mercoledì 11 gennaio 2012


Sindrome di Stendhal a Gerusalemme

"L'arte per l'arte" (Art for art's sake), "Beauty is truth, truth is beauty", fino al più folkloristico: "Non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace", sono alcune delle frasi che vertono intorno al concetto di estetica. Non bisogna essere un grande conoscitore, un esimio professore, una gallerista in tailleur per apprezzare l'Israel Museum di Gerusalemme. Non bisogna sciorinare date, tecniche e committenze per essere a proprio agio. Fingiamoci un visitatore che nella sua vacanza nella città dorata si è ritagliato un po' di spazio tra preghiere e shwarma e iniziamo il nostro tour virtuale in un museo che non ha nulla da invidiare ai vari Moma e Metropolitan. Probabilmente indosseremo degli occhiali da intellettuale e una di quelle borse in materiale riciclabile in puro stile 'laureata no logo con un attico in centro'. Ma sappiate che adottare il look 'Barbie e Ken fanno una visita culturale' è perfettamente inutile. Perché questo non è un museo (non pensate subito al magrittiano Ceci n'est pas une pipe), è molto di più. E lo si capisce varcata la soglia. Dopo aver discusso per una riduzione sul biglietto e aver preso una audioguida fingendo di essere perfettamente anglofoni, eccoci pronti per un vero e proprio viaggio. Un viaggio che inizia all'esterno, preda dei venti. La solerte audioguida spiega infatti che ci troviamo davanti a Shrine of the book, costruito dopo il fortunato ritrovamento dei rotoli di Qumran (attualmente esposti a New York). Gli edifici e le opere realizzate appositamente per il museo tengono conto di Gerusalemme e dei suoi mille significati allegorici. Nulla è lasciato al caso. Nulla è lasciato al puro estro creativo. Tutto segue la tipica filosofia rabbinica: 'Una domanda, tante possibili risposte'. Ma smettiamola di osservare il muro nero e la buffa cupola, il cammino è ancora lungo. Dopo aver ammirato la ricostruzione in miniatura di Gerusalemme ai tempi del secondo Beit Ha Mikdash, siamo ancora ignari di cosa ci aspetta seguendo il cartello 'Art garden'. Un vero e proprio museo en plein air con opere di artisti israeliani e internazionali. I giardini che incorniciano le meraviglie sono frutto dell'architetto Noguchi (studioso dell'arte dell'Ikebana), che traspone la spiritualità zen nella città delle tre religioni monoteiste. Una commistione di diverse ramificazioni di spiritualità che rendono questo posto un luogo di pace assoluta. Sembra quasi di tornare ai tempi nei quali i giovani artisti toscani studiavano le sculture negli opulenti giardini medicei. Con la differenza che l'Israel Museum non è adornato da statue antiche o pseudo antiche ma da ingegnose opere. Picasso, Rodin (con l'inconfondibile torsione del corpo di matrice michelangiolesca), Calder e persino Anish Kapoor, l'indiano famoso per Cloud Gate (The bean) di Chicago. L'opera di Kapoor è stata realizzata appositamente per il museo e mostra la Gerusalemme celeste e quella terrestre in un gioco di specchi e riflessi. Robert Indiana ci propone invece la versione in ebraico, Ahava, del celeberrico LOVE. L'opera di Oldenburg (esponente della pop art), un grande torsolo di mela, tipico dell'artista che ha fatto del cibo fuori misura la caratteristica principale del suo lavoro, ci introduce nella galleria interna. E pensare che solamente il giardino ci ha invaso la mente di spunti di riflessione. All'interno si dislocano tre sezioni principali. Dopo una breve sosta per rifocillarci nel ristorante interno Mansfeld, si può esplorare l'area dedicata ai reperti archeologici. Un tuffo nel passato che ci farà sentire i protagonisti di un kolossal di Spielberg. Interessante osservare ad esempio l'evoluzione dei caratteri ebraici. Il nostro viaggio nel tempo continua poi con l'ala dedicata al mondo ebraico, una delle parti più suggestive e ben allestite del museo. Il ciclo della vita segnato dalle fasi principali (nascita, matrimonio, morte), gli antichi testi sacri con preziose miniature, le teche illuminate che contengono channukkioth da ogni parte del mondo, sono alcune delle attrazioni di questo luogo magico. Anche se probabilmente la parte più commovente è la minuziosa ricostruzione di sinagoghe come quella di Vittorio Veneto, di Cochin in India e nel Suriname. Per concludere, un meraviglioso video che mostra immagini di Yom Azmauth mescolando spezzoni degli anni '50 e quelli più recenti. Cinque minuti che raccontano Israele più di qualsiasi libro di storia. Ma arrivati a questo punto, anche il più ingenuo visitatore si chiede: "Dove sono i grandi nomi? Insomma è tutto bellissimo ma non c'è nemmeno un quadro da asta da Christie's!". E qui l'Israel Museum ci stupisce ancora, annoverando una ricchissima collezione dall'impressionismo di Monet e Pisarro in poi. Il Ready-made di Duchamp, l'avanguardia di Kokoschka fino al pop di Lichtenstein e Wesselmann. Non dimenticandoci della serie di Warhol intitolata "Ritratti di dieci ebrei del XX secolo", tra cui l'attrice teatrale Sarah Bernhardt, Franz Kafka, i Fratelli Marx e Golda Meir. Un proliferare di opere non troppo conosciute ma dalla firma preziosa. Un museo che deve tutto ai generosi donatori e finanziatori. Persino l'ascensore che conduce il nostro visitatore errante reca una targa che porta il nome di un benefattore. Ci troviamo quindi all'ultimo piano con i piedi gonfi e probabilmente in piena sindrome di Stendhal, ma non possiamo rinunciare alla nuova mostra sul design che farà perdere la testa agli appassionati del settore e non. E dopo aver salutato timidamente con la manina il quadro a pois colorati di Damien Hirst, possiamo davvero ritenerci soddisfatti. Lo so, vi gira un po' la testa, probabilmente il nostro visitatore avrà bisogno di rilassarsi al Mar Morto con i fanghi sul viso o di ritrovare un po' di sana superficialità in qualche nuova discoteca di Tel Aviv. Ma anche quando ballerà scatenato, i suoi occhi brilleranno ancora, illuminati dalla concentazione di tanta bellezza in un unico luogo.

Rachel Silvera,http://www.moked.it/

Nessun commento: