giovedì 8 novembre 2012


Il fascino della galabiya e il disgusto per lo shtreymel 

Gerusalemme, la "città tre volte santa", offre sempre un panorama antropologico e folcloristico di rara varietà, che include ebrei ortodossi appartenenti ai più vari movimenti, religiosi cristiani di ogni confessione e musulmani di diverso orientamento. L'occidentale medio, ambasciatore o pellegrino, professionista o cooperante, studente in visita o turista, ha un'innata attrazione per le fogge dei preti, è quindi vittima di un'insolita attrazione per chi indossa i vestiti tradizionali arabi e non manca mai di esprimere la soverchia antipatia per pastrani, peyes (cernecchi) e shtreymel (cappelli di pelo). Perché?Una risposta plausibile risiede nell'inconscia influenza del romanticismo orientalista, per cui il mito del "buon selvaggio" e della frugale vita dell'indigeno attraggono chi ha ormai a noia i comodi e artefatti costumi occidentali; così la cultura araba e in particolare quella beduina accendono la passione dei sognatori occidentali che vedono nelle ancestrali tradizioni sociali dei valori che considerano persi in un occidente degenerato (solidarietà sociale, legami famigliari, lavori tradizionali, culinaria tipica). La seconda ragionevole risposta risiede in un mai placato "antisemitismo occidentalista", che ha in particolare odio l'ebreo che si veste come nella Polonia, Lituania o Ucraina del XVIII secolo, perché l'immagine di barba, cernecchi e zucchetto evoca atavici richiami antigiudaici.Nella maggior parte delle persone le reazioni sono spontanee. L'occidentale medio che va a Gerusalemme si indispettisce per il passo veloce degli ortodossi, compiange le donne coperte da gonnoni, parrucche e cappelli, si contorce in smorfie quando deve rispettare la loro sensibilità sociale legata a una percezione molto castigata della modestia. E' inutile spiegare che gli ortodossi corrono per non sottrarre tempo allo studio, che la struttura sociale ortodossa è complessa e opprimente ma non violenta e comunque in trasformazione, che Meah Shearim è un quartiere a sé. Fioccano battute sui vestiti e le barbe; si pronunciano sermoni di condanna contro la sottomissione delle signore di cui si vede solo la parrucca; si deridono le regole dello shabbath e quelle alimentari, ritenute antiquate, vetuste ed eccessive; seccati si guardano uomini passare in un giorno di festa con un cappello di pelo (lo shtreymel) sotto il sole cocente, accrescendo l'astioso sospetto per un popolo di cui si deve un po' diffidare. Pochi metri più in là, dove gli shtreymel sono meno frequenti e lasciano il posto alle galabiye e le parrucche camminano a testa bassa e passo svelto tra i veli delle donne arabe, un trionfo di sorrisi compiaciuti ammira l'esotico spettacolo della donna dal velo bianco e il vestitone nero ricamato di rosso al petto che vende spinacette e menta seduta su uno straccio, degli uomini che urlano dietro e davanti i banchi del mercato, dei bambini dalla pelle ambrata che si ammassano a chiedere soldi e vendere cianfrusaglie.Tuttavia, il disprezzo per l'ebreo ortodosso non è amore per la modernità, poiché non si capirebbe il fascino per l'arabo tradizionale. La compassione per l'oppressione delle donne ebree ortodosse non spiega la condiscendenza quasi nostalgica verso il velo islamico. Le ragioni sono più profonde, sono lontane, e ben rappresentate da quell'orientalismo novecentesco che ha lasciato due maggiori eredità: le simpatie romanticiste per gli arabi e il disprezzo occidentalista per gli ebrei.Le figure di Lawrence e Glubb Pascià sono ben ritratte in "Gerusalemme, Gerusalemme", ma per capire la relazione con gli arabi e con gli ebrei degli orientalisti di allora bisogna leggere Freya Stark, la nobildonna inglese che aveva scelto Asolo, sui colli trevigiani, come sua residenza. Affascinata dall'oriente arabo quando tutti i nobili inglesi partivano per l'India, Freya Stark aveva iniziato la sua brillante carriera di narratrice di viaggi negli anni '20. I suoi libri, in particolare "Effendi", descrivono il Vicino Oriente come un angolo di terra disastrato dagli ottomani, abitato da pochi raffinati arabi educati in Europa e residenti perlopiù a Damasco o Beirut, attraversato da molti fieri beduini e oggetto delle "ridicole mire" dei sionisti. I suoi diari e le sue lettere dimostrano come gli arabi la seducessero e come gli ebrei la ripugnassero. Gli arabi vivevano in case con un giardino rinfrescato da una fontana e da verdi piante; con gli arabi si sorseggiava il tè alla menta o alla salvia recitando poesie; con i beduini si attraversavano deserti e terre ostili sul dorso di un asino o di un cammello mangiando zampe di capra bollite. Con "gli amici di nazionalità ebraica" sembrava invece di stare in Europa, benché fossero ancora attaccati a un antico oriente che non hanno mai lasciato e in cui già erano "invisi alle popolazioni circostanti".Nessuno potrebbe ora scrivere qualcosa di così palesemente antisemita, ed è per questo che leggere gli orientalisti del primo Novecento aiuta a capire ciò che in molti pensano oggi, ma che preferiscono esprimere con articolati artifizi retorici. In questo risiede l'antisemitismo occidentalista, che esprime bene anche Singer nei suoi romanzi in cui compaiono sempre figure di assimilazionisti anti-religiosi che lamentano "l'attaccamento all'Oriente biblico". Così come l'antisemita ritiene che la presunta estraneità dell'ebreo in Occidente sia l'attaccamento all'oriente, così lo stesso antisemita ritiene che la presunta estraneità dell'ebreo in Israele sia l'attaccamento all'occidente, per ragioni di origine, politica, cultura o società. E' così che si esprime l'antisemitismo nel disprezzo dello shtreymel e nel fascino per la galabiya. Del resto non deve stupire questo tipo di antisemitismo, quando in Europa si è affermata la moda dello yiddishismo e della musica klezmer. Il mondo dello shtetl, annientato dalla Shoah, esercita un fascino romantico irresistibile: violinisti sul tetto, raccontastorie coi cernecchi, barzellettieri con il pastrano, immagini che fanno svanire miseria, paura, pogrom, violenza antisemita , discriminazione e emarginazione.Allo stesso modo, le figure dell'arabo e del beduino costituiscono la vera arma di seduzione che attrae i sogni romantici di chi vede nell'indigeno il sopravvivere ostinato di una purezza tradizionale che si contrappone alla modernità insopportabilmente occidentale, sempre un po' americaneggiante, e fastidiosamente ebraica.Giovanni Quer,http://www.informazionecorretta.com/

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