lunedì 14 luglio 2008

Gerusalemme - Mea Sherim


SOTTO LA STELLA DI DAVIDE
Incontri con gli scrittori di Israele

9 e 10 LUGLIO 2008
“La scrittura è [per me] un tentativo di toccare ciò che non vedo. Mentre gli altri autori ripensano al loro vissuto, si confrontano con realtà note, il mio percorso è esattamente l’inverso. Scrivere per me è come sporgermi dal precipizio”.
Non ha alcuna intenzione di stupire l’uditorio, Etgar Keret, il secondo personaggio che incontriamo in questa rassegna, uno dei maggiori esponenti della nuova generazione di scrittori israeliani e l'autore più amato dai giovani. Il suo modo di esprimersi per paradossi gli viene naturale, te ne rendi conto appena lo vedi sul palco. 41 anni, ma ne dimostra di meno, nato a Tel Aviv da genitori scampati alla Shoah, jeans-maglietta-sorriso contagioso, la pronuncia delle consonanti in inglese ha un che di sibilante, come capita ai ragazzini.
Ha iniziato a scrivere a 19 anni, durante il servizio militare. E’ autore di sceneggiature per il cinema, storie per la televisione, libri di fumetti e per bambini (“Papà è scappato col circo”, 2003, illustrato da Rutu Modan) e perfino di un musical dal titolo (ovviamente insolito) “Entebbe A Musical”, scritto con Jonathan Bar Giora, che gli valse, nel 1993 il primo premio all'Alternative Theater Festival di Akko.
Viene presentato da Bruno Gambarotta come l’enfant terribile della letteratura israeliana, colui per il quale non esistono territori sacri. La sua caratteristica sono i racconti brevi, dal ritmo molto serrato, nei quali versa una capacità surreale di satira ed uno spirito….fulminante. Non a caso un suo libro (tre gruppi di raccolte di storie del 2003/2004) porta il titolo di “Pizzeria Kamikaze”; esso è edito da E/O, come del resto tutti i suoi testi. Vediamone altri.
“Gaza Blues” (2005), a quattro mani col palestinese Samir El-Youssef, in cui gli Autori condividono la stessa simpatia per i loro personaggi che sono veri “anti-eroi” e cercano di svelare la complessità di un conflitto che investe la loro vita quotidiana, piena di tutti i sogni, le aspettative, i fallimenti che appartengono comunque alla nostra vita in generale. Ne discende una miscela spiazzante che ci mostra squarci di una società nevrotica e paradossale.
“Le tette di una diciottenne “ (2006), inizialmente apparso nella collana “Dal mondo” con il titolo “Io sono lui”, è anch’esso percorso da un forte senso dell’assurdo e dell’incredibile; cifra interpretativa, anche se ovviamente non l’unica, di una realtà, per tanti versi, pazzesca come quella di Israele oggi; fino al recente “Abram Kadabram” (2008), che il quotidiano Yediot Ahronot ha indicato come una delle cinquanta opere più importanti della letteratura israeliana.
All’osservazione secondo la quale i suoi personaggi paiono vivere in una dimensione minimalista, che considera anzitutto il ”giorno per giorno”, Keret conferma l’esattezza dell’analisi, motivandola come una reazione al fatto di essere cresciuto in un clima, per così dire, ideologizzato, con i valori del sionismo come base, ossatura del Paese.
Ciò lo ha indotto ad ampliare lo spazio personale, nell’esigenza dei personaggi (e dello stesso Etgar) di ritrovare se stessi, senza timore di confessare il proprio disorientamento e malessere esistenziale, pur espressi con il sorriso sulla labbra.
La complessità della natura umana lo porta a far sì che, nelle sue storie, non vi sia una coppia che viva in armonia; si tratti di genitori/figli o marito/ moglie; i vivi e i morti coesistono, così come la tematica del suicidio è ricorrente. “Ma non vi è nulla di macabro” precisa ”anzi il contesto in cui i suicidi sono inseriti è ottimista. Se hai la possibilità di ucciderti, significa che sei in grado di prenderti le tue responsabilità; anzi devi farlo, non puoi scaricare eventuali colpe su altri”.
Che ne dici dell’immagine proposta da qualcuno, lo provoca Gambarotta, che definisce Israele come “Fungo bellissimo, ma…velenoso”?
“L’identità israeliana” risponde “è da sempre costruita su paradossi e contraddizioni. C’è il lato conservatore che porta ad una rigorosa osservanza dello Shabbat, quando, per fare un esempio, i trasporti pubblici non funzionano; ma c’è anche l’Israele che sceglie come proprio rappresentante all’Eurofestival della canzone un travestito, che risulterà il vincitore della kermesse. Israele, insomma, è una bella donna imprevedibile. Un mio personaggio, un uomo d’affari di nome Avner, pur amandola, dice cose terribili su di lei! Vi sono tanti aspetti, nella nostra realtà, che sono comuni a quella italiana, o di altri Paesi occidentali; la vera differenza sta nel…volume: da noi è assai più alto!”
Ci parla della sua famiglia di origine. Sappiamo che i suoi genitori sono sopravvissuti alla Shoah (e qua è là il tema emerge); ci sono pure una sorella ed un fratello, assai dissimili tra loro.
La sorella, 45 anni, segue il filone ultraortodosso dell’Ebraismo, ha undici figli e due nipoti; il fratello, legato all’estrema sinistra, dopo aver tentato di costituire in Patria un gruppo politico volto alla legalizzazione della marijuana, ora vive in Tailandia.
“Siamo molto diversi tra noi, ma stiamo cercando tutti la stessa cosa, pur attraverso percorsi differenti: ciò che trascende la realtà quotidiana, il senso profondo della vita”.
Una figura che ricorre nella sua poetica è l’illusionista o il “prestigiatore”, come Abram Kadabram.
C’è molto in comune tra il “mago” e lo scrittore, entrambi condizionano il pubblico, ma ne sono, a loro volta, condizionati. Quando un “mago” può essere davvero definito tale? Quando lui stesso non riesce a scoprire i propri trucchi; è la stessa esperienza che vive lo scrittore.
Altri personaggi cui Etgar spesso fa ricorso sono i “bambini”, magari inseriti anch’essi in un filone macabro. La letteratura, confessa, mi ha consentito di esprimere il mio volto di bambino che avevo sempre nascosto. I bambini non sono (ancora) parte integrante della società: per questo hanno la capacità rara di vedere la realtà così com’è, contrariamente agli adulti, che vi sono immersi. Vedremo come ha sviluppato il tema della forza dei bambini in una specifica occasione.
Quanto ad una certa predilezione per il tema del “compleanno”, questo si spiega col fatto che, inevitabilmente, il giorno del tuo compleanno, sei costretto a fare un bilancio, sia pure parziale, della tua vita, a guardare dentro di te e all’indietro, nel tuo passato. Il tema del “compleanno” è scelto come momento di sfida.
Alla rituale domanda di come nascano i suoi racconti, egli spiega che la vera molla sono le situazioni di….squilibrio, di instabilità: quando stai per cadere, ti aggrappi a qualcosa. “Ecco, questo significa per me scrivere!”
Il criterio, poi, secondo il quale sono organizzate le raccolte dei suoi racconti, beh questo può essere casuale; magari nascere da una situazione di emergenza. “Una volta” confessa “temevo di perdere i racconti appena scritti perché il computer stava andando in tilt, così, per salvarli, li ho radunati in un unico file….”
Nella nostra conversazione, per usare un’immagine biblica, alla brezza della sera, non è mancato l’accenno agli autori, di diverse epoche e contesti, che hanno influenzato la formazione di Etgar Keret.
Tra questi, nota Bruno Gambarotta, Julio Cortázar ( 1914 - 1984), lo scrittore argentino (ma vissuto a lungo a Parigi) che prediligeva i generi del fantastico e del mistero, stimato da Borges, spesso paragonato a Cechov e Edgar Allan Poe, i cui racconti non sempre seguono una linearità temporale, ma i cui personaggi esprimono una psicologia profonda.
Poi, aggiunge l’ospite, Franz Kafka, Isaac Bashevis Singer e Isaac Babel.
Ma un posto importante lo occupano anche i racconti hassidici. Quando la sorella si è volta verso l’ebraismo ultraortodosso, Etgar, per trovare un comune terreno d’intesa con lei, si è avvicinato a quel mondo, ricco di misticismo, ironia, senso del fantastico. Senza dimenticare la Bibbia, con la quale tutti gli Autori israeliani hanno familiarità, a prescindere dalle singole scelte religiose: si può essere praticanti o meno, credenti o non credenti, ma “il” Libro è pietra miliare nella formazione e nella vita del “Popolo del Libro”.
Dalla Scrittura al Cinema
La sera successiva, il 10 luglio, presso il Cinema “Odeon”, a pochi passi dal luogo dei nostri incontri letterari, è stato proiettato “Meduzot” (Meduse), il lungometraggio -distribuito in Italia dalla Sacher Film di Nanni Moretti- che Etgar ha diretto un paio di anni fa, insieme alla moglie, la sceneggiatrice Shira Geffen, e che ha vinto il Premio “Camera d’Or” al Festival di Cannes 2007, dopo aver riscosso notevole successo in Israele.
Al termine dello spettacolo i due autori si sono intrattenuti col pubblico in un simpatico dibattito, nel quale hanno espresso con naturalezza e sincerità le motivazioni che li hanno portati a mettersi dietro la macchina da presa; questo in un momento molto felice per il cinema israeliano, che vanta, negli ultimi tempi, alcune pellicole di notevole rilievo internazionale, in una gamma variegata di temi espressi: pensiamo, tra le altre, a “Beaufort”, candidato all’Oscar come migliore film straniero (ma che in Italia non ha trovato il…suo Nanni Moretti) o a “La banda”. O, mi permetto di aggiungere, a “Souvenirs”.
L’identità di scrittori rivestita da Etgar e Shira, seppure in contesti un po’ differenti, ha dato loro quella libertà di azione che personaggi “del mestiere” non avrebbero probabilmente avuto: “Sapevamo di correre un rischio, entrando in un mondo nuovo” aggiungono “ma lo abbiamo corso volentieri. Nella peggiore delle ipotesi, in caso di flop, saremmo tornati al nostro vero lavoro senza problemi”. “D’altronde, aggiungono “entrambi amiamo il cinema e da esso traiamo ispirazione. Così come, nel cinema, traiamo ispirazione dalla parola scritta”.
Ho rivisto con piacere la pellicola e ho colto aspetti nuovi nella trama delicata di cui è composta. Ad esempio il soffermarsi della macchina da presa sugli interni aridi, quasi squallidi: l’anonimo albergone di Tel Aviv dove Keren e Michael passano la loro luna di miele; l’appartamento in cui vive Batya, il cui soffitto ha urgente necessità di essere riparato; il ristorante specializzato in ricevimenti di nozze -che immagini uno uguale all’altro, nel loro svolgimento e menu- con annesso giovane direttore arrogante; le poche stanze che la signora di origine tedesca divide con la badante filippina, sul volto dolcissimo della quale leggi tutto il dolore per la lontananza dal suo bambino, mentre lei s’impegna più che può nel suo lavoro, arrangiandosi con un inglese elementare e con quell’espressione/domanda che, probabilmente, è l’unica che conosce, nella lingua del Paese: “Tutto a posto?”
Agli interni così freddi e disumanizzati fanno da contraltare i diversi personaggi, con i sentimenti, i desideri, la difficoltà delle persone ad entrare in sintonia l’una con l’altra…..La Tragedia del “Passato che non passa”: “Siamo tutti della seconda generazione” (dopo la Shoah)…..Una madre che sa sorridere solo dai cartelloni pubblicitari (da dove invita il pubblico a sganciare soldi per iniziative pseudobenefiche) e un padre troppo occupato con l’amichetta bulimica di turno per prestare attenzione alla figlia, più o meno coetanea di quest’ultima…..gli struggenti versi della misteriosa poetessa, suicida a causa della solitudine: “…una nave dentro una bottiglia non potrà affondare mai, né ricoprirsi di polvere. E’ bella da guardare mentre naviga nel vento… e intorno…meduse….”
Ma vi è la nota di speranza: la grande forza dell’innocenza infantile e della poesia.
La bambina silenziosa coi capelli rossi, che non si separa per nessun motivo dal suo salvagente, rappresenta la vita che rinasce; di impareggiabile suggestione i lunghi sguardi, negli interni, sulla spiaggia e, soprattutto, alla fine, sott’acqua, tra lei e Batya, cullate dall’affascinante commento musicale per pianoforte.
All’uscita, la via Mascarella, su cui si affaccia il cinema “Odeon” era stata pedonalizzata grazie ad una benemerita iniziativa di alcuni ristoratori della zona: sulla strada erano stati posti i tavoli per gli avventori, che così si sono seduti all’aperto in un clima festoso.
Ho salutato Etgar, Shira e Marina e li ho guardati allontanarsi tra le persone che cenavano all’ombra dei nostri palazzi rinascimentali: un magico prosieguo di film.
Mara Marantonio Bernardini, 11 luglio 2008
http://www.mara.free.bm/

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