mercoledì 23 settembre 2009


Fumetto - Spiegelman torna e racconta la tragedia della St. Louis

Grande ritorno di Art Spiegelman con una tavola ripresa in versione italiana dal settimanale Internazionale del 4 settembre.Quando nel 1986 uscì il primo volume di Maus cambiò completamente il modo con cui si poteva raccontare la Shoà. Art Spiegelman aveva trovato un canale inedito sia per la modalità metaforica di attribuire ai popoli coinvolti l’immagine di animali stereotipati, sia perché l’animale che avrebbe rappresentato il popolo ebraico non era altro che un topolino di campagna. Quell’animale preda di tutti, aquile e topi, senza nessuna particolare difesa, rappresentava l’impossibilità di difendersi, l’incapacità di opporsi al predatore. In questo caso i nazisti rappresentati dai gatti.Maus era uscito a puntate sulla rivista d’avanguardia Raw, fondata con sua moglie Françoise Mouly, e nel 1992 Spiegelman aveva vinto il premio Pulitzer. Nello stesso anno, dopo aver lasciato la Topps, colosso della figurine statunitense, aveva iniziato a lavorare per lo studio di Tina Brown collaborando per quasi dieci anni con il settimanale New Yorker fino alla rottura in occasione dell’11 settembre, quando la copertina di Spiegelman,che rappresentava su fondo nero le torri gemelle anch’esse nere ma visibili osservando con attenzione le sfumature del colore scuro, generò discussioni e lamentele sul modo di comunicare e in qualche modo commentare un evento così tragico per la storia statunitense. Art Spiegelman in quell’occasione sottolineò il profondo conformismo che secondo l’autore ha colpito la stampa statunitense, ormai appiattita su posizioni “non-critiche” verso l’amministrazione repubblicana. Non è d’altra parte un caso che uno dei primi riconoscimenti ricevuti, insieme a due Will Eisner e tanti altri premi, è quello del Pulitzer a sottolineare una tensione particolare nel raccontare in modo asciutto, diretto e giornalistico storie come quelle di Maus.Spiegelman ama parlare direttamente al lettore, in Maus ci sono due diversi livelli di lettura, quello dell’autore e quello del padre sempre rivolti al lettore, mentre in altri lavori, anche quelli nei primi anni settanta raccolti nella antologia Breakdowns, l’autore punta sempre le parole verso di noi. Dopo l’11 settembre l’autore ha combattuto anche contro uno stress post-traumatico, risolto con una serie di strisce, In the Shadow of No Towers, pubblicate su diverse riviste internazionali, tra cui il prestigioso Die Zeit.L’accusa verso i media di essere troppo “bonari” è stata di recente riproposta sul settimanale Internazionale con una doppia pagina dal titolo The St. Louis refugee. Art Spiegelman ripercorre la reazione di alcuni disegnatori in occasione del rifiuto da parte del governo statunitense di accogliere i 900 rifugiati della nave della Sant Louis che fu costretta a ritornare in Germania. Se commenta le strisce realizzate all’epoca esaltando l’efficacia o meno delle loro vignette, Spiegelman si preoccupa di sottolineare che oggi comunque a parte lazzi bonari, i suoi colleghi stanno sparendo dietro un conformismo senza precedenti. Le vignette invece di rappresentare l’indignazione e lo sdegno dell’autore solo un simpatico sbuffo, un sorriso forse un po’ amaro, ma niente di più di quanto più indegno possa accadere nella società civile. Spiegelman ricordando il lavoro dei suoi predecessori su una questione così grave, probabilmente cerca di sollevare l’orgoglio di una professione, quel del disegnatore, che potrebbe spingere le persone con il riso a riflettere per prendere decisioni consapevoli sul vivere civile. Da cittadini.Andrea Grilli http://www.moked.it/

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