lunedì 25 gennaio 2010



Il gruppo di cui parla questa lettera ad Atlit ultimo campo di prigionia inglese

Un grazie di cuore a tutti coloro che hanno reso possibile la “magia” di questo viaggio, Chicca Scarabello, Angela Polacco Lazar, Eli, Miriam, Dudi e Mandi.

Che Israele fosse, in qualche modo, nel mio destino di “gentile” era evidentemente scritto. Fin da tempi in cui, troppo piccolo per ricordarmi della guerra dei 6 giorni, venivo investito dagli eventi del Kippur. Il 1973 lo ricordo in particolare per la grande crisi petrolifera, che ci colpì sul serio, ed i provvedimenti come la circolazione domenicale a targhe alterne che, in un Italia ben lontana dall’avere più di un’auto a famiglia, con targhe diverse, limitava i movimenti e le gite fuori porta nei week end. Ricordo la passione di mia sorella, allora adolescente, che seguiva e trepidava per le cronache giornalistiche dell’inviato Rai del tempo, Marcello Alessandri, trasmesse dagli scarni telegiornali dell’epoca. E poi ancora, quando l’aereo egiziano che portava Anwar El Sadat, atterrò all’aeroporto Ben Gurion, e l’abbraccio con Golda Meyer e Dayan, che apriva speranze future. Speranze che furono interrotte bruscamente più volte, prima con Sadat stesso e poi con Itzak Rabin, assassinato in una domenica di fine estate. Negli anni spensierati della mia adolescenza restava, comunque, sempre un sottile filo che mi univa culturalmente ad un certo mondo yiddish, i miei studi, innanzitutto, studi storici sul medioevo, che inesorabilmente mi portavano a Gerusalemme, sulle orme di Guglielmo Embriaco e del Caffaro, protagonista e cantore genovesi della Prima Crociata.
Era quindi inesorabile che, prima o poi, finissi io col coronare il sogno di mia sorella, che si era messa in testa, a suo tempo, di andare in un Kibbutz.Così, forzando tutte le reticenze di amici e parenti, che da anni perseguitavano i miei tentativi di andare in Vicino Oriente, coinvolgendo mia moglie Deborah ed il mio amico Silvio, medico e ricercatore, l’ultima domenica di dicembre, nel primo pomeriggio, atterravo a Tel Aviv.Il viaggio, consigliatomi da un altro mio caro amico, membro dell’associazione Italia – Israele, non era il solito viaggio turistico, ma un cammino nella storia di Israele, dalla prima idea di Stato, enunciata da Herzl, ai primi Kibbutzim, passando per tutta l’antichissima storia che ha visto fiorire, in quelle terre aride, alcune tra le più grandi civiltà dell’umanità.Inutile dire che tutto il percorso da noi fatto, attraverso un territorio carico di fascino come quello, lasci ancora più stupiti ed al tempo stesso amareggiati per la crisi che l’irrazionalità dell’uomo continua a portare avanti. Cosa potrebbero essere quei posti, se la follia omicida lasciasse il posto alla collaborazione tra i popoli. Vedendo le tecnologie dell’Istituto dedicato a Ben Gurion, vicino al Kibbutz dove il grande statista passò i suoi ultimi giorni e dove tutt’ora riposa accanto alla moglie, a Sde Boker, ti viene da pensare che tutto il deserto potrebbe essere un verde giardino fiorito, dove tutti potrebbero realizzare le loro aspirazioni. Chissà se verrà mai quel momento. Ma a dirla come Ben Gurion stesso, chi non crede ai miracoli non è realista!Dalle alture di Masada, inespugnabile fortezza erodiana, conquistata, nonostante tutto, dalla Decima Legio comandata da Flavio Silva, e protagonista dell’ennesima tragedia in questa terra, alle mura di Gerusalemme, la città d’oro, che ti ruba il cuore senza più permetterti di ritrovarlo, perduto nei “carruggi” tra il Sepolcro ed il Muro, ed ancora, alle acque del lago di Galilea, dove il vicino Giordano scorre, protagonista anch’esso, insieme a quel Yoshua Ben Yoseph, che da Nazareth partì per cambiare il mondo. Ma soprattutto la gente, di cento e più etnie diverse, eppure tutti uniti, nell’unico pensiero che li accomuna, Eretz Tzion. Persone gentili, che ti offrono la loro amicizia cercando nel tuo sguardo i tuoi pensieri, sulla loro terra, sul loro sentirsi vivi, pensando ai volti perduti dello Yad Vashem, ed ai nomi dei bambini declinati in perpetuo. E la passione, la passione per la vita, più forte di ogni cosa e per questo disposti a difenderla ad ogni costo.Passeggiando nel cielo chiaro di un’alba, sulla spiaggia di Tel Aviv, per poi gustare una spremuta di melograno nel mercato di quartiere, in mezzo alle spezie ed ai frutti coloratissimi ti sembra quasi di essere tornato nel mitico Giardino, là dove Adamo perse l’innocenza.Poi, purtroppo, l’incantesimo si appresta a finire, lungo un nastro di asfalto illuminato che si apre sotto di te, con la sua neve ai lati, ricalandoti nella tua normalità.
Ma mentre attendo i bagagli nello scalo milanese, guardo fuori, nel buio della pista illuminata, da dove giungono messaggi. Sono i messaggi del mio cuore che dai vicoli della città d’oro o dal Cardo dall’antica Schitopoli, mi chiama e mi dice di ritornare. Ed allora mi assale la voglia di ripartire. Subito. Giovanni (viaggio dic 2009-genn 2010)

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