martedì 27 ottobre 2009

Michelangelo e la Qabbala I segreti della Cappella Sistina

L’affresco più famoso del mondo. Un genio ribelle in lotta contro la corruzione della Chiesa. Il richiamo alla fratellanza delle religioni e l’empatia con gli ebrei. Uno studio analizza i segreti della Cappella Sistina alla luce del pensiero ebraico: affreschi pieni di allusioni all’Albero della Vita, alle 10 Sefirot, al Midrash. ... e sarà celata l’intelligenza degli intelligenti. (Isaia, 29,14) Assai acquista chi perdendo impara.(Michelangelo) Era il 1508 quando Michelangelo, poco più che trentenne, si mise all’opera su quello che sarebbe stato il suo capolavoro nonché il suo testamento intellettuale e spirituale: la Cappella Sistina. Quattro anni e mezzo issato su impalcature altissime, sdraiato 15 ore al giorno e con dolori lancinanti alla schiena e alla testa, una fatica immane e per di più in un luogo che detestava, Roma e il Vaticano. Come se non bastasse al soldo di un uomo odiato e corrotto, Papa Giulio II della Rovere. È di malavoglia e con spirito adirato che Michelangelo si accinge a dipingere la volta della Sistina, consapevole di non poter rifiutare l’incarico di un Papa, per di più collerico e egocentrico come Giulio II.Sarà stato forse il disappunto oppure il disgusto per una corte papale troppo lasciva e dedita al lusso: di fatto, il ribelle Michelangelo giunge a questo incarico pieno di dissenso per le idee della Chiesa del suo tempo e pronto per esprimere la propria verità interiore, umana e artistica. Come? Dipingendo immagini il cui significato risulti stratificato e nascosto, difficile da cogliere a un primo sguardo superficiale. Dipingendo la Sistina, Michelangelo avrebbe così accuratamente celato quei contenuti e messaggi che gli stavano a cuore ma ritenuti sovversivi dal Vaticano e tutto questo per non finire arrostito sul rogo con un’accusa di eresia, come era appena capitato a Savonarola. Michelangelo decide così di occultare nelle figure dei personaggi della Sistina, numerosi simboli della cultura ebraica e neoplatonica, della Qabbalah, del Midrash e addirittura dell’interpretazione di Rashi, che lo stesso Michelangelo conosceva grazie ai suoi maestri (Marsilio Ficino, Poliziano e Pico della Mirandola che leggevano l’ebraico, quindi possessori di un accesso diretto alle fonti).Del resto, guardando gli affreschi della volta della Sistina, molte sono le domande che sorgono spontanee: perché l’albero del Bene e del Male è un fico e non un melo? Perché il serpente tentatore ha cosce e braccia come scritto solo nell’originale ebraico? A questo e altro cerca di rispondere l’interessante saggio I segreti della Sistina - Il messaggio proibito di Michelangelo (Rizzoli, pp 397, euro 22), scritto a quattro mani da Roy Doliner, studioso ebreo americano di storia dell’arte, lingue e religioni comparate e dal rabbino Benjamin Blech, professore alla Yeshiva University e collaboratore del New York Times e del settimanale Newsweek. Se si chiede a Doliner che cosa lo abbia spinto a cercare il significato nascosto della Sistina e scovare il sistema di metafore e allusioni celate negli affreschi della cappella più celebre del mondo, lui risponde con un sorriso, “è stato Michelangelo a convincermi. Dopo il recente restauro, molti dettagli sono emersi a chiarire significati oscuri del capolavoro di Michelangelo”, dichiara. Una ripulitura durata quasi vent’anni (è finita nel 1999), che ha portato alla luce particolari e simboli stupefacenti: perciò Doliner e Blech ipotizzano che l’affresco collocato nel cuore della cristianità in realtà rappresenti una dura critica alla corruzione della Chiesa dell’epoca e una speranza di riscatto nell’idea di fratellanza universale tra le religioni. Il Buonarroti era infatti convinto che la degradazione morale della Chiesa fosse anche frutto della perdita di contatto proprio con le radici ebraiche del cristianesimo.Ma l’empatia di Michelangelo con gli ebrei va contestualizzata, spiegano Doliner e Blech. Nella Firenze di Cosimo e Lorenzo de’ Medici circolavano grandi maestri come Elija del Medigo, Jochanan Alemanno, il Rabbino Abraham, che introdussero Pico e il Buonarroti alle opere dei filosofi dell’antichità e del medioevo ebraico: Avicebron, Filone di Alessandria, Ibn Gvirol, nonché alla tradizione mistica e esoterica dell’ebraismo e ai concetti qabbalistici più importanti. Quali? Ad esempio quello della lotta tra Yetzer ha-Tov e Yetzer ha-Ra, la battaglia delle due inclinazioni dell’anima umana, quella istintiva e animale, quella spirituale e trascendente; e poi la convinzione che ogni cosa è emanazione di Dio e che le 10 Sefirot sono stadi della conoscenza; e ancora il concetto che Dio è una perfetta sintesi di maschile e femminile, armonia dei contrari ed equilibrio degli opposti, perché Dio è uomo e donna insieme; infine la qabbalistica nozione di Mochà Stima’à, il cervello nascosto, l’invisibile intelligenza del cosmo, il disegno divino che si nasconde dietro ogni cosa e trascende la nostra comprensione.Ma veniamo agli affreschi: perché, nel Peccato Originale e nella Cacciata, Adamo stacca il frutto proibito dall’albero proprio nell’attimo in cui Eva coglie il suo? Adamo sarebbe quindi colpevole della trasgressione tanto quanto Eva. Proprio come scritto nel Talmud ed esattamente il contrario di quanto sostiene la tradizione cattolica che addossa tutta la colpa su Eva che si lascia tentare dal serpente. E che dire proprio di costui? “Qui Michelangelo scelse di ispirarsi alla tradizione ebraica. Solo il Midrash infatti descrive il serpente come fornito di gambe e braccia”, dice Doliner. Inoltre, non c’è stereotipo della donna perfida tentatrice che porge la mela. Anzi, qui la mela proprio non compare. Al suo posto, i due progenitori colgono un succoso fico. Perché? Secondo un principio mistico ebraico, scrivono Blech e Doliner, Dio non ci sottopone mai un problema senza che Egli non abbia già creato la sua soluzione dentro il problema stesso. E la soluzione immediata alla vergogna della nudità è, per i due progenitori, quella di coprirsi con una foglia di fico; secondo il Midrash, l’Albero della Conoscenza era un fico perché, nella sua misericordia, Dio aveva provveduto a rimediare alla conseguenza del peccato, unendo il rimedio all’oggetto che l’aveva causato. Ora, era difficile, per un cristiano del ‘500, avere dimestichezza con questi ragionamenti. E solo chi aveva studiato il Midrash poteva esserne al corrente. E che dire della scelta di personaggi della Torà la cui storia il fiorentino dimostra di conoscere bene? Meshullemet col figlio Amon, Zorobabel, Aminadab... E poi il nascondimento delle lettere dell’alfabeto ebraico nelle figure dei personaggi: nel pannello di Davide e Golia, Michelangelo disegna la lettera Ghimmel di Gvurà, la Sefirà della forza e del principio maschile, il lato virile dell’Albero della Vita; in quello di Giuditta troviamo la lettera Chet di Chessed, la Sefirà della misericordia e compassione, principio femminile.E poi l’Aleph e la Ain, nascoste nell’affresco di Geremia. Inoltre, viene ipotizzato che i sette profeti della Sistina siano le raffigurazioni delle sette Middot, gli attributi delle Sefirot più basse: Zaccaria-Malchut (regno materiale), Gioele-Yesod (legame tra cielo e terra, spiritualità), Isaia-Hod (gloria, fede di fronte alle avversità), giù giù fino a Giona, il settimo profeta che rappresenta l’attributo di Chessed, la misericordia, la compassione, l’unico profeta che, passando attraverso il ventre del Leviatano, andrà nella pagana e corrotta Ninive per salvare i niniviti dal peccato. Perché Giona?, il profeta riluttante, mandato a predicare tra i gentili? Perché è il suo alter-ego, cerca di salvare Babilonia come Michelangelo tenta di salvare la Chiesa, spiegano gli studiosi. Michelangelo si identifica in lui e per questo dipinge il suo capolavoro pittorico, l’affresco forse più stupefacente della Sistina, con quelle gambe che piovono in testa a chi guarda, l’uso magistrale del trompe l’oeil, la complessità tridimensionale e simbolica del ritratto, la lettera Bet di Bereshit (ma anche di Bait-casa), nascosta nel gesto delle dita del profeta. Giona, l’ultimo ritratto, summa poetica di Michelangelo, ci spiega il vero senso della Sistina, il compito morale che Michelangelo sentiva di dover portare a termine dipingendola. Di fatto, colpisce una cosa: guardando la volta della Sistina, il più grande ciclo religioso di affreschi mai dipinto, ci si accorge con meraviglia che è privo di qualsiasi figura cristiana e popolato solo da eroi e eroine della storia ebraica. Il libro di Doliner e Blech ci spiega finalmente perché.Fiona Diwan http://www.mosaico-cem.it/

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