mercoledì 2 settembre 2009

Aharon Appelfeld


"Come Kafka non mi fido degli uomini" Intervista ad Aharon Appelfeld

Lei sarà al festival della Mente a Sarzana (4-5-6 settembre organizzato da Giulia Cogoli) e per questo ha preparato una conferenza sul tema “La differenza tra la cronaca e la letteratura”. Può spiegare qual è questa differenza?Nella cronaca si segue il tempo, la letteratura è qualcosa che appartiene alla vita interiore. Molta cronaca è stata scritta per esempio sul tema dell’Olocausto: la gente pensa che sia letteratura e invece non lo è. Ma Primo Levi, per esempio? Sta in mezzo. Ma quello che è molto interessante e che forse è l'unico scrittore che fa della cronaca-letteratura. Perché?Perché c'è molto della sua vita interiore. Prima dei campi di concentramento, durante e dopo. Per esempio, la notte prima della deportazione era con un gruppo di ebrei italiani e, dopo aver impacchettato i loro averi, si sono seduti e hanno cantato vecchie melodie ebraiche. Improvvisamente non era più una deportazione ma un lamento di ebrei riuniti insieme. Ma quali altri scrittori hanno raccontato bene l'Olocausto? Imre Kertész, che ha narrato la sua infanzia ad Auschwitz. Lei sta scrivendo invece un saggio su Kafka, come mai? Perché Kafka è molto vicino a me e viene dall'impero austro-ungarico. Addirittura dalla stessa regione dove sono nato io. Kafka ha una concezione profonda del momento catastrofico, di che cos'è davvero la catastrofe. Anche se non è passato attraverso l'Olocausto la sa riconoscere e raccontare. Un'altra cosa importante è il suo profondo senso di sospetto nei confronti degli esseri umani. E aveva ragione?Sì, certo. Ma lei non ha fiducia negli esseri umani? Quando dico essere umano penso a qualcuno in cui posso credere: purtroppo per ce ne sono molti di cui non si può avere fiducia. Il 18 ottobre a Parigi lei parteciperà alla Società Psicoanalitica Freudiana una serata in suo onore. Sente affinità anche con Freud? Certo, non si può capire l'uomo moderno senza Freud. Ci ha dato una lingua. Freud è ancora molto vivo. Le sue osservazioni sugli esseri umani furono in un certo senso profetiche. All'inizio del XX secolo ci ha detto che sotto la coperta della cultura vivono i demoni. Lui stesso è stato una vittima dei nazisti. E Dostoevskij? Dostoevskij mi ha insegnato ad essere religioso. In che senso? Nel senso che tutti i suoi personaggi hanno sete di religione, tutti. Lui è un antisemita, ma tutti i grandi scrittori russi lo erano, anche Tolstoj. Perché?Perché quei grandi geni vedevano gli ebrei come stereotipi: avari e con il naso grande. Non li vedevano come individui e questo è paradossale perché, nonostante avessero un grande senso dell'essere umano, credevano in tutte le stupidaggini convenzionali.Diceva che Dostoevskij le ha insegnato ad essere religioso, ma cosa è la religione? Un'attitudine positiva verso il mistero della vita. Non è certo dicendo che uno è neutrale al mistero della vita che lo si è veramente. Lei personalmente ha fede? Sì, una fede ebraica. Buber si definì un anarchico religioso, nel senso che non seguiva le regole e anch'io non seguo le regole. Lei è stato un grande amico di Singer, lo scrittore. Lo amavo molto perché era un fenomeno ebraico. La sua conoscenza dell'ebraismo era straordinaria. Sapeva tutto sugli ebrei, dal mondo antico al mondo moderno. Era una enciclopedia ebraica vivente. Era un grande scrittore? Sì, specialmente nei suoi racconti. E stato certamente uno dei migliori scrittori ebrei. Cosa pensa di altri scrittori ebrei, per esempio di Joseph Roth?Schnitzler, Stephen Zweig sono tutti scrittori che conosco molto bene ma non sono a livello di Kafka, Svevo o Babel, che sono invece dei grandi scrittori.Canetti?Penso che avesse un problema con il suo essere ebreo, e che per questo non sia diventato un grande scrittore. Se sei ebreo l'ebraismo deve essere parte di te, non puoi essere neutrale.Saul Bellow, Philip Roth, Malamud?Li ho conosciuti bene. Direi che l'ordine di importanza è Malamud, Bellow e Roth. Ognuno di loro ha portato qualcosa di nuovo all'America. Hanno aperto delle porte. E Potok?È un bravo scrittore, ma dì un altro livello. Allora quali sono gli scrittori che lei preferisce? Io scrivo di Kafka, è lui il mio scrittore preferito. Penso che sia la porta aperta per capire gli esseri umani e gli ebrei...
Alain Elkann, La Stampa, domenica 30 agosto 2009
Aharon Appelfeld (Žadova, Czernowitz, 16 febbraio 1932) è uno scrittore israeliano. Nato in Bucovina del Nord, allora in Romania, sopravvissuto alla Shoa in cui ha perso la sua madre e i suoi nonni, riuscì a fuggire da un campo di sterminio nazista in Ucraina e si unì all'Armata Rossa dove prestò servizio come cuoco. Nel 1946 è emigrato in Palestina, allora sotto mandato britannico. Laureatosi all'università di Gerusalemme in letteratura ha poi insegnato all'Università Ben Gurion del Negev.Nonostante abbia appreso l'ebraico tardi nella sua vita, Appelfeld è diventato uno dei più importanti scrittori israeliani. Nei suoi numerosi romanzi affronta esclusivamente, in modo diretto o indiretto, il tema della Shoah e dell'Europa prima e durante la seconda guerra mondiale. Per le sue opere ha ricevuto numerosi premi tra cui il Premio Israele, il Premio Mèdicis in Francia e il Premio Napoli in Italia.

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