lunedì 15 settembre 2008

Gerusalemme, ponte Calatrava


Solo poche pagine di un dettagliato, splendido diario del nostro ultimo viaggio in Israele, febbraio 2008, scritto da Luisa Fazzini. Chi volesse l'intera opera può farne richiesta con un commento sul blog.

24 febbraio 2008 – domenica

Oggi visiteremo tre punte di diamante della realtà gerosoliminiana, la Knesset , la Corte Suprema , il grande Museo della Shoah, lo Yad Vashem e saranno emozione e commozione altissime, un’esperienza indimenticabile. Grandissimo è stato il mio coinvolgimento,al di là e al di sopra di quanto mi aspettavo.. Ho avuto davanti agli occhi come è stata realizzata, con sistematicità, l’attuazione di una minuziosa simbologia attraverso un’ architettura moderna di importante impatto visivo e di evidente intento didascalico in un contesto che non dimentica mai la dimensione estetica.
Arriviamo con il pullman alla Knesset, ma prima abbiamo percorso una vasta area che è la cittadella universitaria modernissima, frequentata da studenti provenienti da tutto il Paese ma anche dall’estero, con un vario programma di ricerche in tutti i settori. Ogni edificio è circondato da un parco di alberi di alto fusto e di ricco fogliame. Anche l’edificio del Parlamento ha tutto intorno distese di prati con aiuole fiorite, tra cui 15 acri che accolgono roseti con esemplari provenienti da tutto il mondo. Si può ammirare sull’orizzonte il Monte Herzl , coperto da un folto parco , che è dedicato a Theodor Herzl, l’ispiratore del Sionismo, sulla cima del monte, di più di 800 metri, c’è la tomba di Izhac Rabin e sul lato nord il cimitero militare dei 6.000 caduti in guerra. Davanti al Palazzo della Knesset (Assemblea) c’è una colossale Menorah di bronzo, opera di B. Elkan, donata dal governo inglese , che nelle sue braccia ha raffigurata in precisi riquadri la storia di Israele. Il Palazzo ha elementi ispirati alla classicità del Partenone e vuole ricordare anche la struttura del primo Tempio degli Ebrei, ha una base di cristallo trasparente perché così deve essere la vita dell’ organo di governo, l’opera è del 1966 dell’architetto Klarwin e di D. Karmi. All’interno, oltre alla sala del Parlamento, ad emiciclo, con poltrone di cuoio e prevalente colore marrone anche perché tutte le pareti sono ricoperte di legno, con la parete di fondo, dietro il tavolo della Presidenza, di pietra bianca di Gerusalemme, che vuole richiamare il Muro del Pianto, ammiriamo gli stupendi arazzi , il Trittico, ispirato alla Bibbia: Creazione – Esodo dall’Egitto – Entrata in Gerusalemme e i mosaici pavimentali, tutte opere di Marc Chagall, grande pittore ebreo russo, che ha voluto donare questi ornamenti al suo Paese.
[La rappresentazione di David che danza, desideroso di umiliarsi di fronte a Dio, felice, davanti all’arca che entra in Gerusalemme, con in un angolo, dietro una porta , la moglie Micol, che lo guarda con aria critica, è proprio come la descrive Dante nel Canto X del Purgatorio (vv. 64-69: “ Li precedeva al benedetto vaso , / trescando alzato, l’umile salmista, / e più e men che re era in quel caso. / Di contra, effigiata ad una vista / d’un gran palazzo, Micòl ammirava / sì come donna dispettosa e trista.” ( l’episodio è tratto dalla Bibbia, 2 Reg , VI,16) ]
Al vertice opposto di un ideale collegamento diretto rispetto alla Knesset c’è l’ardito edificio modernissimo, ideato dai coniugi Ram Carmi e Ada Carmi Malamed , una delle cose più interessanti ed indimenticabili di questo viaggio, la Corte Suprema (1993). Qui tutto è stato previsto per avere un significato allegorico preciso, a cominciare dalla scala di ingresso che deve far pensare alla salita al Cielo, anche attraverso la spettacolare vista che si ha di Gerusalemme dalla grande vetrata che si trova al punto terminale della scala. Nel corridoio d’entrata un muro è di pietra bianca di Gerusalemme, per ricordare la continuità del passato, l’altra parete è semplicemente bianca per accennare al futuro che è tutto da scrivere. L’edificio ha tre piani come ci sono tre Corti e tre tipi di giudizi. L’ampio spazio di accesso, di fronte alle aule, con pareti altissime e grandi vetrate e con emicicli corredati di comodi sedili e un sistema di insonorizzazione per consentire colloqui più discreti e privati di avvocati e ricorrenti, allude ad una strada o piazza a cui si accede senza difficoltà, perché così deve avvenire per chi adisce alla giustizia. Così sono state concepite le aule di giudizio , di misura e di struttura tali da essere accoglienti per ebrei, musulmani, cristiani ossia devono apparire come un spazio simile ad una sinagoga, ad una moschea o ad una chiesa. Il luminoso cortile interno conserva le scansioni austere di tutta la restante costruzione ed è attraversato da un solco in cui scorre acqua gorgogliante, nella direzione esatta della Knesset perché il Parlamento deve essere ispirato da quei principi di purezza e vitalità, rappresentati dall’acqua corrente, che gli provengono dalla Corte Suprema . All’interno dei vari piani si alternano continuamente, linee rette e linee curve, nell’intento di ispirare l’idea che le leggi devono essere rette, mentre il giudice deve giudicare dopo aver valutato la complessità della realtà in cui farà valere la sua sentenza.
Ma le emozioni non erano esaurite: mi attendeva quella che da sola può motivare questo viaggio.: la visita allo Yad Vashem, “Un monumento un nome”: questo è il significato delle due parole . Le lacrime mi sono salite, ma le ho trattenute, agli occhi sin dal primo impatto, benché ero abbastanza preparata a quanto avrei incontrato sul mio cammino. E’ stata una vera discesa nel Dolore; non so quanto condiviso da tutta quella folla di visitatori, certamente toccati da una simile atroce vista ma anche troppo intenti a fotografare, sedersi, bisbigliarsi qualcosa di immediato, non collegato con quanto li circondava.. Io ho sentito uno strappo nella mia carne. Mi è venuta in mente la descrizione dello stato d’animo della cosiddetta seconda generazione di ebrei, soprattutto americani, nati da sopravvissuti alla Shoah, che ho molto apprezzato nel libro “L’archivista” di Martha Cooley (Guanda,1998). Lì veniva messo in luce il senso di colpa per la propria vita rispetto a quella, stroncata, di tanti esseri fratelli e, comunque, il profondo senso di angoscia per quelle inenarrabili sofferenze, da esserne intaccati per sempre. Ho provato tutto questo di fronte sia alle immagini introduttive a questo luogo di memoria, quelle del Campo di sterminio di Clod, da cui nessuno è uscito vivo, sia a quelle degli incendi di libri nel famoso inizio dello sterminio e alla profetica frase , detta da Heine nel 1921, ancora lontano da quel furore : “Quando i libri vengono bruciati, anche l’essere umano verrà bruciato”. Ancora maggior commozione mi ha invaso di fronte alle originalissime fotografie animate con il computer da una fotografa americana, che è riuscita a far “muovere” le figure che erano state fissate su pellicole , nei loro gruppi famigliari o nelle loro occupazioni quotidiane o nel via vai di città o dei poverissimi ma intensi schtetl del centro Europa, dalla fine ‘800 ai primi decenni del ‘900.
In questa sorta di filmato un po’ più statico dell’abituale si potevano apprezzare le teste che si giravano verso di noi, mostrandoci il sorriso, o il faticoso pedalare di un contadino di uno schtetl polacco, che aveva caricato sulla sua bicicletta anche cesti di verdure o animali da cortile, o ancora il lento passo di eleganti figurine femminili a passeggio per i viali di un bel giardino di città o bambini intenti a rincorrere il rimbalzo di una palla. E poi, improvvisamente, altre immagini, più irrigidite e soprattutto viste dall’esterno di case, le cui finestre sempre più raramente erano aperte, sino a giungere allo squallore di uno scorcio di polverose strade abbandonate dove erano agitati da un turbine, metaforica allusione allo sconvolgimento imminente dello sterminio, di tristi e stentati cespugli: la parabola, neanche troppo velata, di una vitalità che da vigorosa e attiva si è andata restringendo e rallentando fino allo spegnimento. L’annullamento era in atto e stava quasi vincendo. Lo sgomento mi ha preso mentre mi infilavo nella via in leggera discesa che ci costringeva a procedere verso gli altri ambienti, l’uno svolgentesi nell’altro dove i nostri occhi non potevano posarsi se non su immagini che suscitavano continua costernazione per la loro moltiplicante dolorosità, senza però alcuna concessione a scorci di mestizia edulcorata; sono presentazioni di una pura e immane tragedia. Credo che il maggiore merito di questa esposizione è di dare la cognizione della enormità e della sistematicità dello sterminio, che però non è riuscito nel suo intento ultimo, la cancellazione del popolo ebraico, per un’unica forza, credo, quella della mente di coloro che sono riusciti a non piegarsi e a trovare in sé e in qualche altro compagno la tenacia della volontà di affermazione della loro umanità, prevalente su tutto. Ma è indicibile il male inferto e sopportato; quel peso mi è entrato dentro e non lo posso allontanare: ho temuto, ho patito, ho pensato che comunque era facile per me, che ero lì e guardavo: non avevo gli occhi pieni della vista di quel sangue, le narici piene di quegli odori, le membra tremanti per quel gelo e per quella fame. Ho meglio compreso la frase che mia madre diceva negli anni immediatamente dopo la guerra: “Non potrò mai più sorridere”. La sua lunga e operosa oltre che generosa vita l’ ha portata a godere, invece, di tanti buoni momenti, ma credo che Lei si sia sempre sentita una privilegiata, quindi con un obbligo sacrale e assolutamente mai rivelato, ma non per questo inconsapevole, all’impegno costante a vedere gli altri e a farsene carico, mai richiudendosi in una cieca e irraggiungibile staticità nel proprio, mai sentito come esclusivamente tale . Questa convinzione maturata davanti a quelle emozioni è una delle ricchezze che mi ha portato questo viaggio. Altre due forti esperienze, voglio ricordare di questa visita.
Una si è sviluppata quando abbiamo raggiunto l’ultima sala del nostro percorso, la Sala dell’Archivio. Siamo entrati in essa da una passerella sospesa, che collega due larghe pareti cilindriche concentriche.: su quella di fondo si stagliano le mensole concentriche , l’una sopra l’altra lungo tutta l’altissima parete e sono occupate da centinaia e centinaia di allineati dossier cartonati scuri, con sul dorso un’etichetta che porta scritti rigorosamente a mano, in elegante corsivo antico, un nome e un cognome, gonfi al loro interno di fitti fogli di carta, talora anche accartocciati e un po’ stracciati : gli unici documenti che attestano le singole vite di tutte quelle vittime. L’altra parete interna, che si rastrema ed incurva in una cupola è del tutto coperta di fotografie di uomini donne vecchi bambini, che ci guardano ma, nel contempo, si riflettono in uno specchio d’acqua contenuto in un bacino posto sul pavimento, sprofondato, in corrispondenza alla cupola. L’effetto di moltiplicazione di tutte quelle immagini lancia un chiaro messaggio di continuità e di collegamento di quei volti, di quelle persone con noi visitatori, a loro collegati attraverso questa corrente visiva. Qui le lacrime non le ho potute, né volute, trattenere.
Eppure da questo strazio venivamo obbligati a staccarci nel momento in cui ci siamo avviati sull’ultimo tratto di questa sorta di strada che ci aveva portato sin lì, ma, differentemente da prima, ora si stava innalzando verso una radiosa parete di cristallo, aperta su uno spettacolare panorama della vallata circostante, verdeggiante di tanti alberi e costellata dei colori dei fiori, dei prati, delle case, insomma , andavamo verso la vita. Gli stessi criteri architettonici e didascalici guidano il visitatore anche nel Memoriale dei Bambini, più di un milione, sterminati nei lager. Qui, tuttavia, è più forte e avvertibile il richiamo all’obbligo della memoria, che deve permanere squarciando le tenebre dell’oblio come fanno le illimitate fiammelle che tremolano nel buio di un passaggio, attraversato con l’aiuto di un corrimano e avanzando con la sensazione della cecità. Poi si ritrova la luce e si esce nel giardino che circonda anche questa costruzione. Quelle mille luci altro non sono che il riflesso in pareti di specchio di sole cinque candele, dimostrando ancora una volta quanto possa una forte e tenace volontà, quanto valga l’amore per la vita, magari nel ricordo. Bene hanno fatto a disseminare vari monumenti a persone che si sono impegnate in grandi imprese di salvazione nel parco tutto intorno; voglio ricordarne una sopra tutte, il monumento che eterna l’eroica azione di protezione e poi di personale sacrificio estremo del dott. Janusz Korczak, che aveva organizzato un ospedale-ricovero per bambini prevalentemente orfani e, pur potendo salvarsi, ha voluto seguirli nel lager per essere loro vicino fino all’ultimo; è commovente la rappresentazione dell’abbraccio di quell’uomo generoso che vuol creare uno scudo col suo braccio e con la sua grande mano ai suoi piccoli protetti. A questi luoghi si accede dal famoso Viale dei Giusti, dove ogni albero, di solito un olivo, benché inizialmente si volevano dei sicomori, molto diffusi in questo territorio e utilizzabili in tutte le loro parti nonché citati nella Bibbia e crescenti tanto lentamente che chi li pianta sa che lo fa per i suoi discendenti, porta il nome di una persona, non ebrea, che si è prodigata, a rischio della sua vita, per salvare un ebreo.
Dopo questa serie di visite di particolare valore e intensità di emozioni, che forse sarebbe stato meglio diluire in due giorni, a tutela di equilibri cardiaci messi a dura prova da tanta intensità di ondate emotive, raggiungiamo il complesso universitario dove avremo l’incontro con il prof. Sergio della Pergola, italiano ma ora docente presso l’Università di Gerusalemme, che sarà, in autunno nostro oratore a Trieste. Prima di arrivare però a questa meta, attraversiamo il quartiere abitato esclusivamente da ultraortodossi (haredim), detto Mea Schearim (che significa “cento porte o cento volte”). Qui, gli uomini non lavorano ma studiano soltanto il talmud e i sacri testi, perché rifiutano di modificare la natura che li circonda con il lavoro manuale, mentre le donne, rigorosamente a capo coperto con fazzoletti, cappelli o parrucca, vestite pesantemente con calze grosse, gonne lunghe e braccia completamente coperte, oltre a fare , mediamente, 5/6 figli, spesso lavorano per aiutare il mantenimento della famiglia. Lo Stato eroga un sussidio ai maschi, in segno di rispetto per i loro studi, ma questo non è sufficiente al mantenimento di tali numerose famiglie. Nel quartiere, tutto è separato; hanno propri negozi, ospedali, scuole, si cibano e si comportano nella piena osservanza del rituale più rigido; evitano di uscire dal quartiere stesso; hanno giornali e trasmissioni radio specifiche, ma vi ricorrono poco; preferiscono dare notizie attraverso un sistema di manifestini, che vengono attaccati agli alberi, sulle vetrine dei negozi o sui portoni. Ad uno sguardo rapido, la vita sembra molto povera e arretrata. Spesso, giovani promettenti di queste comunità scappano e, talora, vengono accolti da famiglie meno osservanti, vengono adottati e poi proseguono negli studi e raggiungono brillanti posizioni.. Incredibile il colpo d’occhio di queste strade affollate e animate da moltissimi giovani e ragazzini oppure austeri uomini con lunghe barbe fluenti e lunghi ricci, alle tempie , i peots, i riccioli rituali, che sbucano dai più strani cappelli, prevalentemente di feltro nero, a larga tesa, mentre altri portano dei grossi colbacchi di pelliccia; tutti sono coperti, in qualsiasi stagione, da lunghi e pesanti cappotti neri. Il tempo è scandito come negli schtetl del centro-Europa; si parla lo yiddish mentre l’ebraico è usato solo per i riti religiosi. Non riconoscono lo Stato di Israele perché non fondato dal Messia Come scoprirò dalla risposta che il prof. Della Pergola mi darà, gli ultra-ortodossi sono presenti in tutto Israele, calcolabili al 10 % e sono, quindi, un non piccolo problema per il Governo, che li deve mantenere. Si registra, ora, un compromesso per certi lavori nell’elettronica, in quanto ritenuta un campo di azione non manuale, per cui si può ipotizzare che le nuove generazioni saranno impegnate in qualche lavoro di questo tipo..
Attraverso un lungo tragitto che comprende il passaggio in una galleria , una specie di ambiente da metropolitana, dove invece gli studenti universitari prendono i vari mezzi per tornare a casa, procediamo verso il terzo piano di un edificio universitario e, in una bella aula ad emiciclo, ascoltiamo l’ interessante conversazione-lezione.del prof. Della Pergola, che ci illustra come è organizzata la società in Israele. Ci sono state molte domande molto ben impostate e fatte da persone preparate e intelligenti e anche la mia domanda al professore è stata molto apprezzata dai miei compagni di viaggio, che mi hanno dimostrato apertamente il loro consenso, e anche da lui, che si è molto divertito quando ho introdotto il quesito sul pesante problema economico rappresentato da questa fascia di cittadini non-lavoratori e ostili, pur riconoscendo l’alto valore ideale dello studio e della dedizione alla meditazione filosofico -religiosa .
La bella giornata si è conclusa quindi con questa immersione nella vita politica e quotidiana di Israele, poi siamo andati a cena e qui vale la pena di dire due parole su cosa e come si mangiava.
Nel bell’albergo di Gerusalemme, era sempre tutto preparato, con grande abbondanza e buon gusto nel porre insieme piatti di cibarie coloratissime e appetitose, sicchè bisognava stare attenti a non avere gli occhi più grandi della bocca, abbondavano verdure cotte e crude, salsine piccanti o dolci, ma sempre gustose, c’era varietà di carni rosse e bianche, c’era quasi sempre della minestra di cipolla, piuttosto delicata, e insalata di pasta (non so se una concessione agli ospiti italiani), c’era anche del pesce, che è stato gradito a chi lo ha assaggiato. Al mattino, la colazione, offriva una tale gamma di yogurt e di formaggi molli, insaporiti alle erbe o dolci, brioches e torte che, a lasciarsi andare, si rischiava una indigestione bella e buona. Non mi è accaduto nulla di tutto ciò. Ultimo pernottamento a Gerusalemme : è certo che è un luogo da rivisitare, è sicuramente un luogo dell’anima.

25 febbraio 2008 – lunedì


Si parte con puntualità dall’albergo con i nostri bagagli perché ora si incominciano i veri spostamenti, con una sequenza piuttosto fitta di visite ad Istituti di ricerca, monumenti e/o luoghi storici, kibbutz e visite a territori caratteristici. Questo viaggio è stato impostato sulla conoscenza dello Stato di Israele in occasione del 60° anniversario della sua fondazione perciò toccheremo certi punti , come l’Istituto di Ricerca Weizman o l’Ayalon Institut presso Rehovot, dove potremo valutare la capillarità e vastità dell’impegno dello Stato per approfondire studi e sperimentazioni in campo medico, agricolo, fisico-chimico, da cui trarre benefici per tutta la comunità con sistemi di avanguardia ma anche luoghi di memoria storica carissima ai fondatori di Israele, evocatori di tempi eroici..
Lo comprendiamo bene quando veniamo accolti con vivo senso di ospitalità e con una colazione gentilmente offerta da due delle organizzatrici dell’Istituto e della nostra visita, in un’originale sala di illustrazione, e vediamo, attraverso sistemi televisivi e cinematografici, da schermi posizionati anche in delle finestre alternate ai nostri sedili e attraverso le tradizionali proiezioni informative, le attività svolte nei laboratori attrezzatissimi e modernissimi dell’Istituto che prende il nome dal primo Presidente dello Stato israeliano. Abbiamo modo di ammirare la sua luminosa casa, di impronta assai borghese ma non certo lussuosa, sobria e corredata da elementi caratterizzanti l’uomo: un intellettuale, scienziato e studioso di grande spessore, pieno di libri, che fanno mostra di sé in una sala studio-biblioteca, che ha certamente molta più importanza, nella casa, di quanto ne abbia la sala di ricevimento. Mi sono molto piaciute le tante e tante fotografie che caratterizzano l’atmosfera di questa abitazione. Sono la testimonianza degli importanti incontri avuti dal padrone di casa con scienziati, artisti, dei viaggi in tantissimi paesi e dei colloqui con uomini politici e potenti di vario tipo , in cui è sempre accompagnato dalla elegante moglie, e pongono, altresì in risalto anche i gusti personali, come la musica, la pittura e la passione per un collezionismo raffinato di statuette orientali,. La villa , modesta di proporzioni, ha l’impronta di quegli anni ’30 del ‘900, evocatori dello stile della Bauhaus , che l’architetto Mendelsohn, infatti, aveva prima seguito e poi rinnegato.. Negli ultimi tempi di vita, Weizman aveva fatto apporre, sul davanzale della veranda rotonda della sua stanza da letto, una piccola mensola, a cui si faceva avvicinare perché impossibilitato a camminare, per mettere i semini a nutrimento degli uccellini del parco, così abituati da lui stesso. Mi ha colpito questo intreccio di dimensioni pubbliche e private, che vengono percorse con semplicità e duttilità, senza rinunciare a nulla e dando grande valore agli affetti, sia famigliari, come è dimostrato dalla forte presenza di immagini che ritraggono il Presidente con la amata moglie, che amicali. Così, mi sembra, di aver conosciuto un uomo vero. Siamo informati dalle nostre guide dell’imponenza dell’Istituzione di Ricerca, che spazia in vari campi, dalla medicina all’energia alternative alla biomatica, scienza tra biologia e matematica, dagli studi sul cervello e sul cancro alle 250 sperimentazioni più varie, a cui partecipano 2.200 tra studiosi e studenti , suddivisi in 100 gruppi, guidati da professori sia locali che esterni; la presenza studentesca è rispettosa del 50% di genere. Ci viene raccontato come la famosa Dichiarazione Balfour venne fatta a compenso di un’importante formula dell’acetilene, che era stata messa a punto in questo luogo di studio, e ritenuta, in quel momento, molto utile agli armamenti inglesi. Ed eccoci, dopo poco, inseriti in un ambiente del tutto opposto: raggiungiamo il Kibbutz Ayalon, un rustico e piuttosto povero luogo, caratterizzato da basse e antiquate casupole , che fanno pensare ad una piccola fabbrica anni ‘40/50. Infatti siamo arrivati in un’area che contava una lavanderia e un panificio. La strana presenza era motivata dalle esigenze dei contadini del kibbutz, pionieri, coltivatori, duramente e poco produttivamente impegnati nei primi tentativi di fertilizzazione del deserto, che infatti circonda con la sua riarsa distensione di sassi e terriccio tutto il territorio. Ma c’è una sorpresa, che, come ormai ci abitueremo a registrare, ci fa scoprire che, in realtà, tutto ciò che vediamo: attrezzi, macchinari, forni, camini, lavatrici arcaiche e stiratrici altrettanto improbabili, in quel momento era funzionante, con un rumore tale da costringere a tapparsi le orecchie per la sua intollerabilità ; apparentemente si provvedeva al servizio di lavatura dei panni e alla fornitura di pane e pasta per tutti i lavoratori della comunità di Ayalon e anche di abitanti di villaggi vicini.
Ma non era tutto qui, infatti, spostando a fatica una pesantissima macchina, si scopre una botola che permette di scendere di parecchie decine di metri sotto terra. Sotto entrambe le costruzioni, sempre passando da rocambolesche e segretissime aperture, si giunge ad ampi spazi , tutti attrezzati da macchine tutt’altro che imbelli: servivano per la produzione di proiettili, con cui rifornire il neocreato esercito di Israele, impegnato nella mortale guerra dichiarata da sei Stati Arabi, contemporaneamente, all’indomani della votazione dell’ONU, che aveva approvato la nascita dello Stato ebraico. Lavorarono qui,dal 1944 a metà del 1946, in assoluto segreto, affidato alla conoscenza di una sola donna, che aveva il compito, dopo che tutte le operaie della lavanderia-stireria erano andate nella mensa comune per il pranzo, di dare il segnale al gruppo dei 12 turnisti, che si alternavano nella fabbrica sotterranea ed emergevano per il cambio turno, in quel momento. Analoga operazione veniva fatta con coloro che lavoravano nel vasto complesso sotterraneo , rispondente al forno del pane. Entrambi gli edifici avevano dei camini da cui doveva fuoriuscire , giustificatamene, fumo, che ovviamente, non era solo quello delle operazioni di superficie ma anche quello prodotto dalle fusioni per i proiettili. I camini, inoltre, consentivano anche l’areazione dei locali interrati. Era stato escogitato un sistema vero e proprio di camuffamento di questi addetti, di colorito pallido e , naturalmente, puliti, per farli passare per normali contadini, scuriti dal sole e sporchi di terriccio o altro materiale proprio dei campi. Così, questi operai segreti si sottoponevano a lampade abbronzanti e a veri trucchi per simulare una condizione esteriore uguale a quella dei contadini. Un casuale ritardo di uscita di un’operaia aveva fatto scoprire a questa altra persona, che si era poi unita nel lavoro ai sotterranei, tutto il complicato andirivieni tra sopra e sotto terra, con la conseguenza che, dopo poco, si preferì abbandonare questo luogo, trasferendo altrove tutta l’attività clandestina. Tutta questa avventurosa storia è molto ben rappresentata poiché luoghi, oggetti, suppellettili sono stati conservati in originale e, addirittura, gli ambienti sono stati animati da figure a grandezza naturale di operai e operaie intenti a varie mansioni così da avere l’impressione di entrare in un mondo di più di 60 anni fa e, per chi quella realtà l’ ha vissuta in età di ragione, è un’esperienza assai emozionante
La meta di grande impatto emotivo ci aspettava, però, a Tel Aviv : la “Sala dell’Indipendenza”.Situato in quella che era stata la casa del primo sindaco di Tel Aviv, un po’ sotto il livello stradale, l’ambiente piuttosto spartano, di ampiezza limitata, mi ha dato l’impressione di una palestra, era stato scelto come luogo di riunione, nella urgenza di garantire un minimo di sicurezza a quello che era il parlamento provvisorio e ai personaggi che sarebbero diventati il nerbo del governo del nuovo Stato ebraico : Ben Gurion e Golda Meir, tra essi. L’impareggiabile guida, una giovane signora di origini albanesi, in ottimo italiano, ci ha trasmesso tutto il suo entusiasmo di appassionata patriota nel raccontarci le frenetiche ore, precedenti il grande annuncio del 14 maggio 1948, in cui , non soltanto si è dovuta allestire, sotto minaccia di continui bombardamenti, la sala adeguata a fare il grande annuncio della nascita dello Stato di Israele, ma si sono dovute decidere moltissime e fondamentali scelte: il nome del nascente Stato, i principi ispiratori dello stesso, i ministri e i rappresentanti del parlamento provvisorio, i riferimenti ai confini dello Stato, il collegamento per la diffusione radiofonica, ; era un venerdì, quel giorno e, per la differenza del fuso orario, si rischiava di entrare nello shabbat ossia nel periodo in cui gli ebrei osservano strette misure di comportamento. Sarebbe stato impossibile usare la radio o organizzare qualsiasi ufficiale cerimonia che dovesse servirsi di mezzi meccanici: il sabato è il momento della preghiera e della meditazione, quindi non si deve fare nulla di manuale. Decisero di chiamare il nuovo Stato Israele e fecero una serie di affermazioni di motivazione alla sua nascita e ai suoi futuri comportamenti, per cui si scrisse e si modificò il testo sino all’ultimo minuto. Grande polemica, ad esempio, era scoppiata se inserire un cenno alla volontà di Dio circa la nascita di Israele o no e si scelse una frase neutra “ si sarebbero poggiati sulla roccia di Israele”.
Abbiamo visto, in una teca esposta alla Knesset, il documento riportante questo testo e le firme dei rappresentanti del governo provvisorio . Ma è stato curioso sapere la faticosa gestazione di quello scritto, con un’antiquata macchina da scrivere, usata da un dattilografo che doveva continuamente ribattere dei tratti per le correzioni che venivano apportate, con l’affanno cui accennavo più sopra; segno di esso è la strana forma che assume l’ultima pagina di quello scritto : è letteralmente appiccicata all’ultima facciata ed ha una lunghezza diversa. Era accaduto che, per accorciare i tempi, si era fatto firmare i vari rappresentanti su un foglio a parte con l’intenzione di aggiungerlo, opportunamente, ma, nella concitazione degli ultimi istanti, il copista aveva rovesciato una boccetta di inchiostro, posta sul tavolo, e il liquido nero aveva macchiato proprio il bordo superiore di quel prezioso foglio, ma non, per fortuna, le firme autografe. Si era allora provveduto a tagliare la parte macchiata e incollare l’altra restante all’ultima pagina del documento. Questo continuo rimescolamento di atti sublimi e di piccoli, quando non buffi, eventi è un dato che mi è molto piaciuto dell’esperienza di vita in Israele: si percepisce un contatto continuo con l’umiltà della quotidianità, che appare sempre molto viva e mobile, e con l’austerità e importanza indiscutibile di tracce passate e attuali di fondamentale rilievo. E’ quell’impasto di passato-presente, con una forte ed esplicita spinta al futuro, che ho sentito qui, con una mia immediata sensazione di essere proiettata in una dimensione potentemente vitale raggiunta per merito di una vera e propria carica propulsiva.
Nella famosa giornata della dichiarazione dell’indipendenza ci fu anche un’altra forsennata diatriba. Sapevano chiaramente che, a votazione favorevole dell’ONU alla nascita di Israele, ci sarebbe stata, immediata, l’aggressione dei sei stati arabi coalizzati contro questa realtà, dotati di armamenti formidabili e, soprattutto, determinati a distruggere, prima ancora che si insediasse, la nuova realtà politica. Decisero di inviare un rappresentante dello Stato negli Stati Uniti per raccogliere fondi e poter, così, armare l’esercito, neppure ancora costituito e, comunque, privo di effettivo armamento. Ben Gurion sembrava e voleva essere quel rappresentante, ma Golda Meir fu determinata; sarebbe andata lei in America perché la presenza di una figura autorevole e riconoscibile come Gurion era necessaria nella difficilissima situazione locale. Così, infatti, a dichiarazione fatta, fu questa donna tenace e fortissima a partire, la sera stessa, e a raccogliere ben 40 miliardi di dollari, dalle comunità ebraiche americane.
Altro problema complicatissimo fu far entrare armi e danaro in Israele per i gravi ostacoli frapposti dagli altri Stati, timorosi del disequilibrio che poteva verificarsi nel Merio Oriente. La nostra guida ha anche raccontato come il tecnico radiofonico, che aveva offerto la sua opera gratuitamente, aveva avanzato una sola richiesta: che sul microfono centrale dal quale avrebbe parlato Ben Gurion ci fosse una piastrina con il nome della sua azienda, per motivi di pubblicità. Bello questo intrecciarsi della microstoria con la macrostoria !
Poi, anche noi, visitatori non casuali ma pur sempre di passaggio, abbiamo sentito la voce ferma ma contenuta nell’emozione affiorante di Ben Gurion che ha scandito parole a noi incomprensibili, che tuttavia ci sono sembrate sonanti: oggi nasce lo Stato di Israele; un’onda di suono travolgente, un colossale applauso, è dilagata nella Sala, che si è come animata, nuovamente, di partecipazione, di commozione, di esaltazione, di gioia, a ben 60 anni di distanza e tra persone che non erano le dirette interessate ! Credo che tutti coloro che assistono a questa commovente rievocazione la vivano raccordandola a loro esperienze; certamente noi triestini, così provati nella nostra volontà di affermare la nostra italianità, e così combattuti e spesso contrastati in questo cammino, abbiamo un motivo in più per partecipare completamente a questo entusiasmo e capirlo totalmente. Usciamo tutti con gli occhi lucidi di lacrime, presi da una profonda comprensione dello sforzo immane fatto dagli ebrei per guadagnarsi questa loro terra, che doveva e deve restare il loro Eretz Israel.
Ma la giornata non è ancora conclusa: mi attende uno splendido concerto dell’Orchestra Filarmonica di Israele, sotto la direzione del Maestro Itzak Perlman e il violinista Vladim Guzman. Le musiche sono: Stravinsky , Concerto in D for string orchestra; Mendelssohn, Concerto in E minor for violin and orchestra, op.64; Berlioz, Symphonie fantastique, op.14. L’Auditorium è un’imponente sala di 3.000 posti, mi impressiona, con ammirazione, il Maestro Direttore, che mi sembra molto valido, gravemente colpito nella deambulazione, sorretto da due stampelle, che depone nel momento in cui si siede su uno scranno un po’ elevato per dirigere. Anche questa è un’esperienza interessante: esempio di forza d’animo e volontà per attuare la propria vocazione artistica. Il violinista si rivela un virtuoso di altissima qualità e la musica che ne scaturisce mi rende felice per la sua doppia qualità, quella tecnica e interpretativa e quella del luogo in cui l’ascolto : Tel Aviv (Israele). Ecco , è questo che volevo: la mia agognata ( e impossibile, per la maggior parte) presenza in luoghi internazionali per seguire gli eventi di musica, arte, cultura in generale! Questa sarebbe vita se fossi ricca; non lo sono e, quando raggiungo questi traguardi, mi sento padrona del mondo, dato che essi mi accompagnano e moltiplicano dentro di me quel piacere estremo che è il contatto con la BELLEZZA, che voglio sempre raggiungere. Luisa Fazzini, Trieste

3 commenti:

Anonimo ha detto...

BS"D

Guardi, signora, sugli ebrei religiosi ha scritto un sacco di cose che non sono vere. Ma non ce l'ho con lei, immagino che qualcuno gliele abbia dette, qualcuno che ci ama poco. Lei stessa afferma che alcune gliele ha riferite il prof. Sergio della Pergola.
Se ha l'occasione di incontrare di nuovo questo signore, gli dica che il Governo non mantiene gli ultra-ortodossi (come afferma lui), piuttosto mantiene lui, come professore universitario! Io non ricevo sussidi e lavoro nel settore privato, e sarei felicissimo di sapere dove si trova l'ufficio del governo che mi "eroga" (secondo lui) dei sussidi per via della mia religiosità.
Piuttosto sono io, con il mio lavoro, con le tasse che pago, che stipendio il Prof. Sergio Della Pergola, che invece di essermi grato per il pane che mangia usa la sua posizione per dire maldicenze su di me. La prossima volta che viene in Israele, signora, non parli solo con gli antisemiti, parli anche con noi. Chieda a noi come viviamo e vedrà che quello che le hanno detto ("rifiutano di modificare la natura che li circonda con il lavoro manuale") non è altro che la versione moderna delle ostie fatte col sangue dei bambini cristiani...

Chicca Scarabello ha detto...

Gentile signor BS'D, sono certa che la sua situazione sia quella che lei mi descrive, ma è una realtà conclamata da tutti gli ebrei israeliani che conosco che gli ultra ortodossi si dedicano agli studi della Torah e di altri testi sacri e sono mantenuti dal governo israeliano. Il Professor Della Pergola è un uomo di cultura a livello internazionale, molto rispettato e considerato in ogni ambiente non solo per l'eccellenza della sua materia, ma anche per ciò che di buono e importante fa per il suo Paese. E' ebreo ed è religioso. Gli antisemiti, come purtroppo sappiamo sia io che lei, sono ben altri!
La ringrazio comunque delle sue considerazioni Chicca Scarabello

Anonimo ha detto...

BS"D

Grazie per la sua gentile risposta. Le dirò: conclamare non è difficile. E più difficile dire cose vere. Io sono per la seconda via, non per la prima. Se realmente lei pensa che quanto scritto nell'articolo sia vero, al suo prossimo viaggio venga a trovarci e parli con noi. Senza conclamare, scoprirà che stereotipi e preconcetti sono spesso scorciatoie fallaci. Scoprirà porte aperte, famiglie calorose, e soprattutto persone per bene, zeppe di buone azioni come il melograno è zeppo di chicchi. Sul professore in questione, non so se sia "religioso" e potrebbero essere affari suoi. Ma chiunque sia la fonte delle fiabe riportate nell'articolo, non è probabilmente un individuo molto religioso, perché da noi le menzogne sono rigidamente vietate, e doppiamente vietate se diffamano gli altri. Spero perciò che non sia lui, ovvio. Perché accusare gli ebrei religiosi di essere mantenuti dallo stato è senza dubbio un'accusa antisemita. Gli antisemiti sono anche questi, non solo quegli altri. E di tutti loro bisogna diffidare, specialmente di coloro che inventano bugie per giustificare le loro scelte di vita e denigrare quelle degli altri. E come detto, vorrei che i signori che "conclamano" quelle fandonie mi indicassero lo sportello dove potrei mostrare la mia "ultra-ortodossia" e potermi fare mantenere a vita. Non c'è, cara signora, non esiste, se lo tolga dalla testa, per il suo bene, perché solo la verità ha valore, le frottole sono perdite di tempo senza interesse. A me non cambia niente, lo dico per lei, con il rispetto dovuto, va da sé. Buon anno e che possiamo tutti essere iscritti subito nel libro della vita. Auguri.