venerdì 9 novembre 2012

Dialogo ebraico-cristiano, l’ombra dei lefebvriani

PORTE aperte ai lefebvriani, ma nessun avallo alle loro posizioni antisemite. La Santa sede prova a driblare  i timori di un cammino a ritroso sul viale del dialogo ebraico-cristiano dopo il ritorno di fiamma tra il Vaticano e la Fraternità di San Pio X. Per la verità, la tanto attesa risposta dei tradizionalisti al preambolo dottrinale, stilato da Roma come conditio sine qua non per il rientro nella Chiesa, tarda ancora ad arrivare. E le esternazioni del neo prefetto di Doctrina fidei, monsignor Gerhard Mueller, fanno salire la bile a chi spinge per la fine dello scisma. Eppure, qualche giorno fa, una nota della commissione Ecclesia dei, la stessa incaricata di condurre il dialogo a destra, ha rimesso in carreggiata il faccia a faccia: la Chiesa non incalza la Fraternità, che, a settembre, ha chiesto ancora tempo per rispondere, e invoca pazienza e fiducia nel buon esito del confronto.Come a dire che la pace si farà, non si sa quando, ma si farà. La vuole il papa che sulla ricomposizione della frattura, almeno in parte, si gioca la riuscita del suo regno. Benedetto XVI ci ha messo la faccia, liberalizzando la messa tridentina, revocando la scomunica ai vescovi lefebvriani e riannodando i fili del dialogo dottrinale con i tradizionalisti. Tante, troppe, discusse concessioni che per ora hanno alimentato solo uno snervante tira e molla tra Roma ed Econe.I nodi del dibattito sono al pettine già tempo, dal dialogo interreligioso al rapporto con l'ebraismo, dall'ecumenismo alla libertà religiosa. In sostanza, in discussione c'è l'autorità del Concilio Vaticano II. Ma è soprattutto sul legame con il popolo di Israele che la Santa Sede sente l'urgenza di rassicurare chi, nel rientro dei lefebvriani, scorge il rischio di una pesante marcia indietro.Nostra aetate
 - la Magna carta per i cattolici del dialogo con il popolo di Israele, ndr - non è minimamente rimessa in discussione dal magistero della Chiesa, come il papa stesso ha più volte dimostrato, con i suoi discorsi, i suoi scritti ed i suoi gesti personali nei confronti dell'ebraismo; un riavvicinamento con la Fraternità  sacerdotale San Pio X non significa assolutamente che le posizioni di detta Fraternità vengano accettate o appoggiate>. Ad affermarlo è il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio consiglio per l'unità dei cristiani, intervenendo alla plenaria della Commissione per i rapporti religiosi con l'ebraismo - organismo dello stesso dicastero -, svoltasi nei giorni scorsi in Vaticano.Il pericolo che, una volta ricucito lo strappo, nella Chiesa si riaffacci un certo antisemitismo è tutt'altro che remoto. Lo sanno bene anche in Santa Sede, dove, come negli episcopati dell'Europa centrale, non mancano le voci critiche su un'intesa con i tradizionalisti. A fine ottobre ha fatto notizia l'espulsione dalla Fraternità del vescovo negazionista, monsignor Richard Williamson. Poteva essere un segnale di svolta per l'avvio di una nuova fase con i fratelli maggiore nella fede.E, invece, ci ha pensato un comunicato del distretto italiano dei lefebvriani a dare il giusto peso alla vicenda: . Più chiaro di così... La Chiesa cattolica può ancora permettersi il lusso di illudersi?Giovanni Panettiere, http://blog.quotidiano.net/

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