lunedì 20 aprile 2009

1933: giovani ebrei europei in partenza per la Palestina

Ebrei single a Milano

C'è chi ne fa uno stile di vita e a chi è solo capitato per un periodo. C’è a chi piace e a chi proprio non va giù. E c’è chi se lo fa piacere per non ammettere la sua difficoltà a trovare l’anima gemella. Ovviamente kasher. Perché essere single non sempre è facile, non sempre è solo divertimento, uscite in discoteca e happy hour, o allegro svolazzamento di fiore in fiore. Dopo una fisiologica stagione di spensieratezza, arriva il giorno in cui, magari con pudore e senza ammetterlo a se stessi, si fa strada il desiderio di costruire una coppia o una famiglia. Si fanno i conti con la propria solitudine o semplicemente con la propria insoddisfazione sentimentale. E allora ci si comincia a guardare in giro. Sì perché spesso, dietro le lunghe attese della kuppà matrimoniale c’è proprio questo: la voglia di trovare qualcuno che non solo ci piaccia veramente, ma che sia affine da un punto di vista del cuore, del carattere e dell’identità. E così comincia una timida ricerca: quella di molti ragazzi e ragazze che prima di gettare la spugna vogliono aver detto a se stessi di averle almeno provate tutte. Essere single, ovvero in una età che a spanne va dai 30 anni ai 43 anni, è una condizione piena di luci e ombre, che spaventa e attrae allo stesso tempo. Uscire con le amiche in pieno stile Sex and the city, sentirsi brillanti, belle, in carriera e incredibilmente glamour, illudersi di vivere circondato da donne sempre diverse come accade a George Clooney, sono cose che possono piacere a tutti e a volte, detto senza moralismi, anche dare un poco alla testa. A chi non piace la Dolcevita? Chi non ha provato l’ebbrezza di sentirsi un/una single ruggente e piena di speranze, col mondo in mano? D’altro canto, c’è da dire che dopo i 30 anni si affacciano problematiche che nel decennio precedente neanche ci sfioravano: il lavoro, la carriera e il successo sociale prendono sempre di più il sopravvento sul nostro tempo libero. Fatalmente il nostro giro si restringe e si conoscono sempre meno single, diventa più difficile trovare i posti giusti dove incontrare gente nuova. Insomma il tempo passa e si arriva ai 40 anni in un soffio senza avere incontrato la persona giusta. Gli amici e i tempi della scuola e dell’università sono lontani, e si cominciano a tirare le somme. La sensazione di stare per perdere il treno si fa più acuta, si guardano i coetanei con figli oppure già sposati e ci si sente estranei, spaesati e a disagio. Ma diciamo la verità: a chi non è capitato almeno una volta di vivere da single a Milano? E non sempre per scelta ma anche per necessità? E se oltre ad essere single si è anche ebrei, allora che accade? L’abbiamo chiesto direttamente a loro, ai ragazzi e ragazze single della Comunità di raccontarci cosa passa loro per la testa e per il cuore. “La vita è fatta di passaggi: essere single è necessario per crescere individualmente e poter passare a una fase successiva, quella di coppia; ma non bisogna forzare i tempi se non si vuole fallire e andare contro il destino”. Così Edoardo Fuchs, 35 anni, laureato in geografia all’Università di Genova e Nizza, collaboratore della società Lemor, racconta come vive la sua condizione. Davanti ad un buon cocktail entriamo in confidenza e cerchiamo di capirne di più. “Se poi consideriamo che a Milano ci sono 5000 ebrei, di cui solo 300 circa sono i giovani tra 18 e i 30 anni e meno di 200 frequentano la Comunità Ebraica, la possibilità d’incontrare una ragazza sono molto poche”. Fatalista, come lui stesso si definisce, Edoardo aspetta il momento di sentirsi pronto a un rapporto duraturo e confessa che per ora la sua relazione più lunga è durata sei mesi ma che “anche sei mesi sono tanti se non c’è domani. E se si capisce che la relazione non ha futuro, portarla avanti significherebbe solo fare del male agli altri e a se stessi”.Jack Roy Diwan invece ha 42 anni, è consulente finanziario, designer e presidente di una squadra di calcio a Milano. Da nove anni risiede in Svizzera, ma fa avanti e indietro da Milano. Dopo alcune storie con ragazze non ebree, nel 2000 decide di rinunciarci. “Cercare una storia con una ragazza che abbia la tua stessa identità richiede determinazione e tanta forza di volontà. Talvolta capita di pensare che sarebbe più semplice scendere a compromessi con la vita e accettare una relazione con una persona con la quale stiamo bene, magari anche innamorati, ma con la quale forse non potremmo condividere certe cose. Capita allora che ci si perda d’animo, ma non ci deve abbandonare la voglia e la speranza di trovare qualcuno giusto per noi. Credo che ne valga la pena. Anche se so che in certi casi può essere doloroso fare delle rinunce”.Contrariamente a Jack che dichiara senza problemi di amare la vita di coppia, Giada Menda, 34 anni, confessa che non disdegna lo stare da sola e dedicarsi al suo lavoro e ai suoi hobby. “Ho studiato alla scuola ebraica fino alla terza liceo, mi sono laureata in Diritto Internazionale in Cattolica e adesso lavoro come rappresentante marketing. Ho molte passioni e nel tempo libero sono educatrice di cani”. Giada ci spiega che ha avuto sia ragazzi ebrei sia non ebrei: “Amavo spiegare il senso delle nostre festività e quello della nostra identità, ma col passare del tempo mi sono resa conto che ci sarebbe sempre stata una grave mancanza, qualcosa che ci separava”.Indagando a “telecamere spente” (e per questo non possiamo riportare i nomi reali), abbiamo cercato di approfondire i lati più problematici che sono affiorati dalle tre interviste, scoprendone, a sorpresa, dei nuovi. Per prima cosa: “il numero di ebrei è esiguo e come se non bastasse negli ultimi 15 anni molti sono andati via da Milano, rendendo più difficile la ricerca di una compagna”. Così Ariel, 35 anni, commerciante, parla di un problema che tutti i single ebrei sentono fortemente. In secondo luogo: “la comunità di Milano è molto piccola e a volte chiusa: se si frequenta una ragazza, dopo poco si finisce sulla bocca di tutti. Questo inibisce e limita molto, senza poi parlare delle aspettative e delle pressioni che si scatenano. La sensazione è che nel mondo ebraico, qualsiasi flirt o storia non si possano prendere in modo leggero. Ma le cose, a volte, non cominciano proprio così, prima leggere e poi serie?”. In terzo luogo: “la mescolanza tra i vari gruppi di ebrei, una certa resistenza ai matrimoni tra le varie edot (persiani, libanesi, habad...), rimane un problema serio”, afferma Micol. Una faccenda legata alla questione dell’assimilazione, per cui le famiglie più ortodosse vogliono conservare la loro “purezza” dando i propri figli in sposi a parenti lontani pur di mantenere viva la propria comunità di origine. Infine l’ultima questione ce la spiega meglio Daniel, 40 anni, commerciante. “Il vero problema di Milano è che non c’è un vero ricambio di amicizie, poche facce nuove. Una volta la Comunità era più vicina alla realtà giovanile, ma poi con la chiusura del Centro Sociale si è creato un vuoto e la gente non ha più spazi di socializzazione, come accadeva una volta. E come se non bastasse c’è carenza di donne rispetto agli uomini”.“Il nostro obiettivo è quello di organizzare eventi che permettano ai giovani di incontrarsi. Sono eventi che coinvolgono in media 20/30 persone. Questo consente di conoscersi meglio e con più immediatezza. Efes2 ha una mailing list molto ampia, che include anche ebrei non particolarmente praticanti”, spiega Ronit Ezra dell’Ufficio Giovani della Comunità. Con questi eventi, dall’happy hour alle visite di mostre a Milano, si cerca di coinvolgere anche coloro che generalmente non frequentano la Comunità, dando una concreta e piacevole possibilità a chi è single di conoscere nuova gente. Il riscontro è buono, poiché, come afferma Ronit “nella maggior parte dei casi il fatto che l’altra persona non sia praticante non è un ostacolo”. Lea Malki, Monica Franco, Alessandra Varisco Franch
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