mercoledì 25 maggio 2011


Tel Aviv

Voci a confronto
Si è chiusa ieri una “sei giorni” durante la quale, a Washington, si è parlato quasi soltanto di Medio Oriente. Si è iniziato con il discorso di Obama fatto subito prima dell’incontro con Netanyahu (fatto questo a dir poco anomalo nella prassi delle relazioni internazionali tra nazioni amiche), si è continuato con il franco incontro tra i due e con i loro successivi, distinti discorsi di fronte all’AIPAC, e si è concluso col discorso del primo ministro di fronte al Congresso USA. Di questo si sussurrava da molti giorni, e alcuni addirittura avevano cercato di anticiparlo con articoli dimostratisi fantasiosi. Oggi, finalmente, i media di tutto il mondo ne possono riferire. Chi, tuttavia, ne desidera conoscere esattamente il contenuto, dovrà selezionare le testate, giacché ben poche ne riferiscono in modo corretto e completo. Sicuramente consiglio la lettura dell’editoriale del Foglio, di Fiamma Nirenstein sul Giornale, e del Riformista. Non complete sono le parole di Libero che contengono anche un grave errore: Netanyahu, infatti, non ha mai detto di voler “cedere dei pezzi di territorio israeliano in cambio soprattutto della piena sovranità su Gerusalemme”, e queste parole non dovrebbero essere scritte su giornali che si proclamano vicine alle posizioni di Israele. Fabio Scuto, su Repubblica, riporta quasi tutti gli argomenti presentati da Netanyahu, ma non si trattiene dal chiamare “coloni” gli abitanti di Gerusalemme est. Non completo è Francesco Semprini che, su La Stampa, si affretta a presentare anche le reazioni negative dei palestinesi. Anna Guaito sul Messaggero ha ascoltato le parole pronunciate di fronte al Congresso con la testa dei palestinesi, e preferisce cancellare le spiegazioni offerte da Netanyahu per lasciare spazio alle immediate repliche dei dirigenti dell’Anp. Non dissimile il Corriere che pubblica, con la firma di Guido Olimpio, un articolo che, già nel sottotitolo, si premura di far conoscere la risposta di Hamas; Olimpio poi non è completo nel riferire le parole pronunciate di fronte al Congresso, e, a proposito delle terre di Giudea e Samaria, cancella le parole di Netanyahu per scrivere “territori arabi conquistati nel conflitto del 1967”. Non obiettivo neppure Il Fatto Quotidiano che scrive solo parole di critica, non di informazione; Netanyahu avrebbe detto no a tutto, e questo è quanto resterà nella mente del lettore del giovane quotidiano. Anche Avvenire riferisce chiudendo, con grande risalto, con le reazioni dei palestinesi: classico modo, anche questo, per influenzare il lettore, in contrasto coi doveri di una corretta informazione. Ugo Tramballi scrive sul Sole 24 Ore che chiedere il riconoscimento del diritto all’esistenza di uno stato ebraico significa spostare ancora più in alto l’asta della pace, aggiungendo che Obama avrebbe fatto “ritornare le posizioni della diplomazia americana” alle vecchie frontiere. Critica anche la posizione de L’Unità, che osserva che Netanyahu non avrebbe chiarito a quali rinunce sarebbe pronto: è difficile da comprendere per questa testata che, se ci si deve confrontare in una trattativa, non bisogna anticipare le condizioni di apertura e di chiusura. Sull’insieme degli avvenimenti di questi sei giorni riferisce anche il Secolo d’Italia a che riporta (cosa legittima) le posizioni dell’Anp, sotto un titolo che, tuttavia falsamente, dice: “L’ANP apre anche a confini diversi da quelli del ‘67”; le posizioni di tutti i leader palestinesi, ancora negli ultimi giorni, sono state chiarissime, e non ci si deve lasciare abbindolare da qualche parola di circostanza detta eventualmente ieri, destinata a non lasciare il segno. Anche Frédéric Encel analizza i recenti avvenimenti sul Figaro, per concludere tristemente che non c’è “nulla di nuovo” che possa farci sperare. Interessante, come sempre, Giulio Meotti che intervista per il Foglio Schueftan, già consulente di Rabin e di Sharon, voce che nel passato ha saputo anticipare, in Israele, quanto si sarebbe poi verificato. Ancora sul Foglio un editoriale si chiede che cosa sia successo veramente ieri in Iran dove una grave esplosione ha anticipato di poco l’inaugurazione di una raffineria fatta da Ahmadinejad: è stato uno scoppio accidentale o un fatto inevitabile causato dalle difficoltà iraniane di fronte alle sanzioni occidentali? O non sarà magari stato un nuovo attentato contro il presidente iraniano, fallito di poco? Certamente è questo un episodio da seguire attentamente nei prossimi giorni. Infine raccomando ai miei lettori una attenta lettura dell’Herald Tribune dove si legge un pericoloso articolo firmato da Stanley Fish sotto il titolo: Cosa succede con gli ebrei? Partendo dall’episodio del regista Von Trier e da quello meno recente di Mel Gibson, Fish allarga il discorso agli altri avvenimenti che hanno coinvolto Strauss Kahn e Madoff, che nulla hanno in comune se non il fatto di avere come interpreti persone di religione ebraica. Ebrei vittime o colpevoli? Diavolo o popolo eletto? si chiede, per rispondere: tutto ciò, per concludere che non sarebbero davvero avvenuti per caso i gravi crimini del secolo scorso. Antisemitismo allo stato puro, secondo il sottoscritto, se non si arriva a comprendere che i signori Madoff (già dichiarato colpevole), e Strauss Kahn (al momento colpevole solo per i media, ma non per la legge), sono gli unici responsabili dei loro atti, come tutte le persone di questo mondo, e che non possono quindi essere catalogati con la loro appartenenza al “popolo eletto”. Emanuel Segre Amar 25 maggio 2011http://moked.it/

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