sabato 29 novembre 2008

Chanukkà a Casale

Le attività di Chabad Lubavitch in Italia

Il movimento Chabad Lubavitch è presente in Italia da oltre 40 anni. Già nel 1986, con decreto del Presidente Pertini, è stata riconosciuta la personalità giuridica come ente morale al Merkos L'Inyonei Chinuch, Centro per l'Educazione Ebraica, I'associazione che controlla tutte le attività del movimento Chabad Lubavitch.Innumerevoli sono i progetti rivolti ad incrementare ed a risvegliare l'Ebraismo nella maggior parte delle comunità italiane ed in particolare, in pianta fissa, a Milano, Roma, Bologna, Firenze, Venezia, Trieste.A Milano è stata fondata una scuola con asili, elementari e medie, che attualmente ha circa 170 alunni. Annesso alla scuola, un asilo nido.
Da alcuni anni operano a pieno ritmo il Centro Studi Enzo Modena con annessa sinagoga, il Beit Chabad, il Beit Menachem ed il Beit Hatalmùd, sedi di Talmùd Torà alla domenica e di numerosi corsi di Torà, Talmùd, Legge Ebraica, Chassidùt (mistica) nell'arco della settimana, per ogni età e livello. Nei loro locali si organizzano inoltre piacevoli incontri e feste per giovani in occasione di ogni festività. Il Beit Chabad inoltre ospita una Yeshivà di studi di Talmùd e Halachà.
È da sempre attiva l'Organizzazione Giovanile Lubavitch con lo scopo di diffondere la cultura e le tradizioni ovunque ci sia una presenza ebraica attraverso corsi, materiale didattico, opuscoli, ecc. Ogni anno migliaia di Mishloach Manot vengono distribuiti a Purìm e matzòt shmuròt (fatte a mano) a Pesach.
Anche a Roma Lubavitch è presente con molte iniziative soprattutto rivolte ai giovani ed organizza corsi di Torà per tutti i livelli nel suo Beit Chabad. Negli ultimi anni è stato aperto un asilo che conta già 60 bambini.A Bologna i responsabili organizzano vari gruppi di studio e per vent'anni hanno provveduto alle necessità ed al benessere spirituale delle migliaia di studenti israeliani che nell'arco degli anni hanno frequentato le Università della città. La sede di Bologna gestisce attualmente una mensa kasher alla fiera di Vicenza e organizza dei Shabbaton a Firenze.
Lubavitch a Venezia dirige un Beit Chabad nel ghetto e promuove iniziative rivolte agli ebrei veneziani e delle comunità limitrofe (Padova, Verona, Mantova) oltre che alle migliaia di turisti ebrei che transitano nella laguna, e gestisce il famoso ristorante Gam-Gam alle porte del ghetto. Sempre a Venezia, recentemente è stata aperta una Yeshivà di studi di Talmùd e Halachà. E come dimenticare la Succà o la Menorà di Chanuccà montate su barche, che vanno in giro per i canali!Anche a Trieste i Lubavitch sono presenti fin dal 1990.
Negli anni '80, durante l'esodo degli ebrei Russi ed Iraniani, Lubavitch gestì a Ladispoli, con l'aiuto della Joint, un centro di accoglienza per le migliaia di famiglie in transito in Italia.
A Milano, Roma, Bologna, Torino, Venezia, Valenza e Casale Monferrato, nelle rispettive piazze principali, Lubavitch organizza a Chanuccà l'accensione pubblica della Menorà a cui assistono migliaia di persone, giovani e meno giovani.Durante questi anni di attività sono state stampate e distribuite varie pubblicazioni quali: "Conversazione con i giovani", "II Pensiero della Settimana", 10.000 copie, "Lubavitch News" 14.000 copie, "Chaya', periodico per donne che ha raggiunto le 5000 copie, "Moshiach Times" per bambini, 5000 copie.
Naturalmente non mancano campeggi estivi ed invernali per maschi e per femmine in una magnifica villa sulle colline di Camaiore. Sempre a Camaiore, diverse volte all'anno, si svolge lo "Shabbaton": un incontro fra giovani provenienti da tutta Italia, nella splendida atmosfera dello Shabbat. E per ragazzi che vogliono approfondire gli studi Talmudici c'è il "Seminario estivo europeo ".Nelle piccole comunità, come Pisa, Livorno, Genova, Torino, Merano, Ferrara, Viareggio ed altre, Lubavitch organizza lezioni ed incontri per ravvivare lo spirito ebraico.
D'estate un Mitzvà Tank, un camper adibito a Beit Chabad mobile, fa il giro di tutte le comunità, grandi o piccole, guidato da giovani studenti di Yeshivà i quali tornano in Italia per le vacanze estive. In questa maniera forniscono pubblicazioni, materiale didattico, mezuzòt, tefillin e assistono gli ebrei delle comunità più piccole in momenti di necessità.Negli ultimi quarant'anni i rabbini di molte sinagoghe di Milano provengono dalla scuola Lubavitch e provvedono a fornire diversi servizi indispensabili.Lubavitch contribuisce notevolmente allo sviluppo dell'Ebraismo in Italia, nell'ambito delle sue comunità. http://www.chabad.it/

In Israele il primo museo subacqueo del mondo

Se volete visitare un museo davvero unico recatevi in Israele. Sulla costa mediterranea, tra Tel Aviv ed Haifa, esiste un favoloso sito archeologico sottomarino che è diventato il primo museo subacqueo del mondo. La profondità massima di questo speciale museo raggiunge i 10 metri e quindi può essere visitato anche da subacquei non esperti. Il museo subacqueo è stato allestito sui resti di quello che veniva considerato il porto più grande e più bello dell’impero romano, il Porto di Cesarea, costruito per volere di Erode il Grande ed inaugurato nel 10 a.C.Il porto, che aveva un estensione di 80000 mq circa, era situato nei pressi della famosa città romana di Cesarea che prende il nome da Cesare Augusto e che è stata un’antica capitale della provincia romana di Giudea. Qui, fra l’altro, è stato anche imprigionato San Paolo, prima del suo trasferimento a Roma. Si può visitare l’eccezionale parco archeologico attraverso 4 percorsi segnalati in cui si trovano 36 siti differenti. Per facilitare la visita è disponibile anche un’apposita mappa impermeabile dove sono descritti i siti ognuno contraddistinto da un numero. Sono disponibili inoltre anche esperte guide. Immergendosi in questo museo subacqueo si possono vedere spettacolari testimonianze del mondo passato come ad esempio un relitto di nave romana, le fondamenta originali del porto, le rovine di un faro e molte ancore antiche. Per la costruzione del porto di Cesarea, distrutto probabilmente da un terremoto, furono impiegati migliaia di uomini alcuni dei quali lavorarono sott’acqua in apnea o con l’aiuto di un’apposita “campana”. Il porto fu edificato usando uno speciale cemento a base di pozzolana, una sorta di sabbia di origine vulcanica che si trova soprattutto nella zona dei Campi Flegrei (da qui il nome di polvere di Pozzuoli). Il cemento creato con la pozzolana infatti era a “pronta presa” e poteva essere impiegato anche sott’acqua. 28 Novembre 2008 http://www.mareinitaly.it/


Tel Aviv 14 febbraio 2007
Arriviamo in Israele appena in tempo per assistere alla prova generale in cui saranno eseguiti il “Concerto per due piani” di Mozart e la “Sinfonia n°9 – La Grande” di Schubert, che Riccardo Muti dirigerà il 15 febbraio, a quasi settant’anni dalla visita di Arturo Toscanini in questa città. Il clima di attesa, sia da parte degli appassionati di musica (e in Israele tutta la popolazione è mediamente più colta a livello musicale dei cittadini di altri paesi) che da parte degli italiani che risiedono in questo paese è enorme. La memoria di Toscanini è presente come se lui fosse ancora in vita. Toscanini nel 1936 fu chiamato da Huberman, un violinista polacco che aveva fondato l’orchestra filarmonica di Palestina, accettò di dirigerla e, grazie alla sua fama, si prestò, come diremmo oggi, a “lanciarla”. Lo stato di Israele ancora non era nato. Gli ebrei della diaspora avrebbero dovuto attendere dodici anni per vedere realizzato il loro sogno, Israele infatti sarebbe nata nel 1948, dopo la tragedia della Shoah (che vuol dire sterminio) e dopo la fine della seconda guerra mondiale. Siamo giunti a Tel Aviv per assistere ad un concerto memorabile; Riccardo Muti dirigerà lo stesso programma che affrontò Arturo Toscanini nel 1937.
Muti è commosso; sa quanto significhi il ricordo di Toscanini per questa popolazione. Toscanini, che emigrò negli Stati Uniti proprio per il suo antifascismo e per esprimere la sua assoluta contrarietà alle inique leggi razziali è qui considerato uno dei “giusti” di Israele. Normalmente ai “giusti” si dedica un albero, che viene piantato in ricordo della persona che si è impegnata per difendere il mondo ebraico, per Arturo Toscanini addirittura è stato piantato un intero aranceto! Arriviamo all’Auditorium di Tel Aviv costeggiando proprio la strada Arturo Toscanini ed entriamo per assistere alle prove. Sono con noi Donna Emanuela di Castelbarco, nipote di Arturo Toscanini, e Cristina Muti Mazzavillani, moglie del Maestro e organizzatrice del Ravenna Festival.Le prove di Muti sono certamente una grande lezione per tutti coloro che possono assistere.Esattamente come Toscanini, alterna battute in inglese e frasi in italiano: un simpatico cenno ad un giovane trombonista, italiano di Siena, che ha scelto di vivere e lavorare qui, e uno spiritoso rimbrotto al secondo violino, che attacca in anticipo: “Lei vuole rovinarmi la carriera? Mi dispiace non può più riuscirci, è arrivato troppo tardi!” L’orchestra scoppia in una risata. Battute liberatorie, che stemperano la tensione che si prova a lavorare con un mostro sacro come il nostro direttore. Dimagrito e in piena forma, Muti da il meglio di sé: in maglioncino rosa salta e si piega come un ballerino, curvandosi sui talloni e rialzandosi come una molla: dirige con tutto il corpo, non solo con le braccia e le mani. La somiglianza con lo stile di Toscanini non è soltanto nell’ampiezza del gesto ma nel carisma che cattura noi in platea e soprattutto l’orchestra, che lo segue all’unisono. Finita la prova generale si parte per l’ospedale Schnaider, una realizzazione all’avanguardia nel settore pediatrico che il Maestro desidera visitare.
Lo Schnaider rappresenta un modello per il medio oriente sia per la qualità delle cure che vengono erogate, sia per la struttura architettonica e la gestione, che lo rendono un centro “a misura di bambino” e, soprattutto, di qualunque bambino sia ebreo israeliano che arabo israeliano. Incontriamo quindi molte mamme (velate e non) con le loro creature in braccio o per mano. Molte spingono carrozzine colorate con legati palloncini. Il soffitto altissimo della hall dell’ospedale è fitto di palloncini volati via ai piccoli pazienti. Lo stesso ambiente allegro e coloratissimo lo troviamo al quarto piano, nel luogo che è, forse, il più doloroso della città: il reparto di ematologia e oncologia pediatrica. Nonostante la gravità dei piccoli malati di tumore, è ancora una sorpresa quella che ci aspetta: i bimbi, tutti pelati a causa della chemioterapia, hanno organizzato un concerto di tamburi e tamburini per gli ospiti italiani e soprattutto in onore di “Riccardo”, così lo chiamano, “il Maestro”. Di fronte a tanto affetto e tenerezza, non riusciamo a trattenere la commozione. Il più piccolo dei nostri pelatini, assolutamente debole, non ce la fa nemmeno a percuotere il tamburo con le mani e lo fa per lui la sua mamma. Muti è accoccolato su di una poltroncina lillipuziana e segue il concerto nel pubblico con occhio da intenditore: un grande applauso, poi l’orchestra torna ai lettini, ognuno trascinandosi dietro l’albero della flebo, addobbato in mille colori come fosse una biciclettina o una piccola automobile per giocare. Alcuni dei mini orchestrali si sono messi addirittura a cavalcioni sulle strutture delle flebo, altri sono in braccio ai genitori.
Andiamo assieme ai medici, al Direttore e a Riccardo e Cristina Muti a bere un caffè e a “fermare” con qualche foto e una targa questa giornata speciale: Cristina Muti prende la parola: “Non vi dimenticherò mai: voi siete riusciti a costruire davvero la pace, curando con lo stesso amore e la stessa competenza tutti i bambini, senza guardare alla loro religione e alle convinzioni politiche; rimarrete sempre nel mio cuore, sarete sempre con me.” Siamo tutti commossi e ancora di più quando scopriamo che il Maestro Muti ha donato il compenso del concerto all’ospedale facendo in modo che la sua scelta generosa rimanesse il più possibile nascosta. Questa scelta lo avvicina ancora di più a Toscanini che, ogni volta che ha diretto in Israele, ha rinunciato al suo compenso.
E ricordando che Toscanini giunse in Israele nel 1936 e nel 1937, la sua seconda volta diresse a Tel Aviv proprio la sinfonia n° 9 (la grande) che Muti dirigerà domani, 15 febbraio 2007. Il suo impegno per salvare i musicisti ebrei dalla Shoah fu così grande che Albert Einstein gli scrisse questa lettera: «Sento il dovere di dirle quanto La ammiri e La veneri. Lei non è soltanto l’impareggiabile esempio della letteratura musicale universale… Anche nella lotta contro i criminali fascisti Lei si è dimostrato un uomo della massima dignità».Il nostro Riccardo Muti ci fa tornare protagonisti della scena musicale israeliana, come se il tempo si fosse fermato. Per la cena del giorno 14 siamo tutti invitati presso la residenza dell’ambasciatore italiano Sandro De Bernardin. Il clima è rilassato e allegro, grazie anche al menù italianissimo (c’è persino la cassata!) che Anna, la moglie dell’ambasciatore, ha voluto offrire a questi ospiti così particolari. Ma le sorprese non sono finite: è con noi un imprenditore israeliano (diciamo non più giovane!) che ha preparato per Emanuela di Castelbarco una raccolta di articoli originali e di fotografie del ’36 e del ’37 che testimoniano i viaggi di Toscanini in Israele e la entusiastica accoglienza a lui riservata. Sono documenti straordinari che mettiamo a disposizione in anteprima per i lettori di questo giornale. Riccardo Muti, che si rivela l’ospite più spiritoso e divertente della serata, sta tenendo banco. È indubbiamente una star, anche solo quando si cena. Rievoca la commozione di Toscanini quando, durante il suo secondo viaggio, ricevette le arance dell’aranceto che gli era stato dedicato. Proprio “Le arance di Toscanini” sarà il titolo del documentario che abbiamo cominciato a girare qui, intervistando i testimoni oculari ancora viventi di quella straordinaria avventura. “Dicevano i greci,” ci interrompe il Maestro Muti “che ciò che è bello è buono e giusto, questo è il compito della musica: attraverso il linguaggio della bellezza portare messaggi positivi alle persone.” Gli chiedo a questo punto quali siano state le esperienze migliori con i registi italiani e Muti ci improvvisa uno show, interpretando tutti i personaggi che citiamo, e di ognuno facendo l’imitazione. Poi esplode in una difesa dei “nostri registi” in contraddizione soprattutto ai collegi teutonici. “Non esiste cattivo teatro musicale o buon teatro musicale! Esiste soltanto la messa in scena intelligente o quella stupida!”
È un piacere per tutti noi, in quel piccolo cenacolo italiano, sentirci così rappresentati. È una soddisfazione anche per il Comitato per le Celebrazioni dei cinquant’anni dalla scomparsa del Maestro Arturo Toscanini grazie al quale ci possiamo permettere di essere così amati in tante parti del mondo. Ancora Muti riprende a parlare: “Ricordo l’11 settembre del 2001, mi trovavo a Torino per dirigere Beethoven e insieme agli amministratori del Comune venimmo informati della tragedia di New York. È stata una decisione difficile ma ho creduto e lo credo ancora oggi, di aver fatto bene a voler dirigere. Nonostante la musica porti la pace. La Pace è più forte. Anche se dopo di allora, niente sarà più lo stesso!” Qui in Israele tutto ciò che ci circonda ricorda lo stato di precarietà e la paura del terrorismo cieco. È solo durante il concerto che dimentichiamo di essere in una nazione in guerra contro la follia integralista. Buona parte degli italiani di Israele sono arrivati qui da tutta la nazione per sostenere e festeggiare il loro connazionale. A portare l’omaggio a Muti e al nostro paese c’è anche la seconda autorità dello Stato: la presidente della Suprema Corte Dorit Beinisch.Mescolati tra il pubblico vedo la cantante Noa che si avvicina ad Emanuela di Castelbarco per salutarla in un perfetto italiano e per dirle quanto sia forte il ricordo di Toscanini per gli ebrei israeliani. C’è Fiamma Nirestein, appena arrivata dall’Italia, il nostro ambasciatore e la nostra magnifica ospite Simonetta Della Seta, Direttore dell’Istituto Italiano di Cultura. Un boato e tanti “Bravo! Bravo!” in italiano, salutando Muti al termine del concerto. Il Maestro prende il microfono: “Sono felice e orgoglioso di essere qui per ricordare Arturo Toscanini che tanto ha fatto per questa Orchestra.”
Essere italiani, orgogliosi della nostra storia, della nostra musica, dei nostri uomini migliori è una sensazione così intensa che quasi ubriaca! Finiremo a festeggiare in un locale di Tel Aviv fino alle tre del mattino. Alle sei l’aereo per Roma e poi subito a Torino dove l’auditorium Rai verrà presto intitolato ad Arturo Toscanini, l’italiano in cui tutti noi ci vogliamo riconoscere. Paola Severini http://www.vivatoscanini.it/

venerdì 28 novembre 2008

Meir Shalev

Israele e la lezione di De Amicis

Ai ‘Dialoghi letterari’
“Un libro mi ha tirato fuori dalla letteratura politica: è stato ‘Cuore’ di De Amicis. Mi ha introdotto nel mondo letterario”. Lo scrittore israeliano Meir Shalev, le cui opere sono state tradotte tutte in italiano, ha ribaltato ieri il tema della seconda giornata dei ‘Dialoghi letterari’, dedicato a ‘Letteratura e impegno’, in corso a Gerusalemme. (L’ organizzazine è a cura dell’Istituto italiano di cultura di Tel Aviv).Lo Stesso pensiero di Shalev l’aveva espresso poco prima Aharon Appenfeld, protagonista all’ultima Fiera del Libro di Torino, che ha rivendicato all’uomo, “e non alla sua opera”, l’impegno politico.Gli scrittori israeliani preferiscono lasciar fuori la politica dal loro lavoro. Al contrario di quanto fa uno scrittore e uomo di teatro italiano come Ascanio Celestini, che incentra il suo intervento sul primato della politica “nel senso più ampio del termine”.Per Shalev, invece, “scrivere è un impegno personale: la lealtà dell’autore alla sua realtà artistica dev’essere maggiore di quella alla politica”. E non riesce a celare la rabbia quando racconta che in Europa e in Italia “i giornalisti non gli chiedono del libro che ha scritto ma della politica di Israele”. “I temi della letteratura - aggiunge - non sono il trattato di pace con i palestinesi, bensì l’amore, l’odio, la passione, la vendetta, la morte, in sostanza la vita intera. Per questo vorrei leggere la letteratura della razza umana di ovunque”.“L’unico autore in Italia per cui ho fatto un viaggio fino al suo Paese è stato Giovanni Guareschi – prosegue Shalev - perché è sua la migliore lezione per capire come ’si scava il presente’. In Israele il presente è uno strato sottile”. E’ d’accordo Appenfeld: “Ad impegnarsi dev’essere il cittadino, non lo scrittore, non la sua opera. L’artista non ha che un dovere: quello di impegnarsi in ciò che produce, nella storia che racconta”.
L’italiano Celestini si limita a ricordare i temi del suo “impegno”, dalla guerra alla Resistenza, dalla precarietà del mondo del lavoro alla politica come rapporto tra “individuo e istituzione”. “Saper raccontare - sottolinea - significa aver prima ben ascoltato dagli altri. La memoria è uno strumento di ricerca del presente. Se non facessimo questo uso della memoria, non sapremmo come comportarci nel presente. Saremmo ciechi”. E cita il Ruanda e il Congo. Poi la fabbrica e il manicomio: perni di “uno squilibrio di condizione tra le istituzioni e l’individuo, che produce follia e problemi. Le prime considerano i secondi ragazzi da guidare. Non è stato forse Berlusconi a dire che gli italiani sono dei bambini da dirigere?”.Affine al pensiero di Celestini, quello dello scrittore israeliano Eli Amir, nato a Baghdad, che rivendica il passato come tema letterario, ma non come “lezione o politica, bensì per attirare il lettore”.Alessandro Piperno, invece, che oggi interverrà ai ‘Dialoghi’, si è detto d’accordo con gli scrittori israeliani: “Loro hanno molto per cui impegnarsi, eppure non lo fanno. Noi non abbiamo nulla, ma lo facciamo lo stesso”.


Da Israele un software per migliorare il proprio look

Il software sviluppato da alcuni ricercatori israeliani è basato su studi sulle preferenze estetiche innate verso alcuni tipi di volti umani e permette di rappresentarsi più belli ed affascinanti con poche azioni.Secondo i ricercatori che l’hanno sviluppato, questo software potrebbe avere future applicazioni su siti web che offrono l’upload di foto personali, con l’applicazione integrata infatti, gli utenti potrebbero inserire le proprie foto e immediatamente agire su di esse per migliorarne l’impatto estetico.Alcuni studi hanno dimostrato che esistono delle preferenze innate nei gusti estetici riguardanti i volti degli individui, occhi di una certa forma e posizionati ad una distanza precisa, naso di una ben determinata lunghezza e una conformazione delle labbra con curve precise, aiutano ad apparire più affascinanti e belli.Seguendo questi canoni, sono stati creati dei modelli matematici che classificano scientificamente e numericamente il grado di bellezza di una persona.Il team di ricercatori ha integrato questi modelli matematici nel software, rendendo così possibile il ridimensionamento dei canoni facciali dell’immagine analizzata, in modo che rispettino rapporti ben precisi e risultino più gradevoli alla vista.L’effetto è senza dubbio visibile, una dimostrazione fatta su una foto di un viso di donna ha dato come risultato la stessa donna molto più bella.Restano da stabilire le implicazioni ideologiche di applicazioni che ci fanno apparire come non siamo in realtà. 27.11.2008, http://www.pctuner.net/

giovedì 27 novembre 2008


FUORI PAGINA - FATTI DELL'INDIA

Ci sono notizie che rimangono troppo spesso fuori da articoli, servizi, flash e commenti. Sembrano sempre marginali, accessorie, rispetto alla storia da raccontare. Questa mattina ho trascorso ore ad informarmi sugli attacchi di Mumbai (India). Volevo capire se c’era stata o meno una caccia all’ “israeliano”, cosi’ come era successo a cittadini britannici e statunitensi; se 7 o 8 persone erano state prese in ostaggio in un residence abitato da ebrei ortodossi, e se il rabbino Gabriel Holtzberg era stato sequestrato, con la moglie Rivka e il figlio di 2 anni. Lo sostenevano sul sito di Haaretz e appariva nei flash del ‘’Times of India”. Ore dopo flash anche su CNN e BBC. Senza aggiornamenti. Noti commentatori hanno esaminato il quadro inedito di un attacco portato avanti da almeno duecento miliziani ben organizzati,capaci di tenere in scacco una metropoli come Mumbai, uccidendo e prendendo ostaggi selezionati. Eppure, sono diversi quelli che parlano di tensioni interne, indipendenti dalla rete Al Qaeda, forse ipirate da Bin Laden e soci. Perche’ e’ cosi’ difficile vedere che l’India e’ da tempo un obiettivo “predestinato”, nel mirino del terrorismo ? Non si contrappone al Pakistan per il Kashmir ? Non e` potenza atomica, proprio come il Pakistan ? Non partecipa con i suoi militari alla coalizione internazionale in Afghanistan ­? Non ha relazioni diplomatiche e commerciali con Israele ? Collegamenti troppo deboli, per una lettura “fantapolitica” ?
Intanto, i sequestrati dimenticati, del residence abitato da seguaci del movimento di Lubavitch, sono ancora nelle mani dei miliziani. Il figlio di due anni del rabbino Holtzberg e` stato rilasciato. L`ha portato fuori dal complesso una donna, non la madre. Per gli appassionati, collegandosi con Haaretz e` possibile saperne di piu'. Notizie che restano, troppo spesso, fuori pagina. Marginali. Chiediamoci perché. palberix@yahoo.it

Solo ora la cnn fa sapere di una stazione di servizio esplosa vicino a Nariman House, nel quartiere del residence dove sono gli ebrei israeliani, ortodossi del movimento Lubavitch.

Tel Aviv

Lettera alla 7 (canale televisivo) riguardante i pescatori di Gaza:

Qualche giorno fa l'on. Marco Rizzo, ad un vostro notiziario, ha criticato aspramente l' arresto e fermo di alcuni attivisti europei e "pescatori" palestinesi ad opera degli israeliani. Considerando che , sia gli uni che gli altri, secondo fonti ben accreditate ed ufficiali( Israele sarà piena di difetti ma è, sfrontatamente, esplicita ed onesta ) sono infiltrati fiancheggiatori dei terroristi, reputo legittimo , per Israele difendersi e tutelare i propri cittadini e coloro che, in Israele , vanno per visitarla. Il sig. Rizzo, come molti compagni della sinistra, dovrebbe conoscere ed informarsi più approfonditamente sulle questioni arabo- israeliane , evitando luoghi comuni e analisi superficiali scaturite, il più delle volte , da pregiudizi atavici. Ringrazio per l' attenzione, Luca Scarabello ( politicamente schierato a sinistra ).

Classi ponte? In Israele si fa così

Lui si definisce «la quintessenza dell'immigrato». E in effetti la sua storia è un percorso a tappe, prima tra le città d'Italia, poi in Europa, per concludersi con l'approdo in Israele. «A Roma ero il veneziano, a Milano il romano. Poi in Israele sono stato immigrato a tutti gli effetti...». Ed è qui che Shaul Ben Torah ha potuto mettere a disposizione degli altri la sua esperienza personale, elaborando in particolare dei progetti per accogliere e inserire a scuola bambini stranieri appena arrivati in Israele. Un tema non così distante dall'Italia, anzi: la questione dell'inserimento dei figli di immigrati nelle classi italiane è di grande attualità in questo periodo, tanto da sollevare persino polemiche politiche: la Lega ha proposto di "differenziare" le classi, la sinistra è insorta, poi l'idea è stata mitigata dal governo nell'ipotesi delle classi “ponte”, cioè transitorie.E in Israele? Qui Shaul Ben Torah ha messo a punto un sistema molto flessibile e graduale che consente ai bambini appena arrivati di sentirsi parte di una classe fin da subito, ma al tempo stesso garantisce a loro degli spazi separati nei quali imparare la lingua. Un'esperienza che ora Shaul Ben Torah sta proponendo alle scuole in Italia, dove è stato ospite nelle scorse settimane su iniziativa della Adei-Wizo l'associazione delle Donne Ebree d'Italia, per un seminario di formazione per insegnanti.A Venezia Shaul Ben Torah ed Edna Angelica Calo Livne (vedi articolo sotto) sono stati ospiti la scorsa settimana del Liceo Foscarini e della sezione veneziana dell'Adei. «Fin da bambino sono stato un immigrato - ha raccontato a GV - ho trascorso 4 anni bellissimi a Venezia, frequentando la scuola elementare e la scuola ebraica. Mio padre era un chimico, direttore del laboratorio alla Dogana, poi gli fu offerto un posto alla Zecca di Roma, così ci trasferimmo. Questo fino alle leggi razziali. Ci trasferimmo a Ginevra, poi a Viareggio, a Milano... Io non potei più frequentare la scuola, mi fermai alla seconda media». L'impatto con la crudeltà del nazi-fascismo non lascia indenne la sua famiglia: Shaul perde la madre internata ad Auschwitz, mentre il padre viene ucciso in un bombardamento. Si ritrova solo e al termine della guerra abbraccia il sogno sionista, trasferendosi in Israele, nel paese che nasceva in quegli anni. «Lì ho sperimentato io per primo cosa significa l'integrazione: ho frequentato una scuola agricola, ma noi italiani eravamo pochissimi così venivamo messi insieme ai turchi... come se tra noi ci fosse un'affinità. Ma quale affinità? Litigavamo sempre. Poi sono stato in un kibbutz per sette anni, dove ho fatto l'agricoltore, ma ho anche iniziato ad insegnare agricoltura ai ragazzi. Erano tutti figli di immigrati e mi occupavo di loro al pomeriggio, anche la sera».Un giovane studente e i bulli del villaggio. La svolta avviene con l'arrivo di un giovane studente di Gerusalemme che inizia ad occuparsi del gruppo di ragazzini più "ribelli". «C'era un gruppetto che non seguiva più le lezioni a scuola e stava diventando un problema per l'intero villaggio. Lui cominciò ad incontrarli, fuori dalla scuola, riunendoli sotto un albero. Raccontava storielle che divertivano i ragazzi. Da quelle storielle è passato ai quiz e poi a lezioni quasi scolastiche. Finché non propose al villaggio di aprire una scuola per loro, un centro giovanile per l'educazione e l'apprendimento professionale. Siamo a cavallo tra gli anni '60 e '70 quando il centro si sviluppa, con modalità un po' diverse rispetto alla scuola tradizionale. Intanto non c'era la suddivisione canonica in classi, che non avevano una classificazione numerica, ma dei nomi (cipresso, frumento). Poi si praticava molto sport, c'erano varie attività per l'apprendimento professionale». Shaul racconta tutto questo perché ne viene coinvolto in prima persona: «Pur avendo solo la seconda media, ho cominciato ad insegnare là. Intanto studiavo per conto mio». Mentre si sposa e la sua famiglia comincia a crescere, Shaul consegue la maturità a 40 anni e a 43 si laurea. E diventa direttore del centro. «Poi mi è stato offerto di dirigere il Villaggio della gioventù, che si occupava di ragazzi più grandi. Due terzi di essi vivevano normalmente con le famiglie, un terzo erano immigrati o con problemi». E' con loro che Shaul sperimenta modalità diverse di integrazione: «I ragazzi stavano insieme per alcune ore, mentre in altri momenti venivano divisi». L’arrivo dei vietnamiti. Shaul ricorda l'episodio della nave di profughi vietnamiti dalla Cina: «Nessuno voleva quella nave e Israele si offrì di ospitarla. Molti ragazzi arrivarono alla nostra scuola, ma non parlavano una parola di inglese. C'era però un farmacista che parlava inglese e cinese e ci aiutò. Pian piano vennero integrati nelle classi».E oggi? «Anche oggi Israele è terra d'immigrazione. Arrivano soprattutto dall'Etiopia, ma anche dai paesi dell'ex Urss e persino dall'Argentina. Con gli immigrati etiopi i problemi sono parecchi, perché arrivano dalle campagne, sono pastori totalmente privi di istruzione. Si deve perciò iniziare da zero». Due le strade seguite al Villaggio della gioventù: «O li si ospita 24 ore su 24, ma così li stacchiamo dalla famiglia e non è positivo. Oppure proponiamo loro le lezioni del mattino, integrate da altre al pomeriggio per insegnare la lingua e perché si mettano in pari. Così rientrano in famiglia la sera e in questo modo noi possiamo educare i ragazzi, ma indirettamente anche i loro genitori».Ecco allora che dall'esperienza del Villaggio della gioventù arrivano delle preziose indicazioni anche per le scuole italiane, che si interrogano sulle classi separate: «Credo che la via migliore sia quella intermedia. E cioè è bene che i ragazzi stranieri che arrivano si sentano già parte di una classe e condividano alcuni momenti, ma inizialmente non tutti. Possono condividere l'educazione fisica, le uscite, magari anche le lezioni di matematica. Intanto a parte seguono lezioni per apprendere la lingua. E periodicamente viene verificata la possibilità dell'inserimento complessivo». Come in Italia, anche in Israele non è che la scuola goda di finanziamenti extra per garantire questo tipo di progetti. Però ci sono dei supporti che colmano in parte le lacune: «Sono previste delle borse di studio specifiche agli studenti che offrono il loro tempo per le lezioni pomeridiane ai ragazzi. Poi abbiamo l'esercito e sono tante le soldatesse che offrono per un periodo la loro presenza nelle scuole».Il maestro prevalente? Una garanzia contro i bulli. Una figura che è molto marcata in Israele e di cui invece si sta dibattendo in Italia è quella del maestro prevalente: «C'è sempre un insegnante che ha la responsabilità dei ragazzi e dei rapporti con la famiglia. Viene pagato di più, ma è disponibile a qualsiasi ora. Se c'è un atto vandalico la notte, lui viene chiamato e deve accorrere». Gente Veneta , no.44 del 2008

Museo oceanografico di Eilat

Italia-Israele/ Urso: Sale interscambio,più partnership in ricerca

Oltre 100 imprese per incontrare 250 aziende israeliane
Tel Aviv (Israele), 26 nov. (Apcom) - Potenziare la partnership italo-israeliana soprattutto nel settore della ricerca, dove i due Paesi sono complementari. E' uno dei principali obiettivi della missione organizzata ad Ice, Abi e Confindustria in Israele, illustrato dal sottosegretario allo Sviluppo economico, Adolfo Urso, che ha sottolineato come nel 2008 l'interscambio tra Italia ed Israele crescerà oltre i 3 miliardi di euro. Già nella prima parte del 2008 l'export è salito del 10% e le importazioni da Israele in Italia sono aumentate del 19%.
Parlando della missione il sottosegretario ha fatto il punto sulle imprese italiane presenti a Tel Aviv per incontrare quelle israeliane. Sono circa trecento i partecipanti, oltre cento le imprese e sei i principali gruppi bancari, Intesa Sanpaolo, Unicredit, Monte dei Paschi, Bnl-Bnp Paribas, Banca Popolare di Vicenza, Banca Popolare dell'Emilia Romagna. Duecentocinquanta invece le controparti israeliane. Per Urso dunque l'aumento dell'interscambio tra i due Paesi rappresenta un dato significativo: "Cresciamo - ha detto - anche durante la recessione". Tuttavia sono bassi ancora gli investimenti italiani in Israele e viceversa. "Anche se grandi imprese - ha spiegato Urso - sono qui da molto tempo, ci sono ancora grandi opportunità di crescere. Vogliamo soprattutto sviluppare una partnership nella ricerca". Il sottosegretario ha spiegato infatti che Israele è leader nella ricerca, investendo il 4% del Pil, mentre l'Italia è campione nell'applicazione della ricerca e dell'innovazione nel settore industriale. "L'Italia ha bisogno di Israele come Israele ha bisogno dell'Italia - ha detto Urso - e insieme si può fare una partnership industriale capace di crescere molto anche in questo anno di recessione economica". Inoltre, per Urso, i rapporti tra i due Paesi sono destinati a migliorare perché il Governo italiano è "amico di Israele". Quanto poi ai problemi legati allo scambio dei prodotti tra Israele, Territori palestinesi ed Unione europea, il sottosegretario ha sottolineato che lo sforzo del Governo italiano "è che si concluda il processo complessivo euromediterraneo avviato nel 2003 entro il 2010, processo che comprende anche Israele e Territori palestinesi". Altro tema è quello dei prodotti realizzati nei Territori palestinesi su cui alcuni Paesi europei hanno resistenze. "La nostra posizione - ha concluso Urso - è di superare entrambi i problemi, siamo convinti che l'apertura dei commerci tra Israele ed Unione europea e tra Israele e Paesi arabi, sia fondamentale. Siamo realisti, conosciamo i problemi e le difficoltà che ci sono e c'è molto da fare".

mercoledì 26 novembre 2008


Ambasciatori d’umanità
di Anat Meidan

Per cinque mesi, dottori e paramedici dell’Ospedale Barzilai di Ashkelon (Israele) hanno assistito Vania Suleiman, un’abitante di Jabaliya (striscia di Gaza). A causa di un ictus, Vania aveva perso conoscenza mentre era incinta. I tentativi fatti all’ospedale di Gaza per stabilizzare le sue condizioni non avevano avuto successo e per questo era stata trasferita al Barzilai. A fine di settembre, dopo che per settimane i medici si erano battuti per cercare di salvare la sua vita e quella del bambino che aveva in grembo, Vania aveva infine partorito il suo terzo figlio. Lei però non ce l’ha fatta: mercoledì scorso è deceduta, circondata dall’équipe israeliana con gli occhi lucidi.Due giorni dopo un missile Qassam palestinese si abbatteva sulla città di Ashkelon, facendo tremare pareti e vetri dell’ospedale e seminando paura e ansia tra tutti coloro che vi si trovavano.“Ormai conosciamo molto bene la famiglia Suleiman – ci dice il dottor Yosef Mashil, mentre si corre a prendersi cura di un 40enne di Gaza appena arrivato d’urgenza all’ospedale – Eravamo felici di veder nascere un bambino sano, e addolorati per il fatto che sua madre non abbia potuto vederlo. Avevamo il cuore a pezzi, quando è morta”.Sono mediamente circa 25 gli abitanti di Gaza ricoverati all’ospedale di Ashkelon. Vi arrivano dopo che l’ospedale ha coordinato il loro trasferimento con i servizi sanitari di Gaza. È un dialogo che non si interrompe mai, anche quando piovono i Qassam. Qui nessuno tiene i punti. L’unico criterio decisivo è la lotta per salvare vite umane, anche quando fuori da queste mura infuria una guerra senza fine che punta a troncare vite umane. Mentre fuori dall’ospedale assistiamo a una guerra di morte e distruzione, all’interno dell’ospedale si combatte una battaglia per la vita dei pazienti senza badare alla loro identità nazionale.Se – il cielo non voglia – un Qassam dovesse colpire l’ospedale, a Gaza sicuramente festeggerebbero il “trionfo” senza pensare nemmeno per un momento ai palestinesi della striscia che vi vengono curati.Sembra surreale e illusorio, e qualcuno dirà che è impensabile. Eppure il modello indicato dall’ospedale Barzilai costituisce l’unica risposta morale al caos che ci circonda. Un modello che mostra come creare relazioni di buon vicinato, umane e regolari, all’interno di una realtà folle, malsana e disumanizzante.Il debole raggio di luce nel buio profondo è che il marito e i figli di Vania Suleiman, che l’hanno vista curata con infinita dedizione all’ospedale israeliano, insieme ai famigliari degli altri pazienti di Gaza ricoverati al Barzilai, una volta tornati a casa possano esercitare un’azione moderatrice sul livello di odio che imperversa a Gaza. Loro che hanno incontrato israeliani in camice bianco preoccupati soltanto di migliorare le loro condizioni, possono forse diventare ambasciatori di coesistenza per uno scambio di parole anziché di missili. Nessuno meglio di loro sa che questa è l’unica vera alternativa che abbiamo quaggiù.(Da: YnetNews, 21.11.08), Da www.israele.net di oggi, 26 novembre.

Haifa

Ecco la risposta di un mio caro amico israeliano all'articolo di cui riporto in calce parte del testo.

Cara Chicca,si tratta di “fascisti rossi”, alleati dello Hamas che vuole la distruzione di Israele. Anche loro vogliono questo ed a questo punto che sono trattati come tali, e questo non mi pone nessun problema di coscienza, anche se, come sai, sono chiaramente schierato a sinistra.
La vicenda dei pescatori palestinesi è la classica storia del tizio che ha ucciso i genitori e poi chiede la clemenza del tribunale perchè è orfano. Purtroppo, più volte Hamas ha usato barche di pescatori per provare ad infiltrarsi in Israele, per uccidere ebrei, lo sport favorito da Hamas e dai suoi sostenitori all'estero, come questo Free Gaza Movement. In questo tipo di situazione, a volte, purtroppo, pagano un prezzo anche pescatori innocenti. La responsabilità per questo è di Hamas e dei piromani venuti dall'estero che infatti se ne fregano dei Palestinesi ed hanno solo l' ossessione di nuocere ad Israele.
Sulla vicenda dei profughi dell' Eritrea, sappia il nostro fascista rosso che Israele ha accolto fino ad adesso migliaia di profughi di questo paese, o del Darfur (zone che questi fascisti non visiteranno mai, non sono degni del loro interesse i 300000 morti e i due milioni di profughi), i bambini eritrei vanno a scuola e si fa tutto il possibile per farli vivere in un modo decente. Ci sono organizzazioni israeliane che li aiutano. Può darsi che alcuni di loro abbiano commesso qualche delitto che li ha portati in carcere. Comunque non è certamente a tizi come questo Arrigoni che dobbiamo dare, noi israeliani, spiegazioni.Lo sbaglio di Israele in casi come questi e di far entrare nel proprio territorio questo tipo di persone, allorchè abbiamo già gravi problemi di inquinamento terroristico ed altro.Dovremmo rimandarli a casa col primo aereo. Spero che la lezione servirà a quelli che devono decidere su queste cose. Con amicizia
Yosh Amishav

Milano – L’italiano Vittorio Arrigoni, lo scozzese Andrew Muncie e la statunitense Darlene Wallach, attivisti del Free Gaza Movement, sono stati fermati senza alcuna motivazione dall’esercito israeliano martedì mattina, mentre si trovavano a bordo di pescherecci palestinesi nelle acque di fronte alle coste di Gaza. La presenza di civili stranieri doveva servire a proteggere i pescatori palestinesi dalle frequenti aggressioni da parte dei soldati israeliani. ....................insieme a me c’è una decina di rifugiati eritrei, che ci hanno raccontato la loro tragica storia. Sono scappati dal loro paese, dove c’è la guerra; hanno camminato per sette giorni e sette notti e sono entrati in Sudan e poi in Egitto. Una volta arrivati in Israele, nonostante l’Onu abbia riconosciuto il loro status di rifugiati, sono stati rinchiusi in carcere, dove si trovano da sei mesi, un anno. Ma non sono criminali, è gente che scappa dalla guerra. È uno scenario che fa riflettere: Israele non calpesta i diritti umani solo fuori dai suoi confini, ma ignora le leggi internazionali anche all’interno. http://guerrillaradio.iobloggo.com/

vi segnalo il catalogo allegato. Chi fosse interessato puo' chiederne copia all' UCEI
Lungotevere Sanzio 9, 00153 Roma
info@ucei.it

Gerusalemme

«C'è un legame tra sionismo e Risorgimento»

Lo storico Bruno Di Porto: «Uno dei primi a individuare un modello nell'Italia di Mazzini fu Moses Hess: nel 1862 pubblicò "Roma e Gerusalemme", libro ammirato anche da Theodor Herzl»di Maurizio Caprara
ROMA - (m.ca.) «Non c' è dubbio», dice il professor Bruno Di Porto, storico del Risorgimento di religione ebraica, quando gli si riferisce che Giorgio Napolitano ha definito il movimento sionista ispirato «in non piccola parte al pensiero di Giuseppe Mazzini». «E' così. Mazzini andrebbe considerato un "nazionalitario", non un nazionalista. Per la sua idea di nazione ricorreva a un paragone con le famiglie: io amo la mia famiglia, coltivo il suo orticello, ma voglio vedere felici anche tutte le altre famiglie. E tra i tanti che ammiravano Mazzini c' è stato un movimento ebraico desideroso di tornare a costituire un' indipendenza ebraica nella terra originaria degli ebrei, puntando a una propria realizzazione nazionale nel rispetto delle altre», spiega il professore. Di un istituto di cultura risorgimentale, la «Domus Mazziniana» di Pisa, Di Porto è stato direttore. La sua sede è nella casa di ebrei nella quale il fondatore della «Giovane Italia», da clandestino, morì nel 1872 mentre era ospite di antenati dei fratelli Rosselli disposti a presentarlo come negoziante inglese. Ma il collegamento con il sionismo? «Uno dei primi a individuare un modello nell' Italia voluta da Mazzini fu Moses Hess, autore che aveva esordito come idealista-comunista e diventò un teorico pre-sionista. Nel 1862 pubblicò il libro Roma e Gerusalemme: la prima non era ancora capitale d' Italia e Hess guardava alla Roma di Mazzini e Garibaldi come a un esempio, sostenendo che come si era svegliata l' Italia doveva svegliarsi il popolo ebraico», continua Di Porto. E aggiunge: «C' era una differenza: nella terra originaria degli ebrei c' erano anche altri e la ricerca della convivenza pacifica è ancora uno scopo da raggiungere», continua Di Porto. Poi rammenta: «Theodor Herzl, con modestia, affermò che se avesse letto Roma e Gerusalemme non avrebbe scritto Lo stato ebraico, libro del 1896». Herzl fu il fondatore dell' Organizzazione sionista mondiale. Mazzini piacque non soltanto a Hess, ai sionisti socialisti e alla corrente principale del sionismo, detta «generale» o «liberale». Fu apprezzato anche da quella «revisionista»: «Mazzini e Garibaldi influirono pure su Vladimiro Jabotinski, russo divenuto leader della destra sionista», osserva Di Porto. La premesse del collegamento tra il patriottismo mazzinian-garibaldino e il movimento ebraico che puntava a uno Stato nella Terra promessa non si fermarono alla teoria. Ricorda il professore: «Otto dei Mille erano ebrei».
24/11/2008 corriere della sera

lunedì 24 novembre 2008

^ ^ ^ M U S A N E W S ^ ^ ^
Newsletter dell’Ufficio Culturale dell’Ambasciata di Israele - “la cultura è l’arma più forte della democrazia” Amos Luzzatto

1. Proiezione del film “Solo qui e sulla luna” di Tarin Gartner al Festival Internazionale del Cortometraggio di Siena
2. Inaugurazione della mostra di Meital Kattz-Minerbo “Portraits of Objects” – Galleria Apart – Roma, 28 novembre 2008
3. Ariel Geva presenta i nuovi corsi di laurea del Technion di Haifa – Roma, Il Pitigliani – 30 novembre 2008
1. Il film “Solo qui e sulla luna” è stato selezionato nella Competizione Nazionale del 13° Festival Internazionale del Cortometraggio, che si svolgerà a Siena dal 24 al 29 Novembre 2008.I giornalisti sono il nostro punto di riferimento per comprendere realtà non conosciute e spesso lontane. Il lavoro dei corrispondenti e degli inviati italiani in Israele e nei Territori Palestinesi è la perfetta esemplificazione di tutto ciò.Tarin Gartner, artista israeliana nata a Gerusalemme, lavoro con video, fotografia, video installazioni e disegni. Alcuni di suoi lavori fanno parte della collezione permanente del Museo del Arte Contemporanea di Haifa (Israel). Vive e lavora tra Milano and Haifa. Il film verrà proiettato i seguenti giorni: Teatro del Rozzi, martedì 25 novembre, ore 17,00Sala Patrizi, Venerdì 28 novembre, ore 19,00 sito web del Festival : www.cortoitaliacinema.com Sito web dell’artista: http://www.taringartner.com/home.html
2. The Gallery Apart presenta la prima personale in Italia dell’artista israeliana Meital Katz-Minerbo. Nata in Israele nel 1974, all’eta’ di 1 anno si e’ trasferita in Venezuela dove ha vissuto fino a 21 anni, dal 1995 e’ tornata a Tel Aviv dove attualmente vive e lavora. Oltre ad una serie di mostre personali e collettive in spazi pubblici e privati in Israele, nel 2007 Katz-Minerbo e’ stata invitata a partecipare all’OPEN SPACE International Workshop for Art Academies presso
la School for Art and Design, Kassel, Germany e nel 2008 al prestigioso programma Art OMI International Artists Residency in Columbia County, N.Y. Oltre a installazioni site-specific e sculture, i lavori pittorici costituiscono parte rilevante dell’opera dell’artista. Con Portraits of objects Katz-Minerbo presenta una serie di acrilici su tela e acquerelli su carta traslucida e su carta.Il lavoro pittorico di Meital Katz-Minerbo consiste nella ricerca di uno spazio tra due luoghi, uno spazio definito dall’artista in-between e trattato come il residuo di uno spazio. I gemelli siamesi sono il punto di partenza della riflessione dell’artista, l’immagine primaria, iniziale, da cui e in cui cerca l’in-between. La creatura siamese come creatura “non finita”, incompleta e pero’ doppia, contiene nel suo corpo, nella congiunzione dei due individui, lo spazio intermedio che
Katz-Minerbo intende esplorare. La rappresentazione dei gemelli siamesi nel corso della storia e’ stata effettuata mediante la fotografia e la catalogazione scientifica, che trattano il caso come fenomeno, come oggetto di ricerca. Katz-Minerbo associa la caratterizzazione della creatura siamese come oggetto con il mobilio doppio – un manufatto molto comune nella storia del design. Poltrone con due o tre sedute unite, un tavolo che si rivela doppio o due librerie unite sul retro. Fra gli oggetti siamesi vi e’ anche un diverso tipo di oggetti doppi, che amalgamano due forme differenti che si uniscono in un punto di connessione preciso e denso di significati. La ricerca e’ effettuata con una tecnica di pittura veloce su una superficie dipinta di bianco “profondo”, che richiama alla mente gli sfondi fotografici neutri dei cataloghi. Il bianco dello sfondo non e’ solo il suggerimento di un luogo, ma e’ esso stesso in-between: un luogo nello stesso tempo cieco, profondo e piatto, che non ha alcun interesse a mostrarsi inequivoco. La superficie dello sfondo bianco ha la funzione di un Petri dish (un piattino da laboratorio) dove la pittura si comporta come una coltura che reagisce, fluisce, si espande e si divide in corpusoli che si amalgamano per creare una forma.
Galleria Apart Via della Barchetta 11 Roma 28 novembre – 10 gennaio 2009
Tel/fax 06 68809863 – info@thegalleryapart.it – www.thegalleryapart.it
3. Alla fine del mese, Ariel Geva, giovane Director Manager dell'International School of Engineering, sarà a Roma per presentare i nuovi corsi di laurea inIngegneria attivati, in lingua inglese, presso il Technion di Haifa. L'appuntamento è per domenica 30 novembre, alle ore 17:00, presso il Centro Ebraico Italiano “Pitigliani”, via Arco de' Tolomei 1.Il Dr. Geva, che nei giorni successivi sarà impegnato in alcuni licei romani e presso il Centro Ricerche "il Pischiello", illustrerà le possibilitàformative che la nuova scuola offre, le ragioni fondanti di questo progetto, i suoi obiettivi e potenzialità. Durante questo incontro, su richiesta della Hebrew University di Gerusalemme, sarà presentato il loro campus internazionale "RothbergInternational School". Visto il numero limitato di posti, vi preghiamo di voler cortesemente confermare la vostra presenza e quella delle persone che vi accompagneranno, al n. di cell seguente # 335 808 4365. http://www.technion.ac.il/>www.technionitalia.it <http://www.technionitalia.it/>
Minna Scorcu Coordinatrice delle attivita’ culturali Ambasciata di Israele cultura@roma.mfa.gov.il

Neghev

ISRAELE: CONDANNATI 8 GIOVANI NEONAZISTI IMMIGRATI RUSSI

Pesanti condanne di una Corte israeliana per otto ragazzi, tra i 16 e i 19 anni, giudicati colpevoli di una serie di attacchi neo-nazisti nel Paese. I giovani, immigrati in Israele dalla Russia, dovranno cosi' scontare una pena detentiva da uno a sette anni, per aver aggredito ebrei, omosessuali e per numerose profanazioni di sinagoghe. La banda fu scoperta nel 2007 e immediatamente i ragazzi furono messi in carcere dopo aver sconvolto il Paese per la ferocia delle aggressioni e la spavalderia con la quale avevano pubblicato filmati e fotografie su Internet. Il leader della gang, Erik Bonite, e' stato condannato a 7 anni di carcere. "Il fatto che fossero ebrei dell'ex Unione Sovietica e che abbiano appoggiato teorie razziste e' terribile", ha affermato il giudice giudice della Corte distrettuale di Tel Aviv, Tsvi Gurinkel, annunciando il verdetto.http://www.repubblica.it/

Betlemme - pavimento della chiesa

“Scisma cristiano?" non e' l'ennesima evocazione della Shoà. Quasi non se ne parla se non di sfuggita, in relazione all'evoluzione del Cristianesimo.È una libera e personale interpretazione della sua storia, vista da un’ottica ebraica, e della sua elezione a religione ufficiale dell'impero romano, risultato di lunghe ricerche e della lettura dei principali testi sacri del canone cristiano.
Un’ottica forse deformata dalle vicende millenarie vissute dal popolo ebraico che portano l’autore ad una critica volutamente esasperata del pensiero cristiano in relazione alle conseguenze che
ne sono derivate, sino a coinvolgere Israele. È un libro di facile lettura, dialogante con il lettore, ma duro, impopolare ed impietoso.
Rodolfo Chur nasce in Italia il 25 Dicembre 1949.Giornalista free lance, da alcuni anni vive e lavora in Israele, a Gerusalemme.Ha collaborato con testate giornalistiche, con periodioci e ha diretto un quotidiano on line. Attualmente scrive per due peridioci italiani. Ha al suo attivo esperienze di guerra nell'ex Yugoslavia e diverse inchieste che lo hanno portato in Albania, Macedonia, Serbia e Bosnia.
ISBN 9788826704975. DB Card Edizioni Associate, 00161 Roma, Viale Ippolito 156, gc@dbcard.it 322 pagine. € 16.Il volume puo' essere ordinato a mezzo e mail. Spedizione a carico dell'editore.


I figli della libertà

di Marc Levy
ed.Rizzoli Euro 19,00

Un gruppo di giovani, la guerra, Tolosa, un treno fantasma e un magnifico narratore. Marc Levy, lo scrittore francese più letto al mondo le cui opere (“Se solo fosse vero”, “Dove sei?”, “Se potessi rivederti”) hanno venduto milioni di copie, è l’autore di questo straordinario mémoire, il racconto di un reduce al figlio adolescente.“I figli della libertà” si presenta come un libro diverso dai romanzi finora pubblicati da Levy, contraddistinti da sentimenti romantici e trame di fantasia; questo è un romanzo storico dove i protagonisti, Raymond e Claude Levy (rispettivamente padre e zio dell’autore) entrano ancora adolescenti a far parte della 35° Brigata partigiana composta da ragazzi per lo più polacchi, ebrei, ungheresi, spagnoli e romeni, stranieri in fuga dalle dittature europee e dall’espansione nazista.
Sebbene non siano mai entrati in una sinagoga e ogni venerdì sera ascoltino il padre recitare la preghiera dello shabbat in una lingua inventata perché non conosce una parola d’ebraico, Raymond e Claude prendono ben presto coscienza della loro appartenenza religiosa grazie alle discriminazioni razziali, alle “tirate antisemite” del professore di storia e alle battute dei compagni con cui “facevano regolarmente a botte”.Questi giovani ammantati di idealismo e con la speranza di poter vivere in un mondo migliore compiono a rischio della propria vita azioni spericolate di sabotaggio, fanno deragliare treni, abbattono piloni elettrici, giustiziano ufficiali tedeschi e gerarchi della Milizia francese senza però “mai ammazzare un innocente e nemmeno un imbecille”.E’ contro le ingiustizie, le discriminazioni razziali, l’invasione dell’odio che i figli della libertà combattono pur nella consapevolezza che è una lotta non esente da rischi: la paura e la fame diventano una costante nella loro vita quotidiana.Marcel Langer, il cui nome diverrà quello della 35° Brigata è la prima vittima dei miliziani. Arrestato il 23 luglio 1943 mentre era in possesso di una valigia piena di esplosivi strappata a una giovane compagna inesperta, viene giustiziato nella prigione di Saint-Michel a Tolosa: la sua esecuzione è l’ennesima conferma della malvagità di un regime che ha nello “zelante” procuratore Lespinasse un valido rappresentante, un funzionario deciso a combattere senza pietà “i terroristi che turbano la quiete dei cittadini”.
Dopo mesi di azioni rocambolesche di sabotaggio, Jeannot (nome di battaglia di Raymond), Claude e altri compagni cadono vittime di una retata perchè alcuni compagni della resistenza, seppur a conoscenza dell’imminente arresto, preferiscono ignorare quell’informazione per ragioni di “vile opportunità politica”.Con le porte del carcere di Saint-Michel si apre per i ragazzi della 35° Brigata un inferno fatto di umiliazioni, torture e sofferenze inaudite alle quali quei giovani non ancora ventenni rispondono con un’umanità e una forza d’animo encomiabili: anche “in uno spazio tetro e angusto, nel cuore di questa infima tana, nell’abisso più nero, si può trovare una minuscola particella di luce….”
Dopo lo sbarco alleato in Normandia, gli ebrei, gli stranieri chiusi nel campo di Vernet, i prigionieri politici della zona di Tolosa sono caricati su un treno merci con destinazione Dachau e per quasi due mesi vagano per la Francia cercando di eludere l’aviazione alleata. Sono pagine strazianti quelle che narrano, senza mai cedere al sentimentalismo, le sofferenze atroci che attendono Raymond, Claude, Jacques, Marc, François: il caldo soffocante, la sete implacabile e la fame che non da tregua minano la resistenza di quei corpi emaciati coperti solo di pelle. Qualcuno impazzirà, i più, stremati dalle malattie si lasceranno morire.Fra coloro che trovano il coraggio di fuggire dal treno diretto al campo di sterminio c’è Raymond Levy, il padre dell’autore, che insieme al fratello Claude si ritrova in piena campagna ancora incredulo per aver riacquistato quella libertà che ormai disperava di raggiungere. (“In quel campo di stoppie, mio fratello e io eravamo e per sempre saremmo rimasti, due figli della libertà, smarriti fra sessanta milioni di morti”).Solo dopo molti anni Raymond che nel 1984 è stato insignito della Legion d’onore per aver partecipato alla Resistenza nella 35° Brigata partigiana, ha raccontato la sua drammatica esperienza al figlio Marc. Per lo scrittore francese il motivo del lungo silenzio è “che loro non si considerano eroi e il fatto di raccontare la loro storia poteva essere percepito così. Ho trovato un’umiltà profonda nel suo silenzio, loro si sono battuti perché noi potessimo avere una vita diversa”.
Narrato con una prosa scorrevole che alterna momenti drammatici a istanti di ingenua comicità e profonda partecipazione emotiva, “I figli della libertà” è un libro commovente, ironico e triste al tempo stesso nel quale l’autore è riuscito in modo mirabile a tratteggiare i personaggi con delicatezza e levità restituendo calore, umanità e dolcezza anche nei momenti più tragici del racconto.Marc Levy ha scritto un libro coraggioso sulla forza degli ideali che, soprattutto in un’epoca di “revisionismo”, può costituire un incentivo e una spinta propositiva per una società moderna troppo individualista a uscire dall’apatia e dall’indifferenza.
“Ho scritto I figli della libertà come un dovere non tanto nei confronti della memoria, quanto del futuro. Ho voluto sottolineare quanto un essere umano abbia delle responsabilità nei confronti dell’umanità. Basta abbandonarla anche solo per un secondo per perderla per sempre….”
Giorgia Greco

domenica 23 novembre 2008

Gerusalemme - Corte Suprema

M.O./ Vice-ministro Difesa Israele: famiglia coloni via da Hebron
Dovranno lasciare la casa, dopo sentenza Corte suprema israeliana

Hebron, 22 nov. (Apcom) - Una famiglia di coloni ebrei che risiede in una casa nella città palestinese di Hebron, in Cisgiordania, dovrà andarsene in seguito a una decisione di un tribunale israeliano. La corte suprema israeliana ha deciso la settimana scorsa che i coloni dovranno lasciare la casa di quattro piani alla periferia di Hebron. Il termine ultimo della Corte è scaduto, ma loro non vogliono andare via.
Il vice ministro della Difesa israeliano, Matan Vilnai, intervenuto mentre migliaia di israleliani visitano la città di Hebron per una festività religiosa, ha spiegato che saranno sgomberati, senza indicare una data precisa. Sono arrivati in questa casa nel marzo 2007 e affermano di averla comprata da un palestinese.

Decine di coloni ebrei hanno profanato una moschea e un cimitero musulmano a Hebron, dopo che un tribunale israeliano gli ha ingiunto di abbandonare la casa in cui risiedono nella citta' della Cisgiordania. Sulla facciata della moschea sono state tracciate scritte come "Maometto e' un maiale" e "Morte agli arabi" mentre sulle tombe sono state disegnate stelle di David. I soldati israeliani, a uno dei quali i coloni hanno spruzzato liquido irritante negli occhi mentre tentava di fermare una sassaiola con i palestinesi, si sono subito messi al lavoro per cancellare le scritte. Nel quartiere c'e' una crescente tensione dopo gli scontri fra gli ebrei ultraortodossi e i soldati israeliani che hanno l'ordine di far sgombrare gli insediamenti e gli avamposti illegali. Un tribunale ha respinto il ricorso presentato da due organizzazioni di estrema destra contro l'ordine di sgombero di una casa di quattro piani che i coloni sostengono di aver acquistato da un palestinese che ha pero' negato. L'edificio era stato occupato nel marzo 2007 da 150 coloni che l'hanno ribattezzato "La casa della pace". La corte ha stabilito che i coloni devono rivolgersi alla magistratura per far valere i loro eventuali diritti, senza occupazioni. A Hebron vivono 650 coloni in un'enclave fortificata nel cuore della citta', che e' abitata da 180mila palestinesi.