martedì 12 maggio 2009

Il Neghev

RIFLESSIONI FINALI SUL VIAGGIO IN ISRAELE 22 FEBBRAIO / 3 MARZO

Questo viaggio ha significato per me l’immersione piena in una realtà complessa, multiforme, le cui eco restano a lungo dell’anima; o meglio non ti abbandonano mai.Oz, Grossman, Yehoshua, Appelfeld, Shifra Horn, passando per Keret, così razionale nel suo essere paradossale…….tutti li ho incontrati; materializzati ad ogni angolo di strada. Un Paese all’avanguardia in molti campi, dalla letteratura, alle scienze, all’alta tecnologia, ai diritti umani (checché ne dicano i suoi odiatori di professione). Certo non perfetto, con difficili nodi da sciogliere, ma in grado di dare un contributo essenziale alla crescita civile del mondo. Questo accade in barba ai vari boicottaggi, inventati in primo luogo da associazioni o istituzioni occidentali, i governi delle quali, magari con la collaborazione di altre istituzioni, operano spesso in modo fattivo con Israele, in diversi settori.
Un rompicapo, se ci si pensa bene, che spesso e volentieri ha effetti comici.Un caso, fra i numerosi che si potrebbero citare: un anno dopo che il partito norvegese della sinistra socialista ha lanciato la sua campagna per il boicottaggio di Israele, l’importazione in Norvegia di merci israeliane è aumentata del 15% , l’incremento più alto da molti anni a questa parte (fonte: Statistics Norway).Il maggiore paradosso sta comunque nell’essere l’unico Stato al mondo minacciato di distruzione, senza che ciò susciti particolare sdegno negli organismi internazionali, ONU in testa; l’unico in ordine al quale ci si chieda ancora, dopo ormai 61 anni, se abbia diritto all’esistenza; ritenendolo, come disse un giorno un mio amico, quasi un “Paese di seconde case”.
Regolarmente oggetto di violenta esecrazione da parte dell’ONU e addirittura imputato n. 1 nelle Conferenze di Durban I e Durban II, le due vergognose kermesse del razzismo antisemita, tuttavia esso è nato grazie ad una Risoluzione ONU -preparata beninteso dal movimento sionista di circa un secolo prima e da una bimillenaria aspirazione al “ritorno”- e non dai capricci (chiamiamoli esigenze strategiche) delle grandi potenze, contrariamente ai Paesi limitrofi, la cui “artificialità”, quella sì, è riscontrabile solo osservandone, carta geografica alla mano, i confini, tracciati con riga e squadra.Vorrei che i politici, in primo luogo di casa nostra, quando si esprimono in merito al conflitto mediorientale, lo facessero a ragion veduta, senza quello sterile distacco, quella freddezza, accompagnata da superficialità e mancanza di senso della realtà, esprimentesi nel chiedere le rinunce, più o meno (più “più” che “meno”) dolorose sempre ed esclusivamente ad una parte sola.A questo proposito mi piacerebbe, è un esempio (ma se ne potrebbero scegliere altri), che, prima di usare in modo improprio o sbagliato, brandendoli come clave, termini quali “restituzione” o “occupazione”, a proposito del Golan, essi compissero un viaggio sull’altopiano: si rendessero conto dell’importanza strategica del luogo per Israele e di quanto esso sia stato amorevolmente curato e fatto prosperare in questi quarant’anni, dopo i venti di totale disamore e incuria siriani. In una recente intervista il grande architetto, di origine polacca e cittadino israeliano, Daniel Libeskind afferma, da una parte, che il combattere per l’identità ebraica ha sempre fatto parte della sensibilità del popolo di Israele perché significa battersi per una società libera e aperta, e, dall’altra, che i nemici delle democrazie occidentali e degli ebrei vedono in costoro e nelle suddette democrazie un nemico da contrastare con ogni mezzo, proprio perché rappresentanti di una società moderna, illuminista, matura.Ciò che mi ha impressionato, sopra ogni altro aspetto, in questo Paese è la sua contagiosa, traboccante gioia di vivere. Non sai se è l’entusiasmo di chi si spreme fino in fondo perché sa di essere a rischio, oppure c’è, in tutto ciò, una sorta di fede (religiosa o laica poco importa) nella propria capacità di durare, al di là del drammatico scenario mondiale e dei gravi pericoli. Forse entrambi gli aspetti.
Questa è la grande forza di Israele, sempre diverso, nuovo, con le sorprese ad ogni momento della Storia.
Spero che un giorno, mi auguro, non lontano, i popoli i cui governi sono suoi nemici, lo comprendano appieno. La Speranza e l’impegno per darle concretezza non costano nulla in confronto al valore della posta in gioco.
25 aprile 2009, Festa della Liberazione Mara Marantonio Bernardini

2 commenti:

hotel ha detto...

non è facile trovare persone ke viaggiano in israele :)

Chicca Scarabello ha detto...

Non è vero! Ci sono migliaia di turisti ogni anno ed io personalmente ne ho accompagnati moltissimo a partire dal 2000.....vieni con noi!