sabato 6 febbraio 2010


L’amore di Israele per Silvio? Lui sfida il politically correct

di Fiamma Nirenstein, http://www.ilgiornale.it/
Berlusconi non teme le reazioni dei filo-arabi: ripete per cinque volte «Stato ebraico» e manifesta il suo orrore per il negazionismo iraniano
«Ma perché non resta da noi, cosa ha da fare in Italia?» ha esclamato il conduttore del telegiornale del Canale statale tv dopo aver parlato ieri di Berlusconi. «Dopo tre giorni con lui devo dirlo: è uno charmeur irresistibile» ha ripetuto il giornalista del secondo canale. Ma addirittura Shimon Peres lo ha definito Shimshì, solare, nel discorso alla colazione in cui ha anche suggerito in maniera semplice e diretta al leader italiano che «la stampa chiacchiera ma gli elettori scelgono». «Lei ci ha scaldato il cuore» ha sorriso Peres durante la colazione di saluto di ieri, e non si riferiva alla indubbia simpatia che il Premier italiano ha suscitato, ne alla storiella che ha raccontato, ma soprattutto alle prese di posizione sostanziali e coraggiose di Berlusconi in tutte le occasioni in cui si è espresso, e in particolare durante l’intervento alla Knesset. Berlusconi è stato diverso da tutti i leader europei, non ha cercato di insegnare niente a nessuno ma ha offerto la sua stima e la sua mediazione a un Paese che, ha detto, «bisogna ringraziare per il solo fatto di esistere». Non ha lasciato che restasse un esercizio retorico il titolo di «migliore amico di Israele» e la vicenda commovente della madre Rosa che salvò una donna ebrea, parte del discorso di benvenuto di Bibi Netanyahu: in una giornata in cui i nemici si sono fatti vivi in tutti i modi, con minacce di guerra da parte della Siria e con grosse bombe affidate al mare, probabilmente da Hamas, per esplodere sulle spiagge e sulle navi israeliane facendo stragi, ha fornito a Israele svariati motivi per sperare di essere compreso e di poter trovare sostegno alla ricerca di una pace che non sia tutta sulle sue spalle, in più condita da riprovazione come spesso fanno i leader europei. Berlusconi ha aperto una strada seria, ha fornito un esempio innovativo all’atteggiamento europeo, perché mentre ha lodato Netanyahu per aver scelto la strada di «due Stati per due popoli», nel contempo ha anche scelto di pronunciare cinque volte l’espressione di pieno riconoscimento di Israele, denominandolo con affetto per quello che è, «lo Stato ebraico», ciò che non lascia spazio alle ambiguità per cui in genere molti europei lasciano aperta, con molti palestinesi che sognano in un futuro in cui la demografia o lo scontro cancellino Israele, la vera soluzione definitiva. Berlusconi l’ha detto chiaramente: uno Stato Palestinese accanto a uno Stato Ebraico, in cui cioè vive la Nazione, non solo la religione ebraica. E di fatto i religiosi in Israele sono circa il 15 per cento. Il riconoscimento di Israele come Stato Ebraico fu nel discorso di Netanyahu a Bar Ilan sui «due Stati» la condizione per arrivare a concessioni territoriali decisive, e per ora nessun leader arabo ha mai pronunciato l’espressione. È evidente la scelta pedagogica di Berlusconi verso i palestinesi e i Paesi arabi insieme alla promessa di aiutare ogni iniziativa che renda migliore la vita dei palestinesi. Altro tema fondamentale su cui Berlusconi ha detto cose decise e concrete: l’Iran. Berlusconi ha collegato l’impegno dell’Italia contro il programma atomico dell’Iran alla evidente intenzione genocida di Ahmadinejad, si è identificato senza esitazione con la preoccupazione fatale di Israele e ne ha dimostrato l’evidenza nel negazionismo iraniano, di cui ha parlato con orrore. Le scelte pratiche sono state enunciate in modo concreto: sanzioni molto dure, progressiva restrizione del business con l’Iran che ha assicurato essere già diminuito di un terzo e l’apertura di un lavoro per mettere nella lista Ue delle organizzazioni terroriste le Guardie della Rivoluzione.Di grande importanza per l’opinione pubblica israeliana è che l’Italia abbia un curriculum speciale nell’aver preso posizione senza paura contro i più terribili momenti di aggressività ideologica, di diffamazione autentica nei confronti di Israele. Berlusconi ne ha elencato i momenti più importanti: l’Israel Day quando Israele era tartassata da un terrorismo micidiale, il «no» alla partecipazione alla conferenza detta di Durban 2 «inaccettabile» ha detto il premier nelle sue calunnie di Israele, e di nuovo il «no» al rapporto Goldstone, che di fatto impedisce a Israele di esercitare ogni diritto all’autodifesa. È stato molto importante e innovativo, nessun Paese aveva mai tanto aiutato Israele a sentirsi un Paese normale di fronte all’opinione pubblica, a una logica degna di questo nome, quella che ti consente di difenderti se ti vogliono uccidere. Israele è ossessionato dalla continua fioritura di calunnie e d accuse insensate nei suoi confronti: Stato di apartheid, razzista, sterminatore di civili, uccisore di bambini... Berlusconi ha fatto piazza pulita dei luoghi comuni antisemiti che in genere vengono ignorati per convenienza politica e per compiacere le maggioranze automatiche dell’Onu. Berlusconi ha insomma rifiutato il politically correct che impone di dare un colpo al cerchio e uno alla botte, che pretende sempre di tirare qualche stilettata a Israele per affibbiarle tutte le responsabilità mentre i palestinesi vengono assolti. A loro ha promesso un piano Marshall e ha chiesto di rinunciare alla violenza, oltre che di sedersi di nuovo al tavolo delle trattative.E ha insistito nel riproporre un suo sogno che potrebbe finalmente fornire a Israele il suo naturale ambiente culturale, quello delle democrazie partorite dalle civiltà giudaico cristiana: la Comunità Europea. Berlusconi pensa che Israele se lo meriti. Il problema è se lo merita l’Europa. Ma questo Berlusconi non l’ha detto.

Nessun commento: