lunedì 8 marzo 2010


Corsi di ebraico per gli universitari egiziani

Sono otto le università egiziane che nel presente anno accademico hanno attivato un corso di insegnamento di lingua ebraica. Fa specie che nel paese di Nasser sia tanto comune l'apprendimento della lingua del nemico, Israele. Eppure oltre 2000 studenti, ogni anno, imparano l'ebraico. “È la lingua del futuro, dicono. Non si può ignorarla”. Certo non è facile per un giovane, nella società egiziana, giustificare la propria decisione d'imparare l'ebraico. Emblematico il caso di Ahmed, figlio di un generale egiziano nella seconda metà degli anni '60. “Perché vuoi parlare con quelli che cercavano di uccidermi?”, gli ha chiesto suo padre. “Che rapporti vuoi avere con i nostri nemici?”. Nemico, Israele è percepito ancora così dalla popolazione egiziana, ovviamente in modo proporzionale all'età. Tra i più vecchi quasi tutti possono vantare un caro ucciso dall'“esercito sionista”. La normalizzazione delle relazioni politiche e culturali con lo Stato ebraico è ancora un tabù. Cosa può rispondere Ahmed a suo padre? “Io sono giovane, non ho mai conosciuto la guerra con Israele. So solo che noi egiziani intratteniamo relazioni economiche reciprocamente fruttuose con Israele, che gli scambi tra i nostri paesi sono anche culturali, che politicamente parlando mi sembra, per l'Egitto, molto più minaccioso l'Iran che Israele”. Sono dunque i giovani gli incaricati di superare le reticenze e le diffidenze così diffuse nelle generazioni che li hanno preceduti. Ma questo “vale da entrambi i lati del Sinai”, dice Ahmed. Ahmed lavora in un call-center del gigante informatico americano Xceed. Dal suo ufficio del Cairo riceve telefonate da Gerusalemme, Tel Aviv, Ashqelon, Beer Sheva.... Israeliani con problemi tecnici al computer. Il suo ebraico ormai è tanto fluente da ingannare i madrelingua, ma quando capita che venga fuori che è egiziano, dal capo israeliano del filo del telefono o c'è incredulità: “Ma come, hai imparato l'ebraico al Cairo?”; oppure si erge un vero e proprio muro di diffidenza nei confronti di Ahmed. “Non vogliono parlare con un egiziano -spiega- "inoltre devo farmi chiamare Adam: per molti Ahmed è quasi sinonimo di bombarolo”.Allora, forse, è davvero la generazione post muro di Berlino quella incaricata di abbattere vecchie, anacronistiche barriere, di cui neanche comprende più il senso. In Europa come in Medioriente. Quella generazione di egiziani che dice: “l'ebraico è la lingua del futuro”. Una generazione che ha avuto la fortuna di non conoscere le guerre dei suoi padri, che, priva di preconcetti, può valutare quanto la conoscenza dell'ebraico (una lingua come un'altra, non quella del diavolo), sia merce preziosa sul mercato del lavoro egiziano. Nel call center di Ahmed, per esempio, è fondamentale. Ma poi nel settore del turismo, ché gli israeliani viaggiano molto. Al Ministero degli Affari esteri, dell'informazione. Nel mondo della radiotelevisione e della stampa. Nella produzione agricola, perfino, poiché la tecniche d'avanguardia sono importate da Israele. Una buona conoscenza dell'ebraico, al Cairo, vuol dire un buon posto di lavoro assicurato. E in tempi di crisi, i giovani lo sanno, non è il caso di fare gli schizzinosi. Manuel Disegni. http://www.moked.it/

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