memoria i cambiamenti ancora possibili. «Hitler aveva compreso che l’architettura poteva essere un pericolo per l’autoritarismo». Su un’altra parete, in un corridoio illuminato solo dalla fioca luce dei neon, proiezioni vanno sulla voce di Jeanne Moreau che legge una lettera scritta dalla madre di Gitai a suo padre, dopo aver assistito a una parata nazista: «Bisogna fuggire». Terrore in parole, che qualche passo prima non si avvertiva al suono diffuso di un violino. Il corridoio, prima e dopo i passaggi in mattoni rossi che espongono i documenti del padre e le macro-didascalie dei film, porta alle immagini di «Berlin-Jerusalem» del 1988, di «Carmel» del 2008, di «Rose à credit» dell’anno scorso: titoli noti e inediti, faranno parte della retrospettiva al via stasera alle 20,45 al Massimo (fino al 18 novembre). «E’ un rapporto di lunga data quello che abbiamo con Gitai» ha detto Alberto Barbera.3 nov http://www3.lastampa.it/
IRAN: ISRAELE SIMULA ATTACCO, EVACUAZIONI DI FERITI
giovedì 3 novembre 2011
Polpette di zucchine
Ingredienti: (per 4 persone) 2 Zucchine, un uovo; pane q.b.; un cucchiaio di parmigiano; olio di semi; sale; pepe; farina q.b.;
menta a piacere. Preparazione: Tagliate le zucchine a cubetti e friggetele in abbondante olio di semi. Mescolate le zucchine, l’uovo, il sale, il pepe; il pane e la menta. Formate le polpette di zucchine ed infarinatele e friggetele in abbondante olio di
semi. Se le rotolate nel pangrattato possono essere cotte anche al forno, preriscaldato, a 220 gradi per mezz’ora.Sullam n.81
C’è una grande polemica in corso sulla visione ebraica di quando la VITA abbia effettivamente inizio. Ad esempio,l’associazione mondiale delle madri yeddish, ritiene ufficialmente che il feto assuma vita propria solo dopo essersi laureato in medicina.
Il Rav di una sinagoga americana vede entrare un tizio con un cane e subito lo ferma dicendogli:“non potete portare un cane nella sinagoga.” L’uomo gli risponde: “perchè no? è un cane ebreo!” Infatti il rabi guarda bene e vede che il cane ha al collo una sacchetta per il talled. L’uomo dice: “Moisce, kippà!” E il cane apre la sachetta e si mette una kippà sulla testa. “Moisce, talled!” E il cane si mette un talled sulle spalle “Moisce, minhà!” E il cane tira fuori una torà e si mette a pregare. Il rabi, stupitissimo dice all’uomo: “ma è fantastico! se lo portate a Hollywood potreste farci milioni di dollari con questo cane...” E l’uomo: “ah, sì?! provate a dirglielo voi, ha deciso che vuole fare il medico!” a cura di R. Modiano, da Sullam n.81
Goldstone, il cui rapporto Onu sull’operazione anti-Hamas a Gaza del gennaio 2009 divenne in tutto il mondo un emblema della polemica anti-israeliana, ha pubblicato un secondo editoriale a difesa di Israele dopo quello firmato in aprile sul Washington Post in cui sembrava ritrattare il suo stesso rapporto dicendo che avrebbe redatto un documento assai differente “se avessi saputo allora quello che so adesso”.Goldstone, che è stato giudice nella Corte Suprema del Sudafrica negli anni in cui era in vigore il sistema di discriminazione razziale dell’apartheid, scrive: “Sebbene la parola apartheid possa avere un significato più ampio, la si usa per indicare la situazione che c’era in Sudafrica prima del 1994. Contro Israele, costituisce una calunnia ingiusta e infondata, studiata per ritardare anziché far avanzare i negoziati di pace. In Israele – continua Goldstone – non c’è apartheid. Nulla, in Israele, si avvicina alla definizione di apartheid in base allo Statuto di Roma [sulla Corte Penale Internazionale] del 1998”.Nell’articolo, Goldstone distingue fra arabi israeliani e palestinesi dei territori. “Gli arabi israeliani votano, hanno partiti politici e rappresentanti alla Knesset, e ricoprono posizioni di prestigio, anche nella Corte Suprema. I pazienti arabi sono ricoverati insieme ai pazienti ebrei negli ospedali israeliani e ricevono identico trattamento”.Goldstone non ignora i problemi ed anche le situazioni di discriminazione denunciate dai cittadini arabi d’Israele. “Ma – sottolinea – tutto questo non è apartheid, che invece consiste nel sancire consapevolmente la separazione come ideale”.Circa la Cisgiordania, Goldstone afferma che la situazione naturalmente è più complessa. “Ma anche qui – scrive – non vi è alcuna intenzione di mantenere un sistema istituzionalizzato di sistematica oppressione e dominazione da parte di un gruppo razziale. Si tratta di una distinzione che rimane fondamentale anche quando Israele agisce in modo repressivo verso i palestinesi”.Goldstone si schiera persino a difesa delle misure anti-terrorismo israeliane. “Finché i cittadini israeliani rimangono sotto la minaccia di attentati originati in Cisgiordania e striscia di Gaza – osserva – Israele considererà necessari per la propria auto-difesa i posti di blocco e altre misure analoghe, anche se i palestinesi si sentono oppressi da tali misure”. E quello che tanti anti-israeliani hanno definito “il muro dell’apartheid” è in realtà, ammette Goldstone, “una barriera di sicurezza costruita per fermare inesorabili attentati terroristici, mentre la stessa Corte Suprema israeliana in parecchi casi ha ordinato allo stato di ritracciarne il percorso per minimizzare disagi eccessivi”.(Da: YnetNews, 1.11.11) http://www.israele.net/
La storia delle Giudecche
Passeggiare tra i vicoli del centro storico, nonostante tutte le modifiche e le stratificazioni urbanistiche e architettoniche, restituisce bene il senso della storia e degli eventi accorsi nelle giudecche, gli antichi quartieri dove dimoravano gli ebrei, non dei ghetti attenzione, Napoli non ebbe mai un ghetto, invenzione papale del 1555, quando qui gli ebrei già non c’erano più.
Nel tessuto urbano si rinvengono strade e toponimi che rimandano all’epoca della presenza ebraica in città; diversi i luoghi adibiti a giudecca nei secoli, rintracciabili con l’aiuto delle carte topografiche e di antichi documenti. Tuttavia di quale sia stata la prima giudecca a Napoli non vi è certezza, molti studiosi l’hanno identificata nella zona di San Marcellino e Monterone, poiché gli ebrei, durante la guerra contro i Bizantini, difesero proprio il tratto di mura meridionale a ridosso di tale altura. Non è da escludere la possibilità che difendessero tale zona poiché era la più vulnerabile ma risiedessero altrove, per quanto una sinagoga, che può essere fatta risalire a tale epoca, è testimoniata dai documenti.Un vicus Iudeorum è invece attestato più a nord del quartiere Pendino, all’attuale vico Limoncello, nei pressi della via Anticaglia, decumano superiore; è possibile fosse questo l’insediamento più antico, così com’ è altrettanto probabile che, caduta la città in mano ai Bizantini, gli ebrei furono costretti a spostarsi più ai margini, occupando appunto il suddetto vicolo che fu successivamente nominato dei 12 pozzi, per l’evidente presenta di abbondante acqua e che con gli Angioini tornò ad essere chiamato dei Giudei, per la consuetudine medievale di restituire i nomi antichi ai luoghi, più che per l’effettiva presenza degli ebrei che dovevano essersi spostati nuovamente, se mai ci erano già stati, a San Marcellino.La Giudecca di San Marcellino occupava pochi spazi, tra l’attuale via dei Tintori, dove gli ebrei stessi erano soliti lavorare i tessuti, e la rampa di San Marcellino, proprio su quelle scalinate che oggi portano a Corso Umberto, arteria della moderna città, e che esistevano già nello stesso luogo all’epoca, identiche, solo un po’ più strette, di cui restano chiare tracce nel sottosuolo. E’ in questa zona che ancora le cronache cinquecentesche attestano la presenza di una sinagoga, la cui esatta ubicazione è tuttora incerta.E’ probabile che appartenga al periodo Svevo la giudecca sita nell’attuale zona di Forcella, nuovamente ai margini della città, forse per le tensioni con la popolazione locale, dove a tutt’oggi persiste il toponimo di via Giudecca Vecchia, anche se per gli ampliamenti del risanamento ottocentesco oggi non perdura più neppure la percezione dello spazio di quella che doveva essere la strada .Ma il risanamento, si sa, ha toccato soprattutto le facciate, l’esterno dei quartieri, lasciando pressoché inalterate i vicoli più interni, che presentano ancora in alcune zone una struttura a fondaco, dove è facile oggi farsi un’idea dell’ atmosfera dell’epoca tra vicoli stretti e bui anche a distanza di qualche secolo.
ELI E. HERTZ QUESTA TERRA E’ LA MIA TERRA – Mandato per la PalestinaAspetti legali dei diritti ebraiciTraduzione di Eunice Randall Diprose; Pubblicazione e Distribuzione a cura di The New Thing, Padova, 2011, pp. 93, €.5,00
“ ‘…ha una vita intellettuale propria e mostra una notevole attività economica. Questa comunità, con la sua popolazione urbana e rurale, le sue organizzazioni politiche, religiose e sociali, la propria lingua, i propri costumi, la propria vita, ha di fatto le caratteristiche di una nazione’.Dalla relazione inviata il 22 aprile 1925 dall’Alto Commissario sull’Amministrazione della Palestina, Sir Herbert L. Samuel, all’On. L.S. Amery, Parlamentare britannico, Segretario dell’Ufficio Governativo per le Colonie, nella quale descriveva il modo degli Ebrei di organizzarsi come popolo”.Giornate febbrili, queste di inizio autunno.A poche settimane dalla perentoria richiesta di adesione unilaterale all’ONU (senza alcun accordo con Israele) come Stato di Palestina da parte dell’ANP, seguita a ruota dalla pretesa -cui i media non hanno dato particolare rilievo- di accedere all’UNESCO, quale membro a tutti gli effetti, con conseguente tentativo, al momento fallito, di inserire Betlemme e, in futuro, altri luoghi santi della tradizione ebraica, ad esempio Hevron e Jerico, nell’elenco dei siti “patrimonio dell’Umanità” sì, ma made in Palestine, ecco la notizia attesa da tempo immemorabile: la liberazione di Gilad Shalit, il giovanissimo soldato rapito, in territorio israeliano, dalle milizie di Hamas nell’estate di cinque anni fa e tenuto in una totale segregazione, senza che nemmeno alla Croce Rossa Internazionale fosse consentito di incontrarlo per verificarne le condizioni di salute. Alla base della liberazione, peraltro al momento (14 ottobre) non ancora avvenuta, sta un accordo intervenuto tra il democratico Governo di Gerusalemme e la feroce organizzazione terroristica, un tremendo baratto che vedrà lo scambio tra il militare di leva -ora ventiseienne- da una parte, e oltre un migliaio di palestinesi, uomini e donne, macchiatisi, a suo tempo, di orrendi delitti contro la popolazione israeliana, dall’altra.Un momento difficilissimo per l’Esecutivo guidato da Bibi Netanyhau e per tutto il Paese, una parte non esigua del quale, pur con estremo dolore, si è dichiarata contraria a tale mossa, ritenendola un cedimento alla strategia del terrore, foriera di nuove tragedie.Giunge quindi a proposito questo prezioso libretto, Questa terra è la mia terra, scritto da Elie E. Hertz, proprietario e curatore di Myths and Facts [1], sito web molto importante per una corretta informazione sul Medio Oriente e, in primo luogo, sul conflitto arabo/israeliano/palestinese.L’opera, tradotta in italiano da Eunice Randall Diprose e pubblicata grazie all’impegno della davvero benemerita EDIPI -Associazione Evangelici d’Italia per Israele [2]- spiega, in modo esaustivo e con linguaggio chiaro, il legame degli Ebrei con la loro Terra di origine, le motivazioni non solo storico-religiose, ma anche giuridiche sulle quali si fonda la legittimazione dello Stato ebraico.Come ha spiegato il Prof. Marcello Cicchese, durante la presentazione avvenuta lo scorso 22 settembre al Palazzo della Cultura Ebraica in Roma, questo testo in italiano è particolarmente rilevante perché:a. chiarisce che il problema mediorientale trova la sua base negli avvenimenti successivi alla Prima Guerra Mondiale: Dichiarazione Balfour del 2 novembre 1917 e successiva Risoluzione di San Remo del 1920 (“Conferenza di pace” che si svolse dal 19 al 26 aprile di quell’anno) nella quale si decise di conferire alla Gran Bretagna il Mandato per la Palestina, con il preciso compito di dare esecuzione a quella Dichiarazione di circa tre anni prima, con cui la Gran Bretagna si era dichiarata favorevole alla costituzione in Palestina di una national home per gli Ebrei. La Risoluzione adottata fu, in seguito, ratificata dalla Lega delle Nazioni nel 1922 e può essere dunque considerata come il primo riconoscimento ufficiale del costituendo Stato di Israeleb. pone l’accento, come detto, sugli aspetti giuridici -e non solo politici e religiosi- del problema poiché esamina i fondamenti di Diritto internazionale sui quali sono state adottate le decisioni fondamentalic. vede la luce in un momento in cui, oltre a ciò che ho scritto in apertura, è in corso da troppo tempo una campagna internazionale di delegittimazione, ad ogni livello, dello Stato di Israele.A quest’ultimo proposito, per limitarci a casa nostra, è imminente (lunedì 17 ottobre p.v.) la presentazione a Roma del primo rapporto del Parlamento italiano sull’antisemitismo, frutto delle ricerche effettuate dal comitato di indagine conoscitiva presieduto da Fiamma Nirenstein. Nel corso dell’indagine -ci informa il quotidiano il Foglio del 15 ottobre- sono stati interpellati anche esperti di fama internazionale come Dina Porat e Robert Wistrich. In un’anticipazione del rapporto si legge che i dati evidenziano la crescita verticale dell’antisemitismo che, nel 2009, ha raggiunto “un picco senza precedenti dalla Seconda Guerra Mondiale”. Da rilevare che un 44% (!) di italiani dichiara di non provare simpatia per gli Ebrei -d’altronde è sufficiente effettuare, a titolo personale, una piccola, ma attenta ricerca per trovare, ahimé, conferma di tale dato!-.Viene anche esaminata la piaga dell’antisemitismo on line, ormai diffuso a macchia d’olio, cui va imputato il fatto che il 22% dei giovani nel nostro Paese nutre un atteggiamento variamente ostile nei confronti degli Ebrei.Il documento riporta le conclusioni raggiunte sul “nuovo [in realtà ultraquarantennale, ma vertiginosamente incrementatosi nell’ultimo decennio] antisemitismo, che applica allo Stato di Israele stereotipi antisemiti.Ben venga dunque Questa terra è la mia terra, testo ampiamente documentato -tra le varie Rubriche ce n’è una intitolata in modo emblematico“Miti”-, arricchito da alcune fotografie e mappe. Tra queste ultime, significative le due di copertina. La prima raffigura il territorio in origine (1920) assegnato come Jewish National Home; la seconda mostra la zona destinata al costituendo Stato ebraico due anni dopo, a seguito della creazione, da parte britannica, del Regno di Transgiordania (in favore degli Hashemiti), creazione ottenuta tramite l’amputazione del 78% dell’intero.Questi dati rivelano l’autentico significato delle parole del Presidente dell’ANP, Mahmud Abbas, quando egli afferma che i Palestinesi, magnanimi, sono disposti ad accontentarsi del “solo” 22% del territorio della Palestina per fondare il loro Stato! Mara Marantonio www.angolodimara.com