martedì 12 maggio 2009

Lula in visita alla Congregazione israelita di São Paulo

Culinaria Ebraica/1

Espulsi dalla penisola iberica cinque secoli or sono gli ebrei si trasferirono anche in Brasile. Viaggio in due puntate nelle loro tradizioni gastronomiche che hanno influenzato quelle verdeoro.
Espulsi dalla penisola iberica cinque secoli or sono, gli ebrei cominciarono da quella data a trasferirsi anche in Brasile, dando vita a una delle loro innumerevoli diaspore. Cresciuti e moltiplicatisi, influenzarono profondamente il modo di essere dei brasiliani. I quali, spesso involontariamente, hanno fatto propri detti e peculiari atteggiamenti di origine ebraica. A tavola, l'assimilazione ebbe luogo in modo più consapevole. Senza dubbio, fu un processo appetitoso. Questo mese e il prossimo, senza la pretesa di ricostruire interamente la storia della presenza giudaica nel paese, daremo cenni sulle tradizioni gastronomiche ebraiche e su come le stesse hanno influenzato quelle verdeoro.
Nel 1492, 250mila ebrei furono cacciati dalla Spagna dopo la conquista dell'Andalusia e del regno di Granada. In 100mila cercarono rifugio nel paese più vicino, il Portogallo, aggiungendosi alla già nutrita comunità ebrea lusitana. Quattro anni dopo l'arrivo di questa ondata migratoria, composta da persone professionalmente qualificate (medici, astronomi, traduttori, artigiani esperti di pelle e metalli), il numero di ebrei nel paese oltrepassava la soglia del 20 per cento della popolazione. Dom Manuel, re del Portogallo, nel 1496 chiese la mano della figlia del re di Spagna, Isabel de Aragón y Castilla. La principessa chiese consiglio al suo confessore, il temibile Torquemada, che le vietò tassativamente di trasferirsi in terra portoghese fino a quando gli ebrei avessero abitato nel paese. Oltre a una moglie e alla continuità della sua stirpe, con il matrimonio Dom Manuel intendeva garantirsi la manovalanza marittima necessaria per le grandi traversate oceaniche. Nonché il momentaneo allontanamento della minaccia di annessione del Portogallo alla Spagna, potenza fortemente militarizzata e cattolica. La domenica delle Palme del 1497, il re invitò tutti gli ebrei della capitale portoghese a un grande incontro nella Praça do comércio di Lisbona, ubicata davanti al fiume Tejo. Li attrasse con la promessa di essere imbarcati su navi che li avrebbero riportati in Terra Santa, sogno della stragrande maggioranza degli ebrei iberici. Allo stesso tempo, convocò in segreto il maggior numero di preti disponibili ai quali fece distribuire acqua santa a profusione, con l'intento di realizzare un inatteso e forzato battesimo di massa.Mentre i sacerdoti spargevano acqua come se piovesse sulla folla che nel cais veniva contenuta dai soldati, il re inviava un suo emissario alla corte spagnola. Con un preciso messaggio: quello che in Portogallo non vi erano più ebrei bensì "nuovi cristiani". L'episodio è conosciuto come il "battesimo in piedi". A partire da quella data, in tutto il regno fu vietato praticare la religione ebraica. Gli ebrei che non si fossero convertiti al cristianesimo cambiando il proprio cognome (dall'originale in Alves, Carvalho, Duarte, Silva, Oliveira, fra gli altri) sarebbero stati immediatamente espulsi e costretti ad abbandonare famiglia, averi e diritti. Dieci anni dopo, l'armata spagnola unitasi a quella portoghese e a risoluti frati dominicani, fece strage di circa quattromila ebrei. Il tragico episodio rappresentò un atto di totale mancanza di rispetto verso le libertà religiose di una parte significativa della popolazione, durante i famigerati anni dell'Inquisizione. Le sue conseguenze lasceranno un marchio indelebile e inequivocabile della presenza giudaica nella formazione della coscienza collettiva dei portoghesi. Più ancora in quella dei brasiliani, che nei secoli successivi verranno in contatto con ebrei che migrano, si stabiliscono e prosperano in Brasile.Oltre a quanti oggi nel paese praticano la religione ebraica consapevolmente, centinaia di migliaia di brasiliani conservano nel proprio bagaglio culturale origini e influenze giudaiche più o meno prossime. Ciò è riscontrabile, ad esempio, in diffusissimi proverbi, superstizioni, usanze e abitudini presenti nel nostro modo di essere. La tipica espressione "ficar a ver navios", che significa venire ingannati dopo essere idealmente "rimasti ad attendere" inesistenti "navi", fa parte del vocabolario di saggezza popolare verdeoro. Ovviamente, deriva dal citato episodio storico di Praça do comércio.Nei bar e nei botequim brasiliani, da nord a sud, è comune veder versare per terra il primo sorso di cachaça in segno di rispetto verso un fantomatico "santo". Il santo in questione, in realtà, è Eliyahu Hanavi, cioè il profeta Elia della tradizione giudaica, che è commemorato durante i festeggiamenti per la Pessach, che coincidono con quelli della Pasqua cattolica. Pochi brasiliani lo sanno. Giunti in Brasile a partire dal XVI secolo, negli anni della colonizzazione gli ebrei parteciparono a tutti i cicli dell'economia brasiliana, soprattutto a quello dell'oro e delle pietre preziose del Minas Gerais. A quei tempi, anche in quella lontana regione le minacce dell'Inquisizione li costringevano all'assoluto anonimato. Allo stesso tempo, c'era la preoccupazione di seguire le ferree regole imposte dalla Kashrut, la legge alimentare che prevede l'uso esclusivo di ingredienti kosher (puri) o kasher (più usato in Brasile) nella preparazione dei piatti. Gli ebrei, pertanto, crearono un mobile che ancor oggi fa parte della tradizione mineira, cioè la mesa com gavetas. Si trattava di un tavolo con cassetti messi strategicamente in corrispondenza dei vari commensali. A ogni pasto venivano preparate due portate, una "vera" e una "finta". La prima era cucinata con alimenti kasher. Nel caso si presentasse alla porta un visitatore inaspettato e sconosciuto, i piatti venivano velocemente nascosti nei cassetti e sostituiti in tavola da una seconda portata di cibi taref (impuri), di solito a base di maiale, come i fagioli cotti con pancetta oppure la couve con il torresmo, cavolo nero con ciccioli fritti di grasso suino.Come accadde in altre aree del mondo, anche la maggioranza degli ebrei arrivati in Brasile era distinta in due gruppi, portatori di due cucine ben distinte. Entrambe le comunità erano di origine europea, ma ciascuna possedeva parametri culturali e parlava dialetti diversi. La prima era costituita dagli ashkenazim o ashkenazi (il cui nome deriva da Ashkenaz, cioè l'attuale Germania), che popolavano l'Europa centro-orientale e parlavano l'iddish. La seconda erano i sepharadim o sefarditi (da Sephard, vale a dire la penisola iberica) che vivevano tra Spagna e Portogallo, parlando prima il ladino e in seguito l'hakitia, un dialetto giudeo-spagnolo che prese forma quando gli stessi si stabilirono in Sudamerica. La culinária judaica è una delle più variate e saporite che esistano in Brasile ed è nata dall'incrocio tra le tradizioni dei due ceppi etnici appena ricordati. Per entrambi, originariamente, gli ingredienti principali erano i sette elementi biblici: orzo, frumento, olive, fichi, datteri, melograno ed erbe. Le regole religiose prescrivevano il consumo di verdura, frutta e cereali in maggiore quantità rispetto alla carne o al pesce. Gran parte della vita comune e familiare ebraica in Brasile si svolgeva attorno alla tavola. Nella preparazione dei piatti, ogni mossa era studiata, essendo intimamente legata alla religione e a Dio. Gli ebrei credono che i cibi preparati attraverso l'utilizzo di diversi simbolismi propizino, a seconda dell'occasione, la fertilità, la prosperità, la fortuna o l'immortalità. Gli ashkenazi, stabilitisi inizialmente nelle regioni più fresche del paese, utilizzavano il fondamentale schmaltz (grasso di gallina), le cipolle, l'aglio, i crauti, le carote, le barbabietole e le patate. Queste ultime erano ampiamente usate nella preparazione dei piatti più importanti come i kreplach (ravioli di carne) e il kugel (uno sformato di patate al quale poteva essere aggiunta della pasta oppure, durante la Pessach, della farina matzah, fatta di pane azzimo sbriciolato), oltre che in quella di deliziosi pesci affumicati come carpe e aringhe.La combinazione di aceto, succo di limone, sale e zucchero o miele creava sapori piacevolmente agrodolci. Comune era l'uso del rafano per accompagnare portate di carne o di pesce, come il famoso guefilt fish, un piatto servito durante lo Shabat, la festa del sabato. Sono polpette di pesce cotte in brodo servite con carote e chrain (un condimento di colore porpora, a base di rafano e barbabietole). Oltre alle verdure e al pesce, la cucina ashkenazi prevedeva variazioni dei piatti principali realizzate con cereali reperibili in loco, tra quelli più diffusi in Brasile. Ad esempio le lenticchie e il grano saraceno. Si ricreò anche l'abitudine di preparare conserve di frutta e di porre le verdure sotto aceto.
I sefarditi, che in Brasile inizialmente cercano aree climaticamente analoghe a quelle del Mediterraneo da essi abbandonate, crearono piatti più elaborati e al tempo stesso delicati, il cui sapore era dato sopratutto dalle erbe aromatiche e da spezie come zafferano, cannella, coriandolo, noce moscata, zenzero, cardamono e cumino. Preferivano l'olio di oliva al grasso di gallina e in Brasile approfittarono dell'abbondanza di melanzane, carciofi, sedani, spinaci, asparagi, lattuga, cetrioli, olive, peperoni, fagioli, fave, mandorle, meloni e tamarindo per creare zuppe, creme, pane e arrosti. Nella preparazione dei dolci impiegavano essenze di rosa, uova e yogurt. Il risultato era una cucina più colorata e creativa.Alcuni piatti di origine ebraica hanno influenzato le culinarie europee tradizionali, in un certo senso legittimandosi. Come tali, cioè con un'aura di intoccabilità quasi sacrale, sono arrivati in Brasile. È il caso dello cholent o adafina, un piatto caldo di carne e verdure in umido servito durante lo Shabat, cotto per dieci ore a fuoco basso nella notte fra venerdì e sabato all'interno di un recipiente chiuso dallo stesso impasto usato per il pane. L'etimologia del suo nome trova corrispondenze nel cassoulet francese. Il suo modo e i suoi tempi di preparazione nel cocido madrileño spagnolo, oppure ancora nel barreado del Paraná brasiliano. Le due comunità, molto diverse fra loro per lingua, cultura e per il differente passato, si organizzano in gruppi con identità propria anche in Brasile, creando sinagoghe, circoli e gruppi di accoglienza destinati ai nuovi immigrati che, via via, arrivavano dall'Europa. Circa dieci milioni di brasiliani, oggi, hanno origini ebraiche dirette. Tra loro, i pochi adepti della culinaria kasher in senso stretto sono soprattutto di origine ashkenazita. Alcune delicatessen o rosticcerie ebraiche della città di São Paulo, simili ai deli newyorkesi applicano i precetti della Kashrut per confezionare i piatti, ma altri manicaretti della gastronomia ebraica non kasher sono più facilmente disponibili e altrettanto deliziosi. Il più famoso tra questi locali è "AK Delicatessen" della chef Andrea Kaufmann, un ristorantino minuscolo situato nel quartiere ebraico di Higienópolis. Costantemente affollato, il suo successo è giustificato dal fatto che la Kaufmann ha un talento non comune nell'unire i più tipici ingredienti brasiliani alle tradizionali preparazioni ebraiche. È il caso dei varenique o varenikes (ravioli) di patate americane, fatti con sugo di hadoque (stretto parente del baccalà norvegese) brasato. Oppure della rilettura ebraica della cotoletta alla milanese, con spezie. O ancora del robalo (spigola) in crosta di zatar (un mix di erbe, sesamo e sale) e salsa cremosa di limone. Tra i dolci, impedibile il pain perdu, mistura di pane challah (pane morbido e poco dolce) e frutta, cotta al forno con crema all'inglese. (fine della prima parte) 10.5.2009, www.musibrasil.net/

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