mercoledì 27 gennaio 2010

Mercoledì 27 ,nella ricorrenza del "Giorno della Memoria vi saranno le seguenti programmazioni televisive :

- RAI/1 alle 21,10 Film : "In ricordo di anna frank" - 2009 Italia
- RAI/3 alle 1,10 "La storia siamo noi" .speciale Olocausto -documenti con Gianni Minoli
- Rete/4 alle 23,30 Film : "IL processo di Norimbergsa" - 2000 Canada/Usa
- LA/7 alle 14,00 Film : "fuga da Absolon" - 1994 USA
- La/7 alle 17,00 documentario " IL segreto dell'olocausto"
- La/7 alle 18,00 Film : "Un treno per la vita".

Andrea Iardella

martedì 26 gennaio 2010








Quello che segue è il mio contributo alla giornata della memoria: 27 gennaio 2010.

I testi e le foto sono state presi da questo sito: http://www.20bambini.org/html/20bambini.htm


W. Junglieb (iugoslavo ?) nato a ?, ? 1932 morto ad Amburgo, il 20 aprile 1945
Di questo bambino non si conosce nemmeno il nome. L'unico dato certo della sua vita è che faceva parte del gruppo dei bambini morti nella scuola Amburghese di Bullenhuser Damm.
Roman Zeller (polacco)nato a ?, ? 1932 morto ad Amburgo, il 20 aprile 1945
Di Roman Zeller non abbiamo notizie precise. Si sa che dalla baracca dei bambini di Birkenau fu portato a Neuengamme insieme agli altri 20 bambini poi assassinati nella scuola di Bullenhuser Damm.
Marek Steinbaum (polacco)nato a Radom, ? 1934 morto ad Amburgo, il 20 aprile 1945
Marek Steinbaum, polacco di Radom, figlio di Mania e Rachmil, entrò a far parte del gruppo dei 20 bambini di Bullenhuser Damm. La prima settimana di ottobre del 1944 tutta la sua famiglia fu deportata ad Auschwitz. Suo padre e suo zio furono poi trasferiti a Dachau. Marek e sua mamma rimasero ad Auschwitz-Birkenau. Il 27 novembre Mania vide Marek in un gruppo di bambini che stava lasciando il campo… lo salutò con la mano… Pochi giorni dopo fu deportata a Theresienstadt. Dopo la liberazione papà e mamma Steinbaum, sopravvissuti, diedero inizio alla disperata quanto inutile ricerca del loro piccolo Marek.
Bluma (Blumele) Mekler (polacca)nata a ?, ? 1934, morta ad Amburgo, il 20 aprile 1945
Bluma Mekler, chiamata Blumele, era uno dei 20 bambini che da Auschwitz fu inviata a Neuengamme come cavia umana per esperimenti medici e poi assassinata nella scuola di Bullenhuser Damm.
Surcis Goldinger (polacca)nata a ?, ? 1934morta ad Amburgo, il 20 aprile 1945
Surcis Goldinger da Ostrowicz giunse ad Auschwitz il 3 agosto 1944. Fu tatuata con il numero A16918. Finita nella baracca dei bambini di Birkenau divenne uno dei 20 bambini sui quali furono effettuati esperimenti sulla tubercolosi nel campo di concentramento di Neuengamme e poi assassinati nella scuola di Bullenhuser Damm.Lelka Birnbaum (polacca)nata a ?, ? 1932 morta ad Amburgo, il 20 aprile 1945
La storia di Lelka Birnbaum non è nota. Si sa che fece parte del gruppo dei 20 bambini assassinati a Bullenhuser Damm.
H. Wasserman (polacca)nata a ?, ? 1937morta ad Amburgo, il 20 aprile 1945
H. Wasserman è uno dei 20 bambini di Bullenhuser Damm. Bellissimo il parco che ad Amburgo porta il suo nome: Parco H. Wasserman.
Eleonora Witonski (polacca)nata a Radom, il 16 settembre 1939morta ad Amburgo, il 20 aprile 1945
Roman ed Eleonora Witonski dal ghetto di Radom furono deportati con la loro mamma (il padre era stato ucciso sotto i loro occhi il 21 marzo 1943) ad Auschwitz-Birkenau il 31 luglio 1944 "A Birkenau fui mandata nel campo per famiglie, che era vuoto… Io ho avuto il numero A 15158, Eleonora A 15159, Roman A 15160. Ho visto i miei bambini per l'ultima volta nel novembre 1944", raccontò la signora Rucza Witonski , che sopravvisse al lager e cercò in tutti i Paesi d'Europa i suoi bambini. Solo nel 1982 venne a sapere che Roman ed Eleonora Witonski erano due dei 20 bambini assassinati a Bullenhuser Damm.
Lea Klygerman (polacca)nata a Ostrowicz, ? 1937morta ad Amburgo, il 20 aprile 1945
Ester Klygerman il 3 agosto 1944 era stata scaricata sulla rampa di Auschwitz Birkenau con le sue due bambine, Lea e Rifka. Lea, tatuata con il numero A 16959, fu uno dei 20 bambini assassinati a Bullenhuser Damm.


Eduard Reichenbaum (polacco)nato a Kattowitz, il 15 novembre 1934morto ad Amburgo, il 20 aprile 1945. Eduard Reichenbaum era figlio di un rappresentante di libri di editori tedeschi e polacchi. In casa parlavano tedesco e polacco. A raccontarci della famiglia è Jizhak, il fratello maggiore di Eduard, sopravvissuto e trasferitosi ad Haifa: "Dopo l'occupazione della Polonia fummo deportati prima nel campo di lavoro a Blizyn, poi, il 1° agosto 1944, nel campo di sterminio di Auschwitz. Sulla rampa di Auschwitz-Birkenau fummo separati: io fui mandato al campo degli uomini, mio fratello Eduard rimase con la mamma nel campo delle donne fino a metà novembre. Mio padre arrivò con un trasporto successivo e non lo rividi più". Il 23 novembre 1944 Sabina Reichenbaum, partì da Auschwitz con un trasporto di donne destinate a lavorare in Germania, a Lippstadt, in un fabbrica di munizioni. Nella lista era il n. 81. Sopravvisse al lager e andò in Israele; suo marito morì ad Auschwitz; mentre il piccolo Eduard dalla baracca dei bambini finì a Bullenhuser Damm.


Alexander (Lexje) Hornemann (olandese)nato a Eindhoven, il 31 maggio 1936, morto ad Amburgo, il 20 aprile 1945. La famiglia Hornemann - Elisabeth, Philip e i loro figli, Edo e Lexje vivevano al 29 di Staringstraat. Elisabeth e Philip lavoravano alla Philips, Edo era molto intelligente, Lexje molto spassoso. Il 25 agosto 1942 alla famiglia Hornemann fu espropriata la casa; l'anno seguente, il 18 agosto, le SS entrarono nella fabbrica della Philips e ordinarono a tutti gli ebrei di salire sul camion.' Gli Hornemann finirono nel lager di Vught e Il 3 giugno 1944, insieme ai 400 ebrei prelevati dalla Philips caricati su carri bestiame diretti ad Auschwitz! Philip Hornemann morì il 21 febbraio 1945 a Sachsenhausen, dove era arrivato dopo una tappa a Dachau con la "marcia della morte" partita il 17 gennaio da Auschwitz, con 20 gradi sotto zero; sua moglie morì di tifo nell'ottobre 1944 ad Auschwitz. Edo e Lexje Hornemann rimasero a Birkenau nella baracca dei bambini, poi entrarono a far parte del gruppo dei 20 bambini di Bullenhuser Damm.


Roman Witonski (polacco)nato a Radom, 8 giugno 1938morto ad Amburgo, 20 aprile 1945
Roman ed Eleonora Witonski dal ghetto di Radom furono deportati con la loro mamma (il padre era stato ucciso sotto i loro occhi il 21 marzo 1943) ad Auschwitz-Birkenau il 31 luglio 1944 "A Birkenau fui mandata nel campo per famiglie, che era vuoto… Io ho avuto il numero A 15158, Eleonora A 15159, Roman A 15160. Ho visto i miei bambini per l'ultima volta nel novembre 1944", raccontò la signora Rucza Witonski , che sopravvisse al lager e cercò in tutti i Paesi d'Europa i suoi bambini. Solo nel 1982 venne a sapere che Roman ed Eleonora Witonski erano due dei 20 bambini assassinati a Bullenhuser Damm.



Mania Altmann (polacca)nata a Radom, ? giugno 1940morta ad Amburgo, il 20 aprile 1945
I genitori di Mania Altmann si chiamavano Shir e Pola. Lo zio Chaim Altmann sopravvissuto ad Auschwitz racconta: "Mania era dolcissima ed era adorata da mamma e papà. La mamma cercò di nasconderla, di proteggerla, ma ad Auschwitz le fu strappata via. Shir è morto a Mauthausen, Pola vide per l'ultima volta la sua piccola Mania nell'agosto 1944. Pola sopravvisse ad Auschwitz, emigrò in America e fino alla morte sperò che Mania tornasse"… ma Mania Altmann era nel gruppo dei 20 bambini di Bullenhuser Damm.



Marek James (polacco)nato a Radom, il 17 marzo 1939morto ad Amburgo, il 20 aprile 1945
La famiglia James abitava a Radom, non lontano dalla famiglia Witonski. Arrivò ad Auschwitz il 1° agosto 1944. Marek venne tatuato con il numero B 1159 e mandato nella baracca dei bambini. Marek James è un bambino di Bullenhuser Damm.


Riwka Herszberg (polacca)nata a Zdunska Wola, il 7 giugno 1938 morta ad Amburgo, il 20 aprile 1945. Riwka Herszberg fu deportata ad Auschwitz con la mamma Mania e il papà Moische alla fine di ottobre 1943. Sembra che un ufficiale SS vedendo Riwka sulla rampa sia rimasto così colpito dalla sua bellezza che abbia fatto di tutto per impedire che la famiglia fosse mandata al gas. Infatti gli Herszberg dalla rampa furono mandati nel campo per famiglie. Qui rimasero insieme finché Mania e Moishe non furono trasferiti in un campo di lavoro e Riwka nella baracca dei bambini a Birkenau. Mania sopravvisse alla prigionia e per anni cercò disperatamente la sua piccola, ma Riwka Herszberg faceva parte del gruppo dei 20 bambini assassinati a Bullenhuser Damm.


Sergio de Simone (italiano)nato a Napoli, il 29 novembre 1937 morto ad Amburgo, il 20 aprile 1945. Sergio de Simone era nato a Napoli il 29 novembre 1937. Le leggi antiebraiche del 1938 e la partenza del padre Edoardo per la guerra indussero sua mamma Gisella a tornare nella casa di famiglia a Fiume. Dapprima la vita sembrava scorrere serena, poi i bambini ebrei vennero espulsi dalle scuole e agli adulti fu impedito di lavorare. Un delatore segnò la condanna di Sergio, della sua mamma, della sua nonna, delle sue cuginette Andra e Tatiana e della loro mamma Mira: furono tutti deportati alla Risiera di San Sabba e da lì a Auschwitz il 29 marzo 1944, con il convoglio 25T. Era la notte del 4 aprile1944 quando furono scaricati sulla rampa di Auschwitz-Birkenau. Con la prima selezione, nonna Rosa fu mandata a destra, caricata su un camion e spedita al gas. Mamma Mira con le bimbe Andra e Tatiana raggiunsero Birkenau a piedi insieme a Gisella e Sergio. Furono tutti tatuati. Mira da quel momento divenne il numero 76482, Andra il 76483, Tatiana il 76484, Gisella il numero 76516 e Sergio il numero 179614. Sergio e le cugine la stessa notte furono separati dalle loro mamme e spediti nella baracca dei bambini. Il nome di Sergio appare in un raro referto medico datato 14 maggio 1944 e firmato dal dottor Josef Mengele, che riferisce di una visita che gli fecero alla gola. Si tratta di un importantissimo documento perché conferma la presenza dei "bambini di Bullenhuser Damm" nel campo di Birkenau. Da quell'inferno Gisella tornò, tornò anche la sorella Mira e le bimbe Andra e Tatiana. Sergio no, lui non tornò. Fu sopraffatto dall'inganno perpetrato da Mengele una fredda mattina di novembre del 1944, quando entrò nella baracca dei bambini di Birkenau e disse: "Chi vuole vedere la mamma faccia un passo avanti". Sergio de Simone sarà uno dei 20 bambini assassinati a Bullenhuser Damm e commemorato con un giardino di rose bianche sorto a loro memoria nella stessa scuola, che oggi porta il nome del grande pedagogo polacco Janusz Korczak, morto a Treblinka insieme ai bambini dell'orfanotrofio che aveva istituito e dirigeva nel ghetto di Varsavia.

Ruchla (Rachele) Zylberberg (polacca) nata a Zawichost, il 6 maggio 1936 morta ad Amburgo, il 20 aprile 1945. Quando i tedeschi, nel settembre 1939 invasero la Polonia, Nison Zylberberg,il papà di Ruchla e di Ester, cercò riparo oltre il confine, in Russia. Sua moglie, Fajga con le bimbe pensava di raggiungerlo, ma con il passare dei giorni divenne sempre più difficile ottenere i documenti per l'espatrio. Così, le uniche porte che si aprirono a Fajga e alle sue bambine, Ester e Ruchla, furono quelle di Auschwitz-Birkenau. All'arrivola mamma e la piccola Ester furono spedite subito al gas, mentre Ruchla Zylberberg finì nella baracca dei bambini a Birkenau per poi divenire parte del gruppo dei 20 bambini di Bullenhuser Damm.


Eduard (Edo) Hornemann (olandese) nato a Eindhoven, il 1 gennaio 1933morto ad Amburgo, il 20 aprile 1945. La famiglia Hornemann - Elisabeth, Philip e i loro figli, Edo e Lexje vivevano al 29 di Staringstraat. Elisabeth e Philip lavoravano alla Philips, Edo era molto intelligente, Lexje molto spassoso. Il 25 agosto 1942 alla famiglia Hornemann fu espropriata la casa; l'anno seguente, il 18 agosto, le SS entrarono nella fabbrica della Philips e ordinarono a tutti gli ebrei di salire sul camion. Gli Hornemann finirono nel lager di Vught e il 3 giugno 1944, insieme ai 400 ebrei prelevati dalla Philips, furono caricati su carri bestiame diretti ad Auschwitz. Philip Hornemann morì il 21 febbraio 1945 a Sachsenhausen, dove era arrivato dopo una tappa a Dachau con la "marcia della morte" partita il 17 gennaio da Auschwitz, con 20 gradi sotto zero; sua moglie morì di tifo nell'ottobre 1944 ad Auschwitz. Edo e Lexje Hornemann rimasero a Birkenau nella baracca dei bambini, poi entrarono a far parte del gruppo dei 20 bambini di Bullenhuser Damm.


Jacqueline Morgenstern (francese) nata a Parigi, il 26 maggio 1932morta ad Amburgo, il 20 aprile 1945. Jacqueline Morgenstern fu arrestata con i genitori il 15 maggio 1944. Detenuti nel campo di transito di Drancy, cinque giorni dopo furono caricati su un treno diretto ad Auschwitz-Birkenau. Delle 1200 persone che facevano parte di quel trasporto tornarono 108 donne e 49 uomini, non i tre Morgenstern.Jacqueline finì nella baracca dei bambini a Birkenau, da lì fu poi portata a Neuengamme e usata come cavia umana per esperimenti medici; fu infine assassinata nella scuola di Bullenhuser Damm, a soli tredici anni.



Georges-André Kohn (francese)nato a Parigi, il 23 aprile 1932morto ad Amburgo, il 20 aprile 1945. Georges-André Kohn fu deportato insieme a sette componenti della sua famiglia il 17 agosto 1944 dalla stazione francese di Drancy-Le Bourget ad Auschwitz-Birkenau. Il 21 agosto, dopo tre giorni di viaggio infernale, Philippe e Rose-Marie, due fratelli di Georges, insieme ad altri prigionieri riuscirono a scappare attraverso un varco nel vagone. Georges, suo padre, la mamma, la sorella Antoinette e la nonna furono separati sulla rampa di Auschwitz-Birkenau: la nonna fu inviata alla camera a gas, la mamma e la sorella Antoniette morirono di fame a Bergen-Belsen, Armand Kohn, il papà di Georges, finì a Buchenwald, da dove tornò molto malato. Georges fu mandato nella baracca dei bambini a Birkenau, poi a Neuengamme e infine a Bullenhuser Damm.Il fratello di Georges, Philippe, è il presidente dell’Associazione “I Bambini di Bullenhuser Damm”.


La letteratura, un antidoto all’oblio

Quanto più la Shoah si allontana nel tempo e i pochi sopravvissuti, bambini o adolescenti durante la persecuzione nazista, diminuiscono ogni anno, tanto più diventa rilevante e imprescindibile il ruolo della letteratura per tramandare la memoria di quell’orribile crimine e tenere vivo il ricordo di coloro che non sono tornati per “raccontare”.In occasione della Giornata della memoria abbiamo scelto per i nostri lettori alcuni testi di saggistica e narrativa fra le ultime novità proposte dalle case editrici italiane.Leggere per non dimenticare
Essere ebrei omosessuali nella Berlino nazista…..
Nato nel 1923 a Berlino da padre ebreo e madre tedesca, Gad Beck ha raccolto le sue memorie sotto il titolo Dietro il vetro sottile pubblicate da Einaudi. Come sopravvivere dopo che Hitler, nel 1923, mise al bando gli omosessuali e Himmler progettò la pulizia sessuale della razza ariana. Beck si impegnò nella resistenza clandestina, fu tradito da una spia, arrestato e torturato. Tornò libero solo con l’arrivo dell’Armata Rossa e nel 1947, andò a vivere in Palestina per tornare a Berlino nel 1979. “Dopo Auschwitz non si può più fare poesia se non su Auschwitz” scriveva Adorno. Una verità da cui sgorga La notte tace. La Shoah nella poesia ebraica (Edizioni Salomone Belforte & C., testo originale ebraico a fronte con prefazione di Gianfranco Fini). Si tratta di un’antologia di poeti appartenenti a varie generazioni: chi, come Yitzak Katzenelson e David Vogel, morì nel lager; chi, durante la seconda guerra mondiale già si trovava nella Palestina mandataria. Il titolo del libro è un verso di “Mezzanotte” di Shin Shalom: “La notte tace. Io invece rimango nella strada lunga e vuota e grido.Anna Frank, Primo Levi sono i nomi che vengono alla mente nel leggere questo straordinario romanzo autobiografico di Zdena Berger, Raccontami un altro mattino (Baldini Castaldi Dalai) Con una prosa semplice ma molto incisiva l’autrice riesce a far partecipe il lettore di un orrore intollerabile. Ma fortunatamente trionferanno la volontà di non soccombere, la speranza di un futuro possibile che non viene mai meno, la capacità di ritrovare il coraggio nel più piccolo dei gesti. Uscito per la prima volta in America nel 1961, il libro ebbe un grande successo, benché in seguito fu per lungo tempo dimenticato. Ripubblicato ora in America e per la prima volta in Italia, è un testo che lascia un’emozione indimenticabile, una pietra miliare in ricordo di quanti sono morti nella Shoah, un monito per far comprendere ai giovani il significato di parole come persecuzione, fame e morte, ma anche per far scoprire l’importanza dell’amicizia e della solidarietà.
Pubblicato da Tropea a cura di Laurel Holliday, ex insegnante universitaria e psicoterapeuta, Ragazzi in guerra e nell’Olocausto è la prima sconvolgente raccolta di diari tenuti da bambini e ragazzi di ogni parte d’Europa durante la Seconda guerra mondiale. Dai ghetti della Lituania, della Polonia, della Lettonia e dell’Ungheria ai campi di concentramento di Terezìn, Stutthof e Janowska, dalle strade bombardate di Londra alla prigione nazista di Copenaghen, queste pagine sconosciute al grande pubblico e conservate in poche copie superstiti, raccontano che cosa significhi per un adolescente vivere ogni giorno con la consapevolezza che può essere l’ultimo. Eppure in situazioni tanto drammatiche la scrittura diventa testimone di una irriducibile voglia di vivere.Il diario per questi ragazzi diventa un sostegno, un amico cui confessare le proprie paure ma al tempo stesso una forma di resistenza alla follia dei tempi. Un modo per salvaguardare la propria umanità e quella degli altri.La Shoah è il luogo e il tempo dove anche le parole e non solo le vite vengono sfigurate, assumono un volto nuovo. Gli ebrei caricati sui treni merci erano stucken, “pezzi”. Giornalista e regista, Leoncarlo Settimelli, in Le parole dei lager. Dizionario ragionato della Shoah e dei campi di concentramento (Castelvecchi), spiega queste parole e questi nomi, in un modo piano e comprensibile al grande pubblico, da Antisemitismo a Zyklon B passando per kapò, Impiccagioni e Tifo petecchiale. Corredato di repertori e bibliografia, costituisce un utile strumento per conoscere e capire.L’infanzia a Budapest, il divorzio dei genitori, il rapporto coi nonni e la matrigna, l’esperienza dei lager e il ritorno in Ungheria, il partito comunista e l’era Kàdàr, il premio Nobel e la depressione. Dossier K di Imre Kertész è un romanzo autobiografico in forma di dialogo, il cui ritmo si snoda su domande capitali e pone il lettore nella condizione di muovere intelligenza ed emozioni. Ironico e penetrante, l’autore si mette a nudo e traveste da intervista il suo testamento letterario, filosofico ed esistenziale.Tami Shem Tov è un’autrice israeliana che dedica i suoi libri all’adolescenza. In Italia è stato pubblicato dalla casa editrice Piemme Ci vediamo a casa, subito dopo la guerra, un libro che prende avvio da una storia vera e avvalendosi di una documentazione tangibile costruisce un romanzo che è uno scambio di attese, paure e sogni. Tutto dentro lo sterminio. La protagonista è una bambina e attraverso i suoi occhi e le parole, i disegni che il padre le manda diventano il meccanismo di sopravvivenza trasfigurando l’orrore della Shoah in qualcosa di diverso, quasi irreale.Come gli scrittori sopravvissuti hanno raccontato l’esperienza dei lager, la costruzione letteraria della memoria concentrazionaria. E’ il tema del saggio di Carlo De Matteis Dire l’indicibile edito da Sellerio. Dalla “specie umana” di Robert Antelme alla “notte” di Elie Wiesel, dal racconto “come necessità e liberazione” (Primo Levi) al “dovere d’essere ebreo” (Jean Améry), dalla memoria dialogica di Ruth Kluger alla “necropoli” di Pahor, alle voci di donne (Edith Bruck, Zdena Berger, Charlotte Delbo), alla deportazione come “avventura adolescenziale” (Imre Kertész).E’ una vicenda ispirata a una storia vera Daniel Stein, traduttore di Ludmila Ulitskaya, pubblicato da Bompiani a cura di Elena Kostioukvitch. L’autrice che è nata nel 1943 nella regione degli Urali, direttrice artistica del teatro Ebraico oltre che membro del parlamento culturale europeo ci regala con questo libro un intreccio di esistenze: dalla vecchia comunista finita in un ospizio israeliano all’ex dissidente diventato fanatico ultrareligioso a Hebron, alla monaca tormentata, al medico salvatore di ebrei, a Daniel Stein, chissà, forse uno dei trentasei giusti. Gli ebrei lituani, da un’occupazione all’altra, dall’Unione Sovietica alla Germania nazista e ritorno all’Urss. Sullo sfondo di un clima profondamente antisemita, a cominciare dalla stessa Lituania, Igor Argamante, un russo-polacco naturalizzatosi italiano durante la guerra, rievoca quell’epoca nel libro intitolato Gerico 1941 (Bollati Boringhieri). L’autore che vive a Trieste nelle sue storie di ghetto e dintorni, a Wilno barricata come Gerico, ci regala un ritratto nitido, impavido dell’animo umano: tra debolezze, meschinità, ambizioni, tradimenti e fedeltà.Chi sopravviveva dopo lunghi giorni trascorsi, in condizioni disumane, insieme ad altre decine di deportati, nei vagoni dei treni che da varie località d’Europa conducevano gli ebrei alla loro ultima destinazione si trovava dinanzi, al termine del viaggio, la rampa.La “rampa degli ebrei” era quel punto della terra dove i treni merci si fermavano e vomitavano il loro carico umano, destinato per la gran parte alle camere a gas e ai forni crematori. Se c’è un luogo che assomiglia all’inferno è proprio quello. Anna Segre, psicoterapeuta e Gloria Pavoncello, sociologa, hanno intitolato così, Judenrampe (Elliot), il saggio che contiene una raccolta di testimonianze preziose di ebrei catturati in Italia e a Rodi, in Ungheria, Croazia, Libia giunti in quell’inferno e tornati. Ognuno racconta con parole proprie l’orrore indicibile, mentre le curatrici con estrema sensibilità veicolano le emozioni più profonde fra una parola e l’altra.Con l’arrivo degli anglo-americani da ovest e dell’Armata Rossa da est, nei mesi che vanno dall’aprile 1944 alla primavera del 1945, molti dei settecentomila detenuti ancora presenti nei campi di concentramento, già stremati da mesi di privazioni e violenze, sono costretti ad un nuovo supplizio: le cosiddette “marce della morte”. Per ordine di Himmler, capo supremo delle SS, nessun detenuto sarebbe dovuto cadere vivo nelle mani del nemico.
I prigionieri erano costretti a camminare per chilometri in condizioni disumane per raggiungere i campi di raccolta e chi non riusciva a rimanere allineato in fila con gli altri oppure chi aveva ancora la forza di tentare la fuga veniva trucidato dalle guardie.Nel saggio Le marce della morte edito da Rizzoli, Daniel Blatman, docente di storia degli Ebrei dell’Europa orientale e Storia dell’Olocausto presso l’Avraham Harman Institute of Contemporary Jewry dell’Università ebraica di Gerusalemme, supera l’approccio assunto nei dibattiti processuali del dopoguerra, che si concentrano sull’aspetto amministrativo e burocratico e quello di molta storiografia degli anni ’60 e ’90, che considera la fase dell’evacuazione solo come “l’ultimo atto omicida di matrice ideologica nel contesto della soluzione finale”. Per la prima volta le marce della morte non sono più considerate come epilogo della vita dei campi di concentramento, ma come momento centrale della storia del genocidio nazista, avviato nel 1941 e conclusosi con la fine della guerra. Con una scrittura scorrevole, lo storico israeliano indaga l’identità e le motivazioni di carnefici, vittime, liberatori oltre che dei civili tedeschi che spesso negli ultimi mesi di guerra in una quotidianità carica di forte drammaticità si trasformarono in occasionali carnefici. Giorgia Greco

lunedì 25 gennaio 2010


la casa bianca


Il commento Forse adesso la Casa Bianca cambierà toni

di Fiamma Nirenstein, http://www.ilgiornale.it/ 25 gennaio
Non sono molte, negli anni, le dichiarazioni in cui la fantasmatica voce di Osama Bin Laden fa menzione di Israele; anzi, per molti anni la sua attenzione stragista è stata molto più concentrata sui crociati (i cristiani) anche se associati ritualmente agli ebrei in generale (siamo infedeli tutti quanti), sull’Occidente blasfemo e peccatore oppressore dell’Islam e soprattutto incarnato dagli Usa, e sulla parte infedele che macchia la Ummah Islamica, i moderati rinnegati da riconquistare con la forza alla Sharia secondo Osama. Ai tempi dell’11 di settembre Gerusalemme era un elemento marginale per Al Qaida. Oggi invece, in questo messaggio, diventa centrale, anzi, retrospettivamente, a sentir lui anche le Twin Towers sono state distrutte per difendere la giusta causa dei palestinesi, anzi, con balzo retroattivo, per aiutare la povera gente di Gaza, assediata da Israele.Il messaggio è rivolto però non ai governanti di Israele, ma direttamente a Obama: che cosa significa? Le risposte sono molteplici, ma tutte parte della medesima strategia: quella di un vigliacco terrorista che vuole terrorizzare il mondo sfruttando le debolezze dell’opinione pubblica. Obama durante la sua ormai famosa intervista a Time in cui ammetteva di aver compiuto svariati sbagli, ha anche detto di aver fatto gravi errori in Medio Oriente: «È un problema intrattabile - ha detto -... abbiamo sovrastimato la nostra capacità di persuaderli (israeliani e palestinesi ndr) a impegnarsi in un dialogo significativo mentre la loro politica li porta ad altro». Una affermazione che è stata certo una leccornia per Bin Laden: il presidente Usa che ammette di aver sbagliato è la seconda puntata del presidente che va al Cairo e cita «il santo Corano» 15 volte, che si inchina fino a terra davanti al re saudita, che vuole chiudere Guantanamo, che annuncia la partenza dall’Irak, che porge la mano all’Iran e non si decide a sanzioni dure, che decide di far processare i terroristi dell’11 settembre con processo civile e non militare a New York. Ovvero, comunque il resto del mondo lo giudichi per questo comportamento politico, per il mondo estremista il grande capo della fazione opposta, quella Occidentale, che si comporta così, è né più né meno, univocamente, che un avversario debole.Qualsiasi studioso di Islam lo confermerà, persino Bernard Lewis, il più grande. La lettura di Al Qaida della politica di Obama è questa: una breccia aperta su cui picconare. Del resto, fu proprio l’idea che il nemico sovietico in Afghanistan fosse ormai fragile che spinse avanti i talebani fino al ritiro russo, e che poi li fece proclamare la vittoria come il primo passo verso la conquista dell’intero mondo occidentale fatiscente. Dunque, Osama bin Laden si sente al secondo passo, quello in cui l’America con un presidente debole, se martellato senza tregua, può avviare il nostro mondo al secondo crollo. Ma attenzione: Bin Laden con questo suo nuovo messaggio, compie una doppia operazione. Perché il mondo dei musulmani moderati, quello degli egiziani, o dei giordani, ha simpatia per Obama a causa delle sue aperture e della sua storia personale: guardate, dice dunque loro Bin Laden con questo messaggio, se avrete un buon rapporto con gli Usa, il vero Islam vi sarà contro, i Fratelli Musulmani, Hamas, gli hezbollah, tutti i veri credenti vi terranno nel mirino, come fece la Fratellanza con Sadat.Ma perché Osama parla di Israele e dell’amicizia degli Usa per lo Stato ebraico, per altro in un momento di non facile dialogo fra i due? Perché Israele, e soprattutto Gaza, è sempre la migliore carta propagandistica che un terrorista oggi possa utilizzare. Bin Laden ha inforcato, parlando dell’amicizia fra Usa e Israele e accusando Israele di ogni colpa verso i palestinesi, il migliore strumento di consenso. Questo è infatti il cavallo al galoppo dell’intero impero politico e dei media, l’Onu, le Ong, la maggior parte delle Tv internazionali, i palestinesi stessi nella loro incessante e indiscriminata aggressione verbale contro Israele qualsiasi cosa faccia, la riuscita propaganda legata al rapporto Goldstone sulla questione di Gaza come vittima di Israele e non del gruppo terrorista che la domina, Hamas... tutto questo è ottimo nutrimento per Al Qaida. Per svuotare questo bacino di acqua sporca che ha ormai rivoli in tutto il mondo, ci vuole un lavoro lungo e difficile. Forse però il fatto che le stesse stupidaggini aggressive che dice Bin Laden echeggino i discorsi banali di ogni giorno su Gaza, sulla lobby americana, sulla sofferenza palestinese a fronte di un mondo crudele, potrebbe mettere finalmente in guardia qualcuno.



Haiti, un giovane di 24 anni trovato ancora vivo dopo 11 giorni

Mangiava tra le macerie del supermarket: «Ci sono altri cinque superstiti». La gente, senza aiuti, protesta contro il presidente
Il governo di Haiti aveva già decretato lo stop delle ricerche dei sopravvissuti, ma alcuni team non si sono fermati, continuando a scavare tra le macerie. E così, ieri sera, 11 giorni dopo il sisma, è stato trovato vivo un haitiano di 24 anni, Jean-Pierre Wismond Exantus, che era intrappolato tra le macerie dell’hotel Napoli Inn di Port-au-Prince. Il giovane, impiegato come cassiere all’albergo, ha detto che insieme a lui ci sono altre cinque persone vive, quattro uomini e una donna, sopravvissute grazie al cibo trovato nel supermercato al piano terreno dell’edificio in cui sono rimasti intrappolati. Le ricerche ora proseguiranno. È stato proprio il giovane a richiamare l’attenzione di due saccheggiatori che si aggiravano tra le rovine del supermercato. I due a loro volta hanno allertato alcuni passanti e quindi squadre di soccorso francesi e americane.Questo salvataggio segue quello di un haitiano di 22 anni, trovato vivo venerdì sera da un team di soccorritori di Israele sotto le macerie di un edificio non lontano dal palazzo presidenziale. Sale così a 133 il numero delle persone salvate in questa terra martoriata dal terribile terremoto del 12 gennaio che ha fatto, secondo le ultime stime, 111.500 morti accertati, un numero imprecisato di dispersi, 200 mila feriti e oltre 600 mila senzatetto che vivono nelle oltre 500 tendopoli allestite.Sfinito e disidratato, Emmannuel Buso, studente e sarto, è stato estratto dalle macerie ed è stato subito trasportato nell’ospedale da campo dell’esercito israeliano. I medici lo hanno trovato «relativamente in buona salute». Emmannuel ha raccontato che il terremoto è arrivato mentre lui era sotto la doccia: si è trovato sotto un cumulo di macerie, ma i mobili caduti gli hanno creato attorno una piccola nicchia. Non aveva cibo né acqua e dopo alcuni giorni ha iniziato a bere la sua urina. «Ero stordito. Sognavo mia madre che piangeva. A un certo punto credevo di essere morto». Il team israeliano resterà ad Haiti nonostante lo stop delle ricerche decretato dal governo haitiano. «Se ci diranno di segni di vita, opereremo».......





Salvatore Cimmino

Presentata ieri a Viareggio la 33a edizione della 'Coppa Carnevale' di nuoto
Nuoto e solidarietà, Salvatore Cimmino andrà in Israele

Nuova sfida del nuotatore disabile, a maggio attraverserà il Lago di Tiberiade
Un'altra prova suggestiva e altamente simbolica attende Salvatore Cimmino. Dopo il Giro d'Italia nel 2008 e quello d'Europa, in sei tappe, l'anno scorso, sarà la traversata del Lago di Tiberiade, in Israele, la sua nuova impresa per 'un mondo senza barriere e senza frontiere'. La nuova avventura del nuotatore disabile napoletano, 45 anni, privo di una gamba, appartenente al Circolo Canottieri Aniene di Roma, è stata illustrata ieri a Viareggio nel corso della conferenza stampa organizzata per presentare il 33° Meeting internazionale giovanile di nuoto 'Coppa Carnevale', in programma nella piscina di Viareggio dal 29 al 31 gennaio, organizzato dall'Artiglio Nuoto.La nuova prova che attende Salvatore Cimmino si svolgerà dal 2 al 9 maggio nel Lago di Tiberiade, in Israele. Cimmino partirà dal villaggio arabo di Tabgha e arriverà in quello israeliano di Ein Gev, nuotando per circa 12 km. D opo i circa 120 percorsi l'anno scorso, con le sei tappe che lo hanno visto protagonista in 9 nazioni europee, Salvatore torna in acqua per portare all'attenzione di tutti le difficoltà che i disabili motori devono affrontare nella vita di tutti i giorni e per chiedere all'Italia di adeguare, come già avviene in altri paesi europei, gli strumenti per agevolare la fornitura degli ausili protesici. Primo fra tutti il il nomenclatore tariffario, che consente la fornitura di protesi da parte del servizio sanitario nazionale, che non viene aggiornato dal 1992.Il Meeting Internazionale 'Coppa Carnevale', nato nel 1977, ha visto negli ultimi anni una crescita costante del livello qualitativo grazie alla partecipazione di atleti provenienti da altre nazioni europee ed extra europee, divenendo così un appuntamento importante nel panorama nazionale ed internazionale delle iniziative sportive rivolte ai giovani atleti. Quest'anno vi prenderanno parte circa 900 atlet i appartenenti a ottanta società sportive provenienti da tutta Italia. Parteciperanno anche le nazionali giovanili di Ungheria, Moldavia, Slovenia, Slovacchia, oltre a quella italiana. sabato 23 gennaio, http://www.regione.toscana.it/


ISRAELE SI IRRIGIDISCE SU SHALIT, ACCORDO LONTANO

(AGI) - Berlino, 23 gen. - Si complica la trattativa per la liberazione di Gilad Shalit, il caporale israeliano detenuto da quasi tre anni dai miliziani di Hamas a Gaza. Lo rivela lo Spiegel, che citando fonti del Bundesnachrichtendienst (Bnd), i servizi segreti tedeschi, spiega che dopo un irrigidimento del premier israeliano Benjamin Netanjahu rischia di saltare l'accordo per la liberazione di mille palestinesi detenuti in Israele in cambio del rilascio di Shalit. Nella nuova proposta del governo israeliano verrebbe infatti respinta gran parte delle richieste di Hamas, in particolare la liberazione di figure popolari del movimento palestinese, mentre resta da chiarire verso quali Paesi dovrebbero essere espulsi i detenuti. Secondo il settimanale tedesco, i servizi di Berlino ritengono che Hamas finira' per respingere la nuova offerta israeliana, facendo fallire le trattative. Il settimanale aggiunge che Netanjahu non ha seguito personalmente il negoziato condotte dal suo inviato Hagai Hadas e dal Bnd nella funzione di intermediario. Al momento di firmare l'accordo raggiunto tra le parti, il premier israeliano sarebbe rimasto spiacevolmente sorpreso dalle troppe concessioni fatte a suo avviso a Hamas. Quest'ultimo rimprovererebbe invece gli intermediari tedeschi di non trattare piu' in modo neutrale e di aver fatto troppe concessioni al governo israeliano.



Il gruppo di cui parla questa lettera ad Atlit ultimo campo di prigionia inglese

Un grazie di cuore a tutti coloro che hanno reso possibile la “magia” di questo viaggio, Chicca Scarabello, Angela Polacco Lazar, Eli, Miriam, Dudi e Mandi.

Che Israele fosse, in qualche modo, nel mio destino di “gentile” era evidentemente scritto. Fin da tempi in cui, troppo piccolo per ricordarmi della guerra dei 6 giorni, venivo investito dagli eventi del Kippur. Il 1973 lo ricordo in particolare per la grande crisi petrolifera, che ci colpì sul serio, ed i provvedimenti come la circolazione domenicale a targhe alterne che, in un Italia ben lontana dall’avere più di un’auto a famiglia, con targhe diverse, limitava i movimenti e le gite fuori porta nei week end. Ricordo la passione di mia sorella, allora adolescente, che seguiva e trepidava per le cronache giornalistiche dell’inviato Rai del tempo, Marcello Alessandri, trasmesse dagli scarni telegiornali dell’epoca. E poi ancora, quando l’aereo egiziano che portava Anwar El Sadat, atterrò all’aeroporto Ben Gurion, e l’abbraccio con Golda Meyer e Dayan, che apriva speranze future. Speranze che furono interrotte bruscamente più volte, prima con Sadat stesso e poi con Itzak Rabin, assassinato in una domenica di fine estate. Negli anni spensierati della mia adolescenza restava, comunque, sempre un sottile filo che mi univa culturalmente ad un certo mondo yiddish, i miei studi, innanzitutto, studi storici sul medioevo, che inesorabilmente mi portavano a Gerusalemme, sulle orme di Guglielmo Embriaco e del Caffaro, protagonista e cantore genovesi della Prima Crociata.
Era quindi inesorabile che, prima o poi, finissi io col coronare il sogno di mia sorella, che si era messa in testa, a suo tempo, di andare in un Kibbutz.Così, forzando tutte le reticenze di amici e parenti, che da anni perseguitavano i miei tentativi di andare in Vicino Oriente, coinvolgendo mia moglie Deborah ed il mio amico Silvio, medico e ricercatore, l’ultima domenica di dicembre, nel primo pomeriggio, atterravo a Tel Aviv.Il viaggio, consigliatomi da un altro mio caro amico, membro dell’associazione Italia – Israele, non era il solito viaggio turistico, ma un cammino nella storia di Israele, dalla prima idea di Stato, enunciata da Herzl, ai primi Kibbutzim, passando per tutta l’antichissima storia che ha visto fiorire, in quelle terre aride, alcune tra le più grandi civiltà dell’umanità.Inutile dire che tutto il percorso da noi fatto, attraverso un territorio carico di fascino come quello, lasci ancora più stupiti ed al tempo stesso amareggiati per la crisi che l’irrazionalità dell’uomo continua a portare avanti. Cosa potrebbero essere quei posti, se la follia omicida lasciasse il posto alla collaborazione tra i popoli. Vedendo le tecnologie dell’Istituto dedicato a Ben Gurion, vicino al Kibbutz dove il grande statista passò i suoi ultimi giorni e dove tutt’ora riposa accanto alla moglie, a Sde Boker, ti viene da pensare che tutto il deserto potrebbe essere un verde giardino fiorito, dove tutti potrebbero realizzare le loro aspirazioni. Chissà se verrà mai quel momento. Ma a dirla come Ben Gurion stesso, chi non crede ai miracoli non è realista!Dalle alture di Masada, inespugnabile fortezza erodiana, conquistata, nonostante tutto, dalla Decima Legio comandata da Flavio Silva, e protagonista dell’ennesima tragedia in questa terra, alle mura di Gerusalemme, la città d’oro, che ti ruba il cuore senza più permetterti di ritrovarlo, perduto nei “carruggi” tra il Sepolcro ed il Muro, ed ancora, alle acque del lago di Galilea, dove il vicino Giordano scorre, protagonista anch’esso, insieme a quel Yoshua Ben Yoseph, che da Nazareth partì per cambiare il mondo. Ma soprattutto la gente, di cento e più etnie diverse, eppure tutti uniti, nell’unico pensiero che li accomuna, Eretz Tzion. Persone gentili, che ti offrono la loro amicizia cercando nel tuo sguardo i tuoi pensieri, sulla loro terra, sul loro sentirsi vivi, pensando ai volti perduti dello Yad Vashem, ed ai nomi dei bambini declinati in perpetuo. E la passione, la passione per la vita, più forte di ogni cosa e per questo disposti a difenderla ad ogni costo.Passeggiando nel cielo chiaro di un’alba, sulla spiaggia di Tel Aviv, per poi gustare una spremuta di melograno nel mercato di quartiere, in mezzo alle spezie ed ai frutti coloratissimi ti sembra quasi di essere tornato nel mitico Giardino, là dove Adamo perse l’innocenza.Poi, purtroppo, l’incantesimo si appresta a finire, lungo un nastro di asfalto illuminato che si apre sotto di te, con la sua neve ai lati, ricalandoti nella tua normalità.
Ma mentre attendo i bagagli nello scalo milanese, guardo fuori, nel buio della pista illuminata, da dove giungono messaggi. Sono i messaggi del mio cuore che dai vicoli della città d’oro o dal Cardo dall’antica Schitopoli, mi chiama e mi dice di ritornare. Ed allora mi assale la voglia di ripartire. Subito. Giovanni (viaggio dic 2009-genn 2010)