martedì 19 febbraio 2013

Dove si incagliano le aspettative di pace 
Di Kenneth Bandler http://www.israele.net/
Con il processo di pace israelo-palestinese bloccato in un vicolo cieco da così tanto tempo, ogni sviluppo apparentemente positivo si presume che indichi una possibile opportunità di avanzamento. Alcuni osservatori sostengono che un punto di svolta sia offerto dalle recenti elezioni in Israele. Il New York Times, ad esempio, ha affermato in un editoriale che i risultati elettorali israeliani hanno posto le basi per un passo avanti nei moribondi negoziati di pace.L’annuncio della Casa Bianca che il presidente Barack Obama verrà presto in visita in Israele, dove incontrerà il nuovo governo israeliano, la dirigenza palestinese in Cisgiordania e re Abdullah II ad Amman, rinnova l’aspettativa di un rinvigorito processo di pace. In effetti Obama, durante la sua visita, potrebbe persino convocare un “vertice di pace” con Netanyahu e Abu Mazen.L’ultima volta che i tre leader si sono incontrati è stato nel settembre 2010, a Washington, quando Obama e l’allora segretario di stato Hillary Clinton fecero un intrepido tentativo di far ripartire i colloqui diretti. Poco dopo, però, il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) abbandonò la scena, snobbando sia l’interlocutore israeliano di cui avrebbe avuto per arrivare a una pace effettiva, sia il presidente americano che quell'anno aveva detto all'Assemblea Generale dell’Onu che non vedeva l’ora di accogliere come stato membro una Palestina creata sulla base di negoziati diretti.Il comportamento di Abu Mazen non fu altro che la riedizione della sua defezione già messa in scena nel 2008, quando aveva sdegnato una proposta di pace definitiva da parte israeliana molto più impegnativa di quella che la dirigenza palestinese aveva respinto a Camp David nel 2000. Abu Mazen è dunque responsabile della rottura dei negoziati, ed anche della loro eventuale ripresa. È lui che può cambiare il corso degli eventi tornando ai colloqui diretti senza pretendere pre-condizioni. L’alternativa, per lui, è continuare a perseguire una diplomazia basata sull'errato concetto che uno stato palestinese possa essere creato senza un accordo con Israele. Il voto alle Nazioni Unite dello scorso novembre che elevava lo status della delegazione palestinese non ha minimamente avvicinato Abu Mazen al raggiungimento dello sfuggente obiettivo dell’indipendenza statale. Né vi si può avvicinare col semplice fatto di stampare insegne e carta intestata addobbate con le parole “Stato di Palestina”.Fare la pace è diventato ancora più difficile dopo che i drammatici sconvolgimenti politici nel mondo arabo hanno elevato la statura di Hamas. L’emiro del Qatar, il primo capo di stato a visitare lo scorso ottobre la striscia di Gaza sotto il controllo di Hamas, ha recentemente cancellato una sua prevista visita a Ramallah, lasciando Abu Mazen ancora più emarginato nel mondo arabo. Finora re Abdullah di Giordania è l’unico leader arabo che sia andato a fargli visita. Per contro, dopo la visita del capo del Qatar, altri ministri e capi di stati si sono recati ad abbracciare la dirigenza di Hamas. Il 22 gennaio è stata la volta del primo ministro malese. Il presidente tunisino, che doveva arrivare a Gaza questo mese, ha rinviato sine die la sua visita dopo un accorato appello personale di Abu Mazen. Alla ricerca di un modo per cooperare pienamente, Hamas e Fatah continuano a parlare di riconciliazione. Parlano anche di nuove elezioni, sia nelle rispettive fazioni che per il parlamento e la presidenza palestinesi. Ma ogni accordo fra Hamas e Fatah sembra destinato a restare un pio desiderio.Il leader palestinese da tenere d’occhio è Khaled Mashal. Sebbene si sia impegnato a dimettersi dalla sua attuale carica in Hamas, Mashal ha solo 56 anni ed è difficile che pensi davvero di andare in pensione. Facendo base a Doha (dopo aver convenientemente abbandonato Damasco), Mashal viaggia molto ed è la persona di riferimento di Hamas nei colloqui con Fatah. Di recente è stato ad Amman a incontrare il re, la sua prima visita in Giordania dopo esserne stato espulso nel 1999. Queste interazioni alimentano la supposizione che in effetti Mashal sia capace di riforme. Ma Mashal, fedele all'ideologia e ai principi fondanti di Hamas che non prevedono spazio alcuno per Israele, non è in alcun modo interessato alla pace. La sua ferma opposizione all'esistenza stessa di Israele, il suo deciso sostegno alla violenza e al rifiuto di qualunque colloquio di pace sono emersi chiaramente nell'ardente comizio che ha tenuto a Gaza per le celebrazioni del 35esimo anniversario di Hamas. Da allora ha continuato a smentire puntualmente ogni volta che veniva messa in circolazione la notizia di una sua adesione alla soluzione a due stati.Sicché la palla della pace è nelle mani di Abu Mazen. Può rimanere aggrappato all'illusione di una riconciliazione con l’arci-antagonista Hamas, ma questo non porterà ad alcun accordo con Israele. Può continuare a ignorare il fatto che già quattro primi ministri israeliani consecutivi, compreso Netanyahu, si sono impegnati a negoziare una soluzione del conflitto sulla base dei due stati. E può cercare di ignorare allegramente il dato di fatto storico che gli accordi di pace arabo-israeliani funzionanti, come quelli con Egitto e Giordania, hanno avuto successo solo con il coinvolgimento degli Stati Uniti.La visita di Obama darà un incoraggiamento psicologico alla popolazione israeliana: una riaffermazione pubblica dell’incrollabile legame fra Stati Uniti e Israele che il presidente ha ripetutamente sottolineato. Potenzialmente potrebbe condurre a un rinnovato sforzo per la pace, se solo Abu Mazen, il riconosciuto leader palestinese, fosse disposto ad impegnarsi. Senza questa scelta da parte della dirigenza palestinese, il processo di pace resterà tragicamente moribondo.(Da: Jerusalem Post, 11.2.13)

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