lunedì 12 maggio 2008


Partizione della Palestina in due stati

Il 30 novembre le Nazioni Unite decisero (con la Risoluzione 181[18]), con il voto favorevole di 33 nazioni, quello contrario di 13 (tra cui gli Stati arabi) e l'astesione di 10 nazioni (tra cui la stessa Gran Bretagna, che rifiutò apertamente di seguire le raccomandazioni del piano, ritenendo, in base alle sue precedenti esperienze, che si sarebbe rivelato inaccettabile sia per gli ebrei che per gli arabi), la spartizione della Palestina in due stati, uno arabo e uno ebraico, il controllo dell'ONU su Gerusalemme e chiesero la fine del mandato Britannico il prima possibile e comunque non oltre il 1 agosto 1948.
Le reazioni alla risoluzione dell'ONU furono diversificate: gli ebrei accettarono pur lamentando la non continuità territoriale tra le varie aree assegnate allo stato ebraico.
Tra i gruppi arabi la proposta fu rifiutata. Le nazioni arabe, contrarie alla suddivisione del territorio e alla creazione di uno stato ebraico, fecero ricorso alla Corte Internazionale di Giustizia, sostenendo la non competenza dell'assemblea delle Nazioni Unite nel decidere la ripartizione di un territorio andando contro la volontà della maggioranza (araba) dei suoi residenti, ma il ricorso fu respinto.
Allo stato ebraico sarebbe toccato dunque circa il 55% di quel 27% (considerando però che oltre la metà era di deserto del Neghev) della terra originariamente affidata al Mandato Britannico (originariamente comprendente anche il territorio della Giordania, ceduta agli arabi nel 1922), con una popolazione mista (55% di origine ebrea e 45% di origine araba), Gerusalemme sarebbe rimasta sotto il controllo internazionale, mentre il restante territorio (quasi del tutto abitato dalla preesistente popolazione araba) sarebbe stato assegnato allo stato arabo.

*********************
Un documento storico: la lettera di Eliyahu Sasson, un alto funzionario diplomatico israeliano, ad Azzam Pasha, segretario generale della Lega Araba, 3 dicembre 1947

La lettera è rimasta senza risposta

3 dicembre 1947

Caro Azzam Pasha,
Da tempo pensavo di scriverti, ma esitavo a farlo prima del pronunciamento delle Nazioni Unite sul futuro della Palestina. Ora che il dado è tratto e che si è voltata pagina non voglio più procrastinare, soprattutto alla luce di quanto è apparso sulla stampa negli ultimi giorni in riferimento alle tue ultime dichiarazioni sulla Palestina e sulla decisione dell’Assemblea Generale.
Caro Azzam Pasha, noi non ci siamo montati la testa né siamo in preda a un delirio di onnipotenza, anche se la maggioranza delle nazioni civilizzate ha riconosciuto la giustezza della nostra causa dopo una delle battaglie politiche più dure mai combattute e un’indagine del nostro problema mai prima così approfondita. Siamo consapevoli che al varco ci aspetta un compito di formidabili proporzioni. Ci troveremo a dover costruire una nazione e questo è un impegno che non ha precedenti nella storia dell’umanità.
Dobbiamo superare ostacoli che nessun altro popolo sulla terra ha mai dovuto affrontare. Ma se non siamo trionfanti, non siamo nemmeno scoraggiati. La fiducia nel trionfo finale della nostra causa non si basa su quelle forze materiali alle quali hai fatto riferimento parlando questa settimana al tuo quartiere generale. Non è stato grazie a forze materiali che il nostro popolo è riuscito a resistere all’oppressione per secoli: dalla potenza di Roma, all’Inquisizione in Spagna, al dispotismo degli zar russi, al pugno di ferro di Hitler. Le forze materiali sono sempre state contro di noi. Siamo sopravvissuti solo grazie alla forza dello spirito. Un popolo che dopo diciotto secoli di esilio e persecuzioni senza fine ha ancora la forza spirituale e il coraggio di costruire una nuova civiltà non è un elemento da sottovalutare. Sicuramente non è un elemento che è possibile spazzare via con la forza bruta, come alcuni dei tuoi amici sembrano inclini a credere.
Questo non significa che noi sottovalutiamo il danno e le sofferenze che la forza bruta può infliggere. Non esiste altro popolo al mondo che ha pagato un prezzo così alto per la sua sopravvivenza. Abbiamo valutato i pro e i contro e sappiamo a cosa stiamo andando incontro. Non stiamo pensando solo in termini di settimane o di mesi. Stiamo pensando in termini di anni, di decenni. Ma sappiamo che per quanto amara e per quanto lunga possa essere la battaglia, alla fine noi prevarremo perché ci sostiene la forza dello spirito. Mai nella storia dell’umanità una forza di questo tipo è stata sconfitta dalla forza bruta. Non abbiamo scelta. La pura necessità ci costringe a proseguire su questa strada, perché questo è l’unico modo cheabbiamo per assicurare la nostra sopravvivenza come popolo.
Ora sta a voi. Sta a voi decidere se intralciare o favorire la nostra reintegrazione nel Medio Oriente. So che in questo momento la maggior parte di voi propende per la prima ipotesi. In questa generazione avete conquistato la libertà e l’indipendenza, ma molti di voi non sono ancora disposti a concedere ad altri il diritto di vivere e di essere liberi. Tuttavia, le medesime forze e le medesime necessità che hanno dato a voi la libertà sono anche dietro agli sforzi che facciamo noi per assicurare la nostra di libertà. E nel prepararvi ad ostacolare i nostri sforzi di liberazione nazionale con la forza bruta finite col prendere il posto di coloro che a suo tempo hanno ostacolato il vostro sforzo di liberazione. Ho troppo rispetto per l’intelligenza politica del popolo arabo, in mezzo al quale sono cresciuto e ho vissuto tutta la vita, per pretendere di offrire suggerimenti politici, ma nessun uomo con un po’ di immaginazione non può non vedere che questi leader vi stanno trascinando in un abisso e stanno mettendo il vostro popolo in una posizione che è all’estremo opposto di tutte le idee dalle quali il vostro movimento di liberazione ha tratto la sua forza e alle quali deve il suo successo. Non stiamo, come ho detto sopra, sottovalutando la vostra forza, ma vi invito umilmente a non sottovalutare nemmeno la nostra. La nostra forza, come ho detto, trova sostentamento nella forza dello spirito e nella forza della necessità, ma queste sono forze che possono mettere in moto anche la forza fisica. Possiamo essere pochi, ma il nostro coraggio è grande e ora abbiamo abbiamo un sostegno ulteriore, e non da poco, dato dalla decisione presa dalla maggioranza delle Nazioni Unite. Possiamo subire dei rovesci, ma il nostro popolo qui e altrove non si sottrarrà allo scontro e se lo scontro dovesse prolungarsi verrebbero inevitabilmente coinvolte forze che possono minacciare non solo la nostra indipendenza, ma anche la vostra. Pace e libertà sono invisibili. Che nessuno creda che sia possible sopprimere la nostra libertà e salvare quella dei nostri vicini. Che nessuno pensi che la Palestina possa inzupparsi di sangue mentre i nostri vicini vivono tranquilli.
Per fortuna possiamo percorrere un sentiero diverso. Alcuni dei vostri leader hanno detto ai popoli arabi che noi rappresentiamo una minaccia alla loro sicurezza, che la Palestina non è per noi altro che una testa di ponte dalla quale conquistare l’intero Medio Oriente. Hanno ripetuto queste affermazioni così spesso che sono sicuro che una buona parte di loro ci crede veramente. Nonostante ciò e per quanto sincera possa essere quella convinzione, rimane comunque una preoccupazione del tutto assurda. Gli ebrei sono tornati in Palestina non per conquistare o soggiogare, ma per trovare una casa nell’unica terra che può offrire loro una casa, nell’unica terra alla quale sono legati da un nodo storico indistrutto e indistruttibile. Vogliono una casa in Palestina e in nessun altro luogo. La Siria, l’Iraq ecc. sono per noi terre straniere tanto quanto l’Africa orientale o il sud America. Riconsiderando tutta la questione dal punto di vista pratico, come si giustificano tutte queste paure? Pensate che la ricostruzione dello Stato ebraico in parte della Palestina sarà un compito facile? Credete che il trasferimento e l’insediamento degli ebrei provenienti dall’Europa orientale o da altri Paesi sulla nostra terra, che al momento non è altro che un deserto, verrà compiuto con poco sforzo? Il numero degli ebrei che si stabiliranno in Palestina non potrà mai essere una minaccia per i 40 milioni di arabi che popolano il Medio Oriente, i cui numeri registrano una crescita costante, i cui territori sono vastissimi e le cui potenzialità non hanno limiti. Bisogna essere prossimi alla pazzia per evocare il fantasma della conquista ebraica del Medio Oriente. Può essere un buon slogan per provocare una folla di fanatici e dovrebbe essere respinto da ogni statista responsabile.
Voi e noi ci troviamo oggi ad un punto di svolta. Dipende da voi decidere se ostacolare il nostro percorso o se accettarci come chiediamo di essere accettati, come i figli dell’est che ritornano – dopo secoli di esilio forzato – nella terra dei loro padri. Non mi permetto di fare profezie, ma non mi dispiace dire a te, che – come credo – hai occhio per le prospettive storiche, che tutti questi figliuoli prodigi d’Israele possono diventare una grande benedizione per tutto il Medio Oriente. Sono stati trascinati fuori contro il loro volere e hanno dato molto ai loro Paesi ospiti. Ora tornano carichi con i tesori di quell’esperienza unica di essere stati un popolo orientale in terre occidentali, per trovare qui quello che nessun altra terra può dare loro: radici, pace, sicurezza, una casa. I loro sforzi saranno concentrati solo su questo compito e solo su questa terra, ma è inevitabile che ciò che riusciranno ad ottenere qui avrà effetti benefici anche sui vicini e aiuterà la ripresa generale di tutto il Medio Oriente su cui la pace, la sicurezza e la prosperità di tutti colori che risiedono qui si basa. Questa, infatti, è la nostra speranza che continuiamo a tener viva nonostantetutto quello che abbiamo subito in questi giorni. Durante la scorsa settimana, mentre si è fatto di tutto per creare problemi gratuiti e provocare la nostra rappresaglia, il nostro popolo ha mantenuto il sangue freddo e i nostri leader hanno continuato offerte di pace e di collaborazione ai nostri vicini arabi. Il nostro lavoro di ricostruzione continuerà con o senza il consenso dei nostri vicini, ma dipende da loro quale parte il nostro Commonwealth avrà nella rinascita del Medio Oriente. Sta a loro. Lasciami concludere con una citazione dalla Sacra Bibbia: “Ho messo di fronte a te la vita e la morte, la benedizione e la maledizione: perciò scegli la vita, cosicché sia tu che i tuoi discendenti possiate vivere”.
Sinceramente tuo,
Elias Sasson
Fonte: Stato d’Israele e Organizzazione Sionista Mondiale, Documenti politici e diplomatici, dicembre 1947 – maggio 1948,editi da Gedalia Yogev, Gerusalemme 1979

Nessun commento: