venerdì 25 settembre 2009

castello Nimrod

Giustizia cecata

La giustizia è cieca, come indicano numerose immagini femminili che la ritraggono con una benda sugli occhi? Anche la Sinagoga, come la Giustizia, non vede. Adriano Prosperi (Giustizia bendata: percorsi storici di un’immagine, Einaudi, 2008) fa venire in mente questa curiosa simmetria. In molte Chiese d’Italia la Sinagoga è cieca; una donna che reca in mano una iscrizione vermiglia: Ego sum cechata a regno Dei separata. Nelle allegorie, evidentemente, esiste una cecità positiva e una negativa.Adesso che in Italia, per fortuna, i rapporti fra Chiesa ed Ebrei non sono più color sangue-vermiglio come ai tempi descritti da Prosperi, la Legge potrebbe diventare il luogo per un confronto sereno. Diritto italiano e diritto ebraico sono tesori preziosi, non ecessariamente fra loro in conflitto. Il figlio del Rabbino di Mantova, Lodovico Mortara, è potuto diventare Guardasigilli nell’Italia liberale. In aiuto agli ebrei è venuto il diritto romano, nei primi anni Trenta, quando illustri cattedratici dottamente dimostrarono a rozzi colleghi l’incompatibilità fra il razzismo e la natura pluralistica del diritto romano (multietnica, si direbbe oggi). E’ una ricchezza in più sapere analizzare casi giudiziari da più punti vista, come saper parlare più lingue straniere.Il diritto ebraico potrebbe ad esempio venire in soccorso per risolvere la piaga italica dei conflitti d’interesse e appianare i rapporti fra Magistratura e Politica, che nell’Italia odierna sono più vermigli (e cechati) che altrove. Noi stolidi buoni ci addentriamo in tali controversie servendoci sempre del condizionale. E preferiamo non prendere a bersaglio il conflitto d’interessi di cui tutti già parlano. Per il diritto ebraico l’ibrido come forma di impurità va snidato ovunque. Può un Magistrato diventare Ministro? Può un Comico fondare un partito? Per il Magistrato risponde Arturo C. Jemolo, uno dei giuristi ebrei-cristiani nel Novecento fra i più competenti, che nel 1946 aveva implorato i Costituenti: “Sarà utile stabilire che il Magistrato non possa lasciare il suo ufficio di giudice per andare a sedere ad un tavolo di Ministero” (Che cos’è la Costituzione, Donzelli, 2008, p. 43). Per il Comico risponde da Vienna un altro ebreo anticonformista, Karl Kraus, che in ogni ibridismo trovava qualcosa di impudico, di indecente. Come un poeta che recita in pubblico le sue poesie. O un cuoco che mangia.
Alberto Cavaglion http://www.moked.it/

Weiner and Huma Abedin

La coppia di cui più discute a Washington è composta da una musulmana e un ebreo. La prima è Huma Abedin, stakanovista, avvenente segretaria personale di Hillary Clinton. Il secondo è Anthony Weiner, deputato democratico eletto a Forest Hill-Flatbush, Brooklyn, in uno dei collegi a più alta densità ebraica d'America. Sulla carta non potrebbero essere più diversi: lei orgogliosa delle origini nell'Islam indo-pakistane, clintoniana di ferro e coperta di capi griffati; lui ebreo newyorkese sionista, obamiano doc, dal look talmente casual da apparire trasandato. Ma si amano, c'è chi dà per imminenti le nozze. Potrebbero presto diventare una delle coppie più potenti dell'Amministrazione.Maurizio Molinari,giornalista http://www.moked.it/

giovedì 24 settembre 2009

La memoria distorta che minaccia Israele

Israele non è nato dalla Shoah. Lo sostiene nel suo ultimo dirompente saggio “Israele, un nome eterno. Lo stato di Israele, il sionismo e lo sterminio degli Ebrei d’Europa”, in uscita in questi giorni in Italia per Utet libreria, George Bensoussan. Il noto storico francese, professore all’Università Sorbona IV di Parigi e direttore della Revue d’Histoire de la Shoah, sarà relatore al seminario “Il ‘900, secolo dei Genocidi, dei Campi, dei Silenzi”, che si terrà mercoledì 23 settembre alle ore 16 al Castello di Barletta (Sala Rossa). Lo Stato di Israele è davvero nato per compensare il popolo ebraico della tragedia della Shoah? E’ vero che lo Stato ebraico deve la sua creazione al senso di colpa del mondo occidentale per non aver impedito il genocidio? E il mondo arabo è davvero innocente, senza responsabilità rispetto allo sterminio di 6 milioni di persone?
Georges Bensoussan - già autore di una monumentale storia del sionismo (Il sionismo. Una storia politica e intellettuale. 1860-1940, Einaudi, 2007) e uno dei massimi specialisti della Shoah - pur non negando l’esistenza di un legame intrinseco tra Shoah e Stato di Israele, dimostra in questo suo ultimo studio “Israele, un nome eterno” come la natura di tale relazione sia essenzialmente politica e non storica, ovvero non di causalità lineare, poiché il primo evento non legittima né costruisce il secondo. Il titolo si richiama a un versetto della Bibbia. Il nome eterno è quello che Dio, secondo il libro di Isaia, attribuisce agli Eunuchi nel libro di Isaia, quegli uomini condannati a morire senza discendenza e ai quali Dio dona, « meglio che dei figli o delle figlie » “un nome che non morirà mai ». La stessa espressione che Israele sceglierà per intitolare il suo memoriale della Shoah del 1953, che si chiama appunto Yad Vashem, dall’unione di Yad (Un monumento, una casa) e Chem (un nome), con l’obiettivo di dare una discendenza a coloro che non possono più averla, tramite il ricordo perenne per coloro che furono privati del diritto di vivere. Scegliendo, dunque, questo titolo, Bensoussan ci propone, con uno studio molto ben argomentato e documentato, una riflessione attorno all’intenso rapporto sulla memoria della Shoah che attraversa la coscienza ebraica e israeliana. Il sotto titolo del libro, “Israele, il sionismo e la distruzione degli ebrei d’Europa» evoca tre eventi distinti, di importanza enorme a livello internazionale, e annuncia la trattazione di un campo molto vasto, denso di implicazioni e complessità, tuttavia affrontati non nell’ottica di ripercorrerne la storiografia – d’altronde Bensoussan è uno storico delle idee – ma di riprenderli in una prospettiva critica e dal punto di vista del processo di costruzione della memoria di ognuno di essi. Un tema certamente ambizioso e complesso per gli intrecci e le contraddizioni che lo caratterizzano, eppure è compito dello storico non indietreggiare di fronte alla complessità di un evento e di tentare di sbrogliare anche le matasse più aggrovigliate, tanto più che Bensoussan si è scelto il compito di smontare una serie di miti e luoghi comuni su Israele, talmente radicati non solo nell’immaginario collettivo, ma anche nell’opinione di molti storici e opinionisti, da risultare quasi dei dogmi.
ILSOLE24ORE.COM 22 settembre 2009

mercoledì 23 settembre 2009

Sacha Baron Cohen accompagnerà i Simpson in Israele

Il comico britannico farà la guida turistica in un episodio Roma, 20 set. (Apcom) - Sarà l'attore comico britannico Sacha Baron Cohen - famoso per i suoi personaggi di successo come Borat, il giornalista kazako, e Bruno, il giornalista di moda gay austriaco - a fare da guida turistica in Israele ai Simpson, nell'episodio del popolare cartone animato che andrà probabilmente in onda negli Stati Uniti il prossimo 28 marzo (giornata in cui si celebra la Domenica delle Palme). Lo riporta il sito web del quotidiano israeliano Haaretz. In passato già altri episodi dei Simpson hanno trattato temi legati all'ebraismo e al conflitto mediorientale. Ma solo nella 21esima serie del cartone Homer, Marge, Bart, Lisa e Maggie visiteranno Israele e incontrerano una scontrosa guida turistica israeliana, impersonata per l'occasione dal comico britannico. Nell'episodio, Homer svilupperà la sindrome di Gerusalemme e inizierà a credere di essere il Messia. Il produttore dei Simpson, Al Jean, ha anticipato al settimanale Entertainment Weekly che Baron Cohen avrà uno scambio vivace di battute con Marge Simpson: "(Baron Cohen) cerca di ottenere un valutazione positiva sul suo servizo da Marge, e lei gli dice: 'come popolo siete aggressivi'. Lui replica: 'che vuoi dire come popolo? Dovresti provare ad avere la Siria come vicino! Voi cosa avete, il Canada?".

Davis: Spagna- Israele 4- 1


Negli ultimi due singolari successi di Ferrer e Levy
(ANSA) - TORRE PACHECO, 20 SET - E' finita 4-1 la semifinale di Coppa Davis tra Spagna e Israele, con gli iberici gia' qualificati da ieri per la finale. Negli ultimi due singolari, ininfluenti per il risultato finale, David Ferrer ha battuto Andy Ram 6/3 6/1 mentre Harel Levy ha dato il punto della bandiera a Israele superando Feliciano Lopez 7/5 6/2. La Spagna incontrera' in finale la Repubblica Ceca.










Fumetto - I punti di vista di David Polonsky

David Polonsky è famoso per il suo eccellente lavoro nel film Valzer con Bashir, di cui ha anche adattato i materiali grafici per realizzare un graphic novel e di cui abbiamo parlato alcuni mesi fa. Oltre alla produzione legata al mondo dell'animazione, Polonsky ha realizzato diverse opere grafiche di particolare interesse. Un di questa è stata proposta sull'ultimo numero del mensile Focus. Il lavoro ha il nome di Strobe, un progetto molto interessante sui “punti di vista”, pubblicato sull'antologia Dead Herring Comics in collaborazione con il gruppo Actus Comics. Si tratta di due tavole ambientate in un incrocio della città di Tel Aviv. La prima tavola mostra cosa stanno guardando le persone: la vetrina di un negozio, le scarpe del figlio, una bella ragazza per strada, se stessi in uno specchio, un' insegna, la propria compagna distratto in un intenso bacio... e così via. La sensazione che offre questa tavola è di un mondo che gira su mille punti diversi, mille punti di vista, la centralità del singolo rispetto alla massa. La stessa sensazione è possibile averla se si entra nella sala centrale di una stazione, vedrete le persone agire singolarmente con azioni diverse ed emotività diverse, espressioni delle singolarità. Ma Polonsky è andato oltre. Quelle stesse singolarità tra 15 secondi cosa staranno guardando? Le vetrine di un negozio, l'altra scarpa del figlio, il cruscotto dello scooter, la stessa bella ragazza per strada ammirata da qualcun'altro, se stessi in uno specchio ma di profilo, un'altra insegna... e così via. Prospettive diverse, punti di vista diversi, ogni uomo e donna in quell'incrocio sono concentrati su sé stessi e sulla loro vita. Uno dei pregi del lavoro di Polonsky è di dare un'occasione a tutti i personaggi della tavola, nessuno è protagonista, nessuno è al centro del meccanismo. Ed è questo il punto, non c'è una ruota narrativa che gira, ma tante quante sono le persone su quelle tavole. Va detto che Focus esagera nel definire quest'opera un graphic novel ed è ampiamente impreciso sulle sue origini, che attribuirebbe oltre che a Will Eisner anche a Hugo Pratt, mentre la letteratura in materia ha ampiamente dimostrato che è stato l'autore statunitense di origini ebraiche l'inventore di questo forma di romanzo. Proprio perché il graphic novel non è altro che un romanzo a fumetti, la doppia tavola di Polonsky pur essendo affascinante, interessante, stimolante, non è un graphic novel. Andrea Grilli http://www.moked.it/


Dolce di pane e miele

INGREDIENTI:5 manciate di pane raffermo; 2 uova; 3 cucchiai di zucchero; 50 gr. di uvetta; 2 cucchiai di canditi; olio;sale; miele; fichi; datteri; melograno
PREPARAZIONE:Ammollare il pane nell’acqua alcune ore, passarlo al setaccio o allo scolatore dopo averlo ben strizzato.Mettere un pizzico di sale, le uova battute, 2 cucchiai di zucchero, l’uvetta rinvenuta un po’nell’acqua e asciugata, la frutta condita a pezzetti. Ungere di olio una teglia, versarci dentro il composto ed infornare.Dopo aver tolto il dolce dal fuoco cioè dopo circa 3/4 d’ora, farlo raffreddare e guarnirlo con abbondante miele, ben lavato, asciugato e aperto in quattro. Un giro esterno di datteri snocciolati,uno più interno di fichi spaccati in quattro e al centro un mucchietto di chicchi di melograno oppure un melograno. Sullam n.36

Passato di zucca con amaretti

INGREDIENTI (per 6 persone):Zucca gialla (1kg abbondante), patate (2 grandi), carote (2), cipolla (1 rossa), prezzemolo,tritato (1 cucchiaio), latte (1/2 l), amaretti duri tritati (6 cucchiaini) grana (6 cucchiai),olio extra vergine.
PREPARAZIONE:Tagliare a pezzettini la zucca, e mettere al fuoco con acqua (da coprire appena la zucca) insieme alle patate, carote, cipolla, olio e sale. Cuocere con coperchio a fuoco lento per 40 minuti, frullare il tutto e rimettere al fuoco per 20 minuti aggiungendo il latte ed il prezzemolo.Deve venire un potage cremoso da servire caldo con aggiunta nelle singole porzioni di amaretti tritati (1 cucchiaino apersona) e grana (1 cucchiaio a persona), olio crudo, a piacere del pepe.Tempo di preparazione: 20 minuti - Tempo di cottura: 1 ora. Sullam n.36


Trovati in Israele un "teatrino" romano e tre Veneri pudiche

Nell'area archeologica di Hippos (conosciuta anche come Sussita), in Isreale, è stato scoperto un teatro di epoca romana diverso da tutti gli altri presenti nella regione, lo riferisce il sito del quotidiano Haaretz. Si tratta del secondo ritrovamento di vestigia romane in Israele in poche settimane, dopo la scoperta di una grande residenza privata del I secolo dopo Cristo nei pressi di Gerusalemme.Durante la decima campagna di scavi condotta da Arthur Segal e Michael Eisenberg dell'università di Haifa, riporta il sito di Haaretz, sono venuti alla luce, oltre all'edificio pubblico di grande interesse, anche una basilica romana e tre statuette di argilla che raffigurano la dea dell'amore Afrodite e risalgono a 1.600 anni fa.Le sculture, alte 23 centimetri, rappresentano un particolare tipo iconografico di divinità dell'amore, la «Venere pudica», chiamata in questo modo perché si copre pudicamente le nudità con il palmo della mano. «È possibile - ha dichiarato Segal in una nota dell'università di Haifa - che nel quarto secolo dopo Cristo, quando il Cristianesimo sostituisce la religione politeistica all'interno dell'Impero romano, molti abitanti della regione sussita siano rimasti devoti alla dea Venere e l'abbiano seppellita per conservarla e sottrarla alla "damnatio memoriae"».Per quanto riguarda il piccolo teatro coperto, gli esperti confermano che strutture del genere erano abbastanza comuni tra il I secolo avanti Cristo e il I dopo Cristo e servivano come aule di lettura di poesie per un pubblico scelto. Il teatro, il primo di questo tipo rinvenuto in Israele, non conteneva più di 600 posti, mentre i normali teatri avevano una capienza di almeno 4.000 posti. 15 settembre 2009, il giornale.it


Fumetto - Spiegelman torna e racconta la tragedia della St. Louis

Grande ritorno di Art Spiegelman con una tavola ripresa in versione italiana dal settimanale Internazionale del 4 settembre.Quando nel 1986 uscì il primo volume di Maus cambiò completamente il modo con cui si poteva raccontare la Shoà. Art Spiegelman aveva trovato un canale inedito sia per la modalità metaforica di attribuire ai popoli coinvolti l’immagine di animali stereotipati, sia perché l’animale che avrebbe rappresentato il popolo ebraico non era altro che un topolino di campagna. Quell’animale preda di tutti, aquile e topi, senza nessuna particolare difesa, rappresentava l’impossibilità di difendersi, l’incapacità di opporsi al predatore. In questo caso i nazisti rappresentati dai gatti.Maus era uscito a puntate sulla rivista d’avanguardia Raw, fondata con sua moglie Françoise Mouly, e nel 1992 Spiegelman aveva vinto il premio Pulitzer. Nello stesso anno, dopo aver lasciato la Topps, colosso della figurine statunitense, aveva iniziato a lavorare per lo studio di Tina Brown collaborando per quasi dieci anni con il settimanale New Yorker fino alla rottura in occasione dell’11 settembre, quando la copertina di Spiegelman,che rappresentava su fondo nero le torri gemelle anch’esse nere ma visibili osservando con attenzione le sfumature del colore scuro, generò discussioni e lamentele sul modo di comunicare e in qualche modo commentare un evento così tragico per la storia statunitense. Art Spiegelman in quell’occasione sottolineò il profondo conformismo che secondo l’autore ha colpito la stampa statunitense, ormai appiattita su posizioni “non-critiche” verso l’amministrazione repubblicana. Non è d’altra parte un caso che uno dei primi riconoscimenti ricevuti, insieme a due Will Eisner e tanti altri premi, è quello del Pulitzer a sottolineare una tensione particolare nel raccontare in modo asciutto, diretto e giornalistico storie come quelle di Maus.Spiegelman ama parlare direttamente al lettore, in Maus ci sono due diversi livelli di lettura, quello dell’autore e quello del padre sempre rivolti al lettore, mentre in altri lavori, anche quelli nei primi anni settanta raccolti nella antologia Breakdowns, l’autore punta sempre le parole verso di noi. Dopo l’11 settembre l’autore ha combattuto anche contro uno stress post-traumatico, risolto con una serie di strisce, In the Shadow of No Towers, pubblicate su diverse riviste internazionali, tra cui il prestigioso Die Zeit.L’accusa verso i media di essere troppo “bonari” è stata di recente riproposta sul settimanale Internazionale con una doppia pagina dal titolo The St. Louis refugee. Art Spiegelman ripercorre la reazione di alcuni disegnatori in occasione del rifiuto da parte del governo statunitense di accogliere i 900 rifugiati della nave della Sant Louis che fu costretta a ritornare in Germania. Se commenta le strisce realizzate all’epoca esaltando l’efficacia o meno delle loro vignette, Spiegelman si preoccupa di sottolineare che oggi comunque a parte lazzi bonari, i suoi colleghi stanno sparendo dietro un conformismo senza precedenti. Le vignette invece di rappresentare l’indignazione e lo sdegno dell’autore solo un simpatico sbuffo, un sorriso forse un po’ amaro, ma niente di più di quanto più indegno possa accadere nella società civile. Spiegelman ricordando il lavoro dei suoi predecessori su una questione così grave, probabilmente cerca di sollevare l’orgoglio di una professione, quel del disegnatore, che potrebbe spingere le persone con il riso a riflettere per prendere decisioni consapevoli sul vivere civile. Da cittadini.Andrea Grilli http://www.moked.it/

lunedì 21 settembre 2009

Le foto sono tornate sul blog. grazie al prezioso aiuto del mio amico Michele che ringrazio di cuore.

Israel Horovitz

Storie di pregiudizi razziali nella "Trilogia" di Israel Horovitz

Due balordi attaccabrighe. Uno straniero alla fermata del bus. Siamo nel bronx di New York, ma può ricordare un quartiere di Roma come un sobborgo di Parigi. Una giornata di ubriacatura e di noia. E un pretesto qualsiasi per sfogare sul "diverso" le proprie frustazioni, la rabbia, un retaggio di violenza che fa affiorare zone d'ombra fra i due tracotanti amici. "L'indiano vuole il bronx" è il primo di tre atti unici della "Trilogia Horovitz" dello scrittore americano Israel Horovitz, tradotti e messi in scena, per la prima volta in Italia, da La MaMa Umbria International, sede italiana del mitico teatro newyorkese, e Offucina Eclectic Arts: un progetto internazionale che ha coinvolto tre diversi registi chiamati a confrontarsi sul tema del pregiudizio razziale. Autore prolifico, conosciuto da noi soprattutto per "Line", altro testo sull'aggressività e la violenza, Horovitz, ad una scrittura che, per la forma utilizzata, supera il naturalismo americano, aggiunge il motivo della fatalità degli eventi. Offrendo anche una riflessione sulla moralità degli atti e il loro segnare la vita.Per "L'indiano vuole il bronx", con la regia dello statunitense Luke Leonard, a ispirare l'autore è l'interesse per questi personaggi stagliati nel ventre della provincia più buia, il loro linguaggio degradato, i loro sentimenti ottusamente primordiali, che si scontrano con quelli pacifici di un malcapitato indiano appena giunto a New York per visitare il figlio, che ha la sola sfortuna di trovarsi alla fermata del bus nel momento sbagliato. Improntata a una stralunata quotidianità, la pièce, nella quale l'aspetto più atroce è la terribile "normalità" con cui i protagonisti vivono la loro impresa di ordinaria violenza, finisce con una catarsi violenta che sfiora la tragedia.Ci immergono nella realtà di un'altra più cruenta tragedia "Beiruts rocks" ed "Effetto muro". Due sguardi sul conflitto israelo-palestinese restituito in tutta la sua crudezza attraverso gli effetti devastanti della paura dell'altro, quella che annienta i rapporti. Come quello d'amicizia tra un soldato israeliano e un giovane professore palestinese che si ritrovano dopo alcuni anni faccia a faccia ad un check-point del confine con Ramallah. In quindici folgoranti minuti la regia di Andrea Paciotto fa affiorare tutte le tensioni di un'ostilità della quale entrambi sono vittime. E a nulla servirà il tentativo del soldato di voler fermare il palestinese dall'intento di un attacco kamikaze proprio a Ramallah per vendicare la sua famiglia uccisa su di un autobus durante un altro attacco suicida."Beiruts rocks", affidato alla regista coreana Hyunjung Lee, attualizza il dramma nella Beirut delle ostilità tra Israele e gli Hezbollah del 2006. Durante dei bombardamenti quattro studenti americani si ritrovano in una convivenza forzata dentro la stanza di un hotel nell'attesa di essere evacuati. All'iniziale indifferenza del ragazzo di origine ebraica, interessato solo a seguire la partita di golf in diretta dal suo computer e incurante di quanto succede fuori, subentra una paura crescente che sfocerà in un durissimo scontro con la ragazza di origine palestinese sospettata di essere imbottita di esplosivo. Allestito nella cripta del Teatrino delle 6 di Spoleto, con l'ausilio di proiezioni e oggetti scenici minimali, lo spettacolo sfrutta nei suoi tre atti la profondità dello spazio disponendo gli spettatori ai lati e frontalmente, quasi testimoni coinvolti dentro gli accadimenti. La recitazione, tesa, veloce, spezzettata, quotidiana, offre specialmente a Giorgio Marchesi e a Francesco Bolo Rossini impegnati nei tre ruoli, una grande prova di maestria e di sostenuto agonismo attoriale. Ai quali si aggiungono Simonetta Solder, Nicole Sartirani e Enrico Salimbeni."Trilogia Horovitz", tre atti unici di Israel Horovitz. Regia di Luke Leonard, Hyunjung Lee, Andrea Paciotto, scene Paolo Liberati, musiche Rolando Macrini. Al Teatrino delle 6 di Spoleto, fino al 20 settembre.
17 settembre 2009 http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/

Brad Pitt nel film






Israele applaude il Tarantino antinazista


Nessuna contestazione e applausi a scena aperta: è finita così, in un’atmosfera di entusiasmo, la prima proiezione in sala dinanzi al pubblico israeliano dell’ultimo film di Quentin Tarantino. Curioso, per sua stessa ammissione, di conoscere la reazione degli spettatori comuni in Israele al debutto del suo “Inglourious Basterds” - avventura fantapolitica in cui Hitler si ritrova nel mirino d’un manipolo di soldati-vendicatori ebrei americani - da ieri nelle sale. Oltre al regista, lodato anche l’attore principale Cristoph Waltz: la sua interpretazione del luciferino ufficiale nazista “cacciatore di ebrei” - già premiata a Cannes - convince al punto che il quotidiano Haaretz la definisce senza mezzi termini “da Oscar”. Sia Waltz sia Tarantino sono spuntati, più o meno a sorpresa, dopo la proiezione del film in un cinema di Tel Aviv: accolti con calore dagli spettatori. I “Basterds” avevano fatto breccia anche fra i critici israeliani, ma con qualche eccezione che in platea non si è vista. Come quella di Meir Schnitzer, recensore del film sulle colonne di Maariv, che in un articolo di fuoco è arrivato a tacciare Tarantino di “revisionismo alla Irving”. 17/9/2009 http://www.lastampa.it/



Inizia male l’avventura in Champions del Maccabi Haifa

Il risveglio dai sogni può essere talvolta molto brusco. È stato sicuramente così per i tifosi del Maccabi Haifa, che hanno visto la propria squadra sconfitta dal Bayern Monaco per tre a zero nella prima partita del girone eliminatorio della Champions League. Dopo l’entusiasmante cavalcata nei turni preliminari, che aveva mostrato la solidità difensiva (tranne nel match casalingo con l’Aktobe) della squadra, era lecito aspettarsi un risultato migliore. Nessuno si illudeva che il Maccabi, alla seconda partecipazione alla massima competizione europea, avrebbe avuto vita facile contro i bavaresi, ma la netta sconfitta subita, ancora più pesante visto che avvenuta in suolo amico (si giocava allo stadio Ramat Gan davanti a quasi quarantamila spettatori), è una brutta botta da digerire. Eppure, fino al goal del vantaggio tedesco, gli israeliani non avevano certo demeritato, creando un paio di insidiose occasioni da goal sulle quali si era opposto, non senza difficoltà, l’estremo difensore del Bayern. Il pericolo corso ha avuto però l’effetto di “svegliare” la compagine bavarese, fino ad allora poco appariscente, che ha scatenato le sue “bocche da fuoco”. Così Van Buyten, difensore centrale belga, approfittando di una situazione di gioco convulsa, ha portato in vantaggio i tedeschi al sessantacinquesimo minuto gelando l’entusiasmo dei supporter israeliani. Il Maccabi ha provato a reagire e si è avvicinato al pareggio con Dvalishvili, ma la potente conclusione dell’attaccante del Maccabi è stata ribattuta dal portiere tedesco. Il match, pur senza ulteriori emozioni da una parte e dall’altra, è rimasto in bilico fino agli ultimi minuti di gioco, quando una doppietta micidiale del giovane Thomas Muller, talento proveniente dalle squadre giovanili, ha messo definitivamente in ginocchio gli israeliani. Tre a zero e tutti sotto la doccia. Appuntamento per il possibile riscatto del Maccabi, tra due settimane in casa del Bordeaux.Adam Smulevich http://www.moked.it/

Domenico Amato
Domenico Amato, il finanziere che non ebbe paura

Ricorre oggi l’anniversario della nascita dell’appuntato della Guardia di Finanza Domenico Amato, nato il 15 settembre 1905 in provincia di Caserta, a San Nicola. La Strada, cui il suo paese natale ha intitolato nei giorni scorsi il campo sportivo. E’ un altro dei tanti nomi sconosciuti ai più, dei piccoli grandi eroi che seppero reagire all’orrore e che per questo ha meritato la medaglia d’oro al merito civile, conferitagli dal Presidente Napolitano con suo decreto del giugno dell’anno scorso. Domenico Amato, che ebbe la ventura di prestare servizio presso la brigata di Casamoro Porto Ceresio, vicino al confine svizzero, aiutò diversi profughi ebrei e perseguitati politici a espatriare in Svizzera, per sfuggire alla cattura da parte dei nazifascisti. Inoltre, si assunse il delicato compito di inoltrare la corrispondenza ed i valori che le organizzazioni ebraiche indirizzavano ai rifugiati in territorio elvetico. Colto in flagranza ed arrestato dalla polizia di frontiera tedesca, il 17 febbraio del 1944, fu dapprima tradotto in carceri italiane, poi deportato nel campo di lavoro di Gusen (prossimo a quello di concentramento di Mauthausen), dove morì il 27 febbraio 1945 a soli 39 anni d’età. La motivazione del conferimento della medaglia firmata dal Presidente della Repubblica induce a ritenere che a Donato Amato possa essere attribuito, una volta effettuati gli opportuni approfondimenti, anche il riconoscimento di “Giusto tra le nazioni”: "Nel corso dell’ultimo conflitto mondiale si prodigava, con eccezionale coraggio ed encomiabile abnegazione, in favore dei profughi ebrei e dei perseguitati politici, aiutandoli ad espatriare clandestinamente e ad inoltrare la corrispondenza e i valori che le organizzazioni ebraiche indirizzavano ai rifugiati nella vicina Svizzera. Arrestato dalle autorità tedesche veniva infine trasferito in Austria, perdendo la vita in un campo di concentramento. Mirabile esempio di altissima dignità morale, di generoso spirito di sacrificio ed umana solidarietà. 1943/1945 – Mauthausen – Gusen (Austria)". Valerio Di Porto, Consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane http://www.moked.it/

l'antica sinagoga di Ostia

Shirat ha Yam, la sedicesima sinagoga di Roma diventa realtà

Si chiamerà Shirat ha yam (cantica del mare) e sorgerà sul litorale romano la sedicesima sinagoga della città di Roma. Questa sera, infatti, il sindaco Gianni Alemanno consegnerà formalmente al presidente della Comunità Ebraica di Roma Riccardo Pacifici le chiavi dell'edificio comunale di via Oletta, ad Ostia, saranno presenti anche il Presidente del XIII Municipio, onorevole Giacomo Vizzani, e il rabbino capo della Comunità Ebraica di Roma, Riccardo Di Segni. "La sinagoga di Ostia, che si inaugura questa sera, ha un forte valore simbolico per gli ebrei della città" dice il rav Ariel Di Porto che segue fin dall'inizio il nucleo ebraico della zona che comprende oltre a Ostia, Axa, Casal Palocco, Dragona, Vitinia e Acilia."Le attività sono iniziate due anni fa a Pesach (Pasqua ebraica), abbiamo organizzato le due serate del seder di Pesach e la cerimonia de Lag Ba'omer in una sede provvisoria che ci era stata concessa al Borghetto dei pescatori ed anche Rosh Kodesh Elul agli scavi del Tempio di Ostia antica". "Ora avremo stabilmente questa struttura a cinquecento metri dal mare, - prosegue il rav Ariel Di Porto - dove potremo organizzare le preghiere per Rosh ha Shanà e per Yom Kippur. Abbiamo anche in programma una cena per la festa di Sukkot".E' un momento importante per gli ebrei di Ostia che da anni chiedevano al Campidoglio un luogo in cui poter pregare. Un sogno che finalmente diventa realtà.Lucilla Efrati http://www.moked.it/

Denise Nemirovski

Mantova Letteratura – Amos Oz e Denise Nemirovsky

Era uno degli eventi più attesi del festival, l’incontro con Denise Epstein, e non ha certo deluso le aspettative di quanti, alcune centinaia di persone, hanno affollato il cortile del Palazzo di San Sebastiano venerdì pomeriggio. La Epstein, ricordando la figura della madre, Irene Nemirovsky, scrittrice di origine ucraina deportata ad Auschwitz e morta di tifo nel 1942, non è riuscita a nascondere l’emozione davanti al caloroso e numeroso pubblico mantovano. “Grazie, grazie di cuore” ha mormorato con voce tremante. Emozioni che si sono intensificate quando ha ricordato lo straziante momento della separazione, avvenuto per mano di due gendarmi francesi: “Mi perdonerete se non ho la forza di ripetervi le parole che mi disse prima che fosse portata via”. Poi, con voce più decisa, difende la madre dalle accuse di antisemitismo (a causa di alcune descrizioni non proprio lusinghiere di alcuni personaggi del mondo ebraico francese) che le sono state rivolte da alcuni critici letterari: “era fiera delle proprie origini ebraiche, come testimoniano alcuni suoi scritti e lettere che ho ritrovato”. Un rapporto comunque molto controverso quello della Nemirovsky e di sua figlia Denise con l’ebraismo: “Nella nostra famiglia avevamo un approccio laico nei confronti della religione. Fu solo quando mi fu cucita sugli abiti una stella gialla che mi resi conto di essere diversa dagli altri”. Ancora oggi la Epstein, pur definendosi orgogliosa delle proprie radici, vive questo rapporto con un certo distacco: “È più una relazione di buon vicinato, per così dire. Faccio fatica ad accettare l’ebraismo in toto”. Su una cosa è però sicura: “È necessario ridare la vita a tutte le vittime di questa tragedia affinché non vengano dimenticate e la produzione letteraria è sicuramente un modo efficace per farlo”. È con questo convincimento che Denise, cinque anni fa, ha deciso di pubblicare, grazie alla casa editrice Denoel, il diario scritto dalla madre, un prezioso e inquietante spaccato sulla Francia negli anni dell’invasione nazista. Un’opera incompiuta, la Nemirovsky riuscì a scrivere solo due dei cinque tomi che aveva originariamente previsto, a cui è stato dato il nome di “Suite Francaise”. Una straordinaria testimonianza rimasta per anni chiusa in una valigia, affidatale dal padre con la promessa, da parte di Denise, di custodire gelosamente le memorie della madre. Adesso, grazie al grande successo ottenuto da “Suite Francaise” la valigia è diventata un “feticcio da museo”, come constata con un po’ di amarezza Denise, ma almeno simboleggia la riscoperta di una scrittrice che era stata quasi completamente dimenticata.Fra le varie iniziative organizzate in occasione del Festival della Letteratura, una delle più stimolanti è “Pagine Nascoste”, una cinque giorni di documentari che racconta, facendo emergere talvolta alcuni aspetti meno conosciuti, la vita di alcuni personaggi del mondo della cultura. A testimonianza del grande interesse che circonda la sua figura, è stato proiettato (e replicato in una seconda serata) “The nature of dreams”, un intenso ritratto, in anteprima nazionale, di Amos Oz, probabilmente lo scrittore israeliano più famoso al mondo (sicuramente quello che vende più copie). Il documentario, che ripercorre la vita dell’intellettuale, dalla primissima infanzia fino al forte coinvolgimento politico nelle elezioni del febbraio scorso, diventa un’occasione per raccontare la storia e l’evoluzione della società israeliana attraverso le parole e i ricordi di una delle sue migliori espressioni. Oz, figlio di ebrei dell’Europa Orientale, parla del sentimento ambivalente che molti israeliani provano nei confronti del Vecchio Continente. Da una parte la grande attrazione verso la sua cultura, dall’altra la repulsione verso un continente che non è stato certamente tenero nei confronti degli ebrei. “Ancora oggi, eppure sono passati quasi sessantacinque anni, provo un certo fastidio nel sentire qualcuno parlare in tedesco” riassume efficacemente il “problema emotivo” provato da molti israeliani nei confronti del Vecchio Continente ed in particolare della Germania. Nel documentario, attraverso la vicenda personale di Oz, che all’età di quindici anni abbandonò Gerusalemme per il kibbutz di Hulda, si affronta il tema, molto complesso, delle diverse anime che hanno permesso che il sogno dalla nascita dello Stato di Israele, da qui il titolo del film, diventasse realtà. “Israele è la fusione di diversi sogni, quello di fondare uno stato marxista e quello di ricreare l’ambiente dello shtetl, oppure ancora l’idea che dovesse diventare un paese raffinato sulla falsariga di quelli mitteleuropei e la diversa opinione in proposito che avevano i sabra”. La società israeliana, secondo Oz, deve però necessariamente proiettarsi nel futuro (“Odio parlare troppo del passato”) facendo un’analisi seria su cosa è rimasto ai giorni nostri di questi sogni, quali sono ancora vivi, quali sono diventati incubi e quali ancora sono stati dimenticati. È una riflessione amara quella di Oz sulla questione della cosiddetta “israelianità”, che lo porta a usare espressioni molto forti come quella di “campo profughi allestito frettolosamente” o di “paese che odora di vernice fresca” (Chi vive nella casa in cui è nato o dove sono nati i suoi genitori?). Una precarietà dell’esistenza che è un sentimento comune alla quasi totalità degli israeliani e che è accresciuta dal doloroso proseguo del conflitto con i palestinesi. “La soluzione la conoscono tutti”, afferma Oz, “ ed è sicuramente dolorosa come un’amputazione, ma è l’unica possibilità: due popoli e due Stati”.Adam Smulevich http://www.moked.it/

Israele vince il Leone d’Oro

Risultato storico per il cinema israeliano: il film “Lebanon” del regista Samuel Maoz, ha vinto il Leone d’Oro come miglior film alla 66. Mostra del Cinema di Venezia; per la prima volta un film israeliano ha ricevuto questo prestigioso riconoscimento. "Dedico il premio alle migliaia di persone nel mondo che, come me, sono tornati sani e salvi dalla guerra” ha detto il regista durane la cerimonia di consegna dei premi. "Apparentemente stanno bene... ma dentro, il ricordo rimane come un pugnale nell’anima”, ha continuato. Il film di Maoz si svolge quasi interamente all’interno di un carro armato israeliano durante la prima Guerra del Libano, nel giugno 1982, e presenta il punto di vista di due giovani soldati israeliani che si trovano da soli di fronte alla guerra e alle sfide esistenziali che questa comporta.Il film è coprodotto da Uri Uri Sabag e Einat Bikel. Gli attori principali sono Michael Moshonov, Itay Tirah, Yoav Donat, Oshri Cohen, Zohar Strauss, e Dudu Tasa.
Trailer del film (in ebraico, senza sottotitoli): http://www.youtube.com/watch?v=IvYCW1LVFIE
Un recensione al film di Maurizio G. De Bonis, sul sito Cultframe: http://www.cultframe.com/2009/09/lebanon-film-samuel-maoz/

Minna Scorcu,Coordinatrice Ufficio Culturale Ambasciata di Israele
Via Michele Mercati 14 – 00197 Roma E-mail cultura@roma.mfa.gov.il


Il film d'Israele conquista il Leone

Confermate le anticipazioni, a portarsi a casa l’ambito Leone d’oro della sessantaseiesima mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia è stato il film “Lebanon” del regista israeliano esordiente Samuel Maoz, trionfatore della Mostra 2009, una scelta che ha messo d’accordo l’intera giuria, presieduta da Ang Lee, registra e sceneggiatore Taiwanese.Maoz, ritirando il premio, ha dichiarato di voler dedicare la sua vittoria «alle migliaia di persone nel mondo che tornano dalla guerra come me sani e salvi, persone che si sposano, hanno figli, ma che portano i ricordi della guerra stampati nel cuore».Il cinema israeliano si riconferma di qualità, coraggioso nello scendere a patti con i propri demoni, con i duri momenti che hanno caratterizzato la storia dello Stato d’Israele negli ultimi sessant’anni.Secondo i critici Lebanon è un film perfetto per il mercato americano e per una candidatura agli Oscar, un film che parla di guerra, di vite spezzate, del dolore che ogni conflitto comporta, un film dal messaggio dichiaratamente pacifista, che però non vuole affermare nulla dal punto di vista politico, sociale o etico, trasmette invece attraverso suoni ed immagini la carica di sofferenza e di soffocamento che comportano i conflitti armati. Cento minuti molto efficaci, forti che arrivano direttamente allo stomaco.Michael Calimani