venerdì 28 novembre 2008

Meir Shalev

Israele e la lezione di De Amicis

Ai ‘Dialoghi letterari’
“Un libro mi ha tirato fuori dalla letteratura politica: è stato ‘Cuore’ di De Amicis. Mi ha introdotto nel mondo letterario”. Lo scrittore israeliano Meir Shalev, le cui opere sono state tradotte tutte in italiano, ha ribaltato ieri il tema della seconda giornata dei ‘Dialoghi letterari’, dedicato a ‘Letteratura e impegno’, in corso a Gerusalemme. (L’ organizzazine è a cura dell’Istituto italiano di cultura di Tel Aviv).Lo Stesso pensiero di Shalev l’aveva espresso poco prima Aharon Appenfeld, protagonista all’ultima Fiera del Libro di Torino, che ha rivendicato all’uomo, “e non alla sua opera”, l’impegno politico.Gli scrittori israeliani preferiscono lasciar fuori la politica dal loro lavoro. Al contrario di quanto fa uno scrittore e uomo di teatro italiano come Ascanio Celestini, che incentra il suo intervento sul primato della politica “nel senso più ampio del termine”.Per Shalev, invece, “scrivere è un impegno personale: la lealtà dell’autore alla sua realtà artistica dev’essere maggiore di quella alla politica”. E non riesce a celare la rabbia quando racconta che in Europa e in Italia “i giornalisti non gli chiedono del libro che ha scritto ma della politica di Israele”. “I temi della letteratura - aggiunge - non sono il trattato di pace con i palestinesi, bensì l’amore, l’odio, la passione, la vendetta, la morte, in sostanza la vita intera. Per questo vorrei leggere la letteratura della razza umana di ovunque”.“L’unico autore in Italia per cui ho fatto un viaggio fino al suo Paese è stato Giovanni Guareschi – prosegue Shalev - perché è sua la migliore lezione per capire come ’si scava il presente’. In Israele il presente è uno strato sottile”. E’ d’accordo Appenfeld: “Ad impegnarsi dev’essere il cittadino, non lo scrittore, non la sua opera. L’artista non ha che un dovere: quello di impegnarsi in ciò che produce, nella storia che racconta”.
L’italiano Celestini si limita a ricordare i temi del suo “impegno”, dalla guerra alla Resistenza, dalla precarietà del mondo del lavoro alla politica come rapporto tra “individuo e istituzione”. “Saper raccontare - sottolinea - significa aver prima ben ascoltato dagli altri. La memoria è uno strumento di ricerca del presente. Se non facessimo questo uso della memoria, non sapremmo come comportarci nel presente. Saremmo ciechi”. E cita il Ruanda e il Congo. Poi la fabbrica e il manicomio: perni di “uno squilibrio di condizione tra le istituzioni e l’individuo, che produce follia e problemi. Le prime considerano i secondi ragazzi da guidare. Non è stato forse Berlusconi a dire che gli italiani sono dei bambini da dirigere?”.Affine al pensiero di Celestini, quello dello scrittore israeliano Eli Amir, nato a Baghdad, che rivendica il passato come tema letterario, ma non come “lezione o politica, bensì per attirare il lettore”.Alessandro Piperno, invece, che oggi interverrà ai ‘Dialoghi’, si è detto d’accordo con gli scrittori israeliani: “Loro hanno molto per cui impegnarsi, eppure non lo fanno. Noi non abbiamo nulla, ma lo facciamo lo stesso”.

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