martedì 20 maggio 2008

Eilat - museo oceanografico

Rotta per la Palestina

di Mario Giacometti e Daniela Giacometti
EdMursia €13,00

Alla fine della seconda guerra mondiale i sopravvissuti ai campi di sterminio nazisti cercarono, con gravi rischi e pericoli, di raggiungere la salvezza nel futuro stato ebraico partendo dalle coste italiane.
Oltre 23.000 ebrei riuscirono a lasciare clandestinamente l’Italia diretti in Palestina grazie all’aiuto della popolazione italiana e delle autorità. Uno dei centri italiani da cui partiva l’esodo dei superstiti ebrei era La Spezia, la città che venne definita la Porta di Sion.
L’Alià Beth, ovvero l’ondata migratoria verso la Terra Promessa fu osteggiata dalla Gran Bretagna, potenza mandataria in Palestina, che cercò con ogni mezzo di bloccare l’arrivo dei profughi nonostante le sofferenze che ancora recavano con sé e la consapevolezza che quella terra rappresentava la loro unica salvezza.
Mario Giacometti, autore del libro e a quell’epoca giovane marinaio, ci racconta la sua esperienza vissuta a bordo del Giovanni Maria una delle navi che, con a bordo 1.300 profughi sopravvissuti ai lager nazisti, fece rotta per la Palestina nella primavera del 1947.
Il racconto, frutto di un’esperienza vissuta, “nasce dal desiderio di lasciare una testimonianza” , un frammento di storia che si innesta nel quadro più ampio della grande Storia.
Dopo l’incontro con Amnon un giovane alto, carismatico e con un fisico da lottatore, membro della Haganà - la milizia del futuro Stato ebraico – tutto l’equipaggio della nave è consapevole dei rischi cui andrà incontro, oltre che dell’importanza e della segretezza della missione affidatagli: trasportare clandestinamente i profughi ebrei nella loro terra d’origine, Eretz Israel.
L’imbarco del primo gruppo di profughi presso Tolone avviene senza intoppi e con l’ingenuità e l’immediatezza che solo la gioventù può donare, Mario ci racconta del suo stupore dinanzi a quella babele di lingue, a giovani, bambini, donne e anziani scampati all’inferno dei campi che, seppur provati nello spirito e nel fisico, “avevano in comune la volontà di gettarsi alle spalle il passato e ricostruirsi un avvenire”.
La vita quotidiana sulla nave, che scorre fra la difficoltà di stabilire i turni per consentire a 1.300 sopravvissuti di mangiare “almeno un pasto caldo al giorno” e la necessità di mantenere la disciplina, non impedisce a Mario di fare conoscenza con persone segnate dalla sofferenza come il Dottore che ha perso tutta la sua famiglia nell’Olocausto e la giovane donna dallo sguardo triste che porta tatuato un numero sul braccio e di cui Paolino, l’amico del cuore, si innamora perdutamente.
Dopo la prima missione portata a termine felicemente, una nuova chiamata arriva da Algeri. Questa seconda impresa non nasce sotto buoni auspici: dapprima solo una settantina di profughi riesce a salire a bordo, poi una tempesta e una grave avaria ai motori costringono l’equipaggio del Giovanni Maria a fare rotta per la Girolata nel golfo di Porto in Corsica. Dopo aver preso a bordo, il 3 dicembre, i passeggeri del Sette Fratelli, un bastimento italiano che li aveva raggiunti, la navigazione riprende alla volta della Palestina. L’appuntamento per lo sbarco è fissato per la sera del 24 dicembre su una spiaggia vicino a Haifa.
Da quel momento la situazione precipita: la nave viene intercettata dagli inglesi e, dopo una strenua difesa, equipaggio e profughi sono costretti a sbarcare a Haifa ed infine portati nei campi di Cipro dove Mario insieme ai suoi compagni rimane per alcuni mesi nella consapevolezza che gli ebrei e in particolare Amnon, non li avrebbero abbandonati.
La libertà arriva dopo settimane trascorse a contatto con un’umanità ferita, sofferente nell’anima e nel corpo ma che non ha perso la speranza di poter giungere nella Terra Promessa.
Dopo un soggiorno di due mesi in un kibbutz dove allo stupore dinanzi ai “vasti campi coltivati, ai verdi filari di viti, frondosi alberi di frutta, campi seminati a grano”, si aggiunge la gioia per l’accoglienza calorosa e la solidarietà riservata loro dai residenti, gli italiani riescono a tornare in Italia e a riabbracciare le proprie famiglie, ancora una volta grazie all’interessamento di Amnon.
E’ con la suggestiva immagine delle tre bandiere israeliane che “sventolano orgogliosamente alla brezza del mattino” sul vecchio bastimento Giovanni Maria, ormai in disarmo nel porto di Haifa, che si chiude questo delicato libro di memorie.
Scritto con tono scorrevole e familiare il racconto di Mario Giacometti è un “tassello di storia” oltre che un’eredità preziosa fatta di ricordi e testimonianze che le vecchie generazioni trasmettono alle nuove affinchè crescano “affondando le radici nelle storie di un passato” che, in quanto patrimonio della collettività, appartiene a ciascuno di noi e non può essere dimenticato.
Giorgia Greco

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