sabato 5 novembre 2011


Arrosto di vitello al limone

Ingredienti: 1.5 kg di girello di vitello; olio d’oliva q. b.; 2 limoni; sale q.b.; pepe q.b.Preparazione: Salate il vitello e rivestitelo tutto con fette di limone che legherete attorno alla carne con lo spago da cucina. Adagiatelo poi su di un foglio di carta da forno, bagnatelo con un filo di olio di oliva, quindi richiudete la carta in modo da formare un cartoccio. Cuocete il vostro arrosto in forno già caldo a 180° per circa un’ora poi, aprite il cartoccio, alzate la temperatura del forno a 200° e continuate la cottura per 15 minuti, girandolo e bagnandolo a metà cottura, in modo che l’ arrosto sia ben dorato in ogni suo lato. Togliete l’arrosto dal forno e fatelo riposare per circa 5 minuti prima di affettarlo e servite subito versandoci sopra i sughi di cottura.Sullam n.80

venerdì 4 novembre 2011


Il Festival del Film premia Eti Tsico


In occasione del Festival Internazionale del Film di Roma, grande rassegna internazionale che in questi giorni ha tenuto banco nella Capitale, sono stati premiati due cortometraggi girati dagli studenti di cinema dell'Università di Tel Aviv. Location il Maxxi, progettato per essere lo scrigno dei gioielli dell'arte contemporanea, che non si è fatto sfuggire questi piccoli sei capolavori che meritano di viaggiare ancora lontano. La giuria, composta da mostri sacri del cinema dal calibro di Roberto Faenza, Ettore Scola e della costumista da Oscar Milena Canonero (che ha vestito i protagonisti di Arancia Meccanica e Marie Antoniette), dopo essersi ritirata per deliberare, ha decretato il vincitore: è la giovane Eti Tsico che riceve il premio da Anna Fendi. Il suo cortometraggio Audition è l'audizione che una regista, interpretata dalla stessa Ety, fa ad un ragazzo arabo. Usando la lingua del cinema l'orizzonte si amplia: dal divano sul quale l'aspirante attore è seduto si passa a trattare con semplicità e delicatezza il rapporto tra israeliani e palestinesi. "Quella tra di noi non è paura, è esitazione" ed un languido bacio farà finire l'audizione per un film e iniziare l'audizione per la vita vera. Ma il prossimo aspirante è dietro la porta. Il corto fa parte di un progetto finanziato dall'Università di Tel Aviv chiamato "Coffee Between Reality and Imagination", una collaborazione israelo-palestinese. Gli spettatori chiamati ad effettuare una seconda votazione, entusiasti di poter essere almeno per una notte critici con il fascino da sciarpa di cachemire al collo, danno la loro preferenza a Second watch. Il corto, firmato da Udi Ben-Arie, è uno spaccato spassosissimo dell'esperienza dell'esercito. Berkowitz, di guardia al confine, stringe una insolita amicizia con il soldato della Giordania. Tra balli scatenati sulle note di Salma ya Salama, storpiato in Barbara ya Barbara, la pace sembra davvero possibile. Sarebbe un peccato non citare gli altri corti in concorso: del progetto israelo-palestinese fanno parte anche Tasnim, ambientato in un villaggio beduino, per il quale la regista Elite Zexer ha dovuto fare ricerche e sopralluoghi per sei mesi e Trip to Jaffa di Eitan Sarid (risate assicurate). Non si ride invece vedendo A bug with a helmet di Yona Rozenkier, tragico ritratto della guerra e della lotta che ne consegue per la sopravvivenza. Infine Pini Tavger ci delizia con Pinhas, 32 minuti che narrano la vicenda di un bambino di origine russa che decide di avvicinarsi alla religione. Quando gli viene chiesto quanto tempo ha impiegato a girare, Tavger risponde schiettamente: "Tutta la vita", con la consapevolezza del piccolo capolavoro che ha emozionato la sala. I titoli di coda terminano, le luci si accendono, i premi sono stati consegnati e ora non resta che sperare nel successo dei sei registi. Sentiremo ancora parlare di loro...Rachel Silvera,http://www.moked.it/



Gitai finisce in cantina

Nei sotterranei della Mole

racconta il dramma del padre, perseguitato dai nazisti

Si esce nel cortile e si apre una porta cui probabilmente non si sarebbe fatto caso. Bisogna scendere le scale, strette, si sente pungente l’aria da cantina, inutile guardare il montacarichi è solo per il trasporto dei materiali. Si va cinque metri sotto il livello del suolo, cinque metri dalla «base» della Mole. E’ la prima volta che vengono aperti i sotterranei del Museo del Cinema, e l’occasione non è ufficiale, nemmeno strettamente legata al cinema. E’ un evento pensato per e con Amos Gitai, il regista israeliano che in questi giorni sta lavorando «in cantina». Fra le travi in cemento, la sala macchina dell’ascensore panoramico, i quadri elettrici: è il luogo che lui ha scelto per la sua video-installazione «Architettura delle memoria». Dopo il Kust-Werke a Berlino, la Base sottomarina a Bordeaux e il Palais de Tokyo a Parigi. E Alberto Barbera assicura che il deposito potrebbe diventare un nuovo spazio permanente della Mole. La performance Gitai la inaugurerà domani alle 11 (ingresso gratuito; da sabato all’8 gennaio: 7 euro), ma fino a quel momento il lavoro è in trasformazione. La visita in anteprima è davvero un’idea di quello che il regista insegue: «Ogni volta il progetto si evolve, la sua realizzazione è strettamente legata al luogo» inizia a guidare il percorso l’autore dell’opera autobiografica, cercando di far immaginare come si materializzerà il racconto di sé attraverso la storia del padre, Munio Weinraub, architetto del Bauhaus, ebreo perseguitato dai nazisti, processato nel 1933 e fuggito poco dopo in Palestina dove contribuì all’architettura dello Stato d’Israele. Punto focale: il legame tra architettura e potere. Osservato da lui, che nasce architetto: «Mi piace mettermi in gioco sulle arti figurative, cerco l’equilibrio fra un edificio e il periodo storico di cui parlo». Si è innamorato dei sotterranei della Mole, «danno il senso dell’emozione, permettono immagini “sussurrate”. Arriveranno da 18 proiettori sui muri, su una porta - ecco l’elemento cinematografico, qualcosa che si apre davvero e fa entrare nel subconscio del regista -, sul pavimento». Alle spalle di un incrocio di travi di cemento il processo al padre; in una nicchia grigia alcune sequenze del film «Free Zone»; a terra, davanti a una pedana-scala, in anteprima assoluta stralci del docu-film che l’artista sta ultimando e cuore del progetto: «Lullaby to my father». La poesia «Ninnananna per mio padre», scritta da Gitai due anni fa e presentata come sceneggiatura, appesa in una micro-galleria del sotterraneo: «Munio mio padre/ Come tutti quelli della sua generazione/ Applicava all’architettura la nozione di modestia, di ritegno/ L’obbedienza a un progetto collettivo...» inizia. «La Scuola Bauhaus fu chiusa ancora prima di altre con tendenze decisamente marxiste» prosegue Gitai, e intanto si appunta a memoria i cambiamenti ancora possibili. «Hitler aveva compreso che l’architettura poteva essere un pericolo per l’autoritarismo». Su un’altra parete, in un corridoio illuminato solo dalla fioca luce dei neon, proiezioni vanno sulla voce di Jeanne Moreau che legge una lettera scritta dalla madre di Gitai a suo padre, dopo aver assistito a una parata nazista: «Bisogna fuggire». Terrore in parole, che qualche passo prima non si avvertiva al suono diffuso di un violino. Il corridoio, prima e dopo i passaggi in mattoni rossi che espongono i documenti del padre e le macro-didascalie dei film, porta alle immagini di «Berlin-Jerusalem» del 1988, di «Carmel» del 2008, di «Rose à credit» dell’anno scorso: titoli noti e inediti, faranno parte della retrospettiva al via stasera alle 20,45 al Massimo (fino al 18 novembre). «E’ un rapporto di lunga data quello che abbiamo con Gitai» ha detto Alberto Barbera.3 nov http://www3.lastampa.it/



Israele è una risorsa fenomenale di innovazione con piu’ start-up pro-capite di qualsiasi altro paese nel mondo. Date le piccole dimensioni di Israele, quasi tutte le loro compagnie necessitano di partners esteri – per capitale, business e sviluppo del prodotto, e accesso al mercato globale. Noi possiamo offrire accesso al mercato globale, disponiamo di uno dei piu’ grandi mercati di capitale del mondo, clienti significativi a livello globale, quattro tra le prime dieci universita’ del mondo. E’ ovvio, per me, che possiamo lavorare insieme per raggiungere grandi risultati. La Gran Bretagna può aiutare l’innovazione israeliana a diventare globale”. Il Centro avrà uno staff composto da sei persone, incluso il direttore, Carmel Gerber, ed esperti nel settore del digitale, delle biotecnologie e anche della comunità dell’High-Tech arabo-israeliana. Il prossimo passo sarà la costituzione di un Consiglio Anglo-Israeliano dell’High-Tech per riunire le figure chiave, oltre che dei settori tecnologici, anche di start-up e investitori di entrambi i paesi.L’Ambasciata inglese a Tel Aviv ha aperto il 27 ottobre scorso un Centro High-Tech per imprese israeliane. L’obiettivo dell’iniziativa è quello di promuovere la crescita economica del paese tramite la creazione di una collaborazione duratura tra il Regno Unito ed Israele nel settore dell’High-Tech. L’Ambasciatore britannico Matthew Gould ha affermato: “La Gran Bretagna è uno dei principali partner per Israele nel settore High-Tech. 3 novembre http://www.focusmo.it/

IRAN: ISRAELE SIMULA ATTACCO, EVACUAZIONI DI FERITI


(AGI 3 novembre) Gerusalemme - Maxi-esercitazione in Israele dove e' stato simulato un attacco dall'Iran. Le sirene d'allarme sono risuonate in varie citta' dell'area costiera attorno a Tel Aviv, proprio mentre si fanno sempre piu' insistenti le voci su un possibile attacco occidentale contro obiettivi iraniani. Le sirene sono risuonate per 90 secondi alle 10:05 in varie citta', mentre i rifugi rimanevano aperti e ad Holon e Bat Yam venivano distribuite le maschere anti-gas. Le squadre di soccorso sono state spedite a "evacuare centinaia di feriti" negli ospedali, ha spiegato alla radio un ufficiale della protezione civile.



Attualmente, il sistema prevede invece che l’assunzione di questi dipendenti venga mediata da agenzie specializzate: il che comporta una diminuzione della retribuzione per i lavoratori. Il braccio di ferro tra ministero e sindacati va avanti da settimane, e lo sciopero generale è stato ipotizzato diverse volte. La situazione sembrava essere migliorata negli ultimi giorni: il sindacato aveva dichiarato che il governo aveva iniziato a dare prova di voler collaborare fattivamente. Ma le dichiarazioni rilasciate stamattina dal leader di Histadrut sono state di segno diametralmente opposto: «I funzionari ministeriali sono prigionieri della loro visione del mondo, secondo la quale i lavoratori dovrebbero pagare i tagli delle spese. Hanno silurato l’accordo che eravamo così vicini a trovare. A questo punto – ha concluso Eini – lo sciopero generale si sta profilando come l’unica scelta possibile».I lavoratori israeliani sono sul punto di incrociare le braccia. Oggi Ofer Eini, presidente del principale sindacato israeliano, Histadrut, è tornato a evocare la minaccia dello sciopero generale. Eini ha annunciato la possibilità di ricorrere a questa misura di protesta estrema già dalla prossima settimana. Il malcontento dei lavoratori è generato dal mancato accordo tra parti sociali e ministero delle Finanze circa l’assunzione diretta degli impiegati a tempo determinato – soprattutto nel settore pubblico – da parte dei datori di lavoro http://www.focusmo.it/, 3 novembre

giovedì 3 novembre 2011


Le gallerie del mondo

Il Tizio vede una puntata delle Iene. Un servizio è su una delle gallerie clandestine che dall’Egitto portano a Gaza e viceversa. Si vede tutto quel traffico di gente che striscia sotto la volta del tunnel con le merci di contrabbando, e magari gli esplosivi. Le gallerie sono pericolose, possono crollare. A volte le persone sono in galleria che camminano e non sanno che Hamas ha appena sparato missili su Israele: passa un tempo ix, gli israeliani bombardano e la galleria è scossa, a volte cede, e quelli che prima erano vivi, sono morti. Il Tizio vede le facce di queste persone. Il loro lavoro è andare avanti e indietro nel tunnel. Vedere una faccia non è vedere una bandiera, o un simbolo. Le facce degli uomini e delle donne sono diverse e tutte uguali. Diverse perché nere, bianche, avana, gialle, e un volto è ossuto, uno paffuto, una ha i capelli rossi. E le facce sono tutte uguali perché quando gli uomini e le donne del mondo sono preoccupati, o sorridono, pensano, si assomigliano. E ci accorgiamo subito che un nigeriano, uno scozzese, un italiano sono tristi, o allegri, o in pensiero. Fa bene, pensa il Tizio, vedere le facce. Ogni tanto uno vede, si riveste di comprensione e mette in lavatrice il vestito del risentimento che ormai è inguardabile: l’odio puzza. Però, pensa il Tizio, bisognerebbe che le Iene, o la televisione facessero un servizio su una lunghissima galleria sotto terra che conduce dall’anno 33 della nostra Era al 2011. È un tunnel dove è passata e continua a passare la persona ebraica, senza mai uscire. Non lo sa nessuno che c’è questo tunnel e che gli ebrei ci vivono in modo permanente. La gente crede che gli ebrei vivano come tutti quanti, una vita sotto il cielo. Non è così, pensa il Tizio: gli ebrei camminano per strada, vanno al bar, al cinema, al ristorante, a scuola, ma poi, mentre ognuno di loro in apparenza è al bar che prende il cappuccino, al cinema, a scuola, invece è sotto quel tunnel che striscia, senza che nessuno se ne accorga. Una vita clandestina, nel tunnel più antico che ci sia. C’è poi il terzo tunnel, parallelo a quello ebraico, lì dentro ci passano le persone di tutte le epoche, gli ominidi, gli uomini dell’Età del Ferro, soldati delle falangi macedoni, legionari romani, sudditi di Carlo Magno, persone del Galles, piccoli popoli dell’Africa, sciamani, vichinghi che pagaiano verso l’America, e nessuno sa che esiste una galleria accanto dove c’è della gente che passa come loro e come loro ha paura che crolli il tunnel, che manchi l’aria, che uno invecchi senza mai uscire - pensa il Tizio. Il Tizio della Sera, http://www.moked.it


Il voto per l'ammissione della Palestina all'Unesco è come un promo (prossimamente su questi schermi) di quello che potrà accadere presto all'assemblea generale dell'ONU. Su 194 Stati membri, 107 hanno votato a favore, 14 contro (fra cui Israele, Stati Uniti, Canada, Australia, Panama, e quattro isolette nel Pacifico: Palau, Samoa, Salomone, Vanuatu), 52 astenuti, e 21 assenti. Non ci sono grosse sorprese ma vale la pena comunque di dissezionare il voto, soprattutto quello dei 27 della UE. Cinque Paesi hanno votato contro (Repubblica Ceca, Germania, Lituania, Olanda, Svezia), undici si sono astenuti (Bulgaria, Danimarca, Estonia, Italia, Lettonia, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Romania, Slovacchia, Ungheria) e undici hanno votato a favore (Austria, Belgio, Cipro, Finlandia, Francia, Grecia, Irlanda, Lussemburgo, Malta, Slovenia, Spagna). Una curiosità: i tre piccoli satelliti dell'EU (Andorra, Monaco, San Marino) si sono astenuti. Anche le ex-repubbliche yugoslave si sono divise fra astenuti (Bosnia-Erzegovina, Croazia, Macedonia, Montenegro) e favorevoli (Serbia oltre alla Slovenia). Fra le ex-repubbliche sovietiche, tre astensioni (Georgia, Moldova, Ucraina) e tutte le altre favorevoli. Astenute in Europa anche l'Albania – teoricamente paese musulmano come la Bosnia – e la Svizzera, oltre a quattro Paesi asiatici (Corea del Sud, Giappone, Singapore, Tailandia), otto Paesi del Centro-Sud America (il più importante il Messico), nove Paesi africani (fra cui l'Uganda), e otto del Pacifico (Nuova Zelanda e altre sette isole). Era scontato il massiccio voto favorevole dei Paesi arabi, terzomondisti e meno sviluppati, ma anche dei colossi economici Brasile, Cina, India, e Russia, e si può notare che l'Argentina ha votato come la Spagna, e la Norvegia come la Francia. Tutto sommato, però, un voto abbastanza trasversale la cui indicazione più saliente è che l'Unione Europea politica evidentemente non esiste. E a proposito, con questi numeri, all'Assemblea generale dove occorrono i due terzi di sì, la mozione Palestina non passa Sergio Della Pergola,Università Ebraica di Gerusalemme,http://www.moked.it/



Abu Mazen: “Non riconoscerò mai uno stato ebraico”

Quelli che seguono sono brani tratti da un’intervista al presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) andata in onda sulla tv egiziana Dream2 lo scorso 23 ottobre.
ABU MAZEN: «Innanzitutto permettetemi di chiarire qualcosa circa questa faccenda dello “stato ebraico”. Hanno cominciato a parlarmi di “stato ebraico” solo due anni fa, discutendone con me in ogni occasione, in ogni consesso dove andavo – ebraico o non ebraico – chiedendo: “cosa ne pensa dello stato ebraico?” L’ho già detto e voglio ripeterlo ancora: io non riconoscerò mai l’ebraicità dello stato, o uno “stato ebraico”.» […] Intervistatrice: «Non pensa che sia stata la resistenza [armata] a riuscire a liberare mille prigionieri? I negoziati devono sempre essere accompagnati da una certa quantità di forza. Non vi possono essere negoziati senza resistenza [armata]. E' dimostrato dall’esperienza dei popoli, in Irlanda e in altri paesi.»ABU MAZEN: «È vero, ma le nostre circostanze sono differenti. Noi non siamo in grado di condurre una resistenza militare. Hamas ha sequestrato, o meglio, ha catturato un soldato ed è riuscita a tenerlo per cinque anni, e questa è una buona cosa. Noi non lo neghiamo. Al contrario, è una buona cosa che su una piccola striscia di terra, 40 chilometri per sette, siano riusciti a tenerlo e nasconderlo.» […] (Da: Memri.org, 31.10.11) da http://www.israele.net/




Polpette di zucchine


Ingredienti: (per 4 persone) 2 Zucchine, un uovo; pane q.b.; un cucchiaio di parmigiano; olio di semi; sale; pepe; farina q.b.;

menta a piacere. Preparazione: Tagliate le zucchine a cubetti e friggetele in abbondante olio di semi. Mescolate le zucchine, l’uovo, il sale, il pepe; il pane e la menta. Formate le polpette di zucchine ed infarinatele e friggetele in abbondante olio di

semi. Se le rotolate nel pangrattato possono essere cotte anche al forno, preriscaldato, a 220 gradi per mezz’ora.Sullam n.81


Non prendiamoci troppo sul serio

Annuncio matrimoniale su un giornale nord-americano.“Donna ebrea cerca marito ebreo. Orfano di madre.Scrivere a casella postale ecc.ecc.”

C’è una grande polemica in corso sulla visione ebraica di quando la VITA abbia effettivamente inizio. Ad esempio,l’associazione mondiale delle madri yeddish, ritiene ufficialmente che il feto assuma vita propria solo dopo essersi laureato in medicina.

Il Rav di una sinagoga americana vede entrare un tizio con un cane e subito lo ferma dicendogli:“non potete portare un cane nella sinagoga.” L’uomo gli risponde: “perchè no? è un cane ebreo!” Infatti il rabi guarda bene e vede che il cane ha al collo una sacchetta per il talled. L’uomo dice: “Moisce, kippà!” E il cane apre la sachetta e si mette una kippà sulla testa. “Moisce, talled!” E il cane si mette un talled sulle spalle “Moisce, minhà!” E il cane tira fuori una torà e si mette a pregare. Il rabi, stupitissimo dice all’uomo: “ma è fantastico! se lo portate a Hollywood potreste farci milioni di dollari con questo cane...” E l’uomo: “ah, sì?! provate a dirglielo voi, ha deciso che vuole fare il medico!” a cura di R. Modiano, da Sullam n.81


Goldstone: “Ingiusta e infondata l’accusa di apartheid a Israele”

“Quella mossa a Israele di essere uno stato da apartheid è un’accusa falsa e malevola che preclude, anziché promuovere, la pace e l’armonia”. Lo scrive il giudice Richard Goldstone in un editoriale pubblicato sul New York Times.

Goldstone, il cui rapporto Onu sull’operazione anti-Hamas a Gaza del gennaio 2009 divenne in tutto il mondo un emblema della polemica anti-israeliana, ha pubblicato un secondo editoriale a difesa di Israele dopo quello firmato in aprile sul Washington Post in cui sembrava ritrattare il suo stesso rapporto dicendo che avrebbe redatto un documento assai differente “se avessi saputo allora quello che so adesso”.Goldstone, che è stato giudice nella Corte Suprema del Sudafrica negli anni in cui era in vigore il sistema di discriminazione razziale dell’apartheid, scrive: “Sebbene la parola apartheid possa avere un significato più ampio, la si usa per indicare la situazione che c’era in Sudafrica prima del 1994. Contro Israele, costituisce una calunnia ingiusta e infondata, studiata per ritardare anziché far avanzare i negoziati di pace. In Israele – continua Goldstone – non c’è apartheid. Nulla, in Israele, si avvicina alla definizione di apartheid in base allo Statuto di Roma [sulla Corte Penale Internazionale] del 1998”.Nell’articolo, Goldstone distingue fra arabi israeliani e palestinesi dei territori. “Gli arabi israeliani votano, hanno partiti politici e rappresentanti alla Knesset, e ricoprono posizioni di prestigio, anche nella Corte Suprema. I pazienti arabi sono ricoverati insieme ai pazienti ebrei negli ospedali israeliani e ricevono identico trattamento”.Goldstone non ignora i problemi ed anche le situazioni di discriminazione denunciate dai cittadini arabi d’Israele. “Ma – sottolinea – tutto questo non è apartheid, che invece consiste nel sancire consapevolmente la separazione come ideale”.Circa la Cisgiordania, Goldstone afferma che la situazione naturalmente è più complessa. “Ma anche qui – scrive – non vi è alcuna intenzione di mantenere un sistema istituzionalizzato di sistematica oppressione e dominazione da parte di un gruppo razziale. Si tratta di una distinzione che rimane fondamentale anche quando Israele agisce in modo repressivo verso i palestinesi”.Goldstone si schiera persino a difesa delle misure anti-terrorismo israeliane. “Finché i cittadini israeliani rimangono sotto la minaccia di attentati originati in Cisgiordania e striscia di Gaza – osserva – Israele considererà necessari per la propria auto-difesa i posti di blocco e altre misure analoghe, anche se i palestinesi si sentono oppressi da tali misure”. E quello che tanti anti-israeliani hanno definito “il muro dell’apartheid” è in realtà, ammette Goldstone, “una barriera di sicurezza costruita per fermare inesorabili attentati terroristici, mentre la stessa Corte Suprema israeliana in parecchi casi ha ordinato allo stato di ritracciarne il percorso per minimizzare disagi eccessivi”.(Da: YnetNews, 1.11.11) http://www.israele.net/

La storia delle Giudecche

Passeggiare tra i vicoli del centro storico, nonostante tutte le modifiche e le stratificazioni urbanistiche e architettoniche, restituisce bene il senso della storia e degli eventi accorsi nelle giudecche, gli antichi quartieri dove dimoravano gli ebrei, non dei ghetti attenzione, Napoli non ebbe mai un ghetto, invenzione papale del 1555, quando qui gli ebrei già non c’erano più.
Nel tessuto urbano si rinvengono strade e toponimi che rimandano all’epoca della presenza ebraica in città; diversi i luoghi adibiti a giudecca nei secoli, rintracciabili con l’aiuto delle carte topografiche e di antichi documenti. Tuttavia di quale sia stata la prima giudecca a Napoli non vi è certezza, molti studiosi l’hanno identificata nella zona di San Marcellino e Monterone, poiché gli ebrei, durante la guerra contro i Bizantini, difesero proprio il tratto di mura meridionale a ridosso di tale altura. Non è da escludere la possibilità che difendessero tale zona poiché era la più vulnerabile ma risiedessero altrove, per quanto una sinagoga, che può essere fatta risalire a tale epoca, è testimoniata dai documenti.Un vicus Iudeorum è invece attestato più a nord del quartiere Pendino, all’attuale vico Limoncello, nei pressi della via Anticaglia, decumano superiore; è possibile fosse questo l’insediamento più antico, così com’ è altrettanto probabile che, caduta la città in mano ai Bizantini, gli ebrei furono costretti a spostarsi più ai margini, occupando appunto il suddetto vicolo che fu successivamente nominato dei 12 pozzi, per l’evidente presenta di abbondante acqua e che con gli Angioini tornò ad essere chiamato dei Giudei, per la consuetudine medievale di restituire i nomi antichi ai luoghi, più che per l’effettiva presenza degli ebrei che dovevano essersi spostati nuovamente, se mai ci erano già stati, a San Marcellino.La Giudecca di San Marcellino occupava pochi spazi, tra l’attuale via dei Tintori, dove gli ebrei stessi erano soliti lavorare i tessuti, e la rampa di San Marcellino, proprio su quelle scalinate che oggi portano a Corso Umberto, arteria della moderna città, e che esistevano già nello stesso luogo all’epoca, identiche, solo un po’ più strette, di cui restano chiare tracce nel sottosuolo. E’ in questa zona che ancora le cronache cinquecentesche attestano la presenza di una sinagoga, la cui esatta ubicazione è tuttora incerta.E’ probabile che appartenga al periodo Svevo la giudecca sita nell’attuale zona di Forcella, nuovamente ai margini della città, forse per le tensioni con la popolazione locale, dove a tutt’oggi persiste il toponimo di via Giudecca Vecchia, anche se per gli ampliamenti del risanamento ottocentesco oggi non perdura più neppure la percezione dello spazio di quella che doveva essere la strada .Ma il risanamento, si sa, ha toccato soprattutto le facciate, l’esterno dei quartieri, lasciando pressoché inalterate i vicoli più interni, che presentano ancora in alcune zone una struttura a fondaco, dove è facile oggi farsi un’idea dell’ atmosfera dell’epoca tra vicoli stretti e bui anche a distanza di qualche secolo.

Si ringrazia il prof. Giancarlo Lacerenza per la preziosa collaborazioneTra vico della Pace e Forcella
dunque doveva insistere la giudecca vecchia, così nominata nel momento in cui si dovette distinguerla dalla nuova, ritornata ad essere più a sud nuovamente a San Marcellino, dove in periodo angioino è attestata la giudecca nuova. Prolungamento della giudecca di San Marcellino che aveva conosciuto pian piano un’espansione grazie all’aumento della popolazione ebraica, ampliandosi verso il mare e portando alla costituzione di una nuova sinagoga: forse l’attuale chiesa di Santa Caterina Sapinacorona, lo si deduce dall’impianto a pianta quadrata piuttosto singolare per una chiesa, e dalla presenza di una fontana con acqua corrente del Rubeolo, un affluente del Sebeto, un’acqua viva che si ricicla, elemento di vitale importanza per l’insediarsi di una sinagoga con accanto un bagno rituale, mikvé.Della Giudecca Nuova non resta più traccia se non nella cartografia, qui dove le ruspe del risanamento hanno cancellato ogni riferimento dell’espansione da Piazza Portanuova fin oltre gli odierni quattro palazzi intorno ad una via Giudecca Grande dove si stanziarono una serie giudecchelle e strade dal toponimo significativo, via Nova della Giudecca Grande, via Anticaglia della Giudecca, via S.Biagio alla Giudecca), dove gli ebrei vissero fino alla loro cacciata dal regno del 1510. da http://www.napoliebraica.it/Nelle foto: Via Giudecca Vecchia; La Scalinata di San Marcellino; Vicolo Limoncello all’Anticaglia, già vicus IudeorumFotografie di Luca Canzanella


ELI E. HERTZ QUESTA TERRA E’ LA MIA TERRA – Mandato per la PalestinaAspetti legali dei diritti ebraiciTraduzione di Eunice Randall Diprose; Pubblicazione e Distribuzione a cura di The New Thing, Padova, 2011, pp. 93, €.5,00

“ ‘…ha una vita intellettuale propria e mostra una notevole attività economica. Questa comunità, con la sua popolazione urbana e rurale, le sue organizzazioni politiche, religiose e sociali, la propria lingua, i propri costumi, la propria vita, ha di fatto le caratteristiche di una nazione’.Dalla relazione inviata il 22 aprile 1925 dall’Alto Commissario sull’Amministrazione della Palestina, Sir Herbert L. Samuel, all’On. L.S. Amery, Parlamentare britannico, Segretario dell’Ufficio Governativo per le Colonie, nella quale descriveva il modo degli Ebrei di organizzarsi come popolo”.Giornate febbrili, queste di inizio autunno.A poche settimane dalla perentoria richiesta di adesione unilaterale all’ONU (senza alcun accordo con Israele) come Stato di Palestina da parte dell’ANP, seguita a ruota dalla pretesa -cui i media non hanno dato particolare rilievo- di accedere all’UNESCO, quale membro a tutti gli effetti, con conseguente tentativo, al momento fallito, di inserire Betlemme e, in futuro, altri luoghi santi della tradizione ebraica, ad esempio Hevron e Jerico, nell’elenco dei siti “patrimonio dell’Umanità” sì, ma made in Palestine, ecco la notizia attesa da tempo immemorabile: la liberazione di Gilad Shalit, il giovanissimo soldato rapito, in territorio israeliano, dalle milizie di Hamas nell’estate di cinque anni fa e tenuto in una totale segregazione, senza che nemmeno alla Croce Rossa Internazionale fosse consentito di incontrarlo per verificarne le condizioni di salute. Alla base della liberazione, peraltro al momento (14 ottobre) non ancora avvenuta, sta un accordo intervenuto tra il democratico Governo di Gerusalemme e la feroce organizzazione terroristica, un tremendo baratto che vedrà lo scambio tra il militare di leva -ora ventiseienne- da una parte, e oltre un migliaio di palestinesi, uomini e donne, macchiatisi, a suo tempo, di orrendi delitti contro la popolazione israeliana, dall’altra.Un momento difficilissimo per l’Esecutivo guidato da Bibi Netanyhau e per tutto il Paese, una parte non esigua del quale, pur con estremo dolore, si è dichiarata contraria a tale mossa, ritenendola un cedimento alla strategia del terrore, foriera di nuove tragedie.Giunge quindi a proposito questo prezioso libretto, Questa terra è la mia terra, scritto da Elie E. Hertz, proprietario e curatore di Myths and Facts [1], sito web molto importante per una corretta informazione sul Medio Oriente e, in primo luogo, sul conflitto arabo/israeliano/palestinese.L’opera, tradotta in italiano da Eunice Randall Diprose e pubblicata grazie all’impegno della davvero benemerita EDIPI -Associazione Evangelici d’Italia per Israele [2]- spiega, in modo esaustivo e con linguaggio chiaro, il legame degli Ebrei con la loro Terra di origine, le motivazioni non solo storico-religiose, ma anche giuridiche sulle quali si fonda la legittimazione dello Stato ebraico.Come ha spiegato il Prof. Marcello Cicchese, durante la presentazione avvenuta lo scorso 22 settembre al Palazzo della Cultura Ebraica in Roma, questo testo in italiano è particolarmente rilevante perché:a. chiarisce che il problema mediorientale trova la sua base negli avvenimenti successivi alla Prima Guerra Mondiale: Dichiarazione Balfour del 2 novembre 1917 e successiva Risoluzione di San Remo del 1920 (“Conferenza di pace” che si svolse dal 19 al 26 aprile di quell’anno) nella quale si decise di conferire alla Gran Bretagna il Mandato per la Palestina, con il preciso compito di dare esecuzione a quella Dichiarazione di circa tre anni prima, con cui la Gran Bretagna si era dichiarata favorevole alla costituzione in Palestina di una national home per gli Ebrei. La Risoluzione adottata fu, in seguito, ratificata dalla Lega delle Nazioni nel 1922 e può essere dunque considerata come il primo riconoscimento ufficiale del costituendo Stato di Israeleb. pone l’accento, come detto, sugli aspetti giuridici -e non solo politici e religiosi- del problema poiché esamina i fondamenti di Diritto internazionale sui quali sono state adottate le decisioni fondamentalic. vede la luce in un momento in cui, oltre a ciò che ho scritto in apertura, è in corso da troppo tempo una campagna internazionale di delegittimazione, ad ogni livello, dello Stato di Israele.A quest’ultimo proposito, per limitarci a casa nostra, è imminente (lunedì 17 ottobre p.v.) la presentazione a Roma del primo rapporto del Parlamento italiano sull’antisemitismo, frutto delle ricerche effettuate dal comitato di indagine conoscitiva presieduto da Fiamma Nirenstein. Nel corso dell’indagine -ci informa il quotidiano il Foglio del 15 ottobre- sono stati interpellati anche esperti di fama internazionale come Dina Porat e Robert Wistrich. In un’anticipazione del rapporto si legge che i dati evidenziano la crescita verticale dell’antisemitismo che, nel 2009, ha raggiunto “un picco senza precedenti dalla Seconda Guerra Mondiale”. Da rilevare che un 44% (!) di italiani dichiara di non provare simpatia per gli Ebrei -d’altronde è sufficiente effettuare, a titolo personale, una piccola, ma attenta ricerca per trovare, ahimé, conferma di tale dato!-.Viene anche esaminata la piaga dell’antisemitismo on line, ormai diffuso a macchia d’olio, cui va imputato il fatto che il 22% dei giovani nel nostro Paese nutre un atteggiamento variamente ostile nei confronti degli Ebrei.Il documento riporta le conclusioni raggiunte sul “nuovo [in realtà ultraquarantennale, ma vertiginosamente incrementatosi nell’ultimo decennio] antisemitismo, che applica allo Stato di Israele stereotipi antisemiti.Ben venga dunque Questa terra è la mia terra, testo ampiamente documentato -tra le varie Rubriche ce n’è una intitolata in modo emblematico“Miti”-, arricchito da alcune fotografie e mappe. Tra queste ultime, significative le due di copertina. La prima raffigura il territorio in origine (1920) assegnato come Jewish National Home; la seconda mostra la zona destinata al costituendo Stato ebraico due anni dopo, a seguito della creazione, da parte britannica, del Regno di Transgiordania (in favore degli Hashemiti), creazione ottenuta tramite l’amputazione del 78% dell’intero.Questi dati rivelano l’autentico significato delle parole del Presidente dell’ANP, Mahmud Abbas, quando egli afferma che i Palestinesi, magnanimi, sono disposti ad accontentarsi del “solo” 22% del territorio della Palestina per fondare il loro Stato! Mara Marantonio www.angolodimara.com