Bibliofilia: poteva non cascarci il «popolo del Libro», gli ebrei? La prima edizione della «Festa del libro ebraico in Italia» - a Ferrara da oggi fino al 21 aprile - è l’occasione giusta per toccare con mano (e per quanto riguarda i due incunaboli esposti, solo con gli occhi) la millenaria corrispondenza di amorosi sensi tra i discendenti di Abramo e la pagina scritta, quella stampata in particolare. È una storia colma di passioni, di episodi romanzeschi (l’acerrima lotta tra gli editori Giustiniani e Bragadini intorno a un’edizione low cost di Maimonide) e di eventi tragici (diversi roghi del Talmud).«Il primo libro a stampa in ebraico - ci racconta Gadi Luzzatto Voghera, curatore della Mostra del libro antico all’interno della rassegna - vide la luce a Roma nel 1460, ma purtroppo non se ne è conservata nessuna copia, solo la notizia. A Reggio Calabria, invece, nel 1475, ne venne stampato un altro di cui ancora oggi esiste un esemplare. Fino al Seicento l’Italia è stata il luogo elettivo dell’editoria israelita, nonostante agli ebrei fosse interdetta qualsiasi attività artigiana: nelle tipografie potevano mettere capitali e cultura, ma non il proprio nome. Ad ogni modo, di incunaboli in ebraico se ne conservano oggi una quarantina di esemplari, mentre abbiamo migliaia di copie di centinaia di titoli stampati nel Cinquecento».Tutto questo accadeva in un secolo e mezzo tra i più difficili nella storia degli ebrei: dopo la loro espulsione dalla Spagna, nel 1492, dovettero abbandonare prima la Sicilia, che era aragonese, e poi il resto della penisola. Concilio di Trento e Controriforma aggravarono il clima. Quando, a Venezia a metà del Cinquecento, Giustiniani e Bragadini si accusarono a vicenda di concorrenza sleale per l’edizione del Mishnè Torà di Maimonide, la Commissione Pontificia a cui i due si erano rivolti per dirimere la questione non trovò di meglio che ordinare il rogo per i libri in questione e per diversi altri ritenuti «offensivi della tradizione cristiana». Nel 1553 più di diecimila tomi stampati in ebraico furono dati alle fiamme dai cristiani e contestualmente veniva proibita la pubblicazione del Talmud. Gli ebrei italiani, pur di continuare a studiarlo, vennero incontro alla censura cattolica espungendo alcuni brani «sensibili» e definendo così una tradizione di testi ben diversa da quella che si continuò a studiare in Germania e nell’Europa orientale.Alla Mostra è esposta anche la prima traduzione in spagnolo della Bibbia (Ferrara, 1553), eseguita non per i cristiani ma per i «marrani», gli ebrei spagnoli convertiti a forza al cristianesimo ma che nel loro intimo restavano ancora fedeli alla loro religione d’origine. Emigrati a Ferrara, Venezia, Ancona o in Toscana, avevano perso la conoscenza dell’ebraico e non gli rimaneva che questa «Biblia en lengua espanola, traduzida palabra por palabra... vista y examinada por el officio dela Inquisicion». L’approvazione dell’Inquisizione, però, fu un artificio per permetterne la circolazione: si tratta a tutti gli effetti di una Bibbia ebraica dove il nome di Dio, come da comandamento, non viene mai nominato (vi si legge, per esempio, «Dio» anziché «Dios» che è il castigliano corretto). Altro libro in esposizione è il primo Talmud stampato a Venezia (1520) da Daniel Bomberg, un protestante, che senza volerlo fissò il canone di questo testo che fino ad allora era meditato solo in manoscritto: ancora oggi le versioni digitali su Internet seguono l’impaginazione e i paragrafi di questa prima edizione.Sono solo pochi esempi (alla Mostra ne troverete un’altra ventina) di quanto vivo sia il mondo bibliofilo ebraico. L’anno scorso, per fare un altro esempio, quando il mercante di diamanti Jack V. Lunzer mise all’asta da Sotheby’s il suo «Valmadonna Trust» (13mila libri ebraici, a stampa o in manoscritto, da vendersi solo nella sua interezza oppure niente), molti cuori e portafogli di investitori entrarono in fibrillazione. Il prezzo: tra i quaranta e i cinquanta milioni dollari. Ma la rivalutazione, nei secoli, è certa. di Tommy Cappellini, 18 aprile 2010, http://www.ilgiornale.it/
domenica 18 aprile 2010
Quei libri del «popolo del Libro» valgono milioni
Talmud, Torah e antichi incunaboli: a Ferrara una mostra con i testi più preziosi della cultura ebraica
Bibliofilia: poteva non cascarci il «popolo del Libro», gli ebrei? La prima edizione della «Festa del libro ebraico in Italia» - a Ferrara da oggi fino al 21 aprile - è l’occasione giusta per toccare con mano (e per quanto riguarda i due incunaboli esposti, solo con gli occhi) la millenaria corrispondenza di amorosi sensi tra i discendenti di Abramo e la pagina scritta, quella stampata in particolare. È una storia colma di passioni, di episodi romanzeschi (l’acerrima lotta tra gli editori Giustiniani e Bragadini intorno a un’edizione low cost di Maimonide) e di eventi tragici (diversi roghi del Talmud).«Il primo libro a stampa in ebraico - ci racconta Gadi Luzzatto Voghera, curatore della Mostra del libro antico all’interno della rassegna - vide la luce a Roma nel 1460, ma purtroppo non se ne è conservata nessuna copia, solo la notizia. A Reggio Calabria, invece, nel 1475, ne venne stampato un altro di cui ancora oggi esiste un esemplare. Fino al Seicento l’Italia è stata il luogo elettivo dell’editoria israelita, nonostante agli ebrei fosse interdetta qualsiasi attività artigiana: nelle tipografie potevano mettere capitali e cultura, ma non il proprio nome. Ad ogni modo, di incunaboli in ebraico se ne conservano oggi una quarantina di esemplari, mentre abbiamo migliaia di copie di centinaia di titoli stampati nel Cinquecento».Tutto questo accadeva in un secolo e mezzo tra i più difficili nella storia degli ebrei: dopo la loro espulsione dalla Spagna, nel 1492, dovettero abbandonare prima la Sicilia, che era aragonese, e poi il resto della penisola. Concilio di Trento e Controriforma aggravarono il clima. Quando, a Venezia a metà del Cinquecento, Giustiniani e Bragadini si accusarono a vicenda di concorrenza sleale per l’edizione del Mishnè Torà di Maimonide, la Commissione Pontificia a cui i due si erano rivolti per dirimere la questione non trovò di meglio che ordinare il rogo per i libri in questione e per diversi altri ritenuti «offensivi della tradizione cristiana». Nel 1553 più di diecimila tomi stampati in ebraico furono dati alle fiamme dai cristiani e contestualmente veniva proibita la pubblicazione del Talmud. Gli ebrei italiani, pur di continuare a studiarlo, vennero incontro alla censura cattolica espungendo alcuni brani «sensibili» e definendo così una tradizione di testi ben diversa da quella che si continuò a studiare in Germania e nell’Europa orientale.Alla Mostra è esposta anche la prima traduzione in spagnolo della Bibbia (Ferrara, 1553), eseguita non per i cristiani ma per i «marrani», gli ebrei spagnoli convertiti a forza al cristianesimo ma che nel loro intimo restavano ancora fedeli alla loro religione d’origine. Emigrati a Ferrara, Venezia, Ancona o in Toscana, avevano perso la conoscenza dell’ebraico e non gli rimaneva che questa «Biblia en lengua espanola, traduzida palabra por palabra... vista y examinada por el officio dela Inquisicion». L’approvazione dell’Inquisizione, però, fu un artificio per permetterne la circolazione: si tratta a tutti gli effetti di una Bibbia ebraica dove il nome di Dio, come da comandamento, non viene mai nominato (vi si legge, per esempio, «Dio» anziché «Dios» che è il castigliano corretto). Altro libro in esposizione è il primo Talmud stampato a Venezia (1520) da Daniel Bomberg, un protestante, che senza volerlo fissò il canone di questo testo che fino ad allora era meditato solo in manoscritto: ancora oggi le versioni digitali su Internet seguono l’impaginazione e i paragrafi di questa prima edizione.Sono solo pochi esempi (alla Mostra ne troverete un’altra ventina) di quanto vivo sia il mondo bibliofilo ebraico. L’anno scorso, per fare un altro esempio, quando il mercante di diamanti Jack V. Lunzer mise all’asta da Sotheby’s il suo «Valmadonna Trust» (13mila libri ebraici, a stampa o in manoscritto, da vendersi solo nella sua interezza oppure niente), molti cuori e portafogli di investitori entrarono in fibrillazione. Il prezzo: tra i quaranta e i cinquanta milioni dollari. Ma la rivalutazione, nei secoli, è certa. di Tommy Cappellini, 18 aprile 2010, http://www.ilgiornale.it/
Bibliofilia: poteva non cascarci il «popolo del Libro», gli ebrei? La prima edizione della «Festa del libro ebraico in Italia» - a Ferrara da oggi fino al 21 aprile - è l’occasione giusta per toccare con mano (e per quanto riguarda i due incunaboli esposti, solo con gli occhi) la millenaria corrispondenza di amorosi sensi tra i discendenti di Abramo e la pagina scritta, quella stampata in particolare. È una storia colma di passioni, di episodi romanzeschi (l’acerrima lotta tra gli editori Giustiniani e Bragadini intorno a un’edizione low cost di Maimonide) e di eventi tragici (diversi roghi del Talmud).«Il primo libro a stampa in ebraico - ci racconta Gadi Luzzatto Voghera, curatore della Mostra del libro antico all’interno della rassegna - vide la luce a Roma nel 1460, ma purtroppo non se ne è conservata nessuna copia, solo la notizia. A Reggio Calabria, invece, nel 1475, ne venne stampato un altro di cui ancora oggi esiste un esemplare. Fino al Seicento l’Italia è stata il luogo elettivo dell’editoria israelita, nonostante agli ebrei fosse interdetta qualsiasi attività artigiana: nelle tipografie potevano mettere capitali e cultura, ma non il proprio nome. Ad ogni modo, di incunaboli in ebraico se ne conservano oggi una quarantina di esemplari, mentre abbiamo migliaia di copie di centinaia di titoli stampati nel Cinquecento».Tutto questo accadeva in un secolo e mezzo tra i più difficili nella storia degli ebrei: dopo la loro espulsione dalla Spagna, nel 1492, dovettero abbandonare prima la Sicilia, che era aragonese, e poi il resto della penisola. Concilio di Trento e Controriforma aggravarono il clima. Quando, a Venezia a metà del Cinquecento, Giustiniani e Bragadini si accusarono a vicenda di concorrenza sleale per l’edizione del Mishnè Torà di Maimonide, la Commissione Pontificia a cui i due si erano rivolti per dirimere la questione non trovò di meglio che ordinare il rogo per i libri in questione e per diversi altri ritenuti «offensivi della tradizione cristiana». Nel 1553 più di diecimila tomi stampati in ebraico furono dati alle fiamme dai cristiani e contestualmente veniva proibita la pubblicazione del Talmud. Gli ebrei italiani, pur di continuare a studiarlo, vennero incontro alla censura cattolica espungendo alcuni brani «sensibili» e definendo così una tradizione di testi ben diversa da quella che si continuò a studiare in Germania e nell’Europa orientale.Alla Mostra è esposta anche la prima traduzione in spagnolo della Bibbia (Ferrara, 1553), eseguita non per i cristiani ma per i «marrani», gli ebrei spagnoli convertiti a forza al cristianesimo ma che nel loro intimo restavano ancora fedeli alla loro religione d’origine. Emigrati a Ferrara, Venezia, Ancona o in Toscana, avevano perso la conoscenza dell’ebraico e non gli rimaneva che questa «Biblia en lengua espanola, traduzida palabra por palabra... vista y examinada por el officio dela Inquisicion». L’approvazione dell’Inquisizione, però, fu un artificio per permetterne la circolazione: si tratta a tutti gli effetti di una Bibbia ebraica dove il nome di Dio, come da comandamento, non viene mai nominato (vi si legge, per esempio, «Dio» anziché «Dios» che è il castigliano corretto). Altro libro in esposizione è il primo Talmud stampato a Venezia (1520) da Daniel Bomberg, un protestante, che senza volerlo fissò il canone di questo testo che fino ad allora era meditato solo in manoscritto: ancora oggi le versioni digitali su Internet seguono l’impaginazione e i paragrafi di questa prima edizione.Sono solo pochi esempi (alla Mostra ne troverete un’altra ventina) di quanto vivo sia il mondo bibliofilo ebraico. L’anno scorso, per fare un altro esempio, quando il mercante di diamanti Jack V. Lunzer mise all’asta da Sotheby’s il suo «Valmadonna Trust» (13mila libri ebraici, a stampa o in manoscritto, da vendersi solo nella sua interezza oppure niente), molti cuori e portafogli di investitori entrarono in fibrillazione. Il prezzo: tra i quaranta e i cinquanta milioni dollari. Ma la rivalutazione, nei secoli, è certa. di Tommy Cappellini, 18 aprile 2010, http://www.ilgiornale.it/
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento