venerdì 9 novembre 2012

Le Stazioni di Vertlib e il suo treno della libertà

“Carissimi, vi scrivo questa lettera, ma spero che quando vi giungerà avrete già ricevuto la notizia della scomparsa di Rahil Solomonovna. Vi esprimiamo le condoglianze nostre e di tutti i parenti e amici, di cui ormai ben pochi sono rimasti... La nonna aveva ottantaquattro anni. Morì nell’autunno del 1993 dopo una lunga malattia e fra grandi sofferenze. La rividi un’ultima volta prima che morisse, in occasione del primo viaggio nella mia città natale, che avevo lasciato da piccolissimo”. Si apre così Stazioni intermedie (La Giuntina, 282 pp.) dello scrittore austriaco di origine russa Vladimir Vertlib: con il racconto del ritorno del protagonista, da adulto, nel luogo che aveva lasciato a cinque anni insieme ai genitori in cerca di una vita lontana dalle persecuzioni. È proprio questo bambino, perennemente in viaggio e intrappolato fra mondi, culture e lingue diverse, il protagonista del libro che ha conquistato la XII edizione del Premio letterario Adelina Della Pergola. Un libro dal forte sapore autobiografico in cui vengono ripercorse le tappe della vita di Vertlib: dalla sua città di nascita, Leningrado, nell’Ex Unione Sovietica, fino a Tel Aviv, passando per Roma, Amsterdam, New York, Boston, fino ad approdare definitivamente in Austria, dove lo scrittore vive ancora oggi dividendosi tra Vienna e Salisburgo. “Il mio libro vuole raccontare come, attraverso l’ironia, sia possibile superare situazioni di grande difficoltà e arrivare a trovare se stessi – spiega Vertlib – Stazioni intermedie è anche un’opera sull’identità ebraica: al centro vi è il destino da perseguire nel microcosmo di una famiglia che fa di tutto per cercare un posto nel mondo, sempre condizionata dal proprio ebraismo”. Tuttavia, nelle varie stazioni intermedie (a ciascuna è dedicato un capitolo), la ricerca di un paese in cui sentirsi a casa, di una patria, è vana, perché ciascun luogo presenta un lato oscuro, in cui trovarsi bene è molto difficile. E tuttavia, lo scrittore tiene a specificare che pur ritraendo situazioni cupe, il suo libro non vuole trasmettere un messaggio pessimista, “anzi l’ironia e l’autoironia diventano un modo attraverso cui è possibile non soltanto sopravvivere, ma anche trovare il proprio posto nel mondo, a dispetto del fato gravante sul popolo ebraico che sembra essere quello di vagabondaggio e persecuzione, almeno fino alla nascita di Israele. Penso che il libro sia ottimista perché nonostante il tocco malinconico e il finale triste che hanno talvolta le storie, ciascuna di esse, ciascuna tappa, insegna al bambino a crescere e ad andare avanti”. Tanti i temi che Vertlib affronta nel volume, che è stato pubblicato per la prima volta a Vienna nel 1999: la difficoltà del viaggio e dell’emigrazione, la separazione dagli affetti, la crudeltà delle burocrazie, le speranze così sistematicamente deluse. Tanti e tali gli intrecci con quella che è stata la vita dell’autore, da rendere inevitabile la domanda su quanto ci sia di autobiografico. “Anche se la storia del protagonista assomiglia innegabilmente alla mia, Stazioni intermedie rimane un romanzo – sottolinea Vertlib – Non tutto quello che racconto è autentico, non tutto quello che racconto mi accadde. Ciò che senz’altro non ho inventato è l’atmosfera di quegli anni e, soprattutto, le mie emozioni di bambino, che rimangono scolpite in modo indelebile nella memoria anche quando ho dimenticato i fatti. E perciò, per quelle situazioni, ho ricreato episodi che ben si accordino con i sentimenti che ricordo perfettamente di aver provato. Perché talvolta un romanzo può essere più reale della verità”. r.t. twitter @rtercatinmoked, http://www.moked.it/

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