sabato 13 marzo 2010


Egyptian plane shot down on Tel Aviv beach. May 1948. Frank Scherschel

Rassegna stampa

Nel corso della visita del vicepresidente americano Biden a Gerusalemme e a Ramallah è arrivata la notizia, da alcuni giudicata inattesa per lo stesso Netanyahu, della costruzione di 1600 nuovi alloggi “per i coloni” (secondo il Financial Times) in un quartiere ebraico di Gerusalemme Est. Netanyahu non ha mai promesso alcun blocco delle costruzioni a Gerusalemme Est, e quindi non ha tradito la parola data. Ma questa notizia sta suscitando le ire non solo di Abu Mazen, pronto a sollecitare l’intervento della Lega Araba, ma anche della amministrazione americana, e di tanti commentatori. Mentre i colloqui tra israeliani e americani sembravano incentrati sull’Iran (lo stesso negoziatore Mitchell era rimasto fuori dalla stanza dei colloqui, a dimostrazione del fatto che nei colloqui “indiretti”, o “di prossimità”, non crede nessuno, sulla notizia arrivata improvvisa scrive Battistini sul Corriere che “mina la fiducia necessaria ad avviare i colloqui indiretti. Dobbiamo costruire un’atmosfera per sostenere i negoziati, non per complicarli”. Belle parole che tuttavia vengono usate solo e sempre contro Israele; si chiede poi giustamente se “qualcuno possa credere a questi negoziati indiretti, rito trito e ritrito”. Circa la visita di Biden, sulla Nazione Giorno Resto del Carlino Giampaolo Pioli scrive da New York che il vicepresidente “raggiungerà oggi le piste dei territori”. Parole classiche di una disinformazione pericolosa, e sintomatiche della testardaggine di troppi che vogliono scrivere su argomenti che ignorano del tutto. E’ mai stato Pioli in Giudea e Samaria? Il Messaggero sembra non accettare che Peres chieda sanzioni morali contro i dirigenti iraniani, oltre a quelle economiche; farebbe prima a sostenere che cosa propone di fare contro l’Iran, sempre ammesso che non ne accetti in toto la politica aggressiva. Di tono opposto l’articolo scritto dal ministro Ronchi sul Tempo, nel quale sollecita l’Europa a prendere posizione, come l’Italia ha già fatto, su questo argomento (l’Iran) destinato a restare al centro delle preoccupazioni di tutti, in Medio Oriente come in America. E il Giornale, dopo aver ricordato che Ahmadinejad vuole distruggere Israele e intanto impicca nelle strade i suoi nemici interni, in una serie di brevi ricorda i passati altolà dell’ONU, rimasti fino a oggi senza effetto alcuno. Sul Fatto, dove sono poco attenti se confondono gli accordi di Annapolis tra Olmert e Abu Mazen, “oramai nulli”, con accordi di “Indianapolis”, leggiamo che mentre i palestinesi avanzerebbero proposte moderate che prevedono i due stati e piccole modifiche territoriali, limitate al 2 per cento, Natanyahu “insiste a volere che i palestinesi riconoscano Israele come stato ebraico”, e avrebbe “le mani legate” di fronte alle lungimiranti proposte palestinesi di grande apertura. Il Manifesto in un articolo intitolato “sulla porta dell’inferno” scrive che “le tiritere di Ahmadinejad sull’inesistenza dell’Olocausto e sulla necessità di cancellare Israele dalle carte geografiche non fanno altro che alimentare le fiamme che Netanyahu vuole tenere vive”. Parole queste che si commentano da sole, purtroppo. Non molto diverse le parole su l’Unità in un’intervista ad Avraham Burg, sempre più schierato contro Israele di cui fu personaggio di primo piano in anni non lontani. Ma oggi, dopo aver attaccato la politica seguita nella gestione della città di Gerusalemme, da cui tanti si trasferirebbero, e la politica del governo, finisce dicendo: “Definire Israele uno stato ebraico è la chiave della sua fine”. Neppure queste parole meritano un commento. Ma sottolineo che le ha pronunciate Avraham Burg. Da leggere con attenzione su Le Monde un’intervista a Peres; tra le sue parole, ne ricordo alcune. Una nazione (la palestinese) deve essere costruita, e non solo negoziata, ma purtroppo questa costruzione è iniziata solo da un anno, ed ha l’aiuto di Israele. Israele accettò la proposta di Clinton che i quartieri arabi di Gerusalemme Est rimangano ai palestinesi, e quelli ebraici rimangano a Israele; per quelli misti va ricercata una soluzione amichevole. Israele ha proposto di far nascere lo stato palestinese su frontiere provvisorie, per dare tempo ai negoziati di risolvere le controversie; i palestinesi hanno rifiutato; di questo gli europei con le loro proposte sono al corrente? L’Iran con la sua politica è riuscita a dividere sia il Libano che la Palestina in due; Hezbollah impedisce la pace in Libano, Hamas impedisce che possa nascere uno stato palestinese. Questo, ed altro, su Le Monde, in questa intervista di grande interesse. Su Liberal si legge una attenta analisi della realtà ebraica negli USA, della sua influenza sulla politica del Congresso, e non si nasconde un parallelismo tra quanto succede in Israele e quanto potrà succedere presto in Europa. Su Liberazione si riprende la dichiarazione del primo ministro turco Erdogan secondo il quale Israele avrebbe accettato che egli riprenda il suo ruolo di mediatore coi siriani; tuttavia non è riportata la risposta di Netanyahu, che non sembra vedervi altro che la volontà di Erdogan di restare al centro dell’attenzione. Infine sul Sole 24 Ore un interessante articolo sul convegno promosso dal professore Dario Peirone che ha riunito a Torino aziende leader italiane ed israeliane nel campo dell’Hi Tech.Nei giorni scorsi abbiamo letto (e molti hanno scritto per protestare) numerosi interventi dell'ex ambasciatore Sergio Romano che sempre più rivela non solo il suo pensiero filoislamico (che si dovrebbe rispettare in quanto tale), ma anche la sua protervia nel non prendere in considerazione i fatti, i documenti e la storia (e qui viene meno il dovere del rispetto). Romano difende la politica turca (sulla quale sempre più numerosi sono coloro che esprimono preoccupazioni crescenti), e circa l'alleato Iran afferma di "non essere convinto che la sua classe politica voglia l'arma nucleare", per aggiungere che la bomba "serve a dissuadere piuttosto che a minacciare"; non legge i giornali di tutto il mondo che riportano le minacce che, da anni, i dirigenti iraniani muovono contro lo Stato di Israele "che sarà cancellato"? Sorge inoltre spontanea la domanda: dissuadere chi? Sta forse tentando di insinuare che sarebbe Israele a coltivare propositi genocidi nei confronti dell’Iran? Al lettore che lo interrogava sulle condizioni di Gilad Shalit ha risposto che "nelle carceri israeliane vi sono circa 11000 palestinesi: un numero che fa pensare a prigionieri di guerra piuttosto che a criminali comuni", dimenticando la ben diversa condizione oggettiva di prigionia. E alla lettrice che gli chiedeva spiegazioni sulla sua affermazione di considerare Marwan Barghouti un personaggio "interessante" ha risposto paragonando l'ala militare dei Tanzim, da lui fondata, alla Haganah, e scrivendo: "Barghouti è considerato da molti un terrorista (evidentemente da lui no, ndr). Ma terroristi, per gli inglesi, furono anche Jabotinsky e Begin" (e mi chiedo come si possa paragonare colui che ha sterminato tanti civili con chi faceva azioni contro un esercito). E infine si è inventato un "implicito riconoscimento dello Stato di Israele" da parte di Barghouti e di altri leaders palestinesi incarcerati, senza peraltro spiegarci in che cosa consisterebbe questo “riconoscimento implicito”, né quale altro stato al mondo sia stato gratificato (e si sarebbe accontentato) di un riconoscimento non esplicito. Certamente nei prossimi giorni Romano ci sorprenderà con nuove dichiarazioni sullo stesso tono. moked.it

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