sabato 12 maggio 2012

A un anno e mezzo dalle rivolte arabe è tempo di fare un primo bilancio

Era il 17 dicembre 2010. Di fronte all’ufficio del Governatore di Sidi Bouzid, in Tunisia, il ventiseienne Mohamed Bouazizi si dava fuoco in segno di protesta contro le condizioni economiche del suo Paese e i ripetuti maltrattamenti subiti dalla polizia. Fu la scintilla che accese le rivolte arabe, il tentativo di alcune popolazioni del Maghreb e del nord Africa di emanciparsi dalle proprie dittature, da decenni al potere. Una rivolta intergenerazionale, animata principalmente da giovani che chiedevano maggior libertà di espressione e condizioni di vita migliori. A distanza di più d’un anno e mezzo, è tempo di un primo bilancio.Per Fiamma Nirenstein, deputata Pdl e vice-presidente della Commissione esteri della Camera, il bilancio purtroppo è negativo. “Passata l’esaltazione iniziale e il fascino di una spinta popolare e giovanile contro l’insopportabile oppressione di crudeli dittatori”, dice Fiamma Nirenstein a L’Occidentale, “abbiamo visto che quel che si profila all’orizzonte è una specie di internazionale sunnita integralista islamica, guidata dai Fratelli Musulmani”. Una lettura fondata. In Tunisia si è avuto il processo di transizione più immediato. Dalla cacciata del dittatore Ben Alì il 14 Gennaio 2011, si è passati alle elezioni di Ottobre, nelle quali si è assisto all’ascesa al potere del partito musulmano moderato Ennahdha. Non è stato un cambiamento positivo: le tensioni restano alte, tra la forte disoccupazione e le difficoltà economiche, acuite ancora di più a seguito dello scarso afflusso di turisti post-rivolta.E ancora l’Egitto. Dopo la cacciata di Mubarak, per trent’anni incontrastato ‘faraone’ del paese, i Fratelli musulmani e i partiti salafiti hanno inanellato una vittoria politica dopo l’altra, con le elezioni presidenziali che dovrebbero svolgersi tra il 24 e il 25 Maggio che s’annunciano come l’ennesima conferma del fronte islamista.Tra i candidati con maggiori probabilità di vittoria delle elezioni figurano Amr Mussa, ex-leader della Lega Araba noto per aver criticato aspramente le politiche statunitensi e israeliane, Abdel Aboul-Fotouh, ex-dirigente dei Fratelli Musulmani, e Mohammad Morsy (Libertà e Giustizia), il quale ha più volte espresso l’opinione per cui la futura legislazione dell’Egitto dovrebbe fondarsi sulla religione islamica.Come dimenticare la Libia. La nazione guidata dall’ex-dittatore Muammar Gheddafi è stata senza dubbio la più provata dalle conseguenze delle rivolte arabe. Dopo l’intervento Nato a sostegno dei ribelli di Bengasi, si è arrivati alla situazione attuale, con il Consiglio nazionale di transizione (Cnt) che sta traghettando il paese verso le elezioni del 19 giugno prossimo, senza avere ancora il controllo totale della regione. Diverse aree della Libia sono ancora sotto l’egida di fazioni armate di varia provenienza.Infine la più drammatica delle rivolte: la guerra civile in Siria, che il sanguinario Bashar al-Assad continua a reprimere nel sangue, con quasi dieci mila morti secondo le stime dell’Onu. A nulla ha portato l’accettazione (presunta) da parte del regime di Damasco della proposta di cessate il fuoco, mossa dall’inviato delle Nazioni Unite e della Lega Araba Kofi Annan.La guerra tra l’esercito regolare e la Free Syrian Army continua, e il dittatore Assad resta al suo posto, appoggiato politicamente e militarmente dall’Iran, potenza pre-nucleare, guidata da un presidente estremista come Mahmud Ahmadinejād.Un quadro politico non roseo, quello nordafricano e mediorientale, di fronte al quale l’Europa spesso tentenna, piegata com’è sui propri drammi interni.Per riflettere sul ruolo delle nazioni europee di fronte al nuovo Medioriente disegnato dalle rivolte arabe, così come dei pericoli legati al nucleare iraniano e del ruolo europeo di fronte all’islamismo politico che più si è avvantaggiato degli sconvolgimenti dell’ultimo anno e mezzo, se ne discuterà, il prossimo 15 Maggio, nella conferenza organizzata a Roma dal Congresso Ebraico Mondiale (il World Jewish Congress, WJC), l’International council of Jewish Parlamentarians e da Summit, il think tank animato proprio da Fiamma Nirenstein.Per la deputata Pdl, “la conferenza cercherà di fare il punto sul ruolo dell’Europa di fronte ai problemi legati al Medio Oriente: dalla gestione delle primavere arabe all’Iran, in un momento in cui vive una crisi profonda, di eredità ed economica”.In particolare Fiamma Nirenstein vede nell’Iran un grande punto interrogativo. Il fallimento dei colloqui di Unione Europea e Stati Uniti con un regime “che ha come suo punto prioritario quello della produzione di energia atomica a scopi bellici, in particolare orientata alla distruzione di Israele” dovrebbe destare grande preoccupazione in un’Europa troppo spesso ancorata alle proprie questioni interne. “Cosa sta facendo l’Europa di fronte a tutto questo?” – si chiede la Nirenstein, la quale continua – “C’è speranza che questi colloqui portino a un risultato oppure l’unica opzione sono le sanzioni o la distruzione delle strutture nucleari iraniane?”.Molto interesse a questo incontro è stato espresso anche dal Governo italiano. Per l’occasione, il premier Mario Monti riceverà a Palazzo Chigi il presidente del WJC, Ronald Lauder, la stessa deputata Fiamma Nirenstein in veste di presidente dell’ICJP e il segretario generale del WJC Dan Diker. Nel corso della giornata, verranno anche ricevuti dal ministro degli Affari Esteri Giulio Terzi di Sant’Agata. Una buona occasione per il Governo di un paese come l’Italia, troppo spesso preso a guardarsi l’ombelico, ancor di più in mezzo a un periodo di recessione, per ricevere pareri autorevoli e analisi approfondite su quel che accade fuori dai nostri confini.http://www.loccidentale.it/

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