sabato 28 aprile 2012
Confesso che l’articolo di Ivano Marescotti pubblicato da Il Fatto Quotidiano
mi era sfuggito o, più probabilmente, era finito nel calderone delle
decine di articoli pressappochisti su Israele che vengono scritti volta
per volta da chi vuole la ribalta mediatica. Generalmente non mi piace
criticare articoli scritti da altri ma per questo voglio fare una
eccezione.Il perché è presto detto: è un articolo
intelligente, pressappochista ma intelligente in quanto è decisamente
subdolo e proprio per questo degno di nota. Di primo acchito non si può
dire che sia un articolo antisemita ma lo è, con intelligenza, con
furbizia, persino con cose ovvie e piuttosto farlocche, ma è decisamente
antisemita e spiego subito perché.L’articolo di Marescotti fa parte di
quella famiglia di scritti che punta dritto a delegittimare Israele, a
negare o a mettere in dubbio la sua democrazia insinuando nel lettore
l’idea che in realtà si sia di fronte a uno Stato teocratico, nato senza
averne il Diritto e portando via la terra ad altri (Marescotti dice
testualmente: creare uno Stato in pochi mesi (con una direttiva ONU,
dopo la guerra) in territorio altrui, assumendo la caratteristica di
una classica occupazione coloniale, probabilmente è stato un errore
fatale). Questa forse è la delegittimazione più importante e
subdola. Secondo il Marescotti la nascita di Israele sarebbe stata
quindi un “errore fatale”. Lasciamo perdere il contorto
discorso sul fatto che un popolo millenario non abbia il Diritto di
tornare alla sua terra di origine (l’esempio con i neri d’America è
davvero il massimo del contorsionismo), il messaggio che si vuol mandare
è devastante e decisamente antisemita.Ma il massimo Marescotti lo raggiunge quando afferma: “molti
Stati del Medio Oriente, Iran e Siria soprattutto, hanno
caratteristiche profondamente antidemocratiche e mentalità medievali,
sono pericolosi, razzisti e tirannici. E fin dalla sua nascita Israele,
lì in mezzo, costituisce un magnifico pretesto per la loro odiosa
politica oppressiva. Ma Israele non fa nulla per evitare le tensioni”. Insomma, Israele ormai c’è (anche se per un errore fatale)
ed è in mezzo a paesi razzisti, tiranni e pericolosi che ne bramano
l’annientamento, però non fa niente per evitare le tensioni con questi
paesi. Per esempio potrebbe permettere ai suoi nemici di infiltrarsi in
Israele e compiere attentati. La costruzione del muro di protezione,
secondo questa contorta teoria, sarebbe quindi un atto antidemocratico
in quanto ha impedito ai terroristi di farsi esplodere negli autobus
israeliani e questo, naturalmente, alza la tensione. Il fatto che
Israele sia preoccupato per il nucleare iraniano (viste le intenzioni di
Teheran) innalza le tensioni. Insomma, Israele per non innalzare le
tensioni nell’area dovrebbe permettere ai suoi nemici di fare ciò che
vogliono.Che dire poi di quando il Marescotti afferma con sicurezza che Israele tiene i suoi cittadini arabi “in subalternità politica, economica e sociale”,
dimostrando non solo di non conoscere affatto la realtà israeliana ma
di inventarsi si sana pianta affermazioni ridicole e mendaci al solo
fine di squalificare e delegittimare lo Stato di Israele e con esso i
suoi cittadini.Vede sig. Marescotti, in Israele tutti
possono criticare il Governo e lo fanno. Ci sono Ong pagate
profumatamente con soldi pubblici che lavorano esclusivamente contro il
Governo israeliano, di qualsiasi colore esso sia. Ci sono manifestazioni
e persino scioperi. Il tutto nella massima libertà. I blogger che
contestano il Governo non vengono arrestati a differenza di quello che
avviene i Cisgiordania o a Gaza. Chi contesta il Governo non viene
ammazzato come è avvenuto a un noto “attivista” italiano da anni
residente a Gaza e strangolato perché si era permesso di contestare
Hamas (lo ha fatto una sola volta e gli è stata fatale). Anche
all’estero tutti possono contestare le decisioni israeliane, ma cercare
di delegittimare lo Stato di Israele come fa lei, a partire dalla sua
creazione che lei giudica un “errore fatale”, è il
peggiore degli antisemitismi perché nascosto dietro a ragionamenti che
potrebbero anche avere un senso se non fosse che sono pretestuosi e
unicamente volti alla pura e semplice delegittimazione. Ecco perché io
ritengo che il suo sia un discorso antisemita, perché punta a
delegittimare un popolo, quello ebraico, facendo però credere (o
cercando di farlo agli allocchi che non mancano mai) che le sue sono
contestazioni nel merito. E no, questo si che è “ipocrita e vigliacco” e
pure in malafede. Mi chiedo, ormai invano da tanto tempo, come mai
illuminati personaggi come lei o altri (mi vengono in mente i Lerner, i
Vauro ecc. ecc.) non spendono mai una sola parola per criticare Hamas o i
regimi sanguinari che circondano Israele. Perché per una volta non si
parla dei curdi massacrati dai turchi, dei siriani o dei ragazzi del
Movimento Verde iraniano. Certo, i vari Assad, Erdogan o Ahmadinejad
massacrano migliaia di persone ma non sono “aggressivi” e certamente non
contribuiscono ad innalzare la tensione in Medio Oriente al contrario
di quel “errore fatale” di Israele. Vede quanta ipocrisia c’è in lei e in tutte le persone come lei?Nel mondo non esistono democrazie
perfette e Israele non fa eccezione. Non esistono governi perfetti che
indovinano ogni decisione e Israele non fa eccezione. Ma in Israele
criticare il Governo e cercare di migliorare le cose è possibile a
differenza di tutto il resto del Medio Oriente e di molte altre parti
del mondo. A persone come Marescotti non interessa criticare Israele o
il suo Governo, a loro interessa unicamente delegittimare e insinuare dubbi sulla legittimità di un popolo intero.
Questo, cari amici, è antisemitismo senza se e senza ma. Sarà più
intelligente, forse più forbito, ma è antisemitismo allo stato puro.Franco Londei, http://www.secondoprotocollo.org/
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Baharier: «Da celibato a jeep: il Qabbalessico è un pane per tutti»
La polemica «La vera Qabbalah è "ricezione", non quella paccottiglia esoterica con cui si gingillano i divi»
U n vero qabbalista negherà di esserlo. La qabbalah è ricezione, è modalità ermeneutica. Non ha nulla della paccottiglia
esoterica con la quale si gingillano divi e popstar». Haim Baharier è
secco, non nasconde il disgusto per il disvalore - causato dalla società
dello spettacolo - di un caposaldo della tradizione ebraica. Baharier,
nato a Parigi nel 1947 da genitori polacchi reduci dai campi di
sterminio, milanese da molti anni, psicoanalista, matematico, ermeneuta,
conferenziere (le sue lezioni in teatro fanno sempre il pieno), sarà a
Ferrara la sera di lunedì 30 per parlare dell' ultimo suo prezioso
testo: «Qabbalessico», uscito da Giuntina. «Ero sul punto di chiamarlo
Polenta e qabbalà: per dare fin dal titolo l' idea del libro. Tutto è
meno che un trattato di qabbalismo. Sono parole, viste alla luce della
tradizione ebraica. Parole comuni. Nuvola, Alcol, Celibato, Faglia,
Arco, Corazza... Anche Gossip e Jeep. A ben pensarci, manca quella per
me più importante: Claudicanza». E la spiega, anticipando che ne parlerà
anche in televisione, ospite a metà maggio di Fazio e Saviano. «Agli
inizi furono creati due Grandi Luminari. Uno dei due disse al Creatore:
"Siamo due sovrani con la stessa corona, non può funzionare". "Hai
ragione", rispose il Creatore, "rimpicciolisci". E quel luminare diventò
la Luna, l' altro restò il Sole. Ma attenzione: diventare più piccoli
non implica una diminuzione, la Claudicanza è compagna dell' uomo,
deve essere una risorsa». Claudicante nell' essenza, perché vero, era un
personaggio straordinario di cui Baharier parla con ammirazione.
«Monsieur Chouchani, un barbone antipatico che comparve a Parigi negli
anni 50. Dormiva e mangiava anche a casa nostra, come in quelle di molti
altri ebrei. Parlava 130 lingue, un poliglotta alla Emile Benveniste.
Avrebbe potuto sostituire docenti all' università in qualsiasi materia.
Il filosofo Lévinas diceva: "Tutto quello che io so, lo sa anche
Chouchani. Quel che sa lui io non lo so". Poteva parlare di Bagdad o di
Mosca come se in quelle città avesse sempre vissuto. Da dove venisse,
nessuno mai lo seppe. Chouchani, lo "schnorrer", il mendicante e
scroccone della modernità, a un certo punto sparì nel nulla da cui era
spuntato. Che cosa era venuto a fare a Parigi, con la sapiente
claudicanza, la ruvida antipatia? Mendicava accoglienza, regalava
stupore, profondità. Era venuto a consolare e aiutare il popolo di
Israele, distrutto per i quattro quinti. Meriterebbe un libro, la storia
di Chouchani. Non è stata un abbaglio, ma pura realtà». Come la
qabbalà: cosa c' è di più reale del pensiero nutrito da secoli di
interpretazioni, rimandi, glosse? Forse soltanto la vita stessa.
Bozzo Antonio, http://archiviostorico.corriere.it/
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L'angolo della lettura
In Israele la giornata della memoria delle vittime della Shoah cade
il ventisettesimo giorno del mese di Nissan (quest’anno il 19 aprile) ed
è una ricorrenza che viene vissuta con il dolore tipico che si riserva
ad un passato che non passa e con il timore che la storia possa
ripetersi. Quest’ultimo sentimento da diverso tempo tende a prevalere.
Come se non bastassero i timori per un’Iran nucleare, si è aggiunta
infatti la notizia che l’American Nazi Party (ANP) ha registrato il suo
primo lobbista al Congresso di Washington.A presentare a Capitol Hill il documento ufficiale necessario per la registrazione è stato John Bowles,
55 anni. “E’ la prima volta che il nostro partito intraprende la strada
del lobbismo e non sappiamo se funzionerà” ha dichiarato ai
giornalisti. Il suo intento è quello di promuovere una discussione su
temi come l’immigrazione, l’accesso al voto, la disoccupazione e
l’economia.Bowles non è nuovo a gesti eclatanti. Nel 2008 si
presentò alle elezioni presidenziali come il “Candidato dei bianchi” per
il National Socialist Order of America (NSOA), un altro gruppo
neonazista. Sul suo sito “Bowles for president” si poteva leggere di
come la minaccia più grande per gli Stati Uniti fosse rappresentata
dagli immigrati illegali non WASP (White Anglo-Saxon Protestant)
provenienti da Paesi distanti dai “valori europei dei padri fondatori”.Sia il partito repubblicano che quello democratico sono visti come
organizzazioni asservite agli “interessi sionisti”. La piattaforma
politica del NSOA prevedeva la cancellazione di aiuti economici e
militari a Israele, l’abbassamento dell’età pensionabile a 55 anni e una
copertura sanitaria per il 100% della popolazione “by whites for whites”. Se fosse stato eletto il suo primo ordine sarebbe stato il rimpatrio di tutti gli stranieri nelle loro terre d’origine.Questa volta Bowles ha alzato di gran lunga la posta: non punta più
ad essere (almeno per adesso) un “terzo” e sconosciuto candidato dalle
chance prossime allo zero, bensì mira a fare pubblicità al suo movimento
nella città sulla collina. La sua è una sfida al primo emendamento della Costituzione americana che sancisce la libertà di espressione.
Come ha dichiarato al The Hill, “i congressisti non fanno che dire agli
americani di essere aperti ai punti di vista altrui. Voglio vedere se
sono sinceri”.A chi gli ha domandato il perché del suo passaggio dal National
Socialist Order of America all’ANP ha spiegato che dietro la sua scelta
c’è la necessità di affiliarsi ad un gruppo dal nome più
“riconoscibile”. Ciò anticipa un’importante svolta nel pensiero di
Bowles e forse dell’intera comunità neonazista made in USA. I
compromessi sull’identità del partito non verranno più accettati. “Gli
elettori vedranno la svastica sulla scheda elettorale” ha affermato
Bowles senza esitazioni.Per i sostenitori delle idee nazionalsocialiste l’ANP è un punto di riferimento imprescindibile: e’ stato fondato nel 1959 da George Lincoln Rockwell
ad Arlington in Virginia con il nome di World Union of Free Enterprise
National Socialists (WUFENS). Meno di un anno dopo il suo leader ha
deciso di cambiarne il nome con quello attuale puntando ad ottenere il
massimo impatto sui media e sui cittadini.Una vita contro, quella di Rockwell. Contro gli ebrei, considerati traditori “al novanta per cento” e per questo “meritevoli di condanna a morte”. Contro la comunità nera e in particolare Martin Luther King,
visto come la quinta colonna in America della comunità
“ebraico-comunista”. Contro gli immigrati clandestini accusati di rubare
lavoro ai cittadini americani.L’insoddisfacente collaborazione con il movimento del Ku Klux Klan e
della Nation of Islam non scalfiscono la determinazione di Rockwell nel
propagandare il suo messaggio di odio e discriminazione. In una celebre
intervista del 1966 nega lo sterminio degli ebrei durante la seconda
guerra mondiale e conia, in opposizione a quello delle Pantere Nere, lo
slogan del White Power.Il suo assassinio nell’agosto del 1967 all’uscita di una lavanderia rallenta per diversi decenni la crescita dell’ANP ma non uccide il sogno folle degli ariani d’America. Oggi la sfida dell’American Nazi Party è quella di traghettare il partito “fuori dalla fase uno e condurlo nel XXI secolo”.Nel frattempo anche la strategia politica è cambiata. Niente più
appuntamenti ad alto profilo, lo strumento preferito da Rockwell famoso
per le sue marce a New York o lungo il Mall di Washington e per le
provocazioni. Fece molto discutere Il suo tour a bordo di un pulmino
della Volkswagen ribattezzato Hate Bus, la risposta neonazista alla
campagna dei Freedom Riders contro la segregazione razziale negli Stati
del sud.La lotta nel 2012 è affidata, secondo l’attuale segretario dell’ANP
Rocky Suhayda – il quale usa un linguaggio simile a quello che può
ritrovarsi nei manuali moderni di jihad – a “piccole cellule e
all’attivismo individuale”. Una sorta di partito liquido
che, in un momento di grave crisi economica, tenta di fare presa sulla
classe operaia, ovviamente ed esclusivamente bianca, aizzandola contro
lo straniero ebreo, latino o asiatico che sia.Ancora più importante dell’ANP è il National Socialist Movement
(NSM), nato nel 1974 da una costola del partito di Rockwell. Sino al
2008 annoverava tra i suoi membri anche il neolobbista John Bowles.
L’ostilità dimostrata dalla guida Jeff Schoep nei confronti della
candidatura presidenziale di Bowles, oltre a incompatibilità
caratteriali, portò quest’ultimo e i suoi più fedeli accoliti a
trasmigrare, come abbiamo visto, prima nel NSOA e poi nell’ANP.Il NSM con circa 400 membri affiliati e una presenza in 32 Stati è il principale gruppo antisemita americano
e, solitamente, pratica anch’esso la strada dell’azione sotterranea.
Negli ultimi dieci anni esso è finito solo un paio di volte sulle prime
pagine di tutti i giornali. Il National Socialist Movement – il cui
quartiere generale ha sede a Detroit, in pieno midwest – è stato
coinvolto nell’ottobre del 2005 nella rivolta di Toledo. I sostenitori
della causa ariana scesero in strada nella città dell’Ohio per
protestare contro alcune gang di afro-americani. I contro-manifestanti
risposero lanciando pietre agli agenti incaricati di proteggere il
corteo, distruggendo macchine e vetrine e dando fuoco a un bar. Il
sindaco Jack Ford fu costretto a proclamare lo stato d’emergenza e a
imporre il coprifuoco. Il bilancio della guerriglia urbana fu di 13
feriti e oltre 100 arresti.La stampa americana è tornata ad occuparsi del NSM nel maggio
dell’anno scorso per raccontare di Jeff Hall, il leader della sezione
californiana del movimento, ucciso da suo figlio, un bambino di appena
dieci anni. Quanto abbia influito in questa tragedia la presenza di una
figura paterna capace di proclamare odio e discriminazione non è ancora
chiaro.E’ difficile delimitare in maniera precisa la galassia neonazista;
essa è molto vasta, comprende decine di associazioni poco numerose e
spesso sconfina ideologicamente in altri “gruppi d’odio” come quelli
ostili ai musulmani, agli afro-americani e ai gay.Sbarcando a K Street, l’ANP ha scelto di abbandonare una “strategia
fantasma” e di abbracciare la strada del confronto politico (seppure
nella forma del lobbismo). Per quanto possano essere aberranti e
rivoltanti le idee da essa propugnate, non è del tutto negativo che una
parte dei movimenti neonazisti
sia pronta a confrontarsi con un sistema democratico che ha sempre
cercato di ignorare. Se non altro sarà finalmente possibile cominciare a
stimare le dimensioni di un fenomeno che per troppo tempo è sfuggito a
qualsiasi radar. http://www.meridianionline.org/
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Israele non è 'legittimato' dalla Shoà Einat Wilf
Di Einat Wilf http://www.israele.net/
Vi sono coloro – troppi – che pensano che senza la Shoà non esisterebbe
Israele. La maggior parte di costoro lo pensa in buona fede. Lo stesso
presidente americano Barack Obama, nel suo “discorso al Cairo” del 4
giugno 2009 disse che “il riconoscimento delle aspirazioni degli ebrei a
un focolare nazionale è radicato in una tragedia storica che non può
essere negata”.Il presidente americano voleva prendere posizione contro il negazionismo
parlando proprio in una capitale del mondo arabo. Ma non ha capito che,
ribadendo l’azzardata equazione che lega la nascita di Israele alla
Shoà, avrebbe solo riattizzato la motivazione a negare la Shoà da parte
di coloro che continuano a sostenere, come hanno sempre fatto, che
Israele non sarebbe uno Stato legittimo.La negazione della Shoà, la sua minimizzazione (“sei milioni è una cifra
esagerata”), la sua equiparazione (“esistono altri genocidi e pulizie
etniche, la Shoà non è diversa”), il suo ribaltamento (“ciò che i
nazisti hanno fatto agli ebrei è ciò che gli ebrei fanno ad altri”), la
sua marginalizzazione (“anche tanti altri sono stati uccisi durante la
guerra”) o ancora la Shoà per “associazione” (“i palestinesi sono le
vittime collaterali della Shoà”) sono tutte facce differenti del
medesimo tentativo di privare Israele di quella che sembra essere la sua
più forte e inconfutabile fonte di legittimità.La bufala secondo cui i palestinesi sarebbero le “vittime di riflesso
dei crimini commessi in Europa” è forse la più pericolosa di queste
menzogne perché può apparire del tutto logica a un orecchio non
avveduto. Secondo questa favola, dopo la seconda guerra mondiale, quando
divenne chiaro che la soluzione finale non era stata finale e che gli
ebrei sopravvissuti non erano ben accetti in Europa, gli europei
avrebbero deciso di “scaricare” i “loro” ebrei addosso agli arabi
indifesi che vivevano nei paesi sotto il controllo dell’Europa
colonialista. Questa soluzione, comoda per l’Europa, avrebbe portato
allo sfollamento di centinaia di migliaia di arabi palestinesi che si
sarebbero ritrovati da allora senza terra e sotto occupazione.Ma non è vero che Israele esiste perché ad un tratto gli europei
avrebbero deciso di riversare i loro ebrei in un Medio Oriente
colonizzato. Israele esiste perché gli ebrei hanno ardentemente voluto e
costruito la sua esistenza ben prima della Shoà. Il moderno Stato
d’Israele esiste perché gli ebrei che l’hanno creato si sentivano i
discendenti degli israeliti e dei giudei che furono sovrani in questa
terra nei tempi antichi, e hanno pagato un prezzo altissimo per
preservare la propria esistenza come popolo. Il moderno Stato d’Israele
esiste perché per secoli, per millenni, gli ebrei hanno tenuto in vita
l’aspirazione alla Terra d’Israele terminando il Seder di Pessah (il
rito pasquale) con l’augurio: “l’anno prossimo a Gerusalemme”. Il
moderno Stato d’Israele esiste grazie alla visione di pensatori e leader
ebrei che seppero capire come gli sconvolgimenti in corso tra la fine
del XIX e la prima metà del XX secolo offrissero la possibilità di
trasformare la speranza messianica del ritorno in Terra d’Israele in un
progetto politico concreto, e furono capaci di mobilitare simpatie e
sostegno attorno al loro progetto.Israele ha visto la luce dopo la seconda guerra mondiale non “grazie”
alla Shoà, ma grazie alla dissoluzione dell’Impero Britannico.
Esattamente come India e Pakistan sono arrivati all’indipendenza in
quegli stessi anni senza nessuna Shoà, lo stesso sarebbe accaduto per
Israele. Pensare che solo quel “male assoluto” contro gli ebrei avrebbe
potuto conferire legittimità a uno Stato per gli ebrei equivale a negare
agli ebrei ciò che viene normalmente riconosciuto a tutti gli altri.Prima o poi il popolo ebraico avrebbe creato il proprio Stato, sull’onda
della liberazione dei popoli in tutto il mondo. La sua visione, la sua
determinazione, il suo lavoro e la sua volontà di battersi per il
proprio Stato avrebbero garantito comunque il risultato. Presentare
Israele come frutto della Shoà significa negare il sionismo, il che
significa sottrarre agli ebrei la loro solidarietà, la loro storia, i
loro legami storici con la Terra d’Israele e il loro desiderio di
ristabilirvi la propria indipendenza. Il che significa cancellare tutto
ciò che è stato scritto, fatto e realizzato dal sionismo prima della
seconda guerra mondiale. Il tutto per fare d’Israele una sorta di
progetto coloniale scaturito dal senso di colpa degli europei, invece di
quello che è realmente: il progetto di liberazione nazionale di un
popolo autoctono che reclama l’indipendenza sulla propria terra natale.Quando commemora la Shoà, Israele non piange soltanto ciò che è stato,
ed è perduto. Piange anche la più grande tragedia, la più grande
sconfitta del sionismo. Nessun israeliano si sogna di “rallegrarsi”
della Shoà come d’una fonte di legittimità del suo Stato. Gli israeliani
piangono la visione di uno Stato che avrebbe potuto essere la casa di
tantissimi altri, ormai irrimediabilmente scomparsi.“Mai più”, si proclama dopo la Shoà. Non è per via della Shoà che il
sionismo ha voluto uno Stato per gli ebrei. Ma è grazie al fatto che
questo Stato oggi esiste che la Shoà non avverrà mai più. (Da: Israël-Infos, 20.4.2012)
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Israele. Aria di elezioni anticipate al 2012 per il presidente Knesset
Reuven Rivlin
In Israele c'e' aria di elezioni politiche anticipate. Lo afferma il
quotidiano Yediot Ahronot, sulla base di dichiarazioni rilasciategli dal
presidente della Knesset Reuven Rivlin (Likud), secondo cui la seduta
estiva del parlamento potrebbe essere l'ultima di questa legislatura.Le prossime politiche dovrebbero svolgersi nel novembre 2013, ma
secondo Rivlin e' probabile che il governo si trovera' di fronte
all'impossibilita' di raccogliere una maggioranza sulla legge
finanziaria per il 2013 e di conseguenza si veda costretto ad anticipare
le elezioni. Yediot Ahronot nota inoltre che Benyamin Netanyahu (che e' in carica
da oltre tre anni) ha incontrato in segreto la settimana passata il
leader del principale partito di opposizione (Shaul Mofaz, Kadima).Con quel colloquio, sostiene il giornale, il premier ha cercato di
tastare il terreno sulla ipotesi dello svolgimento di elezioni
anticipate, che potrebbero avvenire ancora prima delle presidenziali
negli Stati Uniti. Il Likud di Netanyahu e' il partito largamente
favorito nei sondaggi di opinione condotti negli ultimi mesi.http://www.blitzquotidiano.it/
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Libano: uomo scavalca rete e fugge con 2 figli in Israele
Un uomo e i suoi due figli hanno
valicato indisturbati la frontiera più sorvegliata del Medio
Oriente, tra Libano e Israele, fuggendo nello Stato ebraico. E'
accaduto ieri sera, la stampa di Beirut ne dà conto stamani. Il
quotidiano libanese an Nahar precisa che un uomo sulla trentina,
di cui non si conosce la nazionalità, ha scavalcato assieme ai
due figli, di sei e un anno e mezzo di età, il reticolato
elettrificato eretto dagli israeliani nei pressi di Kfar Kila,
località libanese a ridosso della Linea Blu di demarcazione tra
i due Paesi. Libano e Israele sono formalmente in guerra dalla
loro nascita come Stati indipendenti più di mezzo secolo fa.
Dall'autunno 2006, più di 10.000 caschi blu dell'Onu
monitorano dal lato libanese la regione frontaliera, dove da
cinque anni sono tornati a schierarsi anche migliaia di soldati
libanesi. Secondo il racconto di an Nahar, l'uomo si è
avvicinato al reticolato attorno alle 19 locali, ha preso in
braccio il figlio più grande lanciandolo al di là del
reticolato, sulla strada militare controllata dall'esercito
israeliano. Quindi ha lanciato il figlio più piccolo, finito in
braccio al fratello maggiore. Infine, ha scavalcato la barriera,
sorvegliata da telecamere a circuito chiuso dell'esercito dello
Stato ebraico. Nei giorni scorsi i media israeliani hanno
annunciato che nel tratto di Linea Blu nei pressi di Metulla
sarà presto innalzato un muro di separazione.(ANSAmed).
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Libano-Israele: incontro presieduto da capo Unifil Serra
BEIRUT, 26 APR - Il generale italiano Paolo
Serra, comandante dell'Unifil, la forza di interposizione
dell'Onu nel sud del Libano al confine con Israele, ha
presieduto una riunione tripartita con ufficiali delle forze
armate libanesi e israeliane per discutere la situazione della
sicurezza nell'area delle Fattorie di Sheba, in territorio
libanese ma occupate dagli israeliani, in seguito alla decisione
degli stessi israeliani di costruire una nuova strada per i
pattugliamenti.La riunione, precisa un comunicato dell'Unifil, si è svolta
ieri al passaggio di frontiera di Naqoura, dove ha sede il
comando dei caschi blu.
"L'Unifil - ha detto il generale Serra - ha come obiettivo
quello di smorzare le tensioni nell'area e mantenere il cessate
il fuoco. Abbiamo avuto delle buone discussioni ed entrambe le
parti sono chiaramente interessate a migliorare la sicurezza
nell'area e sono impegnate a lavorare con l'Unifil". (ANSAmed).
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Una notte di pattuglia
BASE AVANZATA 1-31 (Libano del Sud) –
I ragazzi sono pronti per la pattuglia notturna. Stanotte l’assetto è
eccezionale. Oltre ai due Lince, con a bordo sei uomini in tutto, sono
stati aggiunti due VM Torpedo, chiamati semplicemente “Protetti”, mezzi
blindati scelti stanotte per trasportare i giornalisti. Tra i soldati si
avverte una certa tensione. Sono tutti concentrati.La missione Unifil prevede un’accurata perlustrazione in ogni distretto
del Libano meridionale, anche (e soprattutto) di notte. Perché è
soprattutto sotto questo spettacolare manto di stelle, traffici di armi,
spostamenti di milizie e sconfinamenti.«Partiremo da Shama e ci sposteremo verso ovest, per seguire la costa
fino alla Blue line», ci racconta il capo assetto. «Da qui rientreremo
verso il nord, attraversando i villaggi di al-Mansuri e Majda Zun.
Punteremo verso Wadi an Nalkhah e infine torneremo alla base». Tempo
stimato: tre ore circa. Con la mano il capo indica i punti che la
pattuglia toccherà sulla cartina. «Ci sono domande?» No, si parte.Il caldo del giorni precedenti si è attenuato. E nella notte, oltre
alla temperatura più bassa, c’è da contrastare la forte umidità. Il
giubbotto antiproiettile non tiene caldo. Siamo tutti infreddoliti.Ci si muove. Ordine di servizio: osservazione e ascolto dell’area
indicata. Ai militari spetta il monitoraggio di eventuali spostamenti in
Libano, così come oltre la Blue line. Anche l’esercito israeliano è
suscettibile di violare la risoluzione Onu numero 1701. In ogni caso,
Unifil deve riferire all’esercito libanese, il quale (in teoria)
dovrebbe attivarsi in maniera concreta. «Siamo come un notaio che non
può assolutamente intervenire sull’atto, ma solo certificarlo», piegano
al comando generale Unifil. Poi, se è necessario adottare provvedimenti,
la palla passa ad altri.Nel “Protetto” c’è puzza di gasolio, poca luce e il fragore del
motore. Un contesto usuale per chi scrive dal teatro operativo. Le
scomodità vengono compensate dalla condivisione di essere, soldati e
giornalisti, sullo stesso mezzo. Basta uno sguardo del bersagliere che
mi è a fianco: «Benvenuto nel mio ufficio». Replico con un sorriso.Dalla base di Shama alla postazione 1-31, ci sono circa dieci
chilometri. Li percorriamo in mezz’ora. Una volta arrivati alla base
avanzata si scende a terra. I venti uomini della postazione accolgono
colleghi e giornalisti come in Italia si accoglierebbero dei parenti
arrivati da lontano. Dopo due mesi di quasi isolamento, fa piacere
vedere facce nuove. Un giro della struttura, la presentazione dei vari
incarichi, infine l’osservazione di Israele. Dall’alto di una torretta
di guardia si butta l’occhio al di là della Linea blu. Il silenzio è
totale. Le stelle non si fanno scrupolo di illuminare l’uno o l’altro
Paese. alle nostre spalle, la terra del Libano appare brulla,
incontaminata. Al di là del confine, migliaia di luci. Villaggi
israeliani apparentemente assopiti, ma con la mente sempre vigile per
anticipare o reagire a eventuali azioni del nemico. Osservando bene la
costa, si può arrivare fino ad Haifa. In linea d’aria, tra qui e
Gerusalemme ci sono quasi 150 chilometri. Meno che da Genova alla
Corsica.Quel che la macchina fotografica non può inquadrare nel buio – in
pattuglia i flash sono logicamente vietati – lo mette a fuoco il
cervello. Non servono i visori notturni per capire in che mondo ci
troviamo. Dall’alto di Wadi an Nalkhah, la gola scavata nei secoli da un
fiumiciattolo appare plumbea. Laggiù in fondo può succedere di tutto.
Può essere che stanotte, oppure domani, venga montata una rampa per il
lancio di un razzo, come che transitino armi. Da Israele, a quel punto,
si alzerebbe il grido: «Allarme Hezbollah!». Anche se non è detto che si
tratti dei miliziani sciiti del “Partito di Dio”. Anzi, gli sciiti di
Hezbollah da un po’ sono più propensi a darsi alla politica nella
capitale, invece che all’azione. Fatto sta che, da quel Wadi, si
scatenerebbe un nuovo inferno su tutto il Libano. «Siamo qui per evitare
il peggio», mi dice, mormordando, l’ufficiale bersagliere. La luce è
poca. Abbastanza però per far emergere il suo Casco blu piumato. Sempre
nella penombra lo intravvedo che sorride.Per il resto, silenzio. Si torna a Shama. Nulla da segnalare. di Antonio Picasso, http://www.rivistastudio.com/
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Davood
Karimi, presidente Associazione Rifugiati Politici Iraniani residenti
in Italia
Oggetto:
Bollettino Ashraf-Liberty n°11/4
Carissimi Amici
e Amiche,vi inviamo anche
questa settimana gli aggiornamenti sugli ultimi sviluppi della situazione
in Iran ed in particolare su quella, come noterete sempre più
drammatica, di Campo Ashraf e Camp Liberty.Potrete infatti
rendervi conto quanto gravi siano le violazioni dei
Diritti Umani in entrambi questi contesti.Noi però
continuiamo a fare tutto il possibile,anche grazie al vostro aiuto e
sostegno, per fare in modo che si arrivi presto ad un futuro di
libertà e democrazia anche in Iran.Grazie sempre
per la vostra gentile attenzione.Cordiali Saluti, ASSOCIAZIONE
LIBERTA' E DEMOCRAZIA PER L'IRAN
Sfratto e trasferimento
coatto dei residenti di Ashraf con coercizione e minacce di
trasferire altri residenti a Camp Liberty
senza il rispetto delle minime
necessità umanitarie e torturando i residenti disabili e quelli
feriti Sig.ra Rajavi si rivolge al Presidente Obama e al
Segretario Generale Ban-Ki Moon affinché impediscano una tragedia
umanitaria per i residenti di Ashraf, in particolare per le 1000
donne residenti, e impediscano all’Iraq di trasferire forzatamente
i residenti di Ashraf, “persone protette” secondo la Convenzione
di Ginevra, della cui protezione il Governo degli Stati Uniti si è
preso ufficialmente la responsabilità e che l’UNHCR ha
riconosciuto come “richiedenti asilo” e “beneficiari”Solo 48
ore dopo il trasferimento del quarto gruppo di residenti di Ashraf
sotto enormi pressioni ed intolleranti limitazioni e mentre i loro
pochi effetti personali sono pronti per essere trasferiti a Liberty
oggi, il Governo dell’Iraq (GoI) intende trasferire, con
intimidazione e coercizione, il quinto gruppo di residenti Giovedi 18
Aprile. Questa è una violazione del Memorandum di Intesa (MoU)
firmato dal GoI e dalle Nazioni Unite il 25 Dicembre 2011, e non
rappresenta in nessun modo un “trasferimento volontario”
contrariamente a quanto sottolineato dal Segretario Generale dell’ONU
a questo proposito, ad esempio nel suo rapporto al Consiglio di
Sicurezza il 29 Marzo 2011, e ai ripetuti appelli del Rappresentante
Speciale del Segretario Generale dell’ONU (SRSG) nel meeting del
Consiglio di Sicurezza del 10 Aprile 2012.Ai residenti è stata
lasciata l’opzione di essere uccisi o lasciare la loro casa e la
città che hanno costruito con le loro sole forze e risorse per un
quarto di secolo, per andare in una prigione chiamata Liberty priva
dei minimi standards umanitari; questo non è altro che uno sfratto
ed una evacuazione coatta in grave violazione dei termini delle Leggi
Umanitarie Internazionali, delle Leggi Internazionali sui Diritti
Umani, della Quarta Convenzione di Ginevra, del Patto Internazionale
sui Diritti Civili e Politici e di molti altri trattati
internazionali, ed è considerato un crimine contro
l’umanità.Nonostante il primo, il secondo e il terzo gruppo
non siano stati trasferiti in condizioni decenti e rispettando i loro
minimi diritti umani e umanitari, le minacce che hanno caratterizzato
il trasferimento del quarto gruppo sono state, per molti aspetti,
persino più inaccettabili.Con un atto disumano, le forze
irachene si sono rifiutate di consentire il trasferimento dei veicoli
e delle roulotte realizzate specificatamente per venire incontro alle
necessità dei residenti disabili e feriti, con attrezzature
sanitarie adatte a loro e con le quali hanno vissuto per anni. Le
ripetute richieste dei rappresentanti dei residenti alle forze
irachene, così come quelle dei funzionari delle Nazioni Unite e
degli Stati Uniti, non hanno portato a nulla e perciò 10 persone nel
quarto gruppo, gravemente disabili e ferite, non hanno avuto altra
scelta se non rimanere ad Ashraf.I loro nomi erano stati dati ai
funzionari dell’ONU e degli Stati Uniti già due anni fa ed erano
tra quelli inclusi nella lista delle persone che dovevano beneficiare
di un rapido trasferimento presso paesi terzi e, se non fossero stati
impediti dal GoI, molti di loro sarebbero già stati trasferiti. Come
per gli altri residenti, il GoI ha reso la determinazione del loro
status di rifugiati condizionata al loro trasferimento a Liberty e,
allo stesso tempo, non permette il trasferimento delle attrezzature
loro necessarie a Liberty. Questa è una forma di tortura fisica e
psicologica e va contro tutti i principi legali, internazionali,
morali e religiosi.Alle persone del quarto gruppo non è stato
consentito di trasferire la maggior parte dei loro beni. Non gli è
stato neanche consentito di portare 10 auto per trasporto passeggeri,
contrariamente ai precedenti accordi presi (la lettera del SRSG del
15 Febbraio). Dopo molte discussioni, è stato confermato dai
funzionari iracheni e da quelli dell’ONU che il quarto gruppo
poteva portare sei generatori a Liberty. Ma alla fine, in pratica,
gli è stato consentito di trasferire solo due generatori.
Il GoI non rispetta nessuno degli impegni presi e viola continuamente persino i termini del MoU che ha firmato con l’ONU senza informare i residenti ed ottenere il loro consenso. Lo stesso MoU che manca della maggior parte delle minime richieste dei residenti.Il GoI sta impedendo il trasferimento dei beni e, contemporaneamente, ostacola la loro vendita e non consente agli imprenditori che vogliono acquistarli di entrare ad Ashraf; gli sforzi fatti dall’UNAMI a questo riguardo sono rimasti senza esito.I residenti di Ashraf sono sotto pressione per trasferirsi a Liberty, nonostante il campo stia affrontando seri problemi riguardo all’acqua, all’elettricità, agli scarichi fognari e ad altri minimi standards umanitari. Non solo il GoI non sta risolvendo questi problemi, ma si rifiuta anche di dare risposta alle ripetute richieste dei residenti di risolverli a loro spese. Ai residenti non è stato neanche permesso di costruire dei sentieri asfaltati o in cemento per gli anziani e i malati in un campo che è circondato da terreno fangoso dappertutto. Gli è stato anche negato il diritto di irrorare il campo con gli insettiicidi, dato che con la stagione calda stanno venendo fuori serpenti, insetti dannosi e cimici. Il GoI sta ritardando da 40 giorni il permesso per l’entrata dei materiali necessari usati per spargere l’insetticida. Allo stesso modo il GoI non ha implementato le voci menzionate nella lettera del SRSG del 16 Marzo riguardo allo stazionamento della polizia e perciò ha installato nuovi posti di polizia nel campo.Nell’esprimere la sua ferma protesta per la pressione esercitata sui residenti di Ashraf e Liberty, così come per la mancanza del rispetto degli standards umanitari e dei diritti umani a Liberty, Mrs. Maryam Rajavi, il Presidente-eletto della Resistenza Iraniana, si rivolge al Presidente Obama e a Mr. Ban-Ki Moon, Segretario Generale delle Nazioni Unite, affinché impediscano che una tragedia umanitaria travolga i residenti, in particolare le 1000 donne residenti; che impedisca al GoI di intraprendere misure repressive contro coloro i quali sono in tutto e per tutto “persone protette” secondo la Quarta Convenzione di Ginevra; della cui protezione il Governo degli Stati Uniti si è preso la responsabilità dando loro l’attestazone di “persone protette” e che l’UNHCR ha in diverse dichiarazioni, come quelle del 1° Febbraio, del 1° Marzo e del 28 Marzo 2012, descritto come “richiedenti asilo” sotto la protezione internazionale e “beneficiari”. Il Presidente Obama è chiamato a impedire al GoI di trasferirli forzatamente fino a che non vi sia accordo sugli standards umanitari minimi e questi non vengano implementati dal GoI. Non c’è alcun dubbio che il Governo degli Stati Uniti verrà ritenuto responsabile per qualunque danno inflitto ai residenti di Ashraf e Liberty e la sua dissociazione da tutto questo non sarà accettata di fronte a nessuna autorità politica o giudiziaria.
Segretariato del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana 18 Aprile 2012
Il GoI non rispetta nessuno degli impegni presi e viola continuamente persino i termini del MoU che ha firmato con l’ONU senza informare i residenti ed ottenere il loro consenso. Lo stesso MoU che manca della maggior parte delle minime richieste dei residenti.Il GoI sta impedendo il trasferimento dei beni e, contemporaneamente, ostacola la loro vendita e non consente agli imprenditori che vogliono acquistarli di entrare ad Ashraf; gli sforzi fatti dall’UNAMI a questo riguardo sono rimasti senza esito.I residenti di Ashraf sono sotto pressione per trasferirsi a Liberty, nonostante il campo stia affrontando seri problemi riguardo all’acqua, all’elettricità, agli scarichi fognari e ad altri minimi standards umanitari. Non solo il GoI non sta risolvendo questi problemi, ma si rifiuta anche di dare risposta alle ripetute richieste dei residenti di risolverli a loro spese. Ai residenti non è stato neanche permesso di costruire dei sentieri asfaltati o in cemento per gli anziani e i malati in un campo che è circondato da terreno fangoso dappertutto. Gli è stato anche negato il diritto di irrorare il campo con gli insettiicidi, dato che con la stagione calda stanno venendo fuori serpenti, insetti dannosi e cimici. Il GoI sta ritardando da 40 giorni il permesso per l’entrata dei materiali necessari usati per spargere l’insetticida. Allo stesso modo il GoI non ha implementato le voci menzionate nella lettera del SRSG del 16 Marzo riguardo allo stazionamento della polizia e perciò ha installato nuovi posti di polizia nel campo.Nell’esprimere la sua ferma protesta per la pressione esercitata sui residenti di Ashraf e Liberty, così come per la mancanza del rispetto degli standards umanitari e dei diritti umani a Liberty, Mrs. Maryam Rajavi, il Presidente-eletto della Resistenza Iraniana, si rivolge al Presidente Obama e a Mr. Ban-Ki Moon, Segretario Generale delle Nazioni Unite, affinché impediscano che una tragedia umanitaria travolga i residenti, in particolare le 1000 donne residenti; che impedisca al GoI di intraprendere misure repressive contro coloro i quali sono in tutto e per tutto “persone protette” secondo la Quarta Convenzione di Ginevra; della cui protezione il Governo degli Stati Uniti si è preso la responsabilità dando loro l’attestazone di “persone protette” e che l’UNHCR ha in diverse dichiarazioni, come quelle del 1° Febbraio, del 1° Marzo e del 28 Marzo 2012, descritto come “richiedenti asilo” sotto la protezione internazionale e “beneficiari”. Il Presidente Obama è chiamato a impedire al GoI di trasferirli forzatamente fino a che non vi sia accordo sugli standards umanitari minimi e questi non vengano implementati dal GoI. Non c’è alcun dubbio che il Governo degli Stati Uniti verrà ritenuto responsabile per qualunque danno inflitto ai residenti di Ashraf e Liberty e la sua dissociazione da tutto questo non sarà accettata di fronte a nessuna autorità politica o giudiziaria.
Segretariato del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana 18 Aprile 2012
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Dai nostri lettori
“Aria di crociata. I cattolici di fronte alla nascita dello Stato di Israele (1945 -1951)”
di ELENA LATTES, http://www.agenziaradicale.com/

C'era anche un senso di rivalità nei
confronti della Gran Bretagna sia dal punto di vista politico (come potenza
mandataria e coloniale), sia da quello religioso (in qualità di rappresentante
di una delle Chiese evangeliche), e degli altri grandi Stati che in qualche
modo erano protagonisti della scena mediterranea e mediorientale in quegli anni
(oltre all'Unione Sovietica anche gli Stati Uniti, altri Paesi europei, il
mondo arabo e così via).D'altra parte la ferita ancora aperta delle
persecuzioni cristiane e della Shoà e la minaccia di un nuovo sterminio
perpetrato dagli arabi influenzavano invece le opinioni favorevoli alla
creazione prima e allo Stato poi.Un'attenzione particolare e più approfondita
è data al dibattito sullo status di Gerusalemme, al quale la stampa cattolica dedicò una grande
attenzione, mostrando una forte rigidità verso ogni compromesso, soprattutto
verso le proposte israeliane.
Uno studio importante, questo libro, non solo
per approfondire la storia di quegli anni, ma anche per capire meglio quanto
avviene oggi.
«Aria di
crociata». I cattolici italiani di fronte alla nascita dello Stato d'Israele
(1945-1951) Paolo Zanini
Unicopli Edizioni Milano Euro 17.00 pp. 263
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L'angolo della lettura
Francia 2012: Marine Le Pen seduce anche comunita' ebraica
(di Virginia di Marco) (ANSAmed) - ROMA - Mentre
Israele guarda con preoccupazione al successo riscosso dal Front
National (FN) di Marine Le Pen, presso la comunita' ebraica francese
la lady di ferro della destra transalpina riscuote - a sorpresa - un
certo consenso.
Il corteggiamento degli ebrei francesi da parte della figlia di Jean-Marie Le Pen (il quale fu capace di definire le camere a gas ''un dettaglio'') e' iniziato da tempo, nell'ottica di un restyling generale del partito, reinventato e reso piu' accattivante dalla Le Pen. Chiusi in un cassetto i toni ferocemente anti-semiti del padre, Marine ha deciso di concentrare i suoi sforzi contro immigrati irregolari e islamici.All'indomani della strage di Tolosa del 19 marzo - quando un francese di origini algerine uccise quattro persone, fra cui tre bmabini, in un attacco ad una scuola ebraica - la sua scelta ha convinto un francese su cinque e sedotto parte della comunita' ebraica locale. Michel Thooris, ex membro del Crif (Consiglio nazionale delle organizzazioni ebraiche francesi), ha deciso di candidarsi al Parlamento con il FN. ''Se sei un ebreo - ha dichiarato in un'intervista al quotidiano israeliano Haaretz -, rivolgersi a Marine Le Pen e' naturale. Lei combatte il crimine e l'islamismo: il che significa che protegge gli ebrei. Il Fronte Nazionale e' cambiato, gli ebrei lo sanno''.
Ma non tutti concordano. Circa un anno fa, la radio comunitaria Radio J fu subissata di proteste per aver invitato la leader di ultra-destra e alla fine l'invito fu ritirato. Ma all'interno della comunita' ebraica voci di critica si levarono contro questo boicottaggio. E pochi mesi dopo nasceva l'Unione dei francesi ebrei (Ufj), associazione che raccoglie supporter ebrei del FN. ''Marine Le Pen e' l'unica ad avere la volonta' per contrastare l'immigrazione incontrollata e le sue disastrose conseguenze'', ha scritto sul sito dell'Ufj il fondatore, Michel Ciardi. ''Per i sedicenti rappresentanti della comunita' ebraica francese, gli ebrei che tifano Le Pen sono ebrei che odiano se stessi, peggiori della polizia ebraica nei ghetti. Ma se in certi quartieri gli ebrei non osano portare la kippah e le prediche di fuoco ascoltate in certe moschee francesi sono intrise di un antisemitismo che credevamo scomparso, la colpa non e' certo di Marine Le Pen''.
Il corteggiamento degli ebrei francesi da parte della figlia di Jean-Marie Le Pen (il quale fu capace di definire le camere a gas ''un dettaglio'') e' iniziato da tempo, nell'ottica di un restyling generale del partito, reinventato e reso piu' accattivante dalla Le Pen. Chiusi in un cassetto i toni ferocemente anti-semiti del padre, Marine ha deciso di concentrare i suoi sforzi contro immigrati irregolari e islamici.All'indomani della strage di Tolosa del 19 marzo - quando un francese di origini algerine uccise quattro persone, fra cui tre bmabini, in un attacco ad una scuola ebraica - la sua scelta ha convinto un francese su cinque e sedotto parte della comunita' ebraica locale. Michel Thooris, ex membro del Crif (Consiglio nazionale delle organizzazioni ebraiche francesi), ha deciso di candidarsi al Parlamento con il FN. ''Se sei un ebreo - ha dichiarato in un'intervista al quotidiano israeliano Haaretz -, rivolgersi a Marine Le Pen e' naturale. Lei combatte il crimine e l'islamismo: il che significa che protegge gli ebrei. Il Fronte Nazionale e' cambiato, gli ebrei lo sanno''.
Ma non tutti concordano. Circa un anno fa, la radio comunitaria Radio J fu subissata di proteste per aver invitato la leader di ultra-destra e alla fine l'invito fu ritirato. Ma all'interno della comunita' ebraica voci di critica si levarono contro questo boicottaggio. E pochi mesi dopo nasceva l'Unione dei francesi ebrei (Ufj), associazione che raccoglie supporter ebrei del FN. ''Marine Le Pen e' l'unica ad avere la volonta' per contrastare l'immigrazione incontrollata e le sue disastrose conseguenze'', ha scritto sul sito dell'Ufj il fondatore, Michel Ciardi. ''Per i sedicenti rappresentanti della comunita' ebraica francese, gli ebrei che tifano Le Pen sono ebrei che odiano se stessi, peggiori della polizia ebraica nei ghetti. Ma se in certi quartieri gli ebrei non osano portare la kippah e le prediche di fuoco ascoltate in certe moschee francesi sono intrise di un antisemitismo che credevamo scomparso, la colpa non e' certo di Marine Le Pen''.
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Il violinista sul tetto
un video molto piacevole: http://www.youtube.com/watch?v=Pdx1Y19OyLY&feature=player_embedded
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Dai nostri lettori
Buon 25 aprile dagli Amici della Brigata Ebraica
Il 25 aprile della Brigata...67 anni fa sul Senio:
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Dai nostri lettori
venerdì 27 aprile 2012
Soldato eroe (non dimentichiamo)
Voglio
tradurvi un e-mail che e' arrivata in poche ore in tutte le case di
Israele. A me e' arrivata tre volte, da tre fonti diverse, e non c'e'
persona con cui abbia parlato, in questi giorni, che non l'abbia
ricevuta, letta e passata oltre:"Ricordare e non dimenticare"- Ufficiale Roy Klein"Il
minimo che possiamo fare, per chi ha sacrificato la propria vita in
modo cosi' eroico, e' raccontare la sua storia. Non e' chiaro perche' i
media lo abbiano ignorato. Forse non si tratta di un comportamento
popolare, forse non equivale all' immagine del soldato sensibile e
timoroso che i mass-media provano a creare. Non c'e' nessun motivo
valido che spieghi perche' un fatto del genere non venga raccontato a
voce alta, con immenso orgoglio, con il pianto nel cuore, per cui lo
racconteremo noi da e-mail a e-mail.
L'
ufficiale Roy Klein, del 51esimo battaglione Golani, abitante della
colonia di Ali (si, si, un insediamento...) era il soldato di grado
maggiore durante uno dei combattimenti a Binat Jabil. Quando ha visto
cadere una bomba a mano vicino ai suoi soldati, non essendo piu'
possibile difendersi ed evitare l' esplosione della bomba, ha deciso di
far scudo con il proprio corpo ai suoi compagni ed e' saltato sull'
ordignio nel tentativo di salvarli. Il suo sacrificio non e' stato
vano... I ragazzi, che sono stati testimoni di questo eroico atto,
raccontano che Roy ha gridato "Ascolta Israele, Nostro Signore"
(preghiera ebraica) nel momento in cui si e' buttato sulla bomba a mano.
L'ufficiale Roy Klein e' stato seppellito nel giorno del suo 31esimo
compleanno.Raccontano
di lui che suonava benissimo il sassofono, che era un intellettuale,
che si era laureato in ingegneria con ottimi voti, che amava viaggiare,
che rideva e scherzava spesso e volentieri, che era sensibile e calmo.
Il piu' grande desiderio di sua moglie, rimasta vedova, e' veder
crescere i suoi figli il piu' possibile simili al padre. Possa riposare
in pace.Invece
di accendere una candela in suo ricordo, mandate la sua storia ad
altri. Si merita molto di piu', ma e' tutto cio' che possiamo fare."http://liberaliperisraele.ilcannocchiale.it/
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La storia questa sconosciuta
Gaza city
MO: cambio leadership Hamas in favore Haniyeh
Una svolta in senso ancor più
radicale potrebbe essere alle porte in seno alla leadership di
Hamas, la fazione islamica palestinese al potere nella Striscia
di Gaza. Lo riferiscono fonti interne citate in forma anonima
dall'edizione online del giornale israeliano Haaretz, stando
alle quali un voto segreto per il rinnovo del politburo di Hamas
si è concluso giorni fa con la designazione a nuovo numero uno
del movimento di Ismail Haniyeh (già capo del governo di fatto
di Gaza) al posto di Khaled Meshaal (esponente della diaspora),
e con la sconfitta dei candidati più pragmatici.Secondo le fonti, la scelta di Haniyeh suggellerebbe la
vittoria della nomenklatura di Gaza, recalcitrante rispetto agli
accordi di 'riconciliazione' firmati da Meshaal nei mesi scorsi
con il presidente moderato dell'Autorità nazionale palestinese
(Anp), Abu Mazen, e alle sue recenti dichiarazioni - meno
aggressive del solito - nei confronti del processo di pace con
Israele. E con essa quella dell'ala militare della fazione.Nel politburo risultano infatti cooptati figure come Mohamed
Ali Jabari (capo delle Brigate Ezzedin al-Qassam, braccio armato
di Hamas nella Striscia) e di altri capi-milizia come Yehia
Sanwar, uno dei presunti registi del rapimento del militare
israeliano Ghilad Shalit. Oltre all'ideologo di Gaza, Mahmud
a-Zahar, voce apertamente ostile all'impantanato processo di
'riconciliazione' con al-Fatah, il partito laico di Abu Mazen
rimasto al governo solo nella Cisgiordania dopo la sanguinosa
rottura interna al fronte palestinese del 2007.Sembrano invece rimasti fuori personaggi indicati in veste di
'moderati' rispetto agli standard di Hamas quali Razi Hamed,
Salah al-Bardawil (uno dei negoziatori della 'riconciliazione' o
ancora il 'diplomatico' anglofono Ahmed Yusef. (ANSAmed).
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Netanyahu rinnova allarme, Sinai come Far West
Israele guarda con crescente allarme alla situazione del Sinai, sullo sfondo delle turbolenze innescate in Egitto dai contraccolpi del dopo-Mubarak, e ritiene che in questi ultimi mesi la penisola egiziana a ridosso dei propri confini si sia trasformando in un Far West aperto alle scorrerie di estremisti d'ogni risma. Lo ha ribadito oggi il premier israeliano, Benyamin Netanyahu, in un'intervista alla Radio militare nella quale ha peraltro sottolineato che la giunta militare al potere al Cairo e' in contatto con lo Stato ebraico sulla questione ed e' impegnato a disinnescare la mina.''Il Sinai sta diventando una sorta di Selvaggio West'', ha denunciato Netanyahu, affermando che al suo interno si muovono ''gruppi terroristici come Hamas, la Jihad Islamica o Al Qaida, i quali, con l'aiuto dell'Iran, se ne servono per trafficare armi, trasportarle e ordire attacchi contro Israele''. La tensione, lungo il confine, e' salita negli ultimi mesi, fra sparatorie e tentativi d'incursione, sfociati in un caso - nel 2011 - nell'uccisione di otto israeliani a nord di Eilat. Secondo Netanyahu, lo Stato ebraico - che ha autorizzato l'invio temporaneo di battaglioni egiziani di rinforzo nella penisola, in violazione degli accordi di pace fra i due Paesi - ''sta agendo'' per far fronte alla minaccia rinforzando i confini. Ma anche ''tenendo contatti permanenti con le attuali autorita''' egiziane, le quali - a parere del premier israeliano - sono a loro volta ''preoccupate'' per quanto accade nel Sinai. La precisazione appare un atto di riguardo verso il Cairo, che giusto ieri ha annunciato una richiesta di spiegazioni nei confronti d'Israele per l'opinione attribuita giorni fa da un giornale al ministro degli Esteri, Avigdor Lieberman, secondo cui il nuovo Egitto rischia ormai di divenire potenzialmente per lo Stato ebraico ''un pericolo maggiore dell'Iran''. (ANSAmed).
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Monaco '72 - le vittime israeliane dimenticate
Prima di andare alle Olimpiadi, ogni atleta
israeliano si reca a rendere omaggio alle tombe degli 11 compatrioti
uccisi da terroristi palestinesi a Monaco nel 1972. Quell’anno, la
vergognosa decisione di non interrompere i Giochi Olimpici segnò un
crollo dei valori morali, e diede il via a successivi massacri di ebrei
innocenti.Le celebrazioni olimpiche furono interrotte, ma le gare
continuarono ad andare avanti. E’ una vergogna che il Comitato Olimpico
Internazionale (IOC), per opportunismo politico, ora abbia scelto di
dimenticare il massacro degli israeliani. Proprio ora il Comitato ha
rifiutato la richiesta, da parte delle famiglie degli atleti israeliani,
di organizzare una commemorazione ufficiale in loro ricordo. Non c’è
nulla come i Giochi Olimpici che possa suscitare sentimenti collettivi
di pace, lealtà e correttezza e la memoria degli israeliani sarebbe
potuta essere onorata l’estate prossima in occasione delle Olimpiadi di
Londra 2012. Il Comitato Olimpico invece ha ceduto, di nuovo, al
ricatto arabo.Nel 2000, il Comitato Olimpico palestinese si oppose a
una commemorazione a Sidney in ricordo del massacro di Monaco. Le
vedove coraggiose di due delle vittime si erano a lungo prodigate al
fine di organizzare una commemorazione, o con un momento di silenzio o
con una menzione del Presidente del Comitato durante il discorso
d’apertura dei Giochi.“Noi vogliamo che il Comitato Olimpico,
davanti a tutti i 10.000 atleti, dica: ‘Non dimentichiamo cosa è
successo a Monaco’. Vogliamo questo per una sola ragione, così non
succederà mai più” ha detto di recente Ankie Spitzer, il cui marito,
Andre, era uno degli israeliani uccisi.Se si volesse identificare
l’inizio del massacro dei civili israeliani, si deve tornare indietro a
quella maledetta mattina, al numero 31 di Connolly Strasse nel Villaggio
Olimpico di Monaco. Dato che le Olimpiadi dovrebbero essere apolitiche,
la visione di atleti ebrei, con una benda sugli occhi e in manette, che
trascinano i piedi verso il loro destino su suolo tedesco, ha suscitato
una profonda repulsione a livello internazionale.Infamia e vergogna.Alcuni degli atleti israeliani assassinati dalle squadre della morte
di Arafat, erano sopravvissuti alla Shoah, mentre altri erano “sabra”
nati in Israele. Ognuna delle loro storie rievoca pianto e preghiera.
Ognuno di loro era un membro del grande corpo di Israele.Come
Amitzur Shapira, padre di quattro bellissimi bambini e insegnante a
Herzliya. Come Shaul Ladani, che aveva contratto la febbre tifoidea nel
campo di concentramento di Bergen-Belsen. Come Yosef Romano, che il
giorno prima di essere ucciso, aveva detto: “Questa sarà la mia ultima
gara; non ho abbastanza tempo per i miei bambini”Come David Berger,
un ebreo idealista e pacifista di Cleveland, che avrebbe dovuto sposarsi
di ritorno dalle Olimpiadi. Come Mark Slavin, che baciò il suolo
ebraico al suo arrivo in Israele da Minsk, dove aveva lottato contro i
comunisti che avevano tenuto in prigione migliaia di ebrei per il solo
motivo di aver voluto, come lui, raggiungere Gerusalemme. Come Ze’ev
Friedman, che parlava una splendida mescolanza di Yiddish e Russo, e che
era rimasto l’unico maschio sopravvissuto della sua famiglia, ridotta
in cenere nelle camere a gas. Come Kehat Schorr, che aveva combattuto
contro le truppe naziste sui Monti Carpazi. Come Yacov Springer, che
insegnava nella scuola di Bat Yam e che fu uno dei pochi sopravvissuti
della rivolta armata nel Ghetto di Varsavia. Come Eliezer Halfin, che
perse tutti i suoi parenti nella Shoah. Come Yosef Gutfreund, che passò
dei mesi in carcere in Romania per l’accusa di “propaganda sionista”.L’edificio
che ospitava gli atleti israeliani era a meno di 10 miglia dal campo di
concentramento di Dachau. Essi furono i primi ebrei uccisi in Germania
dopo il 1945, uccisi per il solo fatto di essere ebrei . Da allora il
loro assassinio è svanito dalla memoria internazionale. I parenti delle
vittime avevano chiesto soltanto “30 secondi” di silenzio. Il Comitato
Olimpico gliel’ha rifiutato. La prossima distribuzione di medaglie
d’argento e d’oro sarà macchiata d’ignominia e vergogna. Gli 11
israeliani sono morti una seconda volta.Giulio Meotti, http://www.informazionecorretta.com
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La storia questa sconosciuta
Così Israele vince le sfide impossibili
Allevare salmoni «norvegesi» nel deserto,
riparare tubature degli acquedotti dall’interno per bloccare lo
sperpero di acqua per causa di tubi perforati o mal saldati, inventare
nuovi tipi di chip,attirare dall’estero laboratori di ricerca di
società come Google, Ebay, Microsoft, Cisco, sono alcuni dei successi
menzionati nel best seller di due giornalisti ( Dan Senor & Saul
Singer: Start-up Nation 2009) per spiegare come un Paese grande come la
Lombardia in guerra da 64 anni e senza risorse naturali è riuscito a
aumentare di 10 volte la popolazione (da 600 mila a 7,5 milioni) le
esportazioni di 13mila volte (da 6 milioni a 8 miliardi di dollari)
piazzandosi in termini di Pil fra Spagna e Italia.Il segreto di queste scommesse vincenti con continue sfide esistenziali
sta nella combinazione di tre atteggiamenti caratteriali: sprezzo
dell’autorità, passione del rischio, visione dell’avversità come fonte
di energia. Non rende Israele particolarmente simpatico a molti. Ma
pone il più delegittimato Paese dell’Onu al 22˚ posto nella scala dei
«migliori Paesi del mondo» (secondo Newsweek ),
al quindicesimo per dinamismo, al primo per la salute pubblica con
l’88% di soddisfazione della sua popolazione. È il solo ad aver
superato l’attuale a crisi aumentando il suo rating; l’unico che inizia
il ventunesimo secolo con più alberi everde che all’inizio del
ventesimo, che ha risolto i problemi di irrigazione con la
desalinizzazione e l’invenzione dell’irrigazione a gocce. Detiene il
record mondiale della produzione del latte per mucca, esporta le
migliori sale operatorie assieme ad aerei senza
piloti, vanta la più alta percentuale di sopravvivenza dal cancro con
medicine innovatrici contro l’Alzheimer,il Parkinson e la sclerosi
multipla, una pillola rivoluzionaria per la diagnosi del sistema
digestivo e il primo computer biologico.Si potrebbe allungare la
lista ma la formula del successo che fa tanto imbestialire i suoi
nemici, arabi e non arabi, non si è autocreata. Vi hanno contribuito
leader come Ben Gurion che ordinava, quando un esperto affermava che
un compito era irrealizzabile, di cambiare l’esperto; come Shimon
Peres che negli anni Ottanta ha ridotto l’inflazione (dal 400%
all’attuale 2.3%), come Netanyahu che negli anni Novanta ha
liberalizzato l’economia abbassando la
disoccupazione dal 12 al 4.7%, come il governatore della banca centrale
Stanley Fisher che ha accumulato 78 miliardi di dollari di riserve
stabilizzando la moneta. Vi hanno contribuito i 20 collegi
universitari, accademie, con 3 catalogate fra le prime 50 del
mondo. In ultimo l’apporto di un milione di immigranti dalla Russia
con educazione superiore per il 50% e la concentrazione in patria del
più alto numero al mondo di scienziati e ingegneri per 10.000 abitanti
(produttori del più alto numero di brevetti dopo USA e Canada).Tuttavia
un catalizzatore dello sviluppo é stato l’esercito. Conscio della
propria inferiorità quantitativa nei confronti del nemico arabo ha
puntato sulla qualità umana facendo proprio il motto di Einstein:
l’immaginazione è più importante della conoscenza. Chi esaminasse la
lista dei fondatori, direttori, amministratori delle società start-up
(ve ne sono oltre 4000 con un numero di quelle
registrate alla borsa Nasdaq di New York che è superiore a quello
europeo) noterebbe che la grande maggioranza di questi innovatori esce
dalle unità scientifiche, tecnologiche e di intelligence delle forze
armate.Il «miracolo» israeliano ha le sue ombre: divario di
ricchezze e stato sociale, concentrazione del potere finanziario nelle
mani di 18«famiglie allargate»,basso livello delle scuole medie, un
milione di bambini a livello di povertà. Problemi a cui la scoperta di
giacimenti di gas sottomarino dovrebbero portare rimedio entro il 2014
garantendo l’indipendenza energetica del Paese e la creazione di un
fondo sovrano dedicato - secondo le promesse con cui Bibi Netanyahu
conta di vincere le prossime (2013) elezioni legislative
all’educazione, allo sviluppo e alla integrazione sociale.GIORNALE 26/04/2012, Vittorio Dan Segre
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"Grazie per il supporto"
“Cogliendo l'occasione del Giorno dell'Indipendenza voglio ringraziare
i milioni di amici di Israele in tutto il mondo per il loro supporto al
nostro paese, il solo e unico Stato ebraico sulla terra”. Così il primo
ministro dello Stato di Israele Benjamin Netanyahu nel messaggio
inviato alle Comunità della Diaspora per Yom Ha'atzmaùt.http://www.moked.it/
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