mercoledì 26 novembre 2008


Ambasciatori d’umanità
di Anat Meidan

Per cinque mesi, dottori e paramedici dell’Ospedale Barzilai di Ashkelon (Israele) hanno assistito Vania Suleiman, un’abitante di Jabaliya (striscia di Gaza). A causa di un ictus, Vania aveva perso conoscenza mentre era incinta. I tentativi fatti all’ospedale di Gaza per stabilizzare le sue condizioni non avevano avuto successo e per questo era stata trasferita al Barzilai. A fine di settembre, dopo che per settimane i medici si erano battuti per cercare di salvare la sua vita e quella del bambino che aveva in grembo, Vania aveva infine partorito il suo terzo figlio. Lei però non ce l’ha fatta: mercoledì scorso è deceduta, circondata dall’équipe israeliana con gli occhi lucidi.Due giorni dopo un missile Qassam palestinese si abbatteva sulla città di Ashkelon, facendo tremare pareti e vetri dell’ospedale e seminando paura e ansia tra tutti coloro che vi si trovavano.“Ormai conosciamo molto bene la famiglia Suleiman – ci dice il dottor Yosef Mashil, mentre si corre a prendersi cura di un 40enne di Gaza appena arrivato d’urgenza all’ospedale – Eravamo felici di veder nascere un bambino sano, e addolorati per il fatto che sua madre non abbia potuto vederlo. Avevamo il cuore a pezzi, quando è morta”.Sono mediamente circa 25 gli abitanti di Gaza ricoverati all’ospedale di Ashkelon. Vi arrivano dopo che l’ospedale ha coordinato il loro trasferimento con i servizi sanitari di Gaza. È un dialogo che non si interrompe mai, anche quando piovono i Qassam. Qui nessuno tiene i punti. L’unico criterio decisivo è la lotta per salvare vite umane, anche quando fuori da queste mura infuria una guerra senza fine che punta a troncare vite umane. Mentre fuori dall’ospedale assistiamo a una guerra di morte e distruzione, all’interno dell’ospedale si combatte una battaglia per la vita dei pazienti senza badare alla loro identità nazionale.Se – il cielo non voglia – un Qassam dovesse colpire l’ospedale, a Gaza sicuramente festeggerebbero il “trionfo” senza pensare nemmeno per un momento ai palestinesi della striscia che vi vengono curati.Sembra surreale e illusorio, e qualcuno dirà che è impensabile. Eppure il modello indicato dall’ospedale Barzilai costituisce l’unica risposta morale al caos che ci circonda. Un modello che mostra come creare relazioni di buon vicinato, umane e regolari, all’interno di una realtà folle, malsana e disumanizzante.Il debole raggio di luce nel buio profondo è che il marito e i figli di Vania Suleiman, che l’hanno vista curata con infinita dedizione all’ospedale israeliano, insieme ai famigliari degli altri pazienti di Gaza ricoverati al Barzilai, una volta tornati a casa possano esercitare un’azione moderatrice sul livello di odio che imperversa a Gaza. Loro che hanno incontrato israeliani in camice bianco preoccupati soltanto di migliorare le loro condizioni, possono forse diventare ambasciatori di coesistenza per uno scambio di parole anziché di missili. Nessuno meglio di loro sa che questa è l’unica vera alternativa che abbiamo quaggiù.(Da: YnetNews, 21.11.08), Da www.israele.net di oggi, 26 novembre.

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