giovedì 30 ottobre 2008


Israele/ Livni riceve anello con diamante da ammiratore canadese
Insolita proposta di nozze per il ministro, sposata con due figli

Roma, 28 ott. (Apcom) - Regalo insolito per il ministro degli Esteri israeliano Tzipi Livni: un ammiratore le ha spedito dal Canada un anello col brillante, scrive il quotidiano Yedioth Ahronoth. Il pacchetto-regalo, recapitato dalla FedEx negli uffici della nuova leader del Kadima, conteneva per l'esattezza un anello d'oro da 18 carati con diamante, una foto del mittente (tale Laurent Belanger residente in Quebec) e un biglietto scritto a mano su carta intestata con la frase, esaustiva: "So quello che faccio". La busta ha creato inizialmente qualche problema allo staff della candidata premier, che temeva contenesse materiale esplosivo. I servizi segreti sono stati felici di scoprirvi un 'semplice' anello adagiato in una scatoletta.
L'autenticità del prezioso, ci tiene a sottolineare il giornale, non è stata per il momento verificata, né il biglietto di accompagnamento ha fornito una spiegazione esatta sul significato del regalo. Gli assistenti di Livni ritengono si tratti di "una specie di proposta matrimoniale". La leader centrista - che è sposata con due figli - ha ordinato allo staff di rispedire, con tanti ringraziamenti, l'anello al mittente.

mercoledì 29 ottobre 2008

alcuni dei ragazzi ospiti

DALLA RAI TRE E DALLA FONDAZIONE VILLA EMMA (NONANTOLA) VENIAMO A SAPERE:
IL DOCUMENTARIO "I RAGAZZI DI VILLA EMMA - RAGAZZI EBREI IN FUGA" SARA' IN ONDA MERCOLEDI' 12 NOVEMBRE 2008, ALLE ORE 08.05 E 00.40, SU RAI TRE PER LA STORIA SIAMO NOI - RAI EDUCATIONAL - DIRETTA DA GIOVANNI MINOLI.

Villa Emma è una delle più belle residenze ottocentesche dell'Emilia Romagna. Fu realizzata a Nonantola (prov. di Modena) nel 1898 dall'architetto modenese V. Maestri per conto di Carlo Sacerdoti che la dedicò alla moglie Emma Coen. Nel 1913 la villa fu venduta e dopo alcuni passaggi di proprietà divenne, durante la prima guerra mondiale, granaio governativo. Dal 1940 transitarono e furono ospiti di Villa Emma, allora di proprietà del signor Grassi di Milano, numerosi emigrati e profughi israeliti.
Tra il luglio 1942 e il settembre 1943 giunsero e soggiornarono a Villa Emma due gruppi di ragazzi ebrei della Jugoslavia. Con l'occupazione nazista in Italia, il rischio di deportazione gravava anche sui giovani di Villa Emma. I nonantolani dimostrarono allora di voler offrire, oltre all'ospitalità, anche amicizia, solidarietà e fratellanza. Infatti nel giro di ventiquattro ore tutti i ragazzi e i loro accompagnatori furono nascosti e protetti all'interno del seminario o presso famiglie del luogo. In seguito grazie all'opera di don A. Beccari, del dott. Moreali nonchè diversi cittadini venne organizzata la loro fuga verso la Svizzera. Tutti si salvarono e alcuni di loro sono tornati a salutare e ringraziare la gente di Nonantola. (ulteriori informazioni e foto al sito: http://digilander.libero.it/fdp_1970/Villa%20Emma/villa_emma.htm)

martedì 28 ottobre 2008

posto di ristoro nel Neghev

Israele - Importante missione plurisettoriale per le aziende italiane

Una delegazione di aziende italiane prenderà parte ad una missione d'affari in Israele promossa dalla Camera di commercio Israele-Italia, che si svolgerà a Tel Aviv i prossimi 26 e 27 novembre. Il 26 inizieranno i lavori. Previsti seminari tecnici solo per le imprese italiane, suddivisi in 4 sessioni: la più importante quella sull'Hi Tech, in cui confluiscono Meccatronica, Sicurezza, Sanità, Ricerca e Sviluppo. Una sessione di Infrastrutture e opportunità di investimento, una sessione di Agro-industria e una sui Beni di consumo.Questo il programma della mattina del 26 novembre, in cui speaker israeliani illustreranno agli operatori italiani i settori di maggior sviluppo nel Paese. Nel pomeriggio del 26 previste anche 4 visite guidate a parchi tecnologici, incubatori e altri impianti."La giornata del 27 sarà il vero punto focale della missione . Nella mattina si svolgeranno gli incontri b2b tra le aziende italiane e le controparti locali. A seguire prenderà il via un business Forum, il cui moderatore sarà il presidente dell'Ice Umberto Vattani".Oltre alla delegazione di Confindustria, capeggiata dal presidente Emma Marcegaglia, interverranno al Forum anche il ministro degli Affari Esteri Franco Frattini e il ministro per lo Sviluppo Economico Claudio Scajola.Negli stessi giorni sarà presente in visita ufficiale di Stato in Israele il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.
lunedì 27 ottobre 2008 http://www.siciliainternazionale.it/


Rifugio di Sami Michael

Giuntina € 17,00

Cantore impareggiabile della tolleranza e della pacifica convivenza fra arabi ed israeliani, capace come pochi altri di sondare i misteri dell’animo umano, soprattutto quello femminile, Sami Michael, scrittore israeliano di origine irachena, torna al pubblico italiano con un nuovo romanzo edito dalla casa editrice Giuntina, “Rifugio”.Apparso in Israele nel 1977 dove ha suscitato grande clamore, “Rifugio”, il cui titolo originale è Chassut, racconta una storia ambientata nei primi tre giorni della Guerra del Kippur, un conflitto le cui conseguenze hanno pesato a lungo in termini di sofferenze sul popolo israeliano.
Lo scrittore, che è nato a Bagdad nel 1926 nella comunità ebraica più antica del mondo, narra attraverso le storie di un gruppo di comunisti israeliani e arabi, che si trovano a interagire nella stessa casa e nei medesimi luoghi, un momento molto drammatico per lo Stato d’Israele.
Con grande maestria e capacità introspettiva analizza i sentimenti di aspirazione nazionale che albergano nell’animo dei palestinesi, alcuni dei quali costretti a lasciare le loro terre, e la difficoltà per gli israeliani di trovare una strada, al di là delle utopie e delle ideologie, che consenta ai due popoli di vivere insieme.Tutti i romanzi di Sami Michael e questo in particolare, racchiudono parte delle sue esperienze di vita e risentono fortemente della sua cultura araba. Lui stesso si definisce “un arabo che scrive con caratteri ebraici”.Membro di un gruppo clandestino comunista che lottava contro l’oppressivo regime iracheno era stato costretto a fuggire dall’Iraq dopo che un tribunale iracheno aveva emesso un mandato d’arresto nei suoi confronti. Giunto in Israele “con la cultura e la lingua del nemico” ha lavorato per anni come idrologo amministrando le risorse idriche al confine con la Siria, conseguendo anche la laurea in Idrologia, Psicologia e Letteratura araba. Per la sua attività di scrittore (ha pubblicato romanzi, saggi e opere teatrali) e per il suo impegno a favore della pace, Sami Michael è stato insignito di onorificenze e premi prestigiosi ed è l’unico scrittore israeliano ad essere pubblicato in Iraq ed Egitto.Con determinazione e perseveranza ha imparato l’ebraico e nel 1974 ha pubblicato il suo primo romanzo “Gli uomini sono uguali ma alcuni lo sono di più”.“…..goccia dopo goccia l’ebraico è entrato dentro di me; ogni volta che ci penso sono convinto che si sia trattato di un miracolo. Sono diventato uno scrittore israeliano. Da allora mi dedico a narrare gli universi che ho avuto il privilegio di conoscere”.Ed è proprio attraverso il personaggio di Marduch che lo scrittore ci introduce alle vicissitudini che hanno costellato la sua vita prima dell’arrivo in Terra d’Israele.
Marduch è un personaggio complesso dotato di straordinaria sensibilità: le traversie che ha affrontato nel suo paese in quanto membro del partito comunista, le torture e le sofferenze patite non hanno scalfito la sua umanità e la capacità di accostarsi con pazienza e amore al figlio Idò, nato con un ritardo mentale.
La moglie Shula è una delle figure più belle e al contempo controverse del romanzo a conferma della mirabile capacità dello scrittore israeliano di sondare le pieghe più recondite dell’animo umano femminile.Bella e volitiva, spirito ribelle, è incapace di sottrarsi alle imposizioni della madre Tova, una comunista fanatica che la costringe ad abbandonare il suo amore adolescenziale, Rami Goldshmid, un giovane fiero di appartenere all’esercito israeliano e per questo poco “compatibile” con i dogmi del Partito.Le convinzioni di Marduch, la cui origine e appartenenza al Partito lo portano ad un atteggiamento di comprensione e tolleranza verso gli arabi, spesso confliggono con le opinioni di Shula e la sua radicata identità di ebrea.“…in presenza di arabi era sempre molto cosciente di essere ebrea. Anche Marduch aveva una forte coscienza ebraica, ma le relazioni con gli arabi non gli creavano problemi”.
Un’altra coppia che si dibatte fra problemi di coscienza e identità, in una quotidianità resa ancor più complicata dalle difficoltà economiche, è Fuad e Shoshana. Quest’ultima, amica di Shula, è stata cacciata dal suo villaggio di Yessod Hamaalé dopo aver sposato un arabo cristiano. Ed è proprio nei loro figli che le contraddizioni esplodono con violenza e le difficoltà del vivere assieme si acuiscono nel confronto fra Amir, fiero della sua appartenenza ebraica, e Victor e Naym nei quali emerge con forza la fierezza di sentirsi prima di tutto “arabi”.
Attorno a queste coppie si muovono personaggi indimenticabili tratteggiati con la sensibilità e la perizia di chi conosce in profondità le identità, le culture, le paure e i desideri di entrambi i popoli: Tuvia, il pensionato ebreo che abita al piano di sopra della casa di Shula e scoprendo che la giovane donna ha dato rifugio al poeta palestinese Fatchi cerca di proteggerla. Il poeta, che è stato costretto a lasciare la sua casa dopo la guerra del ’48, nutre sentimenti di rabbia, desiderio di rivalsa ma anche ammirazione nei confronti degli israeliani nella consapevolezza che non potrà mai essere come loro. E la conferma dolorosa gli viene dal fatto che, nonostante il suo amore per Shula, “….lui era soltanto un arabo e lei soltanto un’ebrea”.Il dramma che colpirà Shula in quei primi giorni della Guerra del Kippur – che non sveliamo al lettore – riconferma la straordinaria attualità del romanzo perché “….da una parte il muro di ignoranza ancora sussiste, dall’altra le ambizioni di questi due popoli non si sono ancora realizzate e le persone come i personaggi del libro, continuano disperatamente a cercare rifugio”.
Come i precedenti romanzi di Sami Michael pubblicati da Giuntina, (“Una tromba nello uadi”, “Victoria”) anche “Rifugio” è prima di tutto un’analisi accurata delle complesse relazioni che intercorrono fra arabi, israeliani, ebrei, cristiani e mussulmani in un paese come Israele nel quale le ragioni dell’una e dell’altra parte si confrontano ogni giorno; ma è anche un simbolo di speranza e di pace oltre che di tolleranza e pacifica convivenza fra i popoli. Giorgia Greco

lunedì 27 ottobre 2008


IDA BRUNELLI

Una monselicense tra i "Giusti" d'Israele
Ida Brunelli (poi Lenti) nata a Monselice in provincia di Padova, era una ragazzina che, durante la guerra, riuscì con determinazione e coraggio a salvare la vita ai tre bambini ebrei che aveva in cura. La coppia ungherese Toth Kalman e Yuzzi Galambos, entrambi artisti, ballerini e musicisti, era giunta in Italia nel 1930. Yuzzi lavorava anche come traduttrice e dava lezioni private di tedesco. Nel 1940, Kalman era ritornato in Ungheria ed era stato arruolato nell'esercito ungherese.
Dopo essere stato ricoverato in ospedale per problemi di salute, nel 1942 la corrispondenza con lui si era interrotta e da allora nessuno seppe più che cosa gli fosse successo. Yuzzi, rimasta sola, lottò per guadagnarsi da vivere e per mantenere i suoi tre figli: Alessandro, di otto anni (poi Zvi Yànai, che diventò direttore generale del ministero della Scienza e della Tecnologia in Israele), Fiorenza, di tredici (poi Judit Adier) e Lisetta di dodici. Durante la guerra, i Kalman andarono ad abitare a Castiglion Fiorentino in provincia di Arezzo, assieme alla giovane bambinaia Ida Brunelli, di quindici anni, considerata membro della famiglia. Ida era all'oscuro del fatto che la famiglia Kalman fosse ebrea, cosa che non si riusciva a desumere dalle loro abitudini. I bambini sapevano solo che la madre aveva un fratello in Israele (allora Palestina). Nel 1943 Yuzzi si ammalò di cuore e nel gennaio del 1944 morì di angina pectoris. Sul letto di morte, chiese a Ida di prendersi cura degli orfani e le rivelò la loro identità ebraica consegnandole un documento che lo dimostrava. Nei giorni a venire, durante l'occupazione e la persecuzione degli ebrei, Ida mantenne il segreto e non mostrò mai a nessuno il documento. Dopo la morte di Yuzzi, la giovane Ida diventò come una madre per i bambini, ma riusciva con difficoltà a nutrirli per la carenza di risorse economiche. Disperata, decise di portarli da sua madre Maddalena a Monselice. Essi furono presentati come profughi ungheresi, furono loro insegnate in fretta le preghiere cattoliche e nessuno sospettò che erano ebrei. Tuttavia, anche lì Ida non riusciva a provvedere ai bambini da sola e così si rivolse al podestà (sindaco non elettivo) che fu pronto a dare il suo aiuto per trovare istituzioni cattoliche vicine a Padova disposte ad accettare i bambini. Una volta sistemati là, Ida li andava a trovare regolarmente e passava con loro tutte le domeniche. Era una ragazzina inesperta ma si occupò dei tre bambini che le erano stati affidati con una maturità unica, tenendo sempre a mente le ultime parole della loro mamma.
Dopo la guerra, con l'aiuto del sindaco, si mise in contatto coi soldati della Brigata Ebraica che cercavano di reperire in tutta l'Italia gli ebrei orfani. Uno dei soldati, Shiomo (Sever) Rovitz, ricorda ancora quel giorno di giugno del 1945 quando la diciottenne Ida comparve coi tre bambini al campo militare di Santa Colomba, vicino a Siena.La ragazza gli disse che i bambini erano ebrei e gli raccontò le loro peripezie durante la guerra. Rovitz, dopo aver verificato il racconto della ragazza, rimase estremamente colpito dal suo coraggio e dal suo impegno. La giovane però non volle lasciare i bambini nel campo coi soldati fino a che non fu sicura che essi salissero davvero a bordo della nave che partiva da Napoli alla volta della Palestina.
Nel 1950 Ida scrisse una lettera al rabbino capo di Roma raccontandogli la sua storia. Il settimanale ebraico italiano «Israel» pubblicò un articolo dal titolo Un caso di coscienza. Ida visse sempre molto modestamente, si sposò tardi e non ebbe figli propri.
Il 24 febbraio del 1993, Yad Vashem ha riconosciuto Ida Lenti (nata Brunelli) come Giusta tra le Nazioni. Dossier 3995
NOTE STORICHE
I Giusti tra le Nazioni sono i non ebrei che durante la Shoah salvarono uno o più ebrei dalla deportazione e dalla morte rischiando la propria vita e senza trarne alcun vantaggio personale. Yad Vashem, l'Istituto per la Memoria della Shoah, organismo ebraico ufficiale sorto nel 1953 a Gerusalemme sul colle della Rimembranza e volto a preservare la memoria della Shoah, si dedica dal 1963 alla ricognizione e al riconoscimento di questi salvatori.
Una commissione di trentanove membri presieduta da un ex giudice della Corte Suprema vaglia la candidatura a Giusto tra le Nazioni, autorizza l'apertura di un dossier e nomina un esperto della storia e della lingua del paese considerato. Coloro che vengono riconosciuti Giusti e, in alcuni casi, i loro rappresentanti, partecipano a una cerimonia che si svolge sia a Gerusalemme che nel paese di residenza, durante la quale ricevono una medaglia e un diploma d'onore, piantano un albero lungo il viale dei Giusti a Yad Vashem e presenziano all'incisione dei loro nomi sui muri che circondano il giardino del Memoriale.
I Giusti tra le Nazioni riconosciuti da Yad Vashem oggi sono più di 20.000. Tra questi più di 400 sono italiani, uomini e donne che hanno nascosto, protetto e nutrito ebrei in pericolo di vita per settimane, a volte mesi. Molte delle loro storie sono qui raccolte a dimostrazione e ricordo dell'esistenza, malgrado la tragedia che colpì il popolo ebraico, di uomini e donne che non sono rimasti passivi ma hanno rischiato la vita

Giuseppe Brusasca

nacque a Cantavenn a di Gabiano, in provincia di Alessandria, il 30 agosto 1900, in una famiglia di proprietari terrieri impegnati nel miglioramento dell'attività agricola del Casalese: suo padre Giovanni diffuse il metodo Solari di fertilizzazione delle terre, ispirandosi alla neofisiocrazia. Fu anche lungamente sindaco di Gabiano. Giuseppe studiò per un breve periodo in un collegio salesiano, poi frequentò ginnasio e liceo pubblici a Casale Monferrato. Giovanissimo, si iscrisse alla facoltà di Ingegneria presso il Politecnico di Torino, per rispetto dei voleri familiari, ma fu chiamato alle armi nel maggio del 1918 e superò i corsi di ufficiale presso l'Accademia militare di Torino. Tornando all'università dopo la parentesi militare, optò per la più congeniale facoltà di Giurisprudenza in cui si laureerà nel 1923, aggiungendo nel 1926 anche una laurea in Scienze economiche e politiche.Nel fervore di attività del primo dopoguerra si impegnò nella Federazione universitaria cattolica italiana (all'interno del circolo "Cesare Balbo" di Torino) e nella Gioventù di Azione cattolica, di cui fu presidente diocesano di Casale, vicepresidente regionale piemontese e membro del consiglio nazionale, tra il 1920 e il 1923. Parallelamente, sperimentò l'azione sociale con i contadini del Monferrato, mentre prese anche parte con entusiasmo alla parabola del Partito popolare italiano, seguendo il padre, il quale aveva ottenuto ruoli dirigenti nel partito a livello locale e venne anche eletto deputato nel 1919 e nel 1921.Il giovane Giuseppe arrivò a diventare segretario politico della sezione di Casale (1920-1923), uno dei pochi centri vivaci della presenza popolare nell'Alessandrino socialista. Il partito casalese era fortemente legato al radicamento cattolico-sociale, su linee democratiche avanzate. Brusasca assunse posizioni rigidamente antifasciste, e si trovò eletto in consiglio comunale come capo della minoranza popolare contro i fascisti, dal 1923 al 1925. Iniziò contemporaneamente l'esercizio dell'avvocatura, ma nel 1926 (dato il clima politico ostile) lasciò Casale e si stabilì a Milano, dove lavorò per qualche tempo nello studio di Angelo Mauri, anch'egli ex deputato e dirigente popolare, aprendone in seguito uno proprio. Nel 1932 si sposò con Emma Cavalli, ebbe quindi due figlie ma restò presto vedovo (si risposerà in seconde nozze con Anna lemma solo nel 1966). A Milano frequentava intanto i circoli privati degli antifascisti cattolici, da Gronchi a Jacini, da Clerici a Marazza. Brusasca venne così a trovarsi in una posizione importante nella ripresa di contatti personali che portarono alla costituzione della Democrazia cristiana tra 1941 e 1943: partecipò ad esempio alla stesura del cosiddetto "Programma di Milano" - uno dei testi più significativi del nuovo partito al Nord - assieme ad alcuni esponenti ex popolari e ad altri giovani del movimento "guelfo", che si era sviluppato dall'unica scintilla di attività antifascista militante compiuta dai cattolici negli anni Trenta. Incaricato fin dal periodo clandestino di seguire particolarmente la nascita dei partito in Piemonte, dopo l'8 settembre si impegnò nella Resistenza, fondando assieme ad alcuni amici la divisione autonoma "Patria" che operò nel Casalese e nel Monferrato. Ricoprì delicati ruoli di coordinamento politico nell'attività partigiana, esponendosi anche personalmente per salvare alcune famiglie ebree (Salvò la famiglia Foa di Casale, i Sacerdote di Milano e i Donati di Modena: di quest’ultimo riuscì a salvare parte delle proprietà trasferendole a suo nome. Per tutto questo ottenne nel dopoguerra la medaglia dei "giusti" da parte israeliana). Ebbe occasione di condurre le prime fallite trattative per la resa di Mussolini nell'aprile del 1945 (prima degli incontri presso l'arcivescovado milanese auspice il cardinale Schuster), utilizzando contatti personali che ne fecero un mediatore sicuro. Dopo la liberazione, sostituì Achille Marazza quale vicepresidente del CIn Alta Italia per conto della Dc, e si schierò in varie occasioni per valorizzare l'istituto dei CIn nel nuovo quadro democratico. Segretario provinciale della Dc di Alessandria fin dalla liberazione, fu anche chiamato dal CIn alla carica di presidente della Provincia. Membro del consiglio nazionale della Dc dal 1945 al 1947, fu poi anche per breve tempo membro della direzione nazionale tra 1945 e 1946, portandovi la spinta decisamente repubblicana degli ambienti resistenziali. ................................ Solo nel 1955-'57 tornò brevemente al governo, come sottosegretario alla presidenza del Consiglio, con una delega per i problemi dello spettacolo. Nel 1972 scelse di non ripresentarsi alle elezioni, dedicandosi alla vita del partito in modo originale, con la fondazione del Movimento anziani della Dc (1983) e poi degli specifici movimenti degli "ottantenni" e dei "novantenni" del partito. Morì a Milano il I' giugno 1994.

(Il testo completo al segunete sito:

Rinaldo Arnaldi

Nato a Dueville il 19 giugno 1914 e conseguita la laurea in Economia e Commercio a Venezia nel 1940, Rinaldo volle diventare Ufficiale carrista per amore di patria, anche se il regime perseguitava il padre, segretario comunale e integerrimo antifascista. All’armistizio del settembre 1943, però, non ebbe nessun dubbio a passare immediatamente (era soltanto il 10 settembre) nella Resistenza, dove fu conosciuto col nome di battaglia “Loris”, adottato dopo la sua morte dall’altra Med. d’oro thienese, Giacomo Chilesotti. Nell’autunno del 1943 la Resistenza nel vicentino era ancora disarmata, intenta a proteggere i giovani dagli artigli dei fascisti, a raccogliere armi, ma soprattutto ad aiutare i perseguitati dal regime e i soldati alleati in fuga dai campi di concentramento. Rinaldo fu uomo d’azione: tentò la strada di Pescara e quella della Dalmazia per collegarsi col Regno del sud, e percorse più volte quella della Svizzera per accompagnare Ufficiali e soldati alleati fuggiaschi o anziani ebrei perseguitati. Fu uomo saggio e prudente, ma nello stesso tempo forte, deciso e coraggioso nella missione che si era liberamente scelto in nome dei valori cristiani e umani. Nell’opera di accompagnamento verso la Svizzera gli furono di sommo aiuto la sorella Mary, lo scalatore Gino Soldà e l’appoggio incondizionato di don Antonio Frigo. Nel febbraio del 1944, condusse dall'Italia in Svizzera Alexander, Oscar e Agnes Klein, allora incinta, di Vienna, e un gruppo di altri fuggitivi, attraversando le montagne. Il dottor Arnaldi rimase in Svizzera col gruppo per qualche giorno e poi ritornò clandestinamente in Italia. L'operazione di salvataggio è confermata dal sacerdote don Antonio Frigo di Vicenza che aiutò il dottor Arnaldi nell' organizzare la fuga.
Con l’aprile 1944 ogni spedizione verso la Svizzera venne meno: gli ebrei presenti nel vicentino, infatti, furono rastrellati e deportati dai tedeschi. Fara Vicentino, ai piedi delle Prealpi Venete, divenne la sua zona d’azione e diventerà poi la sua tomba. Morì in combattimento a Granezza il 6 settembre 1944 e l’11 settembre la sua salma, recuperata dai patrioti, fu provvisoriamente e nascostamente sepolta nel cimitero di quel paese. Arnaldi, dopo la sua morte, fu premiato dal governo italiano per il suo eroismo con la medaglia d'oro alla memoria. Questa la motivazione della Medaglia d’Oro alla memoria: "Per indomita volontà di fiero italiano, subito dopo l’8 settembre 1943 raccolse intorno a sé tra i monti della terra nativa, i giovani anelanti di redimere la Patria oppressa. Organizzatore instancabile e trascinatore entusiasta, fu l’anima ardente della sua brigata e seppe guidare i suoi uomini in aspri cimenti, rifulgendo per insigne coraggio e per sprezzo del pericolo. Molti perseguitati politici e militari alleati evasi dalla prigionia e braccati dal nemico devono la propria salvezza al suo altruismo ed alla sua abnegazione. Sugli spalti di Granezza, titano insuperabile, sosteneva per lunghe ore aspro combattimento e lanciava i suoi partigiani in temerari assalti. Colpito al cuore si accasciava sull’arma arroventata, leggendario eroe, uno contro mille, non vinto che dalla morte e dalla gloria".
Il 3 gennaio del 1983, Yad Vashem ha riconosciuto Rinaldo Arnaldi come Giusto tra le Nazioni. (Dossier 1113)
Per maggiori dettagli sulla famiglia Klein si veda il comune di Arsiero nella sezione “Gli internati nella Provincia di Vicenza”. Le notizie riportate sono tratte dal libro

“I Giusti d’Italia. I non ebrei che salvarono gli ebrei 1943-1945”, Mondadori 2006, pag. 26

Lo scontro in cui Arnaldi e i suoi partigiani caddero combattendo è stato ricostruito in un documentario sulla storia di Thiene (Vicenza), girato nel 2003 da Dennis Dellai, dal titolo "Così eravamo". http://www.dalrifugioallinganno.it/giusti_arnaldi.htm

Abraham B. Yehoshua


COSTRUIRE UN EDIFICIO, COSTRUIRE UN ROMANZO
(Reggio nell’Emilia 25 ottobre 2008: Incontro con Abraham B. Yehoshua)

Incontrare di persona Abraham B. Yehoshua è sempre un’esperienza coinvolgente.
Abbigliamento un po’ casual di chi non bada all’eleganza, statura media, volto dagli inconfondibili lineamenti sefarditi, capelli grigi scompigliati e due mani fatte apposta per essere mosse di continuo al fine di dare maggior vigore ed efficacia alle argomentazioni che porge in un inglese chiarissimo, senza sbavature, lo scrittore ha intrattenuto per poco più di un’ora il pubblico che ha gremito il moderno Teatro Cavallerizza, ai margini del centro storico cittadino .La presenza dell’autore israeliano ha illustrato il quarto Festival dell’Architettura -in programma dal 18 ottobre al 9 novembre a Modena, Reggio Emilia, Parma, ricco di conferenze, seminari, dibattiti, mostre, proiezioni, incentrate sul tema “Architettura e paesaggio”- con due iniziative. La prima, svoltasi a Parma, è la rappresentazione dell’opera teatrale “Una notte di maggio” (1968), una storia che si svolge in una sola notte, quella del 23 maggio 1967 (alla vigilia della c.d. “Guerra dei Sei giorni”), tra le sette di sera e le sei del mattino, all’interno di un appartamento a Gerusalemme, dove si ritrovano i membri della famiglia Sarid. La seconda è stato l’incontro di ieri a Reggio Emilia. A dir la verità, l’argomento della conferenza, così come indicato sulla brochure del Festival e come anticipato da interviste, rilasciate dallo stesso scrittore e apparse nei giorni scorsi sui principali quotidiani, avrebbe dovuto essere: “Storie di città: la mia Gerusalemme”.
Sappiamo bene quanto A.B.Yehoshua sia legato alla sua città natale. Lì ha trascorso la sua giovinezza, si è sposato, ha comperato, come ricorda, il primo appartamento; conosce molto bene la storia e ogni angolo della capitale di Israele, grazie anche agli studi del padre, professore di orientalistica, autore di numerosi volumi sulle tradizioni dei sefarditi gerosolimitani e sui rapporti tra ebrei e arabi. Nonostante viva da molti anni nella laica Haifa, Gerusalemme è una città in cui egli ritorna sempre, anche nel proprio percorso di scrittore: l’ultimo esempio è la vicenda narrata in “Fuoco amico”. Una bella chiacchierata su Gerusalemme, le sue infinite problematiche, le implicazioni politiche e religiose, il conflitto israelo-palestinese, ecc., ecc. Questo tutti si aspettavano, ieri pomeriggio, me compresa.Invece no. Da grande personaggio quale egli è, ha voluto riservarci il “coup de théâtre”, suonare una musica nuova: il rapporto tra Letteratura e Architettura. “La parte iniziale di un racconto o di un romanzo [“novel”] è per me la più difficile; sono quelle prime dieci / quindici pagine lo scoglio più arduo, perché esse definiscono l’opera e dunque esigono più tempo e fatica”. Così egli ha esordito, seduto al tavolo insieme all’Assessore Paolo Gandolfi, con le luci della sala appositamente concentrate su di lui.Ognuno ha il suo stile, è ovvio, il suo metodo di lavoro; ma, per quanto lo riguarda, a volte gli capita di fermarsi anche sei mesi a riflettere sulla struttura di un’opera.
“Penso, cancello, mi fermo, rifletto, riscrivo….Mi sento come un architetto impegnato nel progetto di un edificio”. Queste difficoltà sono ancora più forti, spiega, in un drammaturgo. Il romanziere può, diciamo, alleggerire la tensione, mentre ragiona sul dipanarsi della vicenda, con vari accorgimenti (le descrizioni, per esempio), ma un drammaturgo non ha questa valvola di sfogo. Arthur Miller, egli ricorda, a volte teneva fermi i suoi lavori per lungo tempo, perché riteneva di non aver posato, nella costruzione in divenire, i mattoni giusti e, in particolare, era l’ultimo mattone a preoccuparlo.Perché, certo, è possibile che il “finale” di una storia, già programmato fin dall’inizio, debba essere cambiato, in quanto non sostenuto da sufficienti motivazioni. Ad esempio, racconta, il protagonista del suo “Ritorno dall’India”, l’io narrante del romanzo, è un giovane medico, che, innamorato di una donna assai più anziana, avrebbe dovuto, alla fine, suicidarsi. Sembrava un’idea stupenda quella di un suicidio maschile: si sarebbe finalmente spezzato il collaudato, ma prevedibile, filone ottocentesco dei suicidi femminili (le varie Anna Karenina, Madame Bovary, ecc.); e invece il personaggio, confessa ridendo, “lottava strenuamente contro di me che volevo riservargli tale fine”. In conclusione, “ho dovuto convenire che non c’erano le basi sufficienti per giustificare quel suicidio. Non disponevo di ferro e cemento nella misura adatta” ha precisato con un sorriso ironico; e dunque il giovane medico non arriva all’estremo gesto.I termini che Yehoshua ha usato di preferenza, durante l’incontro, sono stati “(to) build” (costruire) “building” (costruzione); parole collegabili al greco poieo (faccio), da cui deriva il nostro “Poeta”. Magie circolari.La trama è l’aspetto essenziale di un romanzo, la sua struttura cioè; in questo egli non concorda affatto con coloro che ne sottovalutano l’importanza. Se pensiamo ad una cattedrale, riprende il confronto Letteratura / Architettura, ciò che la rende imponente, significativa è la sua struttura, la sua… trama (“plot” in inglese); lo stesso vale per un romanzo o un racconto.
Lo stesso Aristotele, prosegue, ci insegna che un buon spettacolo consta di tre fasi: iniziale, centrale e finale. La parte centrale vede lo svilupparsi della trama, che, nel momento finale, deve contenere, per dar vita ad un’opera di pregio, una sorta di “necessaria sorpresa”, lo scrittore ha ripetuto più volte questa espressione, compiendo eloquenti gesti con le braccia.
Un esempio: il finale de “il Malato immaginario” di Molière, quando il protagonista, Arpagone, fintosi morto per saggiare la fedeltà dei familiari, comprende che l’unica ad amarlo, tra costoro, è proprio la figlia, per la quale aveva progettato il matrimonio con un medico, da lei detestato, ma che avrebbe potuto, in ogni istante, occuparsi delle false malattie di lui. Egli impara la lezione e decide di smetterla con la propria deleteria ipocondria e di mandare a monte i vecchi programmi, portatori solo di infelicità.Una riflessione finale ricca di humour per questo impareggiabile incontro: l’opera dell’architetto, anche se modesta, è destinata, almeno per un certo periodo di tempo, a rimanere in piedi; se un romanzo è mediocre, finisce dimenticato nell’angolo polveroso di una biblioteca. Mara Marantonio Bernardini, 26 ottobre 2008 http://www.mara.free.bm/

domenica 26 ottobre 2008

Rehovot - casa Weizmann

Ghana: rapito uomo d'affari Israele

(ANSA) - ACCRA, 25 OTT - Un uomo d'affari israeliano e' stato rapito in Ghana da sconosciuti che hanno chiesto un riscatto di 300mila dollari per liberarlo. L'israeliano e' stato rapito domenica scorsa in circostanze ancora non chiarite. Una cellula che raggruppa diverse agenzie di sicurezza e' stata allestita per liberarlo. Il quotidiano israeliano Jerusalem Post afferma che l'uomo ha una sessantina d'anni. I sequestri sono rari in Ghana, ma frequenti nella vicina Nigeria.

i ragazzi del “Beresheet LaShalom”
A volte, rispondendo con calma, si ottengono buoni risultati......

Gentile Padre Giovanni,
……………….Ci sarebbe molto da dire e da scrivere ma, ahime, io ho pochissimo tempo a disposizione!
Le diro' in due parole cosa mi ha affascinato della Sua lettera: il suo slancio. Ecco penso che questo sia un dono che i nostri vicini , in tutte le loro sofferenze, abbiano ricevuto. Lo slancio con cui molte persone si sforzano di aiutarli. Non so cosa darei per avere un po di gente come Lei che si batte per far si che si capiscano i dolori di ambo le parti. Persone che sappiano vedere le sofferenze delle due parti, che riescono a capire che sia gli israeliani che i palestinesi sono vittime di chi continua a gestire la guerra. Che sono consapevoli del fatto che un centro commerciale scintillante non significa che le madri d'Israele dormano piu' tranquille delle madri palestinesi che possono acquistare solo nei mercati. Cosa penso della barriera di difesa?
Penso che ha creato un po' di calma. Che ha bloccato di molto il traffico di stupefacenti verso Israele. Che sarebbe stato meglio, molto meglio se non avessimo mai dovuto costruirla. Perche' i muri, quelli visibili e quelli invisibili, sono sempre un freno, una divisione...ma che fare? Le case sono fatte di muri...e solo a casa si e' sicuri....lei lascia tutto aperto quando esce? Magari lei si! Ma quanta gente conosce che lascia la casa aperta quando esce? Che forse ha paura dei ladri?
Noi avevamo paura che ci rubassero la cosa piu preziosa: la vita, la vita dei nostri cari...quando salivamo sull'autobus o quando andavamo a mangiarci una pizza. E i possibili ladri di questi beni preziosi erano dei poveri disperati che qualcuno aveva convinto a credere che noi ebrei fossimo la causa di tutti i loro mali!Vede,con la sua forza, il suo entusiasmo e la sua volonta'...se solo lo volesse, potremmo veramente fare grandi cose. Per tutti, per tutti coloro che soffrono. Per quelli che vorrebbero vivere e basta.Mi creda, c'e' tanta gente cosi anche da questa parte.
Io, per ora ho raccolto 12 ragazzi di 18 anni, meta' arabi e meta' ebrei. Vivono insieme in due villette sul Monte Meron a pochi km da casa mia e insieme danno un anno di volontariato nei villaggi e nei kibbuzim della zona....un modo come un altro per avvicinare i cuori.
Allora,un sincero abbraccio da Angelica